L’incapace nella criminologia forense italiana

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 La nozione di non imputabilità nella Giuspenalistica italiana

Il pur breve comma 1 Art. 27 Cost.[1] presuppone che il reo abbia agito con piena volizione, ovverosia non è penalmente responsabile una persona fisica ultra-14enne affetta da turbe mentali che escludono la capacità di intendere e di volere. Questa regola vale nel caso del grave malato di mente, ma anche nei casi più sfumati e difficilmente classificabili del minore degli anni 14, dell’ individuo border-line, del ( poli-)tossicodipendente e del soggetto con disturbi del carattere incompatibili con la capacità dolosa e preventivata di delinquere in maniera etero-lesiva. Altrettanto complessa è, sotto il profilo ermeneutico, la differenza tecnica tra la capacità di intendere e quella di volere. A livello penalistico e nella Dottrina criminologica italiofona, intende colui / colei che non soffre di dispercezioni della realtà esterna e, per conseguenza, si rende conto della quantità e della qualità dei danni materiali, fisici e/o valoriali illegittimamente arrecati. In secondo luogo, vuole colui / colei che sa auto-determinarsi, dunque non sono capaci di volere gli infrattori non ancora usciti integralmente dall’ età infantile o, del pari, gli inimputabili che, nel momento della commissione del reato, soffrivano e/o soffrono di patologie spersonalizzanti ed invalidanti.

Nell’ Ordinamento giuridico italiano, gli Artt. 88[2] e 89[3] CP distinguono tra il vizio totale di mente e quello parziale, in tanto in quanto l’ immaturità, il carattere o una vera e propria psico-patologia possono alterare, pienamente o parzialmente, tanto la capacità di intendere quanto quella di volere. Rimane, poi, completamente aperto l’ interminabile dibattito dell’ assunzione di sostanze psicotrope, psicoattive o stupefacenti, ivi comprese le bevande alcooliche. Sotto il profilo giurisprudenziale, Cass. Pen., sez. V, 27 giugno 2000, ripresa da Cass. Pen., sez. I, 25 marzo 2004, ha statuito che << sono rilevanti [ per valutare l’ inimputabilità ]  [ solo ? ] le malattie mentali in senso stretto, e cioè le gravi psicosi acute e croniche accertate clinicamente e le insufficienze cerebrali originarie o sopravvenute di carattere organico o anatomico >>. Tuttavia, nel caso delle sindromi border line e dell’ immaturità caratteriale, Cass. Pen., sez  I, 9 aprile 2003, n. 19532 precisa che << il concetto di infermità recepito dal codice penale è più ampio di quello di malattia e, quindi, vi possono essere soggetti incapaci di intendere e di volere, seppure non malati in senso stretto >>. Dal punto di vista medico-forense, Cass. Pen. , sez. I, 9 aprile 2003, n. 19532 si attaglia perfettamente ad alterazioni non totalmente patologiche come i disturbi della personalità, le nevrosi e le anomalie psichiche che non provocano uno stato di invalidità. A parere di chi redige, le tre Sentenze sino ad ora menzionate forniscono un panorama interpretativo indegno della vera e multiforme ratio giuridica veramente e profondamente sottintesa negli Artt. 88 e 89 CP. In effetti, il Magistrato non può e non deve liquidare il concetto di capacità e di imputabilità del reo attenendosi a valutazioni semplicistiche prive di una concreta contestualizzazione. In buona sostanza, ogni singolo individuo dev’ essere valutato all’ interno di uno specifico contesto medico-forense personalizzato e sostenuto dalle Scienze Psichiatriche e Sociologiche. Negli Anni Duemila, la Medicina Legale europea e nord-americana reputa unanimemente che sussistono, soprattutto in età giovanile, disturbi non patologici, ma, a livello fattuale, gravemente incompatibili con il rinvio a giudizio dell’ indagato. Infatti, nel DSM-IV,  esistono apposite catalogazioni che ineriscono a <<disturbi della personalità >> parzialmente o totalmente scriminanti, anche se il disturbo non coincide con l’ arcaica e lombrosiana distinzione dicotomica ed apodittica tra la malattia e la non malattia mentale.

Assai lucidamente e con un apprezzabile grado di apertura esegetica, negli Artt. 88 e 89 CP, è utilizzato il lemma << infermità >>, che consente di equiparare, alla luce dell’ odierno DSM-IV, le nozioni sia di malattia psichica sia di disturbo semi-patologico o non pienamente patologico. Pertanto, e provvidenzialmente, Cass. Pen., sez. V, 27 giugno 2000, ha commentato gli Artt. 88 e 89 CP precisando, dopo una settantina d’ anni di inutili e fuorvianti rigorismi, che << il termine infermità non allude semplicemente ad una condizione patologica e, più precisamente, ad una condizione di rilevante alterazione anatomica o funzionale dell’ organismo, ma a qualunque disturbo che incidendo sulla psiche, comprometta irrimediabilmente la capacità di intendere e di volere del soggetto >>. In un certo senso, sussumere entro il lemma infermità anche i lemmi disturbo della personalità ha costituito, dopo Cass. Pen., sez. V, 27 giugno 2000, una luminosa conquista conforme al Garantismo accusatorio di matrice democratico-sociale, in tanto in quanto, in una società alienante come quella degli Anni Duemila, va finalmente garantito il riconoscimento dell’ infermità, totale o parziale che sia, di chi delinque nel contesto degli ormai frequenti e pressoché quotidiani disturbi paranoidei, schizoidi, schizotipici, anti-sociali ed ossessivo-compulsivi. Limitare l’ infermità alla vecchia nozione pre-basagliana di malattia significherebbe togliere le debite garanzie processual-penalistiche idonee per migliaia di giovani e meno giovani infrattori meritevoli di sanzioni attenuate, proporzionate e, soprattutto, contestualizzate alla luce dell’ equilibrato comma 3 Art. 27 Cost[4].

La difficoltà maggiore, per un Giurista, consta nella qualificazione legale dei profili medici. L’ infermità, l’ incapacità di intendere e quella di volere sono pur sempre categorie codicistiche scaturenti dall’ interpretazione degli Artt. 88 e 89 CP ed il pericolo perenne è quello di ipostatizzare le perizie psichiatriche, le consulenze di parte ed il DSM-IV, sino al punto di confondere il Diritto con la Medicina. Ovverosia, l’esegesi giurisprudenziale ed i fondamenti dottrinari possiedono una lor propria autonomia concettuale, in tanto in quanto l’ operatore giuridico valuta e, se necessario, dispone la cura dell’ inimputabile, ma il rischio concreto rimane sempre quello di conferire un’importanza abnorme alla Medicina, dimenticando che la Giuspenalistica è tenuta a seguire percorsi autonomi distinti da quelli della Psicopatologia. In effetti, a tal proposito, Cass., Sezioni Unite, 8 marzo 2005, n. 9163 ha giuridificato le nozioni contenute nel DSM-IV specificando opportunamente che << ciò che rileva sul piano penale è l’ individuazione scientifica dei disturbi mentali, definiti tali, i tratti della personalità quando sono inflessibili, non adattativi, persistenti, e causano una compromissione sociale significativa o una sofferenza soggettiva >>.

Il pregio di Cass., Sezioni Unite, 8 marzo 2005, n. 9163 è stato quello di stabilire il dovere di una costante traduzione giuridica dei concetti propri della Psicologia, la quale non si sostituisce affatto al Diritto Penale, anche se << è necessaria la collaborazione tra giustizia penale e scienza … a quest’ ultima il giudice non può in ogni caso rinunciare … e non può che fare riferimento alle acquisizioni scientifiche generalmente accolte, più condivise e che costituiscono una generalizzata prassi applicativa >>. Ora, nel citato Precedente del 2005, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno voluto precisare, finalmente e lodevolmente, che va abbandonato l’approccio rigoristico ed integralista di Lombroso, in tanto in quanto il lemma infermità ex Artt. 88 e 89 CP deve comprendere pure la nozione di disturbo psichico, anche se tale patologia invalidante o semi-invalidante non è materialmente palese ictu oculi, come nel caso delle malformazioni anatomiche del cranio o degli handicaps totali. Nell’ infermo di mente non rinviabile a giudizio spesso la disabilità è nascosta dietro ad un’ apparente rispettabilità sociale, come nei casi della ludopatia e dell’ aggressività episodica schizotipica. Anche in altre Sentenze, la Corte di Cassazione, negli Anni Duemila, ha esteso la precettività degli Artt. 88 e 89 CP, in tanto in quanto esistono deficienze mentali che sfuggono alle classificazioni tradizionali della prima metà del Novecento. Attualmente, la Medicina Legale reputa che molte condotte border line, pur non essendo malattie in senso stretto, tolgono lucidità all’ infrattore ed alterano il paradigma (ri)educativo ex comma 3 Art. 27 Cost., poiché, in molti casi, la soluzione migliore è la cura mentale e non il trattamento penitenziario intra-murario.

Cass., Sezioni Unite, 8 marzo 2005, n. 9163 ha recato un’ importanza storica basilare per il Diritto Penale sostanziale  e processuale degli Anni Duemila. Dopo la Riforma Basaglia del 1978, era ormai assolutamente ed imprescindibilmente doveroso sussumere i disturbi della personalità entro la griglia normativa dell’ infermità citata negli Artt. 88 e 89 CP. In secondo luogo, grazie a Cass., Sezioni Unite, 8 marzo 2005, n. 9163, è esclusa, in tutto o in parte, la capacità di intendere o di volere, anche se l’ atto illecito è non direttamente e non espressamente determinato dall’ infermità mentale. Ovverosia, la Sentenza qui in parola ammette che talune << condizioni personali del soggetto >> producono condotte gravemente anti-normative ed  etero-lesive anche in individui apparentemente lucidi nell’istante della commissione del fatto illecito. Il disturbo della personalità si nasconde, di primo acchito, ma, in sede peritale, molto spesso è acclarata un’ infermità continuativa e che non era nemmeno lontanamente immaginabile prima che si verificasse l’ incidente di rilevanza penale. Sarebbe troppo sbrigativo ed anti-garantistico limitarsi a valutare le gravi malattie psichiche escludendo i disturbi border line dalla contestualizzazione di Norme fondamentali come il comma 1 Art. 42 CP[5], il comma 4 Art. 42 CP[6] ed il cpv. 2 comma 1 Art. 43 CP[7].

Detto in altri termini, una psiche persistentemente disturbata, anche se soltanto nella sfera non visibile della vita privata, non può creare un contesto di << coscienza e volontà >> ( Art. 42 CP ) e, per conseguenza, << l’ evento dannoso o pericoloso [ non ] è dall’ agente preveduto e voluto >>, ivi compreso il caso di un danno illecito d’ impeto inserito nel contesto di una vita apparentemente normale e tranquilla. Queste osservazioni valgono anzitutto e soprattutto nel caso dei delitti contro la persona agiti da ultra-14enni in fase di crescita o da ultra-18enni con turbe caratteriali non lievi. Oltretutto, la Psicopatologia << aperta >> di Cass., Sezioni Unite, 8 marzo 2005, n. 9163 è stata significativamente preceduta dalla Corte d’ Appello di Milano, Sez. I, 2 febbraio 2004, in tanto in quanto << il disturbo della personalità c.d. borderline può integrare il vizio parziale di mente ( Art. 89 CP ), dal momento che esso è idoneo a far scemare, senza escluderla, la capacità d’ intendere e di volere … [ bisogna ] tener conto delle variabili psicologiche, sociali e relazionali e non solo biologiche, che originano e condizionano l’ infermità mentale del soggetto >>. D’ altronde, l’ anti-socialità scaturente da un disturbo non patologico o semi-patologico impedisce l’ applicabilità del comma 3 Art. 27 Cost, il quale impone la ratio suprema della << rieducazione del condannato >>, ma alla condizione, irrinunciabile e democratica, che la persona sia responsabile nell’ ottica del possesso di una cosciente volontà ex comma 1 Art. 42 CP.

L’ infrattore infermo di mente. L’ approccio combinato di Medicina e Diritto

Nell’ Ordinamento penalistico italiano e, più in generale, in tutta la Civil Law europea, un reato è tale, sotto il profilo oggettivo ( rectius : materiale ) quando l’ azione è tentata o consumata e quando l’ evento illecito si verifica o, quantomeno, avrebbe potuto verosimilmente verificarsi ex comma 1 Art. 56 CP[8]. Esiste, tuttavia, anche il profilo soggettivo ( rectius : psicologico ) della <<coscienza e volontà >> ( Artt. 42 e 43 CP ), la quale si traduce nel dolo diretto, ma anche in altre fattispecie volontaristiche  più sfumate, come il dolo eventuale, il dolo d’ impeto, la negligenza, la colpa con previsione e la preterintenzionalità, precettivamente limitata, quest’ ultima, in Italia, al procurato aborto ed all’ omicidio. La tematica del dolo nel Diritto Penale è assai complessa, ognimmodo, in estrema sintesi, è pienamente e ordinariamente responsabile il soggetto agente che accetta consapevolmente i rischi etero-lesivi connessi all’ azione che sta per commettere ( si veda, a tal proposito, la ben più dettagliata nozione di << Risiko >> in BOCKELMANN, 1957 ). Tale panorama afferente alla volontà delinquenziale è ulteriormente complicato dalle circostanze attenuanti o esimenti della forza maggiore ( Art. 45 CP ), del costringimento fisico ( Art. 46 CP ), dell’ errore di fatto ( Art. 47 CP ), dell’ errore determinato dall’ altrui inganno ( Art. 48 CP ), del reato impossibile ( Art. 49 CP ), del consenso dell’ avente diritto ( Art. 50 CP ), dell’ esercizio di un diritto o dell’ adempimento di un dovere ( Art. 51 CP ), della difesa legittima ( Art. 52 CP ), dell’ uso legittimo delle armi ( Art. 53 CP ) e dello stato di necessità ( Art. 54 CP ).

Il perenne e necessario dialogo tra Medicina e Diritto consiste nel comprendere il grado di volontà e lucidità di chi ha commesso il fatto, ovverosia è imprescindibile contestualizzare, caso per caso, << le capacità psicologiche [ del responsabile ]  … cognitive, affettive, relazionali. [ Bisogna ] individuare le aree cerebrali e le caratteristiche fisio-endocrine sottese ad ogni capacità, stabilendo quanto effettivamente un deficit o un disturbo abbia inficiato la capacità dell’ individuo ai fini decisionali del processo >> ( CATERINA, 2008 ). In ogni Sistema penale democratico è indispensabile contestualizzare gli eventi illeciti al fine di poter esercitare l’ azione penale con equilibrio e proporzionalità. RIGONI  &  SAMMICHELI  &  SARTORI ( 2015 ) ribadiscono l’esigenza garantistica della personalizzazione di ciascuna fattispecie penale e, in tale contesto accusatorio,  <<le neuroscienze sono rivolte alla distinzione tra capacità e prestazione>>.

La costante interpretazione dell’ eziologia psichiatrica della volontà del reo non è una conquista degli Anni Duemila. Infatti, a titolo emblematico, gli Artt. 97 CP[9] e 98 comma 1 CP[10], già negli Anni Trenta del Novecento, riconoscevano la necessità di statuire attenuazioni particolari a beneficio dei minori degli anni 21 d’ età ( oggi: 18 ), in tanto in quanto l’ individuo, in età post-infantile, non reca quasi mai un dolo intenso e compiutamente premeditato, poiché << l’ adolescenza è caratterizzata da un periodo di transizione e preparazione verso l’ età adulta. Certi comportamenti autocontrollati, socialmente cooperativi e moderati sono talvolta incompatibili con l’ infanzia, l’ adolescenza e l’ emergente età adulta, non solo per una questione di “capricciosità”, ma anche per un’ immaturità neurofunzionale, psicologica e relazionale >> ( ARNETT, 2007 ). Certamente, la Criminologia contemporanea deve abbandonare l’approccio deterministico ed oltranzista di Lombroso e dei propri precursori. Gli Studi di matrice lombrosiana, più o meno consapevolmente, hanno recato al perfezionismo ed alla selezione tipici dei regimi nazisti e sovietici o filo-sovietici. Nessun individuo reca tare ereditarie insormontabili e nessun nascituro merita la soppressione eugenetica nel nome di pseudo-scienze che pretendono di predire carriere delinquenziali sulla base di presupposti ininfluenti come la provenienza geografica, i cromosomi personali, la razza o la professione genitoriale.

Tuttavia, con la debita moderazione e con il necessario rispetto di ogni vita umana, si può ammettere, alla luce degli Artt. 97 e 98 CP, che << negli adolescenti delinquenti, il sistema frontale non è ancora propriamente maturo o comunque risulta in molti casi disfunzionale ed è [ sarebbe ?, ndr ] per questa immaturità cerebrale che gli adolescenti si comportano in modo più rischioso rispetto agli adulti >> ( PONTIUS, 2003 ). Senza dubbio, la prudenza è quanto mai obbligatoria e l’ infra-18enne non è riducibile ad una formula chimica disastrosamente inficiata dalle eventuali devianze genitoriali. Ciononostante, << durante l’ adolescenza, il cervello è anche influenzato dal sistema limbico e dalle regioni sottocorticali associative quali l’ amigdala e l’ ippocampo, regioni cerebrali che governano gli impulsi, le emozioni e la memoria. Negli adolescenti, essendo quest’ area ancora non completamente sviluppata, la modulazione e il controllo delle emozioni e degli impulsi potrebbero [ dicesi: potrebbero, ndr ] essere compromessi >> ( GIEDD  &  BLUMENTHAL  &  JEFFRIES  &  CASTELLANOS  &  LIU  &  ZIJDENBOS  &  PAUS  &  EVANS  &  RAPOPORT, 1999 ).

La Psichiatria forense necessita, a sua volta, di un’ ininterrotta sinergia con le Scienze Sociali, la Pedagogia e la Criminologia, in tanto in quanto il deviante, sia egli imputabile o meno, non è il risultato bio-chimico dei propri ormoni o delle proprie proteine, bensì il criminale proviene da un ben preciso contesto culturale, psico-sociale, individuale, familiare e scolastico. L’ infermo, totale o parziale che sia, è sempre e comunque divenuto tale all’ interno di una famiglia, di un gruppo amicale, di un quartiere e di un luogo più o meno periferico che è stato o è pur sempre la comunità nella quale il border-line è stato educato e cresciuto insieme a parenti e coetanei.

Un ulteriore strumento d’ analisi molto importante, specialmente a livello della Magistratura di Sorveglianza, è il mirabile Art. 203 CP[11] in tema di pericolosità sociale e recidiva. Altrettanto basilare, nel comma 2 Art. 203 CP, è pure il rinvio espresso all’ Art. 133 CP[12], che prefissa alcuni criteri utili per la contestualizzazione delle condotte ante judicatum del potenziale recidivo. Taluni Medici Forensi hanno tentato di medicalizzare la ratio giuridica sottesa agli Artt. 133 e 203 CP, il tutto, come sempre, tenendo ben fermo che la genetica e la Psicologia non sono affatto discipline matematiche assolutamente certe ed infallibili. A parere di IJZENDOORN  &  BELSKY  &  BAKERMANS-KRANENBURG ( 2012 ), << il profilo genetico di ciascun individuo, unitamente all’ ambiente, può [ dicesi: può, ndr ] influire sulla sua capacità di autodeterminazione. Esistono infatti alcuni geni, indicati come geni di plasticità, che aumentano la suscettibilità dell’ individuo fin da piccolo all’ ambiente che lo circonda >>. Molti Dottrinari anglofoni, a tal proposito, hanno rivisitato la celebre ipotesi criminogenetica della Sindrome del bambino maltrattato e, in effetti, è senza dubbio centrale il ruolo delle punizioni in età infantile, della precarietà abitativa o dell’ eventuale poli-tossicodipendenza genitoriale. Tuttavia, di nuovo, BELSKY  &  BEAVER ( 2011 ) mettono in guardia da certuni fondamentalismi culturali selettivi, giacché << nessuna variante genetica determina un dato comportamento, ma, anzi, modula la vulnerabilità dell’ individuo ai fattori ambientali >>.

Nonostanti le Ricerche sottilmente eugenetiche degli Anni Duemila, la pericolosità sociale ex Artt. 203 e 133 CP rimane, a parere di chi redige, una grande incognita e la Magistratura di Sorveglianza, al di là dei miglioramenti qualitativi scientifici, non è e non sarà mai in grado di valutare il rischio della recidiva come se si trattasse di un calcolo geometrico affidato ad un calcolatore elettronico. Anche i condannati e gli internati reputati degni di fiducia si rivelano sovente propensi a stravolgere le più accurate e le più prudenti osservazioni personologiche. Purtroppo, in epoca recente, BUCHANAN ( 2008 ) ha voluto tornare, seppur involontariamente, alle risibili tesi nazi-sovietiche e lombrosiane, sostenendo che << evidenze empiriche sempre più numerose mostrano che chi ha un comportamento criminale persistente e cronico ha delle differenze significative di tipo strutturale e funzionale nell’ amigdala e nella corteccia frontale. Ciò non è vero solo negli adulti psicopatici, ma anche nei minorenni. Il che può aiutare a spiegare molti aspetti del recidivismo >>. Nella realtà concreta, BUCHANAN ( ibidem ) suscita il sorriso, in tanto in quanto il figlio di un criminale pluripregiudicato e refrattario alle cure non seguirà necessariamente e men che meno forzatamente le orme del proprio ascendente , come dimostrato con evidenza dal vissuto quotidiano degli Operatori giuridici e penitenziari. Oppure ancora, nel secondo dopoguerra, sono stati finalmente sfatati i miti relativi all’ ereditarietà genetica in tema di prostituzione ed alcoolismo, mentre sono stati ben (ri)valutati criteri quali la precarietà abitativa e la scolarizzazione insufficiente o malfunzionale. La formazione caratteriale è dinamica e legata al sistema neuronale fisiologico soltanto in minima parte.

L’ infrattore (semi) infermo per (poli) tossicodipendenza

Ex Art. 91 comma 1 CP[13], l’ infrattore poli-tossicomane mentalmente alterato per caso fortuito o per forza maggiore non è imputabile o, quantomeno, egli beneficia di una sanzione attenuata nel caso in cui l’ alterazione da alcool e/o droghe fosse parzialmente invalidante ( comma 2 Art. 91 CP[14] ). Viceversa, ai sensi del comma 1 Art. 92 CP[15], l’ assunzione volontaria di alcool o di altre sostanze esclude l’ accesso ai benefici di cui agli Artt. 88 e 89 CP e, inoltre, se l’ alterazione era auto-preordinata al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata ( comma 2 Art. 92 CP[16] ) Ex Art. 94 CP[17], quando l’abuso di sostanze è abituale e frequente, la sanzione è aumentata. Invece, l’ intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti ( Art. 95 CP[18] ) apre la strada al riconoscimento dell’ infermità totale o parziale ex Artt. 88 e 89 CP. I lemmi << intossicazione cronica >> contenuti nell’ Art. 95 CP sono stati giurisprudenzialmente chiariti da Cass., sez. III, n. 805/2007, secondo cui << sono croniche le alterazioni patologiche permanenti di carattere ineliminabile, quali le patologie a livello cerebrale, tali da far apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte ad una vera e propria malattia psichica, indipendentemente dal rinnovarsi di un’ azione strettamente collegata all’ assunzione delle sostanze stupefacenti [ o dell’ alcool ] >>.

            La Letteratura psico-patologico- forense attinente, nel contesto italiofono, agli Artt. dal 91 al 95 CP è gravemente insufficiente, forse a causa dell’ ancor troppo recente comparsa, nel mercato nero giovanile, di sostanze sintetiche ancora poco studiate. Provvidenzialmente, negli Anni Duemila, YUCEL  &  LUBMAN  &  SOLOWIJ  &  BREWER ( 2007 ) sono stati in grado di campionare ed analizzare gli effetti di lungo periodo, tra il 1986 ed il 2006, di sostanze d’ abuso come l’ alcool, il THC, le colle da inalare, il crack, l’ eroina, lo Speed, l’ acido lisergico e, soprattutto, l’ onnipresente e mutevole ecstasy, nelle proprie imprevedibili e micidiali varianti, compreso il GHB ed i cristalli solubili o fumabili. I testé citati Autori dell’ Australia e del New Zealand hanno appurato che l’ abuso cronico tossicovoluttuario ( si pensi, dunque, all’ Art. 95 CP italiano ) lede i circuiti fronto-temporali ed i gangli della base del cervello, danneggiando i normali freni inibitori, la memoria e la capacità di auto-regolarsi ed auto-determinarsi nelle anche più modeste decisioni della vita quotidiana.

L’allarme suscitato da queste osservazioni vale pure per la cannabis, erroneamente classificata alla stregua di una droga leggera. Questo danneggiamento mentalmente invalidante non può non confermare la pertinenza tossico-forense della ratio insita negli Artt. dal 91 al 95 CP. Inoltre, come giustamente sottolineato nei Lavori Preparatori dell’ Art. 93 CP, le sostanze psicoattive, psicotrope e stupefacenti ( TU 309/1990 ) vanno senz’ altro equiparate ai vini, ai liquori ed alle birre, nonostanti le pressioni anti-proibizionistiche delle industrie vitivinicole. ( SCHLAEPFER  &  LANCASTER  &  HEIDBREDER  &  STRAIN  & KOSEL  &  FISCH  &  PEARLSON, 2006 ). Nell’ ultima ventina d’ anni, la Tomografia ad Emissione di Positroni ( TEP ) e l’ osservazione dei meccanismi di craving hanno permesso alla Medicina Legale di acclarare, con un discreto margine di oggettività e di attendibilità, quando l’ alterazione psichica è o, all’ opposto, non è cronica al punto da giustificare o meno l’ applicazione degli Artt. 88 e 89 CP in tema di infermità ed inimputabilità. P.e.,le bevande alcooliche, se l’ intossicazione è ormai irreversibile, riducono la sostanza bianca e grigia nel cervello ed alterano la capacità di affrontare le ordinarie situazioni problematiche. Questa drammatica osservazione vale specialmente nel caso degli alcooldipendenti ultra-50enni. Nei bevitori più anziani, CHARNAUD  &  REYNAUD MARTINOT ( 2009 ) hanno riscontrato << una maggiore diminuzione della sostanze grigia nel cervelletto, nel ponte e nelle regioni frontali, con alterazioni nei volumi cerebrali e con la compromissione delle funzioni esecutive ( problem solving ) >>.

ARNETT, Socialization in emerging adulthood. From family to the winder word, from socialization to self-socialization, in GRUSEC  &  HASTINGS, Handbook of socialization. Theory and research, Guilford, New York, 2007

BELSKY  &  BEAVER, Cumulative-genetic plasticity, parenting and adolescent self-regulation, Journal of Children Psychology and Psychiatry, 52, 619-626, 2011

BOCKELMANN, Über das Verhältnis von Täterschaft uns Teilnahme, Strafrechtliche Untersuchungen, Göttingen, 1957, edizione fuori corso.

BUCHANAN, Risk of violence by psychiatric patients: beyond the “ actuarial versus clinical “assessment debate, Psychiatric Services, 59, 184-190, 2008

CATERINA, I fondamenti cognitivi del diritto, Mondadori, Bologna, 2008

CHARNAUD  &   REYNAUD  MARTINOT, Diffusion tensor tractography in mesencephalic bundles: relation to mental flexibility in detoxified alcohol-dependent subjects, Neuropsychopharmacology, 34, 1223-1232, 2009

GIEDD  &  BLUMENTHAL  &  JEFFRIES  &  CASTELLANOS  &  LIU  &  ZIJDENBOS  &  PAUS  &  EVANS  &  RAPOPORT, Brain development during childhood and adolescence: a longitudinal MRI STUDY. Nature Neuroscience, 2: 861-863, 1999

IJZENDOORN  &  BELSKY  &  BAKERMANS-KRANENBURG, Serotonin transporter genotype 5HTTLPR  as a marker of differential susceptibility ? A meta-analysis of child and adolescent gene-by-environment studies, Transl. Psychiatry, 2: e147, 2012

PONTIUS, From volition action to automatized homicide: changing levels of self and consciousness during partial limbic seizures. Aggression and violent Behavior, 8: 547-561, 2003

RIGONI  &  SAMMICHELI  &  SARTORI, Looking for the intention: can neuroscience benefit from the law, Frontiers in neuroscience, 9: 1-3, 2015

SCLAEPFER  &  LANCASTER  &  HEIDBREDER  &  STRAIN  &  KOSEL  &  FISCH  & PEARLSON, Decreased frontal white-matter volume in chronic substance abuse.  The International Journal of Neuropsychopharmacology, 9(02): 147-153, 2006

YUCEL  &  LUBMAN  &  SOLOWIJ  &  BREWER, Unterstanding drug addiction: a neuropsychological perspective. Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, 41(12), 957-968, 2007

[1]     Art. 27 comma 1 Cost.   La responsabilità penale è personale.

[2]     Art. 88 CP  Vizio totale di mente  Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’ intendere o di volere

[3]     Art. 89 CP Vizio parziale di mente Chi nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita.

[4]     Art. 27 comma 3 Cost. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

[5]     Art. 42 comma 1 CP Nessuno può essere punito per un’ azione o un’ omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ ha commessa con coscienza e volontà

 [6]     Art. 42 comma 4 CP Nelle contravvenzioni, ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa  o colposa

[7]     Art. 43 comma 1 cpv. 2 CP [ l’ evento dannoso o pericoloso punibile ] è dall’ agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione

[8]     Art. 56 comma 1 CP Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco, a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’ azione non si compie o l’ evento non si verifica.

[9]     Art. 97 CP Minore degli anni quattordici Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni d’ età

[10]   Art. 98 comma 1 CP E’ imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’ intendere e di volere, ma la pena è diminuita.

[11]   Art. 203 CP Pericolosità sociale Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’ articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati. La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’ articolo 133

[12]   Art. 133 CP Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena  Nell’ esercizio del potere discrezionale indicato nell’ articolo precedente, il giudice deve tenere conto della gravità del reato, desunta: dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’ oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’ azione; dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; dall’ intensità del dolo o dal grado della colpa. Il giudice deve tener conto altresì della capacità a delinquere del colpevole, desunta: dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo antecedenti al                  reato; dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

[13]   Art. 91 comma 1 CP Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità di intendere e di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore.

[14]   Art. 91 comma 2 CP Se l’ ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, la pena è diminuita.

[15]   Art. 92 comma 1 CP L’ ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l’ imputabilità

[16]   Art. 92 comma 2 CP Se l’ ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata.

[17]   Art. 94 CP Ubriachezza abituale Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata.              Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’ uso di bevande alcoliche e in stato frequente di ubriachezza.    L’ aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’ azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’ uso di tali sostanze.

[18]   Art. 95 CP Cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89.

Dott. Andrea Baiguera Altieri

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