L’esecuzione delle pene pecuniarie

Redazione 15/12/20
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Pene pecuniarie: l’esecuzione coattiva

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Le pene pecuniarie conseguenti a una sentenza o a un decreto di condanna sono la multa per i delitti e l’ammenda per le contravvenzioni.
Giova mettere in luce da subito gli aspetti problematici tradizionalmente connessi all’esecuzione coattiva della pena pecuniaria, corollario del principio di inderogabilità della pena, in rapporto alle condizioni economiche del reo.
Il codice di rito previgente prevedeva l’automatica trasformazione della pena pecuniaria in pena detentiva, da espiarsi in un Istituto di pena, per l’ipotesi di mancato adempimento dell’obbligazione pecuniaria. Senonché venne progressivamente evidenziata l’incompatibilità di tale istituto con il principio di eguaglianza di fronte alla legge scolpito nell’art. 3 della Costituzione, in quanto il condannato indigente finiva per subire, senza averne colpa, una sanzione maggiore rispetto al condannato in grado di pagare. Tale istituto fu eliminato con sentenza della Corte Costituzionale 16 novembre 1979, n. 131, che censurò l’automatismo del meccanismo di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria senza possibilità di soluzioni alternative.
Con la legge 24 novembre 1981, n. 689 e con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale tutta la materia relativa alla conversione delle pene pecuniarie è stata rielaborata, attribuendo al giudice di cognizione il potere-dovere di tenere conto, nell’irrogazione della pena, anche delle condizioni economiche del reo2 e di disporre l’eventuale pagamento rateale della sanzione3, nonché stabilendo regole alternative per la sua effettiva esecuzione individuate dall’art. 660 c.p.p. e dall’art. 102 legge 689/81. Attualmente è previsto che le pene pecuniarie non pagate siano convertite in libertà controllata o in lavoro sostitutivo dal magistrato di sorveglianza. Solo in un’ipotesi residuale estrema si fa luogo alla conversione della libertà controllata in pena detentiva: quando è violata anche solo una delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata, ivi comprese quelle inerenti al lavoro sostitutivo, conseguenti alla conversione di pene pecuniarie. In questo caso la parte di libertà controllata o di lavoro sostitutivo non ancora eseguita vengono convertite in un uguale periodo di reclusione o di arresto dal Tribunale di sorveglianza.

La conversione della pena pecuniaria

L’impianto del meccanismo di conversione della pena pecuniaria, come rimodulato dalla legge 689/81 e dal codice di procedura penale del 1989, è tuttora vigente, sebbene sia stato sottoposto ad una modifica legislativa, poi parzialmente abrogata dalla Corte Costituzionale, e perciò ripristinato.
La disciplina di esecuzione delle pene pecuniarie contenuta nell’art. 660 c.p.p. era stata formalmente abrogata dall’art. 299 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e sostituita con una procedura di carattere regolamentare contenuta negli artt. 235-239 del medesimo regolamento.
La Corte Costituzionale, però, con sentenza del 18 giugno 2003, n. 212 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 237, 238 e 299 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 per eccesso di delega nella parte in cui aveva abrogato l’art. 660 del codice di rito. In seguito a tale pronuncia si è determinata la riviviscenza dell’art. 660 c.p.p., al quale si deve fare riferimento – unitamente agli artt. 235 e 236 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 che non sono stati oggetto della sentenza – per delineare la disciplina di esecuzione delle pene pecuniarie.
La dichiarazione di incostituzionalità, limitata per il citato articolo 299 all’abrogazione del solo articolo 660 c.p.p., ha comportato che gli artt. 181 e 182 disp att. c.p.p. restassero abrogati e ciò ha sprigionato l’effetto di creare un vuoto normativo tra la fase amministrativa di esazione della pena e quella giurisdizionale di conversione. Da qui la necessità di dar vita a una nuova disciplina in grado di ricondurre a sistema in modo ordinato e coerente il procedimento di conversione delle pene pecuniaria non corrisposte; in particolare, si è avvertita l’urgenza di disciplinare in modo chiaro il momento in cui attivare, ai sensi dell’art. 660 c.p.p., l’accertamento da parte del magistrato di sorveglianza dell’effettiva insolvibilità del condannato. In occasione della legge di bilancio per il 2018 si è provveduto ad innestare nel testo del d.P.R. 115/2002, a far data dal 1° gennaio 2018, l’art. 238-bis sotto la rubrica “attivazione delle procedure di conversione delle pene
pecuniarie non pagate”.

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L’art. 660, comma 1 c.p.p. prescrive che le condanne a pene pecuniarie sono eseguite nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti.
Le norme che disciplinano il meccanismo di conversione delle pene pecuniarie sono l’art. 660 c.p.p., gli artt. 102 legge 689/81 e gli artt. 235, 236 e 238-bis d.r.r. 115/2002.
Creditore è l’amministrazione finanziaria dello Stato, che deve procedere al recupero della somma indicata nel titolo esecutivo secondo le leggi ordinarie. Costituisce principio di carattere generale che l’amministrazione finanziaria non proceda direttamente a quegli atti indispensabili per costringere il debitore al pagamento, bensì si limiti a ricevere attraverso gli uffici del registro i pagamenti volontari da parte dei debitori spontanei. Qualora il pagamento spontaneo non si sia verificato, l’ufficio procede all’intimazione di pagamento e al recupero coattivo.
Quando è accertata la impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la conversione della pena in libertà controllata. Il magistrato di sorveglianza provvede previo accertamento dell’effettiva insolvibilità del condannato ed eventualmente della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Se la pena è stata rateizzata, è convertita la parte non ancora pagata.
In presenza di situazioni di insolvenza, il magistrato può disporre la rateizzazione della pena a norma dell’art. 133-ter c.p. ovvero può differire la conversione per un tempo non superiore a sei mesi, scaduto il quale è ordinata la conversione oppure è disposto un nuovo differimento se lo stato di insolvenza perdura. Il magistrato di sorveglianza, sentito il condannato stesso, dispone l’applicazione della libertà controllata o lo ammette al lavoro sostitutivo; determina altresì le modalità di esecuzione della libertà controllata a norma dell’art. 62 legge 689/81. Il magistrato di sorveglianza determina le modalità di esecuzione del lavoro sostitutivo e ne fissa il termine iniziale, sentito ove occorra il servizio sociale, tenuto conto delle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato ed osservando le
disposizioni del capo II-bis del titolo II della legge 26 luglio 1975, n. 354. L’ordinanza con cui sono stabilite le modalità di esecuzione del lavoro sostitutivo è immediatamente trasmessa all’ufficio di pubblica sicurezza del comune in cui il condannato risiede o, in mancanza di questo, al comando dell’Arma dei carabinieri territorialmente competente.

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