L’estensione della potestas iudicandi degli arbitri circa l’accertamento della simulazione contrattuale

Redazione 12/11/19
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di Giovanni Viglino*

* Dottore in giurisprudenza / MIDS LL. M. 2019/2020 Candidate

Sommario

1. Estremi del provvedimento e massima

2. Il caso

3. Cenni circa l’ampiezza del potere degli arbitri di pronunciarsi su questioni ricomprese implicitamente nella clausola compromissoria

4. Riflessioni conclusive

1. Estremi del provvedimento e massima

Corte di Cassazione, Sez. III civile, ordinanza 31 maggio 2019, n. 14884; Armano pres.

Arbitrabilità delle controversie exart. 806 cod. proc. civ. – Ambito oggettivo clausola compromissoria – Potestas iudicandi degli arbitri con riferimento all’accertamento della simulazione di un contratto – Thema decidendum clausola compromissoria

L’accertamento del carattere simulato del contratto sul quale si fonda la pretesa fatta valere innanzi agli arbitri rientra nella “potestas iudicandi” di questi ultimi, in quanto la loro cognizione si estende, salvo eventuali ben precisi limiti legali, a qualsiasi aspetto della vicenda che risulti rilevante per stabilire se ed in quale misura il diritto fatto valere da una parte sia fondato.

2. Il caso

La pronuncia in commento origina da un ricorso presentato da T.A. (o “ricorrente”) avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari[1], la quale aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione avverso un lodo arbitrale che condannava il ricorrente alla riconsegna dell’azienda alla parte attrice M.R. e al risarcimento del danno provocato a quest’ultima. In sede arbitrale, il ricorrente si era visto dichiarare improcedibile la domanda riconvenzionale diretta all’accertamento della simulazione del contratto d’affitto e dell’esistenza di un dissimulato contratto di vendita tra sé stesso e il proprio germano (de cuius e dante causa di M.R.). A giudizio degli arbitri, l’accertamento della simulazione contrattuale non poteva essere fatto ricondurre all’interno dell’ambito oggettivo della clausola compromissoria, in quanto questione estranea all’esecuzione o all’interpretazione del contratto.

Davanti alla Corte di Cassazione, il ricorrente ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. Con il primo (che è quello che concerne la nostra analisi), ha lamentato violazione e falsa applicazione degli articoli 806 e 808 cod. proc. civ., dell’articolo 829 cod. proc. civ., numeri 10 e 12, nonché degli articoli 1362 e 1367 cod. civ. In sintesi, il ricorrente ha criticato la posizione della Corte d’appello nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto la richiesta di accertamento della simulazione questione non geneticamente collegata al contratto.

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento degli altri due. A giudizio della Cassazione, la potestas iudicandi arbitrale si deve ritenere estesa a tutte quelle questioni che risultino rilevanti per stabilire la fondatezza o meno della pretesa fatta valere in giudizio. L’accertamento della simulazione contrattuale è certamente da considerarsi quale presupposto logico indispensabile per procedere alla valutazione del merito del controversia. Di conseguenza, la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare la nullità del lodo arbitrale per non essersi gli arbitri pronunciati su tale questione preliminare.

[1] App. Cagliari, n. 539/2017.

3. Cenni circa l’ampiezza del potere degli arbitri di pronunciarsi su questioni ricomprese implicitamente nella clausola compromissoria

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte si è pronunciata nuovamente sul tema molto dibattuto della potestas iudicandi degli arbitri con riferimento a quelle aree giuridiche “grigie” dove non si discute né di interpretazione, né di esecuzione di un contratto. La questione nevralgica può essere riassunta nei seguenti termini: conferito il potere agli arbitri, mediante clausola compromissoria, di decidere eventuali controversie nascenti dal contratto nel quale la medesima clausola è inserita, può tale potere estendersi fino a ricomprendere controversie direttamente collegate (e, talvolta, la cui soluzione costituisce presupposto necessario per risolvere la collegata controversia) o tale potere deve essere interpretato restrittivamente?

Il tema è stato affrontato dalla giurisprudenza di legittimità in diverse occasioni[2], alcune molto recenti[3]. Ciò che traspare è un approccio tutt’altro che uniforme e consolidato, soprattutto se si ha anche a riferimento il collegato regime di nullità di un lodo previsto dall’art. 829 cod. proc. civ. Senza entrare nel dettaglio, non essendo quest’ultimo oggetto di trattazione del presente commento, l’articolo menzionato prevede dodici ipotesi di nullità del lodo, tre delle quali che si riferiscono a diverse ipotesi di violazione da parte del collegio arbitrale di pronunciarsi sul merito della domanda[4]. Il problema nasce dalla mancata chiarezza circa la configurazione giuridica della decisione in merito alla potestas iudicandi degli arbitri; e nello specifico se quest’ultima si configuri come questione sostanziale (e che quindi dà luogo ad un lodo parziale di merito appellabile immediatamente exart. 827 cod. proc. civ.) o come questione di natura processuale (e dunque appellabile insieme al lodo definitivo exart. 829 cod. proc. civ.). Nonostante la ormai pacifica equiparazione tra giudice ordinario ed arbitro, conseguente alla riforma del codice di procedura civile del 2006[5], e di conseguenza alla ormai pacifica configurazione dei rapporti tra giudice e arbitro in termini di competenza e non di giurisdizione, il complesso regime di nullità dei lodi arbitrali è lontano dall’essere risolto[6].

Ritornando a quanto strettamente ci compete, con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha adottato (fortunatamente) un approccio abbastanza liberale, cassando la decisione della Corte d’appello di Cagliari, adita quest’ultima in sede di impugnazione per nullità del lodo. I giudici d’appello avevano infatti adottato un approccio molto restrittivo circa la potestas iudicandi arbitrale, affermando (sulla scia di quanto già deciso dagli arbitri) che quest’ultima non potesse ritenersi configurata nel caso di specie; nello specifico con riferimento a una domanda riconvenzionale del convenuto (in arbitrato e appellante davanti alla Corte) volta all’accertamento della simulazione del contratto contenente la clausola compromissoria e alla conseguente esistenza di un contratto dissimulato. A giudizio degli arbitri e della Corte d’appello, l’ambito oggettivo della clausola compromissoria contenuta nel contratto non poteva ritenersi esteso fino a ricomprendere l’accertamento del carattere simulato di quest’ultimo e dell’esistenza di altro (seppur collegato) contratto dissimulato, non essendo l’accertamento della simulazione qualcosa concernente l’interpretazione o l’esecuzione del contratto[7].

Altra questione storicamente dibattuta concerne proprio la possibilità o meno di esperire un’azione di accertamento in sede arbitrale[8]. Se tuttavia si compie un passo indietro nel ragionamento logico e si costruisce l’architettura dell’azione di accertamento per ciò che effettivamente comporta, si giunge alla conclusione che, per accertare qualcosa (rimanendo nel nostro caso, la simulazione), si deve interpretare ciò che ha portato due (o più) parti a discutere. Se si parla (come nel nostro caso) di contratti e volontà negoziale delle parti, è evidente che l’opera interpretativa si debba rivolgere ad essi; e di conseguenza che l’accertamento (nuovamente, della simulazione) debba ritenersi compreso nella potestas iudicandi arbitrale in quanto presupposto necessario perché l’organo giudicante possa effettivamente conoscere l’oggetto della domanda e conseguentemente pronunciarsi su di esso.

La posizione espressa dalla Suprema Corte va precisamente in questa direzione, seguendo un cammino già intrapreso in altre occasioni sia dalla stessa Corte[9], sia dalla giurisprudenza di merito, sia in sede arbitrale[10]. A titolo di esempio, una recente pronuncia della Corte di appello di Milano[11] si è espressa in termini molto ampi circa la potestas iudicandi degli arbitri, ammettendola anche in situazioni di responsabilità precontrattuale, rigettando così l’impugnazione per nullità del ricorrente (fondata sull’allegazione che il collegio arbitrale avesse pronunciato al di fuori dei limiti della clausola compromissoria), e contemporaneamente seguendo l’orientamento di autorevolissima dottrina[12] per la quale in presenza di contraenti che abbiano stipulato una clausola compromissoria, si debba intendere che “l’abbiano fatto rispetto a tutte le liti che trovano la loro occasione nel contratto, anche se eventualmente appartenenti al genere della responsabilità precontrattuale o aquiliana, salva l’esistenza di specifici indici contrari”.

[2] Cass. Civ. Sez. I, 31 gennaio 2007, n. 2201; Cass. Civ. 27 maggio 1981, n. 3475; Cass. Civ. 23 febbraio 1981, n. 1067; Cass. Civ. 27 luglio 1957, n. 3167.

[3] Cass. Civ. Sez. II, 3 febbraio 2012, n. 1674; Cass. Civ. Sez. I, 27 luglio 2015, n. 6308; Cass. Civ. Sez. I, 22 marzo 2013, n. 7282; Cass. Civ. Sez. I, 30 aprile 2018, n. 10391; Cass. Civ. Sez. I, 11 settembre 2018, n. 22107; Cass. Civ. Sez. VI, 6 dicembre 2017, n. 29265.

[4] Il riferimento è ai numeri 4, 10 e 12 del primo comma dell’art. 829 cod. proc. civ., i quali recitano rispettivamente: “4. se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d’arbitrato […]; 10. se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri; 12. se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato.”

[5] Mediante il Decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40.

[6] Per chi volesse approfondire il tema, senza pretesa di esaustività, si rimanda a Debernardi, Sull’impugnazione del lodo dichiarativo della competenza arbitrale, in Riv. Arb., 2014, fascicolo 1, pag. 135 e seguenti dove l’Autore mostra alcune pronunce molto discordanti della Cassazione, auspicando un intervento delle Sezioni Unite che chiarisca qual è la posizione attuale da preferire. Consolo, Domande autodeterminate e litisconsorzio necessario nel giudizio arbitrale, in Riv. Dir. Proc., 2013, fascicolo 6, pag. 1406 ss. Spaccapelo, Brevi p>, in Riv. Arb., 2014, fascicolo 1, pag. 115 ss. De Santis, Prove di elasticità del motivo di impugnazione di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c.: l’impugnabilità di un lodo ultra vires, in Riv. Arb., 2015, fascicolo 1, pag. 83 ss.

[7] Con riferimento ad una situazione di simulazione assoluta, si veda Cass. Civ. 29265/2017, cit., dove la Corte ha affermato la competenza del giudice ordinario con riferimento all’accertamento della simulazione assoluta. Va, tuttavia, precisato che nel caso in questione si discuteva soprattutto di consenso alla clausola arbitrale, in quanto una delle parti incluse nella simulazione assoluta non aveva sottoscritto la clausola. Con riferimento in generale all’approccio restrittivo della giurisprudenza al tema della potestas iudicandi, si veda Cass. Civ. 1674/2012, cit., dove la Suprema Corte ha cassato la sentenza della corte d’appello di Napoli, la quale aveva ritenuto “attratta” nella potestas iudicandi degli arbitri la richiesta di risarcimento danni per vizi della cosa venduta ex art. 1669 cod. civ., configurando tale richiesta di risarcimento come necessariamente fondata sul contratto di compravendita. A giudizio della Cassazione, invece, tale richiesta di risarcimento deve appunto ritenersi configurata nell’ambito dell’art. 1669 cod. civ., e quindi comportante una responsabilità extracontrattuale e non contrattuale. Da qui, segue un interessante (seppur, a giudizio di chi scrive, non condivisibile) ragionamento che fa della differenziazione tra presupposto storico e collegamento causa petendi – clausola compromissoria il punto nevralgico. Usando le parole dei Giudici: “La clausola compromissoria riferentesi genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui inerisce, deve essere interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale (tutte) le controversie relative a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto medesimo […]. Nella specie invece il contratto di compravendita costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si innesta l’azione proposta, ma non la causa pretendi della stessa, perché il grave difetto costruttivo denunciato, essendo un comportamento rilevante solo sotto il profilo di un’eventuale responsabilità aquiliana, è un fatto che non sostanzia una domanda di fonte contrattuale, alla quale soltanto si riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime parti. (Enfasi aggiunta). Si veda inoltre Cass. 6308/2015, cit., dove la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito a un’exceptio compromissi sollevata dalla ricorrente, a detta della quale, in presenza di clausola compromissoria contenuta in un contratto, non si può distinguere la situazione in cui la contestazione investe il sorgere del credito da quella in cui investe la compensazione di quest’ultimo con altro credito presente in diverso contratto, anch’esso contenente una clausola compromissoria. I Giudici hanno tuttavia argomentato sulla stessa linea della Cassazione citata appena sopra: “Perché possa affermarsi la competenza arbitrale”, vi deve essere “la necessità di una controversia che investa una causa petendi fondata sul contratto; il che non si verifica nel caso in cui l’esecuzione di un contratto rappresenta soltanto il precedente storico del credito vantato e si discuta, senza invocare specifiche modalità di soddisfacimento del credito eventualmente previste nel contratto, soltanto della sua estinzione o meno sulla base di fatti esterni al contratto, come accade nel caso, dedotto nella specie, di estinzione per compensazione”.

[8] Per un excursus storico sul tema, si veda Stasi, L’azione di accertamento nel processo arbitrale, in Riv. Arb., 2004, fascicolo 4, pag. 509 e seguenti.

[9] Cass. Civ. 7282/2013, cit., dove la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sull’estensione della potestas iudicandi degli arbitri con riferimento a un contratto preliminare e alla simulazione del contratto definitivo. A giudizio della Corte: “gli arbitri hanno l’obbligo di provvedere su tutto il “thema decidendum” ad essi sottoposto e non oltre i limiti di esso […]. Ciò non toglie, però, che la cognizione degli arbitri, al pari di quella di chiunque sia chiamato ad esprimere un giudizio su una determinata controversia, si estende naturalmente (salvo eventuali ben precisi limiti legali) a qualsiasi aspetto della vicenda che risulti rilevante ai fini di stabilire se ed in qual misura la pretesa fatta valere da una parte sia fondata.” Nella stessa, identica, direzione si vedano Cass. Civ. 10391/2018 cit., che riprende in motivazione Cass. Civ. 7282/2013; e Cass. 22107/2018, cit.

[10] Collegio arbitrale, Bologna, 3 marzo 2004: “In presenza di pattuizione che sottopone agli arbitri le controversie relative solamente all’interpretazione del contratto, sono arbitrabili le azioni di mero accertamento che richiedano l’interpretazione del contratto, nonché le domande di simulazione in quanto hanno per oggetto la effettiva volontà delle parti e si configurano con mera azione di accertamento. Non sono invece arbitrabili le azioni di annullamento essendo azioni di natura costitutiva il cui accertamento non ha a che vedere salvo ipotesi di simulazione con la interpretazione del contratto.” In Foro padano, 2005, 3-4, I, 835.

[11] App. Milano, sez. I, 8 agosto 2016.

[12] Salvaneschi, Arbitrato, in Commentario al Codice di Procedura Civile (Zanichelli, 2014), pag. 192. Si veda anche Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, Carpi (a cura di), Bologna, 2007, pag. 148 e seguenti e 190 e seguenti, dove l’Autrice propone di ricomprendere nell’ambito oggettivo della clausola compromissoria anche questioni di natura extracontrattuale nel caso in cui queste ultime siano comunque connesse al contratto contenente la clausola compromissoria. In termini più specifici, si veda Amendolagine, Criteri interpretativi della clausola arbitrale e favor arbitrati, in Riv. Arb., 2019, fascicolo 1, pag. 115 e seguenti, dove l’Autore sottolinea come un ruolo centrale nell’ampiezza della clausola compromissoria lo giochi la comune volontà dei contraenti. In sintesi, “quando la convenzione arbitrale contenga il riferimento a definizioni giuridiche come sintesi del possibile oggetto delle future vertenze, tali espressioni non assumono lo scopo di circoscrivere il contenuto della convenzione arbitrale, come nell’ipotesi in cui gli istituti giuridici richiamati siano di tale ampiezza e caratterizzati da interconnessioni con altre categorie potenzialmente oggetto di lite, sì da rendere irragionevole una limitazione dell’ambito della clausola in parola fondata su valutazioni squisitamente letterali dei relativi termini.” Infine, si veda Motto, In tema di clausola compromissoria: forma, oggetto, rilevanza del comportamento delle parti, in Riv. Arb., 2006, fascicolo 1, pag. 88 e seguenti, dove l’Autore commenta la possibile ricomprensione all’interno dell’ambito oggettivo della clausola compromissoria della questione dell’arricchimento ingiustificato.

4. Riflessioni conclusive

Ad opinione di chi scrive, questa posizione della giurisprudenza di favorire la competenza arbitrale in queste situazioni “grigie” è da abbracciare pienamente. In primo luogo perché i rischi che la posizione opposta comporta sono tanti, riferendosi sia all’interesse delle parti di avere una data controversia risolta (situazione che non si avrebbe nel caso in cui si accettassero tutte le eccezioni mirate a scovare appositamente pertugi “grigi” nei quali non far confinare la competenza arbitrale), sia all’interesse generale di avere un ordinamento che assicuri certezza e prevedibilità, obiettivi che non si raggiungerebbero se si ammettesse questa “discriminazione” verso il ruolo dell’arbitro, tipica di alcuni orientamenti precedenti alla riforma di equiparazione giudice – arbitro.

In secondo luogo perché la libertà e volontà negoziale di concludere contratti deve andare di pari passo con le medesime libertà e volontà di scegliere l’organo giudicante chiamato a risolvere eventuali controversie. Libertà di scegliere l’arbitrato significa anche libertà di non scegliere l’arbitrato: a parte i (sacrosanti) limiti imposti dalla legge, restanti ed eventuali restrizioni all’utilizzo dell’arbitrato devono poter rimanere nelle mani delle parti, e confinati al momento della conclusione dell’accordo compromissorio (clausola compromissoria o compromesso, a controversia già insorta), evitando così da un lato eccezioni temerarie e promuovendo, d’altro lato, una maggiore stabilità del sistema di risoluzione delle controversie.

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