L’elemento oggettivo della colpa

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La misura oggettiva della colpa riguarda i profili concernenti la regola cautelare che doveva esser osservata dall’agente. Oltre alla misura oggettiva, in funzione di una maggiore personalizzazione del rimprovero, vi è anche una misura soggettiva, attinente alle caratteristiche individuali incidenti sulla capacità di risposta dell’agente[1].
Nell’attuale società del rischio, si sta assistendo ad un processo di tipizzazione che ha portato alla proliferazione delle regole cautelari in numerosi settori, in particolare quello della prevenzione degli infortuni sul lavoro, delle malattie professionali, della circolazione stradale, dell’attività medico chirurgica. Da questo fenomeno empirico-sociale, scaturisce l’esigenza del contenimento del rischio e della tutela di beni, individuali e collettivi, mediante regole di condotta prestabilite ed uniformi.
Prima di procedere oltre, bisogna precisare il contenuto della dicotomia “rischio-sicurezza”, il quale funge da paradigma teorico della scienza penalistica moderna[2]. Senza dubbio, la colpa è funzionale alle politiche criminali odierne, di conseguenza si è assistito al mutamento del diritto penale dell’evento alla versione della “sicurezza” o “del rischio”[3]. Questa concezione del diritto penale, è funzionale allo svolgimento di attività lecite pericolose, ed è fondata su una logica cautelativa-precauzionale volta a contenere i fattori di rischio mediante regole di sicurezza. Le declinazioni normative inerenti al termine di sicurezza, sono adatte alla regolazione di attività rischiose ma consentite, a condizione che lo svolgimento di quest’ultime avvenga in ottemperanza delle regole cautelari ontologicamente orientate a governare tali fattori; in tal senso, si configura la c.d. “colpa speciale”[4].
 Le attività rischiose, hanno portato ad una rilevante espansione della responsabilità colposa, cioè all’estensione dell’imputazione a titolo di colpa per numerosi fattori: diffusione normativa di ipotesi di illecito colposo; responsabilità degli enti collettivi per delitti colposi; mutamenti normativi dettati da ragioni sociali e tecnologiche[5]. Sinteticamente, tali fattori sono la raison d’etre del processo normativo delle regole cautelari, protocolli e procedure, permettendo così la formalizzazione delle regole di diligenza, prudenza, perizia costituenti la colpa specifica. Nel panorama del diritto penale odierno, si prospettano anche altre forme di regole, quali le regole cautelari modali e meta-regole cautelari derivante da leggi o regolamenti, istituzionali o privati, che le statuiscono[6]. Tale oggettivizzazione costituisce “un paradosso, rappresentato dal fatto che la formalizzazione delle regole cautelari finisca per avere effetti accrescitivi sulla responsabilità colposa: la positivizzazione delle regole cautelari dovrebbe produrre, in via indiretta, effetti selettivi sulla responsabilità, agendo positivamente sul tasso di determinatezza della fattispecie colposa. L’effetto negativo… è per lo più connesso, invece, all’automatismo… tra violazione della regola cautelare e colpa per l’evento[7]”.
Quindi, sorgono su questo versante numerosi interrogativi: qual è la natura di queste regole cautelari? Quali sono le funzioni specifiche? 
Già da molti anni, si cerca di verificare la natura della regola cautelare in base al criterio di prevedibilità dell’evento, al fine di addebitare, sul piano oggettivo, il fatto al suo autore; “darà, cioè, luogo a colpa solo la trasgressione di quelle norme giuridiche che prescrivono o vietino comportamenti, astenendosi dai quali, o realizzando i quali, è prevedibile il verificarsi di un evento dannoso come conseguenza della propria azione od omissione”[8]
La prevedibilità, quindi, risulta esser il presupposto costitutivo della regola cautelare al quale si aggiunge, nella formazione di tale regola, il parametro dell’evitabilità dell’evento, infatti la regola cautelare deve anche esser idonea ad evitare l’evento lesivo stesso in base al comportamento prescritto dalla suddetta. I criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, sono alla base della formazione della regola cautelare[9]. Siffatti criteri, hanno una doppia matrice: tecnico-scientifica quando, mediane regole scientifiche, si accerta il collegamento di una determinata condotta ad un evento; empirico-sociale quando si ricava una regola dalla percezione ed osservazione della pericolosità di determinate condotte sociali e dalla previsione di strumenti ad hoc per evitare il prodursi di eventi lesivi. Inoltre, le regole cautelari devono esser munite di un carattere modale, cioè l’indicazione precisa delle modalità e degli strumenti che debbono essere impiegati per evitare l’evento lesivo; se la regola però impone l’astensione dall’intraprendere un’attività pericolosa, viene meno il profilo modale[10].
Prima di procedere all’analisi delle regole cautelari, è importante accennare alla sentenza Cass., sez. IV, 19 novembre 2015, n. 12478/16, in merito al terremoto dell’Aquila. Con tale sentenza sono stati assolti tutti gli imputati (tranne uno), per omicidio colposo derivante dall’omessa previsione di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumità, in quanto quest’ultimi non avevano violato nessuna regola cautelare. La Suprema Corte ha motivato la decisione nei seguenti termini in tema di responsabilità colposa, ai fini della individuazione della regola cautelare alla stregua della quale valutare la condotta dell’agente, non è sufficiente fare riferimento a norme che attribuiscono compiti, senza impartire prescrizioni modali, essendo necessario pervenire all’identificazione del modello comportamentale che – secondo le diverse fonti previste dall’art. 43 cod. pen. – è funzionale alla prevenzione dell’evento pregiudizievole. In assenza di una simile connotazione la norma di dovere deve essere integrata dalle prescrizioni cautelari rinvenibili in leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica) ovvero in regole di matrice esperienziale o tecnico-scientifica (colpa generica)” (p. 128).

Indice

1. Colpa generica e colpa specifica

Il concetto di regole cautelari si può ricavare, in via interpretativa, dall’art. 43, comma 1° e 3° secondo il quale il delitto “è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
Invero, per regola cautelare si intende quella regola, giuridica o non giuridica, atta a evitare che si possano produrre conseguenze dannose per terzi dall’esercizio di una attività[11]. La miglior dottrina, ha affermato che la distinzione tra colpa generica e colpa specifica non ha una matrice ontologica, ma di natura formale in base alla formulazione (scritta o non scritta) o alla fonte di riferimento (giuridica o extra giuridica).
Il codice penale, nel descrivere le regole cautelari, rimanda alle fonti scritte e non scritte distinguendo tra colpa specifica e colpa generica. Le regole cautelari scritte sono le leggi, regolamenti, ordini e discipline le quali vengono impartite al singolo da un’autorità privata o pubblica. Invece le regole cautelari non scritte vengono ricollegate dal legislatore ad i concetti di negligenza, imprudenza ed imperizia[12].
È importante precisare che la struttura della colpa, in entrambe le situazioni, è la medesima, poiché, per la formazione della regola è necessaria l’esperienza che permette di riconoscere se certe condotte possono ledere beni giuridici e quali cautele sono adatte ad evitare tale nocumento[13].
Seguendo l’impostazione dell’art. 43 c.p. possiamo distinguere: la colpa generica espressa nei termini di negligenza, imprudenza ed imperizia; la colpa specifica derivante dall’inosservanza di leggi e regolamenti (norme generali ed astratte) e ordini e discipline (né generali né astratte).
È necessario a tal punto procedere alla puntualizzazione di tali concetti giuridici.
La colpa specifica, di natura giuridica, si sostanzia nella violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline da parte di un soggetto che detiene tale potere al fine di assicurare, in sicurezza, l’esercizio di determinate attività[14].
La colpa generica, di matrice extra giuridica, espressione delle massime di esperienza non codificate, può trovare espressione nella negligenza e cioè nell’omissione delle cautele doverose, espressione di trascuratezza del soggetto agente; nell’imprudenza che consiste in un comportamento antitetico alle regole sociali sinonimo di avventatezza o impulsività; nell’imperizia, invece, che consta nella violazione delle legis artis cioè delle regole professionali e tecniche in un determinato settore o professione[15]. Tale categoria implica per il giudice non solo di qualificare l’atteggiamento imprudente, negligente od imperito ma di determinare, in base ad i canoni di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, la regola cautelare di riferimento.
A questo punto, è necessario stabilire il criterio sul quale fondare l’accertamento della colpa generica; le opinioni in materia sono estremamente diversificate, in quanto si oscilla tra i parametri del bonus pater familias, dell’homo eiusdem professionis et condicionis, della migliore scienza ed esperienza.
La teoria del bonus pater familias è funzionale al bilanciamento delle istanze sottese al principio di colpevolezza e alla tutela dei beni giuridici individuali e collettivi. L’istanza sottostante al principio di colpevolezza viene soddisfatta mediante l’azione cosciente e volontaria, dell’agente che opera come avrebbe fatto la maggior parte delle persone. Una diligenza più elevata, secondo tale teoria, “paralizzerebbe all’istante tutta la vita sociale, e irrigidirebbe i beni giuridici in un’atmosfera da museo, immuni da offese umane, ma sterili di ogni funzione sociale[16]”. Quindi, tale figura, è coerente rispetto al criterio di ragionevolezza in quanto bilancia le istanze di prevenzione generale con la personalizzazione del rimprovero.
Questa concezione, è stata aspramente criticata in quanto la figura del bonus pater familias propende a rilegare, in una sorta di aura mediocritas, il diritto penale, impedendogli di adeguarsi al progresso tecnologico-scientifico, incentivando la cristallizzazione dello status quo. Oltretutto, risulterebbe estremamente complesso ed incerto per il giudice creare un modello che rappresenti il punto d’incontro tra condotta del soggetto meno diligente e quello più zelante senza esser minuto di canoni oggettivi rilevanti.
Invece, la tesi dell’homo iusdem condictionis ac professionis fa riferimento all’ideale della persona zelante e giudiziosa esercente una determinata professione. Tale teoria, permette una valutazione ex antea funzionale alla prevedibilità dell’evento in base al soggetto ideale di riferimento. Ma anche questa teoria, però, non garantisce risultati migliori, in quanto si allude al comportamento di un uomo dotato di una normale diligenza. Invero, se si estendesse la base di giudizio alle circostanze concomitanti dell’azione colposa, il buon padre di famiglia si trasformerebbe nell’ homo iusdem condictionis ac professionis.
Infine, un’altra dottrina fa riferimento alla migliore scienza ed esperienza umana in un determinato periodo storico. Anche il criterio dell’uomo più esperto presenta delle critiche, infatti necessita di un elemento soggettivo al fine di valutare l’effettiva esigibilità della condotta, in base ai soliti criteri di prevedibilità ed evitabilità.
Nonostante tale critica, gran parte della dottrina italiana e tedesca, avalla questa tesi poiché “il concetto di diligenza va commisurato non alla diligenza di fatto usuale nella vita di relazione, bensì a quella necessaria nella vita di relazione. È diligente quel comportamento che avrebbe tenuto un uomo giudizioso ed accorto al posto dell’agente”[17]. O ancora, citando Jescheck, “agisce colposamente chi tralascia di osservare la diligenza necessaria alla vita di relazione. Decisivo è il grado di prudenza ed attenzione che risulta necessaria per evitare la lesione di beni giuridici”[18]. Nella dottrina italiana riscontriamo la medesima impostazione poiché gli usi e le consuetudini, espressione di una diligenza usuale, non possono elevarsi a rango di regola, invero, solo il massimo della diligenza della vita di relazione può elevarsi a rango di regola cautelare[19]. Quindi, traendo le conclusioni, si può affermare che il criterio della migliore scienza ed esperienza sia la prospettiva più fondata, poiché nella costruzione della regola cautelare obiettiva permette, oltretutto, di tenere atto di tutte le conoscenze umane di un dato momento storico al fine ultimo di circoscrivere il rischio o ad evitare l’evento lesivo (tutto questo mediante una prospettiva ex ante)[20].
Prima di procedere oltre, bisogna ritornare sul concetto di colpa specifica e effettuare alcune precisazioni di contenuto.
Si è già precisato che le regole cautelari si distinguono per la loro fonte che può essere giuridica o sociale, invero, l’eventuale trasgressione della regola di fonte giuridica dà origine a colpa specifica la quale si manifesta a causa della violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline. Le leggi e regolamenti sono disposizioni munite del carattere dell’astrattezza e generalità, viceversa, gli ordini e le discipline non hanno queste caratteristiche di natura normativa, in ogni caso, quest’ultime si fondano sul potere di un soggetto che le emana al fine di rendere sicuro l’esercizio di determinate attività. In particolare, le ‘discipline’ sono state definite come atti normativi emanati da un’autorità pubblica o privata, mentre gli ‘ordini’ contengono delle regole individuali poste in essere da un’autorità.
Ma qual è la differenza principale tra regole cautelari specifiche e generiche?
In linea di massima, le regole cautelari specifiche, ad eccezione degli ordini che usualmente sono verbali, sono scritte; viceversa, le regole cautelari generiche sono il precipitato delle massime di esperienza non codificate, invero, “le cautele di fonte sociale sono la cristallizzazione dell’esperienza collettiva in regole comportamentali”[21]; da ciò deriva la maggior complessità nell’individuare le regole cautelari generiche rispetto a quelle specifiche[22]. Il problema dell’accertamento della regola cautelare, è un compito che spetta al giudice di merito in quanto, secondo la Corte di Cassazione, il giudice deve identificare il pericolo e, successivamente, risalire a ritroso sino all’individuazione della regola cautelare atta a prevenirlo[23].
È necessario precisare che la distinzione tra colpa generica e colpa specifica non è sempre molto netta e chiara, invero, l’omogeneità tra le due forme di colpa è generalmente accettata[24], a fortiori se si tiene conto che è stato superato l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale che individuava una colpa presunta nella colpa specifica, l’interesse teorico è sensibilmente ridotto[25].
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2. Tipologie di regole cautelari

Dopo aver analizzato i concetti di colpa generica e specifica ed aver precisato, seppur sommariamente, il loro contenuto, bisogna soffermarci sulla distinzione tra regole cautelari proprie regole cautelari improprie.
Per regola cautelare propria si intende quel precetto, sul piano astratto, idoneo a scongiurare l’evento; per regola cautelare impropria, invece, si intende quella regola che ne diminuisca, sempre astrattamente, la probabilità di verifica dell’evento[26]. Esempi concernenti le regole cautelari proprie si possono riscontrare in tema di sicurezza sul lavoro, esattamente in materia di prevenzione di infortuni, mentre se si analizzano i precetti concernenti le malattie professionali riscontriamo, prevalentemente, regole cautelari improprie.
Una seconda rilevante dicotomia è quella tra regole cautelari rigide e regole cautelari elastiche. Le prime, stabiliscono, in maniera estremamente dettagliata e precisa, la condotta richiesta dall’agente. Le seconde, devono esser adattate, in base alle circostanze oggettive, dall’agente al caso concreto. in base a tale dicotomia si usa distinguere tra colpa specifica in senso stretto e colpa specifica in senso lato[27]. Nel codice della strada, riscontriamo esempi di entrambe le categorie, infatti, un esempio di regola rigida è quello che impone il rispetto dei limiti di velocità; esempi di regola cautelare elastica sono l’art. 141 del codice della strada (che impone di regolare la velocità in base alle condizioni stradali e allo stato e carico del veicolo) o l’art. 2087 c.c. (che impone all’imprenditore di adottare misure, nell’esercizio della propria attività di impresa, atte a tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori).
Si distingue inoltre fra regole cautelari di primo grado, cioè funzionali alla prevenzione dell’evento e regole di secondo grado che evitano di mettere in pericolo certi beni (si pensi al documento di valutazione rischi).
Queste differenti morfologie di regole cautelari necessitano di essere calate nei settori di rischio: si assiste, infatti, all’elaborazione di criteri di imputazione ad hoc in base al contesto di riferimento (come il settore lavorativo, sportivo, scolastico, militare, sanitario, etc.)[28]. Tale tendenza, da una parte, è positiva poiché rappresenta un tentativo di concretizzazione del giudizio di responsabilità, dall’altra, emerge una possibile disparità di trattamento derivante dai caratteri fondamentali del settore applicativo di riferimento[29].
Il corpus normativo di maggior rilievo, oggi è costituito dalle regole cautelari in materia di sicurezza sul lavoro e di circolazione stradale. La materia della sicurezza sul lavoro, è costituita da un sistema di regole cautelari proprie ed improprie, dirette ad eliminare o diminuire il rischio. Tali regole, derivanti anche dalle recenti normative in materia, riguardano prevalentemente le misure di prevenzione degli infortuni e le malattie professionali hanno provocato una rottura con l’impostazione originaria della sicurezza sul lavoro[30].
Tale tendenza orientata alla gestione del rischio la si riscontra esplicitamente nei decreti legislativi 626/1994 e 242/1996 che hanno trasformato il sistema antinfortunistico da aperto, basato sull’art. 2087 c.c., a chiuso, imponendo al datore di lavoro di prevedere procedure di sicurezza specifiche e puntuali[31]. Tale mutamento, ha portato ad un aumento dei casi di colpa specifica rispetto ad i casi di colpa generica, anche se rimane applicabile l’art. 2087 c.c. nel caso di discostamento dalle procedure imposte atte a ridurre la probabilità di verifica di eventi dannosi[32]: si rinvia alla dottrina[33] e alla giurisprudenza[34] in materia.
La differenziazione delle regole cautelari in base al settore di riferimento è riscontrabile pure nell’ambito sanitario, e in particolare, in sede di accertamento della responsabilità medico-chirurgica.
Infine è necessario, seppur per sommi capi, accennare al problema del consenso informato poiché, parte della dottrina, ne sostiene la natura cautelare[35]. Tale dottrina, è in contrasto con la giurisprudenza delle sezioni unite: la Suprema Corte afferma, infatti, che la mancata acquisizione del consenso informato non costituisca violazione di regole cautelari, poiché tale istituto non integra i fatti tipici di lesione personale o violenza privata[36]. Successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha continuato a considerare la natura colposa concernente il danneggiamento della salute del paziente[37]. Carlo Brusco si è occupato della questione, affermando che è impossibile far ricadere le regole sul consenso informato nelle regole cautelari, in ragione delle diverse finalità di tali precetti; il consenso informato è funzionale alla libertà di autodeterminazione, le regole cautelari, invece, mirano a prevenire eventi lesivi[38]. Si deve segnalare, peraltro, che alla Camera dei deputati è in corso di discussione una proposta di legge in subiecta materia “norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” la quale valorizza il diritto di scelta e di autodeterminazione del paziente, ma non configura la natura cautelare di tal consenso[39].

3. La c.d. colpa per assunzione, la colpa da ‘posizione’ e il principio di affidamento.

Il rapporto la tra la figura dell’agente modello e la regola cautelare risulta essere rilevante in situazioni nelle quali un soggetto munito di determinate capacità ed esperienze, assume un ruolo professionale che eccede le sue competenze; in questi casi, si fa riferimento alla c.d. colpa per assunzione.
Invero, tale categoria deve essere orientata alla personalizzazione del rimprovero e non ridursi a punire l’agente per il semplice fatto di aver svolto un ruolo che non gli competeva. Per tal ragione, la dottrina aveva sottolineato che oltre la violazione della regola cautelare concernente l’assunzione del ruolo ‘vietato’ bisogna, sul piano soggettivo-individuale, verificare se il soggetto fosse in grado di percepire, in base alle sue conoscenze ed esperienze, tale violazione.
Fatte queste precisazioni, si può affermare che la problematica principale della colpa per assunzione consta nella ‘possibilità’, da parte del soggetto agente, di riconoscere i tratti fondamentali del proprio agente modello e, quindi, se l’agente fosse a conoscenza o meno di intraprendere un’attività che eccede le proprie competenze. Ad esempio, si consideri il caso in cui un geometra a conoscenza del fatto che una determinata attività edilizia esorbitasse dalle sue competenze e, in ogni caso, la svolga ugualmente; in tal caso egli sarà penalmente responsabile in caso di esiti lesivi.
 Nei contesti organizzativi, la colpa tende a deformarsi secondo le sembianze di una responsabilità da ‘posizione’. Ciò può essere conseguenza di diversi fattori, tra i quali si può enunciare l’eccessiva valorizzazione della posizione di garanzia ricoperta dai soggetti al vertice dell’organigramma aziendale, specie se l’individuazione del soggetto responsabile avvenga in maniera indifferenziata e senza una corretta applicazione dei criteri di autentica selezione dei garanti, in funzione del ruolo effettivamente disimpegnato nella “gestione” di specifiche tipologie di rischio.
Il ruolo più importante, in tali contesti organici, è rivestito dal datore di lavoro sul quale grava l’onere di valutare i rischi concernenti l’esercizio dell’attività e predisporre misure atte ad evitare che essi si concretizzino; invero, il fenomeno della responsabilità datoriale è stato ricondotto, da parte della Suprema Corte, non solo a regole cautelari specifiche ma anche al precetto generale dell’art. 2087 c.c.
Una pronuncia importante in materia è stata quella della Corte di Cassazione, sez. IV del 21 dicembre 2010, nella quale si afferma che “è principio non controverso quello secondo cui ai fini della configurabilità della responsabilità del responsabile dello stabilimento, è sufficiente l’inadempimento agli obblighi riconducibili, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto degli articoli 2087 del codice civile e ora anche 2, comma 1, lett. b), d) ed e) d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in forza di quali il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto sono comunque costituiti garanti dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove gli stessi non ottemperino all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente viene loro imputato in forza del meccanismo previsto dall’art. 40, comma 2, c.p.”[40].
In verità, tale ricostruzione riduce la colpa a mera causazione materiale di un evento, così facendo si costruirebbe la colpa intorno ad un’evanescente parametro di prevedibilità senza considerare quale regola cautelare effettivamente viene violata. È importante precisare che l’art. 2087 c.c. e l’art. 4, D. Lgs. n. 626/1994 non contengono prescrizioni cautelari o modali ma rappresentano mere fonti della posizione di garanzia[41], invero “sarebbe errato ritenere in colpa il datore di lavoro per il sol fatto che lo stesso non abbia redatto il documento di valutazione rischi ( o l’abbia redatto in modo incompleto), ovvero non abbia frequentato o fatto frequentare ai lavoratori determinati corsi di aggiornamento” poiché “tali inottemperanze non sembrano operare  sul diretto piano della cautelarità, ponendosi quasi sullo sfondo e dietro le quinte, nell’ambito prodromico della pre-cautelarità”[42]; tale impostazione è stata anche sostenuta dalla Suprema Corte[43].
Sempre in materia di contesti organizzativi, è importante accennare al principio di affidamento anche in relazione alla responsabilità di équipe.
Il principio di affidamento si sostanzia, nello svolgimento di attività pericolose da parte di più soggetti, in determinati obblighi di diligenza e nell’affidamento del comportamento degli altri[44]. Tale principio ha trovato il suo fondamento costituzionale:
1)      Secondo alcuni, nel principio personalistico dell’art. 27 Cost. in quanto base giuridica dei principi dell’autoresponsabilità e affidamento.
2)      Altri invece nell’art. 54 Cost. in funzione del fatto che esista, in capo ad i cittadini, un dovere di osservanza delle leggi che legittima l’aspettativa dell’osservanza di regole cautelari da parte di ciascuno.
3)      Infine, altri riscontrano tale principio nell’art. 3 Cost. il quale implica la possibilità di ogni soggetto di attendersi dagli altri il rispetto di determinate prescrizioni ad essi riferite[45].
 Il principio di affidamento permette la specializzazione e la divisione dei compiti assicurando l’adempimento ottimale delle prestazioni, ma se mancasse un tale principio nel nostro ordinamento ogni soggetto dovrebbe tenere conto, sempre e comunque, delle violazioni dei doveri di diligenza altrui, in tal modo provocando la paralisi del sistema. Questo principio ha avuto le sue prime applicazioni in Germania ed in Italia nel settore della circolazione stradale, sul presupposto che sia gli automobilisti che i pedoni possano legittimamente confidare sul corretto comportamento degli altri utenti della strada evitando, in tal modo, l’effetto paralizzante che deriva dalla possibilità di immaginarsi tutte le trascuratezze altrui.
Inoltre sono stati stabiliti rigidi doveri di diligenza e prudenza al fine di evitare situazioni di pericolo derivanti da comportamenti irresponsabili, invero, si è affermato che nel caso in cui il semaforo fosse verde, l’automobilista deve accertarsi l’eventuale presenza di pedoni che si attardino nell’attraversamento anche se per loro colpa[46]; solo in caso rari è stato contestato il limite dell’imprevedibilità dell’evento[47] che, in ogni caso, deve essere assoluto[48].
Su questa problematica, si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione, nella sentenza del 24 marzo 2015, n. 12260, nella quale è stato precisato che il principio di affidamento costituisce l’applicazione del rischio consentito in quanto se si dovessero considerare le condotte altrui si avrebbe la paralisi di ogni azione.  Il principio in esame, quindi, si riconnette al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa “circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l’obbligo di rapportarsi alle altrui condotte” in quanto “la possibilità di fare affidamento sull’altrui diligenza viene meno quando l’agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza  nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività”[49].
Oltre che negli ambiti sopra accennati, il principio di affidamento trova applicazione anche nell’esercizio delle attività di gruppo o di équipe, anche se subisce dei temperamenti; invero, nell’esercizio dell’attività multidisciplinare viene posto a carico dei partecipanti un obbligo di diligenza finalizzato alla risoluzione di errori altrui che siano evidenti e non settoriali.
Secondo la Corte di Cassazione[50], quindi, sul singolo membro dell’équipe vige da un lato l’obbligo di diligenza e prudenza proprio dell’agente di riferimento in base alle sue cognizioni specialistiche, dall’altro l’obbligo di valutare l’operato degli altri colleghi ponendo anche rimedio a errori a loro imputabili se questi siano riconoscibili con le comuni conoscenze di un professionista medio.
Senza entrare nel dettaglio del tema, merita qualche accenno anche la responsabilità del capo dell’équipe, il primario ospedaliero o il capo architetto, in quanto su di esso vige l’obbligo di un’oculata scelta dei propri collaboratori, ma anche di corretta informazione ed istruzione sulle modalità concernenti lo svolgimento del lavoro; inoltre, grava anche un obbligo di vigilanza massima sui propri collaboratori, in ogni caso, riferito alle conoscenze comuni del professionista medio.

  1. [1]

    C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 298.

  2. [2]

    DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, Milano, 2004, pag. 469 ss.

  3. [3]

    CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1595.

  4. [4]

    Per la distinzione tra colpa comune e colpa speciale v. F. MANTOVANI, Diritto penale, 7° ed., Padova, 2011, pag. 350 ss.

  5. [5]

    Per un’analisi dettagliata dell’elenco v. CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1596 ss.

  6. [6]

    CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1606.

  7. [7]

    CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1607

  8. [8]

    G. MARINUCCI, La colpa. Studi, Milano, 2013, pag. 184 ss; per l’analisi degli aspetti processuali si veda S. GROSSO, Alla ricerca di una prospettiva di individuazione delle regole cautelari. Un dialogo tra diritto sostanziale e processuale, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 2016, pag. 146.

  9. [9]

    GALLO, voce Colpa penale, vol. VII, Milano,1960, pag. 624.

  10. [10]

    D. MICHELETTI, La colpa del medico. Prima lettura di una recente ricerca “sul campo”, in Criminalia, 2008, pag. 171 ss.

  11. [11]

    GALLO, voce Colpa penale, vol. VII, Milano,1960, pag. 637.

  12. [12]

    GAROFOLI, Manuale di diritto penale, parte generale, XII ed., Roma, 2016, pag. 915.

  13. [13]

    M. RONCO, La colpa in particolare, 539-540; G. FORTI, Colpa ed evento, pag. 314 ss.

  14. [14]

    C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 127.

  15. [15]

    GALLO, voce Colpa penale, vol. VII, Milano,1960, pag. 637 ss.

  16. [16]

    WEZEL, Il nuovo volto del diritto penale, trad. it., in jus, 1952, pag. 41.

  17. [17]

    WEZEL, Das deutsche strafrecht, 11° ed., 1969, pag. 132.

  18. [18]

    JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch de strafrechts, A. T., 5° ed., 1996, pag. 578.

  19. [19]

    MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, 1965, pag. 179; MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, 2004, pag. 204; F. MANTOVANI, voce Colpa, in Dig. disc. pen., vol. II, 1988 pag. 307; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte generale, 4° ed., 2001, pag. 489.

  20. [20]

    PADOVANI, Diritto penale, 10° ed., Milano, 2012, pag. 212.

  21. [21]

    F. GIUNTA, La normatività della colpa penale. Lineamenti di una teorica, in Riv. it. proc. pen., 1999, pag. 92.

  22. [22]

    F. BASILE, Fisionomia e ruolo dell’agente-modello ai fini dell’accertamento processuale della colpa generica, in Dir. pen. contemp. del 13 marzo 2012.

  23. [23]

    Cass., sez. IV, 23 maggio 2013, n. 36400.

  24. [24]

    M. GROTTO, Principio di colpevolezza, rimproverabilità soggettiva e colpa specifica, Torino, 2012, pag. 70 ss., il quale sottolinea che la distinzione fra le due forme di colpa ha natura formale e che i concetti non sono alternativi bensì cumulativi.

  25. [25]

    M. BONAFEDE, L’accertamento della colpa specifica, Padova, 2005; C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 130.

  26. [26]

    P. VENEZIANI, Regole cautelari “proprie” ed “improprie” nella prospettiva delle fattispecie colpose casualmente orientate, Cedam, Padova, 2003.

  27. [27]

    M. GROTTO, Principio di colpevolezza, rimproverabilità soggettiva e colpa specifica, Torino, 2012, pag. 73.

  28. [28]

    MARINUCCI-DOLCINI, Trattato di diritto penale, Padova, 2003, pag. 167 ss; CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1609.

  29. [29]

    CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1610: Sui generis, sono i criteri di imputazione che si possono registrare nei casi di violenza sportiva, che manifestano nozioni di colpa penale ridotte ad i minimi termini, poiché tale responsabilità penale a titolo di colpa può esser addebitata solo mediante volontaria trasgressione della regola e, deve altresì essere sproporzionata rispetto alla finalità del gioco.
    Cass., Sez., 28 aprile 2010, n. 20595: “se l’azione è finalizzata allo sviluppo del gioco la violazione della regola disciplinare, anche se volontaria, non è sufficiente a concretizzare una responsabilità per colpa proprio in base al rischio consentito”.
    Cass., Sez. V, 2 giugno 2000, n. 8910: in una partita di calcetto a cinque poiché un giocatore è stato condannato per lesioni colpose perché aveva superato il rischio consentito ponendo consciamente a repentaglio l’incolumità fisica di un giocatore. Il limite consentito, secondo la Corte, si riscontra in un comportamento anche rude, ma non trasmodante nel disprezzo per l’altrui integrità fisica. Un caso analogo, anche se concernente una partita di pallacanestro, è quello deciso da Cass., Sez. V, 2 dicembre 1999, n. 1951.

  30. [30]

    T. PADOVANI, Il nuovo volto del diritto penale del lavoro, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996, pag. 1161. Tale opinione non è condivisa da G. MARINUCCI-DOLCINI, Trattato di diritto penale, Padova, 2003, pag. 368.

  31. [31]

    F. GIUNTA, La normatività della colpa penale, Lineamenti di una teoria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 110 ss.

  32. [32]

    C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 147; O. DI GIOVINE, Il contributo della vittima nel delitto colposo, Torino, 2003, pag. 75 ss; G. CIVELLO, La “colpa eventuale” nella società del rischio. Epistemologia dell’incertezza e “verità soggettiva” della colpa, Torino, 2013. Pag. 25 ss.

  33. [33]

    C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 43 ss; CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1595 ss; MARINUCCI, Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche: costi e tempi di adeguamento delle regole di diligenza, in riv. it. dir. droc. pen. It., 2005, pag. 30 ss.

  34. [34]

    In materia di illeciti stradali: Cass., Sez IV, 24 marzo 2010, n. 1222; Cass. Sez. I, 1 febbraio 2011, n. 129. In materia di sicurezza sul lavoro: Cass. Pe., S.U., 24 aprile 2014, n. 38343.

  35. [35]

    ZAMBRANO, Responsabilità medica e prospettiva comparatistica: regole semplici per una realtà complessa, in S. ALEO, R. DE MATTEIS E G. VECCHIO (a cura di), Le responsabilità in ambito sanitario, Cedam, Padova, 2014, pag. 181 ss.

  36. [36]

    Cass., sez. un., 18 dicembre 2008 n. 2437. Per una ricostruzione completa inerente alla mancanza del consenso informato v. A. PALMA, Libertà di autodeterminazione del paziente e rilevanza penale del trattamento medico arbitrario nella giurisprudenza, in Giust. Pen., 2015, pag. 484.

  37. [37]

    Cass., sez. V, 27 ottobre 2011 n. 3222

  38. [38]

    C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 154.

  39. [39]

    C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 155; C. CUPELLI, Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: dai principi alla legge, in Dir. pen. contemp. 13 marzo 2017.

  40. [40]

    Cass. Pen., Sez. IV, 21 dicembre 2010, n. 2816, in CED Cass.

  41. [41]

    G. CIVELLO, La “colpa eventuale” nella società del rischio. Epistemologia dell’incertezza e “verità soggettiva” della colpa, Torino, 2013, pag. 42.

  42. [42]

    G. CIVELLO, La “colpa eventuale” nella società del rischio. Epistemologia dell’incertezza e “verità soggettiva” della colpa, Torino, 2013, pag. 42 ss.

  43. [43]

    Cass. Pen., Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 19507.

  44. [44]

    MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, pag. 536.

  45. [45]

    MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, pag. 536.

  46. [46]

    Cass., Sez. IV, 18 ottobre 2000, Rv. 218473.

  47. [47]

    Cass., Sez. IV, 24 settembre 2008.

  48. [48]

    Cass., Sez. IV, 3 giugno 2008.

  49. [49]

    GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Roma, 2016, pag. 946.

  50. [50]

    Cass. Pen., Sez. IV, 26 maggio 2004, n. 24036.

Marino Giancarlo

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