Lo Statuto del Contribuente e l’irretroattivita’ della legge tributaria di Giorgio Pallavicini

Redazione 02/05/01
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Capitolo 3

  1.  La portata giuridica  dell’articolo 11 delle disp. sulla legge in generale del Codice civile del 1942

Dal 1950 fino ad oggi il problema della retroattività delle norme tributarie è stato affrontato da esponenti importanti della dottrina giuridica e sempre con intenso e vivo impegno. Tutto ciò è dimostrato dalla numerosa produzione di scritti sul tema e dalle varie e spesso diverse tesi che ciascun autore ha voluto mettere in luce.

Grande interesse è stato mostrato riguardo alla natura e gli effetti dell’articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale contenute nel Codice civile del 1942, in quanto rappresenta il punto di partenza per una chiara e completa analisi del fenomeno retroattivo e , nel caso specifico, della retroattività della norma tributaria.

Nel paragrafo dedicato all’analisi, generale e sommaria, dell’efficacia delle norme tributarie nel tempo, è stato già chiarito il contenuto dell’articolo 11 disp. prel. c.c.; ora bisogna affrontare il problema della sua portata giuridica, mettendo in evidenza alcune fra le molte ed importati tesi sostenute nel corso di questi ultimi anni.

Il problema dell’opportunità di inserire nell’ordinamento giuridico una norma che sancisse il divieto dell’efficacia retroattiva non si è posto per la prima volta nel Codice civile italiano del 1942.

Infatti una prima soluzione si è avuta con la Costituzione francese del 1793, secondo la quale l’effetto retroattivo della legge penale doveva essere considerato un crimine e poi con la Costituzione del 1795 secondo cui “aucune loi, ni criminelle, ni civile, ne peut avoir d’effet rétroactif”, attraverso quindi una estensione di tale divieto anche alla materia extrapenale.

L’esempio dato dalla Francia alla fine del ‘700, però, non fu seguito dagli altri ordinamenti europei e con il tempo si abbandonò l’idea di inserire un tale divieto all’interno di una disposizione costituzionale cosicchè il problema della irretroattivtà della legge è stato riportato al livello della legislazione ordinaria.

In questo senso un chiaro esempio è rappresentato dall’articolo 2 del Code Napoléon[1], che è stato poi un modello per il legislatore italiano del 1865 e del 1942[2].

La scelta di inserire il principio di irretroattività in una legge ordinaria, com’è il nostro Codice civile, ha creato qualche problema interpretativo (risolto soltanto relativamente alla materia penale grazie all’articolo 25 della Costituzione) circa la valenza giuridica di questo principio e la sua effettiva possibilità di vincolare il legislatore al suo rispetto.

Al di fuori dell’ambito prettamente fiscale, la dottrina costituzionalistica è stata concorde nel ritenere, anche se con argomentazioni in parte differenti, che l’articolo 11 disp. prel. c.c. dovesse essere cosiderato a tutti gli effetti una disposizione di legge ordinaria e quindi liberamente derogabile da parte del legislatore[3].

In parte differenti le considerazioni dell’Esposito il quale ha voluto rintracciare un principio di irretroattività della norma extrapenale nella disposizione contenuta nell’articolo 54 della Costituzione secondo cui “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. Secondo l’Autore[4] questa disposizione “implica un corrispettivo dovere del legislatore di emettere solo leggi di cui sia possibile l’osservanza, non invece leggi retroattive che hanno vigore in un periodo in cui non sarebbe configurabile un dovere di osservarle”. Lo stesso Autore, però, ammette che “mentre il divieto di leggi penali retroattive è inderogabile, non vale lo stesso per le altre leggi, in quanto fuori dal campo penale non vi è alcun obbligo assoluto ed inderogabile, ma solo una direttiva in favore della irretroattività delle leggi”.

Altra parte della dottrina[5] ha ritenuto, invece, che il principio della irretroattività contenuto nell’articolo 11 disp. prel. c.c. rappresenta un vincolo per il legislatore ordinario ma soltanto nel senso che eventuali deroghe a tale principio devono essere espresse.

Oltre alla dottrina costituzionalistica, il problema della valenza giuridica dell’articolo 11 disp prel. c.c. è stato preso in considerazione anche da illustri studiosi del diritto tributario, i quali, con opinioni in parte riconducibili a quelle appena ricordate, hanno voluto dare il loro personale contributo alla soluzione di questo problema anche perché l’utilizzo di norme fiscali retroattive è stato ed è tutt’ora molto frequente.

La prima tesi[6], forse quella concettualmente più semplice, muove da un presupposto fondamentale: l’articolo 11 è una disposizione contenuta nel Codice civile, che è una legge ordinaria. Di conseguenza il valore e la forza giuridica dell’articolo 11 disp. prel. c.c. saranno quelli tipici delle disposizioni di legge ordinaria, e quindi si tratterebbe di una disposizione legittimamente derogabile dal legislatore in ogni momento. Per rafforzare questa argomentazione, la quale, però, sarebbe da sola in grado di giustificare l’affermazione secondo cui nel nostro ordinamento è ammessa la retroattività delle norme extrapenali, il Manzoni ha sostenuto un altro argomento, basato sull’analisi della nostra Costituzione. Infatti, premesso che l’unica norma costituzionale che parla espressamente di retroattività e quella contenuta nell’articolo 25, secondo comma, che può riferirsi solo alla materia penale, l’Autore mette in evidenza che non può assolutamente attribuirsi rilevanza costituzionale all’articolo 11, a causa della mancanza di qualsiasi collegamento con l’ordinamento costituzionale stesso. Né tanto meno si può considerare come un principio superiore e vincolante per il legislatore[7].

L’articolo 11, quindi, è una semplice norma di legge ordinaria che il legislatore è libero di derogare in qualsiasi momento ponendo in essere norme che hanno efficacia retroattiva. Per Manzoni, quindi, sostenere l’illegittimità costituzionale delle norme retroattive extrapenali, significa verificare se nella Costituzione esistono norme che possono considerarsi violate da un’ipotetica norma retroattiva.

Altra parte della dottrina[8], invece, in controtendenza rispetto a quanto affermato dal Manzoni, ritiene che l’articolo 11 debba essere considerato come un principio generale del nostro ordinamento, non potendo essere derogato con legge ordinaria e rappresentando un chiaro vincolo per il legislatore. Questa posizione è stata fortemente criticata[9] sotto due profili fondamentali. Prima di tutto perché non c’è nessuna ragione, dal punto di vista del diritto positivo, per ritenere l’articolo 11 delle preleggi un principio generale del nostro ordinamento e poi perché, anche volendo ammettere tale natura, un principio generale dell’ordinamento è, senz’altro, qualcosa di diverso rispetto ad un principio costituzionale che vincola pienamente il legislatore.

Infatti l’articolo 12 disp. prel. c.c. attribuisce ai principi generali dell’ordinamento una semplice funzione di orientamento nell’applicazione della legge e non certo un vero e proprio vincolo. Quindi la conclusione a cui perviene D’Amati è che non si possa riconoscere questa caratteristica  all’articolo 11, ma anche volendo riconoscerla il legislatore non è vincolato al rispetto del suo contenuto; quindi, almeno in riferimento a questa disposizione, il principio di retroattività della legge extrapenale può essere considerato pienamente valido nel nostro ordinamento.

L’ultima posizione da segnalare è stata esposta da Sergio Caianiello in uno scritto di qualche anno fa[10], ed è molto interessante perché analizza un punto di vista completamente diverso dagli altri, nonostante, come vedremo, arriverà alle stesse conclusioni fin’ora esposte. Secondo l’Autore, la funzione dell’articolo 11 nel nostro ordinamento è la stessa che ha avuto l’articolo 2 delle disposizioni preliminari al Codice civile del 1865 nell’ordinamento precostituzionale e, ancor prima, l’articolo 2 del Code Napoleon nell’ordinamento francese. Quella, cioè, di dettare un canone di interpretazione della norma giuridica, una regola generale per l’interprete. L’articolo 11, quindi, non detta un principio di irretroattività della norma giuridica, ma solo un criterio ermeneutico secondo il quale l’interprete dovrà attribuire alla disposizione un significato tale per cui essa possa produrre effetti per il futuro, semprechè la disposizione non stabilisca diversamente; quindi sono comunque ammissibili norme retroattive. Come  accennato prima, la conclusione è la stessa delle tesi già esposte, ma era comunque interessante porre in evidenza  che l’Autore non condivida il fatto di ritenere l’articolo 11 un principio generale di irretroattività delle norme extrapenali, ma solo un canone interpretativo.

La conclusione a cui è arrivata la dottrina dominante è, quindi, sostanzialmente chiara, tranne qualche eccezione debitamente segnalata[11].

Alle medesime conclusioni della dottrina è arrivata la Corte costituzionale, attraverso una giurisprudenza costante. Secondo la Consulta[12], il principio generale enunciato nell’articolo 11 disp. prel. c.c., rappresenta un’antica conquista della nostra civiltà giuridica, ma non è mai assurto, nel nostro ordinamento, alla dignità di norma costituzionale, se non con l’unico limite della materia penale. Quindi il legislatore ordinario è libero di utilizzare norme retroattive, anche se la Corte[13] stessa afferma in altre decisioni che il principio di irretroattività della legge extrapenale sancito dall’articolo 11, dovrebbe essere, in linea di massima, osservato, essendo la garanzia della certezza dei rapporti giuridici uno dei cardini fondamentali della tranquillità sociale e del vivere civile. Poi, però, nella stessa sentenza numero 194 del 1976, la Corte aumenta di nuovo i margini di discrezionalità del legislatore ordinario, stabilendo che il principio di irretroattività, come garanzia dei rapporti giuridici, non deve essere seguito tutte le volte che  ci siano casi eccezionali che impongono l’estensione retroattiva dell’efficacia della norma. Quest’effetto, afferma la Corte nella sentenza numero 100 del 1989, va ad incidere su situazioni pregresse, sacrificando eventualmente alcune categorie di soggetti; ma ciò è del tutto legittimo, se risulta a seguito di un’attenta valutazione. La posizione della Consulta riguardo all’articolo 11 è sostanzialmente chiara e univoca, anche se in alcuni casi particolari ha cercato di restringere l’ambito di discrezionalità del legislatore, facendo riferimento al principio di certezza dei rapporti giuridici, il quale verrebbe meno difronte ad interventi diretti ad incidere su situazioni pregresse, per poi lasciare di nuovo ampio spazio alla possibilità di emanare norme retroattive, tutte la volte che si verifichino casi eccezionali e dopo un’equa valutazione degli interessi in gioco.

Risulta chiaro, però, come la dottrina e la giurisprudenza costituzionale siano concordi nel ritenere che l’articolo 11 disp. prel. c.c. non ha mai rappresentato, e tantomeno rappresenta ora, un principio generale di irretroattività della norma extrapenale, e maggior ragione della norma tributaria, capace di vincolare il legislatore.

[1] L’articolo 2 del Code Napoléon prevede che “la loi ne dispose que pour l’avenir; elle n’a point d’effet retroactif”.

[2] Sia l’articolo 11 delle disposizioni preliminari al Codice civile del 1942, sia l’articolo 2 del Codice civile italiano del 1865 hanno lo stesso contenuto dell’articolo 2 del Code Napoléon; ciò ha fatto pensare non solo che il legislatore del 1942 sia stato chiaramente influenzato da queste codificazioni precedenti, ma anche, come scrive il Quadri, “che la genesi della disposizione sia stata meccanica, piuttosto che ragionata, non esistendo altra intenzione negli artefici della norma se non quella di un conformismo meramente verbale”.

[3] In questo senso v. Grottanelli de’ Santi, Profili costituzionali della irretroattività delle leggi, Milano, 1970, 11 ss.; Quadri, Commento all’articolo 11 delle preleggi, in Commento al Codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1974, 37 ss.; Rescigno, Commento al Codice civile, Giuffrè, 1997; Sandulli, Il principio della irretroattività della legge e la Costituzione, in Foro amm., 1947, II, 81 ss.;

[4] Vedi Esposito, La Costituzione italiana-Saggi, Padova, 1954, 87 ss.

[5] Vedi Bianchi, Corso, I, 57 ss., secondo il quale “potrà accadere in qualche raro caso di eccezione, che una legge disponga espressamente doversi estendere la sua efficacia anche su fatti anteriori, ma fuori dei casi espressamente eccettuati per una chiara disposizione di legge, dovrà essere rigorosamente osservato il principio della non-retroattività”.

[6] Manzoni, Sul problema della costituzionalità delle leggi retroattive, in Rivista di diritto finanziario, 1968, 319 ss.

[7] Riguardo alla tesi secondo cui l’articolo 11 delle preleggi deve essere considerato come un principio fondamentale del nostro ordinamento, vedi Barile in Note e pareri sull’irretroattività delle norme tributarie, in Dir. dell’Economia, 1957, 41 ss.

[8] Barile, op. cit.

[9] D’Amati , Diritto tributario, Bari, 2000.

[10]  Caianiello, La retroattività della norma tributaria, Napoli, 1981.

[11]  Barile , op. cit., secondo cui l’articolo 11 assurge a principio generale dell’ordinamento e quindi, può vincolare il legislatore ordinario nelle sue scelte.

[12] Vedi Corte cost. 8 luglio 1957, n. 118, in Giur. Cost., 1957, 1067; Corte cost. 9 marzo 1959, n. 9, ivi, 1959, 237; Corte cost. sen. n. 199 del 1986 e sen. n. 385 del 1995.

[13] Corte cost. sent. n. 194 del 1976 e sent. n. 100 del 1989.

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