Le tipologie di canapa nella Giurisprudenza della Cassazione

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 Il criterio qualitativo deve superare quello della specie naturalistica della piantagione.

La problematica afferente alla qualità di canapa non del genere indica è stata affrontata dalla Suprema Corte, per la prima volta, in Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475. Più specificamente, in Cassazione 30475/2019, il quesito di legittimità era “ se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nel comma 2 Art. 1 L. 242/2016 e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L, rientrino o meno e, se sì, in quali eventuali limiti, nell’ ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa “. Anzitutto e soprattutto, la Corte di Cassazione, negli Anni Duemila, ha sottolineato, anche in tema di cannabis, che spesso l’ haschisch e la marjuana non contengono un tenore sufficientemente elevato e/o puro di THC e, per conseguenza, la PG e l’ AG sono costrette ad utilizzare il paradigma fondamentale del reato impossibile, giacché “ la punibilità è [ … ] esclusa quando, per l’ inidoneità dell’ azione o per l’ inesistenza dell’ oggetto di essa, è impossibile l’ evento dannoso o pericoloso “ ( comma 2 Art. 49 CP ). In effetti, giustamente, Cass., SS.UU., 29 novembre 2007, n. 47472 ha precisato che, in tema di canapa ed a prescindere dalla tipologia botanica, quello che penalisticamente conta è “ la verifica della reale efficacia drogante delle sostanze stupefacenti oggetto di cessione [ … ]. Non rileva il superamento della dose media giornaliera, ma la circostanza che la sostanza ceduta abbia effetto drogante per la singola assunzione dello stupefacente “. Dunque, come si può notare, Cassazione 47472/2007 predilige il criterio qualitativo anziché quello quantitativo, senza troppo indugiare sulla differenziazione agronomo-nominalistica tra cannabis indica e cannabis sativa. Quindi, la ratio decisiva consta nella presenza, o meno, di un effetto psicoattivo abbastanza pesante del THC e del CBD. Del pari, anche Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605 hanno ridimensionato il problema della diversità naturalistico-botanica della canapa, in tanto in quanto “ l’ indispensabile è che il giudice di merito verifichi la concreta offensività della condotta [ p. e p. ex Art. 73 TU 309/90 ], riferita all’ idoneità della sostanza a produrre un effetto drogante “. Di nuovo, pertanto, non importa la differenziazione formale tra canapa indica a canapa sativa, nel senso che il reato di coltivazione per fini di spaccio di marjuana non deve mai e poi mai essere sussumibile entro le griglie ermeneutiche totalmente scriminanti di cui al comma 2 Art. 49 CP. E’ ridicolo o, quantomeno, illogico parlare di una dose di cannabino-derivati astrattamente lesiva nei confronti della salute collettiva ex comma 1 Art. 32 Cost. . Tale concretezza lesiva, dal punto di vista medico-legale, è stata ribadita pure da Corte Costituzionale n. 109/2016, poiché “ va ritenuto valido il canone ermeneutico fondato sul principio dell’ offensività [ non astratta, ndr ], operante anche sul piano concreto, nel momento in cui il giudice [ di merito ] procede alla verifica della rilevanza penale di una determinata condotta “. Questo valore supremo della qualità psicotropa è accolto, in maniera estremamente nitida, anche da Cass., sez. pen. IV, 27 ottobre 2015, n. 4324, in tanto in quanto “ ciò che occorre verificare non è la percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza ceduta, bensì l’ idoneità della medesima sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante “. Similmente, Cass., sez. pen. III, 9 ottobre 2014, n. 47670 precisa che non rientrano nel campo precettivo dell’ Art. 73 TU 309/90 “ quelle condotte attinenti a quantitativi di sostanze stupefacenti talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l’ assetto neuro-psichico dell’ utilizzatore “. Il primato giurisprudenziale della qualità sulla quantità, a prescindere dalla variante indica piuttosto che sativa, è espresso pure in Cass., sez. pen. VI, 22 gennaio 2013, n. 8393, ossia “ ai fini della configurabilità del reato di cui all’ Art. 73 TU 309/90, è necessario dimostrare, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio o, comunque, oggetto di cessione, sia di entità tale da poter produrre in concreto un  effetto drogante “. Ancora una volta, come volevasi dimostrare, Cassazione 8393/2013 evita accuratamente che l’ Art. 73 TU 309/90 venga precettivamente oscurato dalla circostanza de-strutturalizzante e de-penalizzante contemplata dal comma 2 Art. 49 CP. Nel Diritto Penale, la concretezza e la fattualità empirica predominano sui rigorismi formali ed inutili.

Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475 sottolinea che “ anche la distribuzione e la messa in vendita dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L integrano la fattispecie incriminatrice ex Art. 73 TU 309/90. Ciò nondimeno, si impone l’ effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all’ attitudine delle sostanze di produrre effetti psicotropi [ … ], di talché occorre verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetto di cessione “. Come si nota, anche Cassazione 30475/2019 compara costantemente ed accuratamente l’ Art. 73 TU 309/90 con il comma 2 Art. 49 TU 309/90, e ciò nella consapevolezza che, al di là delle inutili questioni relative alla forma botanica, la canapa sativa potrebbe contenere un tenore di THC e di CBD escludenti la punibilità perché “ per l’ inidoneità dell’ azione o per l’ inesistenza dell’ oggetto di essa, è impossibile l’ evento dannoso o pericoloso “ ( comma 2 Art. 49 CP ). Naturalmente, un consimile approccio non può poi essere generalistico od assoluto, in tanto in quanto l’ eventuale impossibilità del reato va contestualizzata, di volta in volta, nella singola fattispecie, com’ è normale, del resto, all’ interno di un serio ed equilibrato Procedimento Penale. La Giuspenalistica, infatti, non segue la formalità della Procedura Civile, poiché giudicare, anche nel TU 309/90, significa sempre contestualizzare e relativizzare. Anche Corte Costituzionale n. 364/1988, benché risalente nel tempo, asserisce che “ il giudizio [ del Magistrato di merito ] deve essere notoriamente ancorato a criteri oggettivi “. Tale è, per l’ appunto, il criterio del tenore drogante e non quello del tipo agronomo-naturalistico della canapa coltivata e spacciata.

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La cannabis sativa si situa, nel Diritto Penale italiano odierno, in una zona grigia troppo ambigua, in cui s’ intrecciano disordinatamente legalità ed illegalità.

Cass., sez. pen. III, 10 gennaio 2019, n. 17387 è di stampo decisamente proibizionista ed asserisce che “ si deve escludere che la L. 242/2016 consenta la commercializzazione dei derivati della coltivazione della cannabis sativa L “. Tale è pure l’ opinione giurisprudenziale maggioritaria espressa in Cass., sez. pen. IV, 19 settembre 2018, n. 57703, Cass., sez. pen. VI, 27 novembre 2018, n. 56737 e Cass., sez. pen. IV, 13 giugno 2018, n. 34332. Tuttavia, l’ anti-proibizionismo disordinato e criminogeno ha trovato cittadinanza, purtroppo, in Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920, a parere della quale “ dalla liceità della coltivazione della cannabis sativa L, ai sensi della L. 242/2016, discende la liceità anche della commercializzazione dei derivati, quali foglie ed inflorescenze, purché contengano una percentuale di principio attivo inferiore allo 0,6 % [ … ] Il consumo della cannabis sativa proveniente dalle coltivazioni lecite non costituisce neppure l’ illecito amministrativo di cui all’ Art. 75 TU 309/90 “. A parere di chi scrive, Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920 conferma che la L. 242/2016 ha costruito una zona precettiva ambigua, la quale, nell’ intenzione delle correnti radical chic, dovrebbe costituire il prodromo di una politica legalizzatrice, modellata sull’ orribile paradigma libertario dell’ Olanda. Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920, seppur sottilmente ed inconsapevolmente, reca l’ intento di abituare l’ opinione pubblica ad una presunta normalità della canapa, sativa e non. Il tutto senza tenere conto degli effetti psico-fisici disastrosi del THC assunto per fini inutilmente e dannosamente tossicovoluttuari. Dunque, Cassazione 4920/2018 appoggia il falso mito delle droghe cc.dd. “ leggere “, che di leggero nulla hanno, specialmente nei contesti della poli-tossico-mania e dell’ alcolismo cronico. Cassazione 4920/2018 è un insulto alla Medicina Legale onesta e non ideologicamente manipolata. Come prevedibile, ancorché non condivisibile secondo chi commenta, Cass., sez. pen. III, 7 dicembre 2018, n. 10809 ha tentato un approccio intermedio, ovverosia “ è lecito vendere i prodotti derivati dalla coltivazione della canapa sativa, consentita dalla novella della L. 242/2016, purché gli stessi presentino una percentuale di THC non superiore allo 0,2 % [ quindi ] deve escludersi la rilevanza penale [ ex Art. 73 TU 309/90 ] della commercializzazione delle inflorescenze di canapa sativa, ove il principio attivo risulti inferiore allo 0,2 % “. In tutta sincerità, Cassazione 10809/2018 opera una mediazione scarsamente utile. Infatti, un semi-proibizionismo alla “ vedo – non vedo “ è privo di concretezza e di utilità empirica. Il THC è e rimane una sostanza assai pericolosa e giuridicamente opposta alla ratio salutistica suprema contenuta nel comma 1 Art. 32 Cost., che parla della tutela della salute “ come fondamentale diritto dell’ individuo ed interesse della collettività “. In buona sostanza, piaccia o non piaccia, l’ Art. 73 TU 309/90 vieta lo smercio di qualunque varietà di canapa, mentre la L. 242/2016 autorizza e, anzi promuove la coltivazione e la commercializzazione della canapa sativa e di molte altre varianti oleaginose e da fibra che, viceversa, integrano appieno il reato p. e p. ex Art. 73 TU 309/90. La L. 242/2016 ha recato ad una grave confusione interpretativa, giacché tali nuove norme sono conformi ad una legalizzazione che, viceversa, è contraddetta nelle Disposizioni penali del TU 309/90, a prescindere dalla varietà del tipo botanico. L’ unica eccezione ragionevole è quella degli “ scopi scientifici, sperimentali o didattici “ ex comma 2 Art. 26 TU 309/90 e, inoltre, rimane e deve rimanere intangibile l’ uso farmacologico del THC e del CBD per finalità medico-oncologiche, medico-analgesiche o, comunque, terapeutiche. D’ altronde, pure a livello di Storia del Diritto, il TU 309/90, sin dalla prima stesura, contiene, nella propria rubrica, i lemmi, certamente non casuali, “ prevenzione, cura e riabilitazione [ … ] degli stati di tossicodipendenza “. Tale espressione, anche sotto il profilo linguistico, rivela il fermo e costante proibizionismo del Dpr 309 del 1990, ma anche della Normativa previgente, ovverosia la L. 685/1975, la L. 297/1985 e la L. 176/1988. Dunque, l’ eccentrico liberismo della L. 242/2016 è profondamente anti-storico, in raffronto al valore del proibizionismo tipico del Diritto Penale italiano post-bellico in tema di sostanze d’ abuso e di stupefacenti per scopi meramente ludico-ricreativi.

La coltivazione di piante di canapa nel TU 309/90. Il sottile inganno antinomico e filo-europeista della L. 242/2016

La Giurisprudenza di legittimità, soprattutto negli Anni Duemila, ha accolto esclusivamente una nozione definitoria “ tipica “, quindi penalistica, in materia di piante psicotrope coltivabili. A tal proposito, Cass., sez. pen. IV, 14 aprile 2011, n. 27771 ha inteso sgomberare il campo da equivoci anti-garantistici, nel senso che “ sono soggette alla normativa che vieta la produzione e la circolazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope solo [ dicesi: solo, ndr ] quelle che risultano indicate nelle Tabelle allegate al TU 309/90 “. Similmente, Cass., SS.UU. 26 febbraio 2015, n. 29316 ha confermato che “ vige una nozione legale di stupefacente, per cui sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione soltanto [ dicesi: soltanto, ndr ] le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti, i quali [ … ] integrano il precetto penale di cui all’ Art. 73 TU 309/90, costruito con struttura di norma parzialmente in bianco “. Dunque, Cassazione 27771/2011 e Cassazione 29316/2015 risultano perfettamente e fedelmente conformi alla stretta tipicità del Diritto Penale, il quale rifugge da estensioni analogiche che creerebbero incertezza della pena ed anarchia repressiva. Pertanto, nella Prassi quotidiana, l’ illegalità o, viceversa, la legalità delle piante di canapa dipendono tassativamente, catalogicamente ed esclusivamente dalle Tabelle istituite ed aggiornate ai sensi degli Artt. 13 e 14 TU 309/90. Siffatta nozione legalmente tipica è stata riconfermata pure dalla Sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, che, pur abrogando parzialmente la L. 49/2006 ( poi sostituita dalla L. 79/2014 ), non ha novellato il sistema tabellare, seppur modificando taluni criteri tossicologico-forensi relativi all’ incasellamento amministrativo periodico delle sostanze da parte del Ministero della Salute. Quindi, in maniera sistematica e quasi algebrica, dopo il 2014, :

  1. il parzialmente novellato Art. 14 TU 309/90 vieta la coltivazione e lo smercio di ogni tipologia botanica della cannabis, dei suoi oli, delle sue inflorescenze ( fumabili ), delle sue resine ( anch’ esse fumabili ) e delle preparazioni medicali non a scopo analgesico o para-benzodiazepinico, il tutto indipendentemente dal tenore di THC e di CBD contenuto.
  2. il parzialmente novellato Art. 26 TU 309/90 ammette solo la coltivazione delle tipologie di canapa per la produzione di fibre o di materiali industriali. Oppure, ex comma 2 Art. 26 TU 309/90, è consentita la sperimentazione medico-universitaria del THC e del CBD, ma solo per finalità terapeutiche o farmacologiche serie e professionali.
  3. il parzialmente novellato Art. 73 TU 309/90, a seguito della Sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, vieta la coltivazione di qualunque tipologia della canapa, per usi non industriali, non tessili, non farmacologici e, soprattutto, tossicomaniacali, quindi totalmente irragionevoli.

Per la verità, la nuova L. 79/2014, che colma la vacatio normativa provocata da Corte Costituzionale n. 32/2014, ha espunto, nella Tabella II TU 309/90, l’ attributo botanico “ indica “. Dunque, nella nuova Normazione del 2014, il Legislatore ha deciso di non differenziare i vari tipi agronomo-naturalistici della canapa. La predetta omissione linguistica, secondo Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475, “ evidenzia la precisa volontà del legislatore del 2014 di qualificare la cannabis quel sostanza stupefacente in ogni sua varietà [ vegetale ]. Ciò si evince inequivocabilmente dalla L. 79/2014, che, nel convertire il DL 36/2014, ha operato una modifica di ordine sostanziale alla Tabella II, indicando la cannabis – ed i suoi derivati – senza effettuare alcun riferimento alla specie indica “. Un altro esempio di sfavore legislativo verso la canapa, in tutte le proprie varianti botaniche, consiste anche nel novellato n. 6) lett. a) comma 1) Art. 14 TU 309/90, che dichiara, seppur indirettamente, come illegali e non coltivabili, cedibili o commerciabili il delta-8-THC ed il delta-9-THC, qualificati come “ sostanze ottenute per sintesi o semi-sintesi che sono [ siano ] riconducibili, per struttura chimica o per effetti farmaco-tossicologici, al tetra-idro-cannabinolo “. Ecco, dunque, nuovamente confermato il sano e tradizionale proibizionismo del TU 309/90 ( anche ) nei confronti di tutte le varietà di cannabinoidi, tanto vegetali quanto sintetici. Le distinzioni su base botanica sono solo oziose e controproducenti. Anzi, il n. 1) lett. b) comma 1) Art. 14 TU 309/90 inserisce nella Tabella II non soltanto la cannabis, ma anche “ i prodotti da essa ottenuti “, il che significa, in ultima istanza, che la proibizione penale dell’ Art. 73 TU 309/90 afferisce anche alle foglie, alle inflorescenze, all’ olio ed alla resina di canapa indica, oppure sativa, senza alcuna superflua specificazione agronomica. L’ unica fessura esegetica non opportuna è stata il comma 1 Art. 26 TU 309/90, che introduce “ l’ eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’ Art. 27 TU 309/90, consentiti dalla normativa dell’ unione europea “. Tale comma 1 Art. 26 TU 309/90, novellato anch’ esso nel 2014, implicitamente ha aperto una porta alla dittatura europeista e quasi infantile, manifestatasi con la sciagurata nonché esterofila L. 242/2016.

Le pseudo-politiche agricole della L. 242/2016, ovvero: la dittatura dell’ Unione Europea e l’ autolesionismo del Diritto italiano in tema di canapa sativa.

Sin dal comma 1 Art. 1, la L. 242/2016 manifesta, con grande capacità retorica, il sottile inganno introdotto nell’ Ordinamento giuridico italiano, giacché tale ripudiabile Normazione, almeno a livello nominalistico, “ reca norma per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della cannabis sativa L, quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’ impatto  ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione “. Come si può notare, la ratio “ green “ della L. 242/2016 presenta la canapa sativa come se si trattasse di un rimedio rivoluzionario e come se i cannabinoderivati ad uso tessile ed agroalimentare rappresentassero la soluzione quasi magica ed automatica dei mille problemi del settore primario in Italia. Dopodiché, il comma 2 Art. 1 L. 242/2016 cita il Catalogo comune delle varietà botaniche ammesse nell’ Art. 17 della Direttiva 2002/53/CE del Consiglio d’ Europa del 13/06/2002. Tuttavia, l’ intento implicito è e rimane quello di introdurre una legalizzazione completa e svergognata della marjuana e dell’ haschisch. La L. 242/2016 costituisce una sorta di cavallo di Troia, grazie al quale far passare, presso l’ opinione pubblica, l’ idea di una cannabis “ new age “ innocua e, anzi, positiva dal punto di vista dell’ auto-rilassamento e della creazione di stati empatici o di altre finalità ludico-ricreative, soprattutto giovanili. Nella sua profonda potenzialità d’ inganno, la L. 242/2016, con un’ abnorme sfrontatezza filo-europeista, assimila la coltivazione delle piante oleaginose e da fibra ( 2002/57/CE ) a quella delle barbabietole ( 2002/54/CE ), delle piante foraggere ( 66/401/CEE ), delle sementi di cereali ( 66/402/CEE ) e dei tuberi-semi di patate ( 2002/56/CE ). Il messaggio populistico della L. 242/2016, in ultima analisi, consiste nella presunta innocuità della canapa. Pare quasi che tale scarsa piantagione sia improvvisamente divenuta assolutamente indispensabile per l’ industria tessile e per l’ assemblaggio di fibre ad uso edile. Parimenti, la politica pseudo-progressista sottesa alla L. 242/2016 esalta, sino al ridicolo, le eccelse proprietà agro-alimentari della canapa sativa. Non manca, come prevedibile, nella L. 242/2016, il rinvio espresso al Regolamento UE 1307/2013 del 17/12/2013, il quale prevede notevoli sostegni economici per gli agricoltori che utilizzano sementi atte a produrre piante di canapa munite di un tenore di THC inferiore o pari allo 0,2 %. Probabilmente, sarebbe stato eccessivamente palese consentire da subito un grado superiore di THC e di CBD. La demagogia predilige, infatti, il sorriso buonista e le riforme graduali. In terzo luogo, la L. 242/2016 richiama l’ Art. 9 del Regolamento UE 639/2014, che ammette, anche nell’ Ordinamento italiano, la coltivazione delle varietà botaniche contemplate dal Catalogo comune europeo; e ciò apre la strada alla cannabis light ed all’ insieme di falsità e di miti legati all’ uso ludico-ricreativo della canapa. La L. 242/2016 ha inteso nascondere i gravi effetti psico-distonici del THC, il quale non è affatto una droga “ leggera “, pur se esso manifesta i propri effetti collaterali nel medio/lungo periodo. Si consideri pure che la retorica della L. 242/2016 costituisce, in realtà, una ridondanza logica rispetto all’ Art. 26 TU 309/90, che già bastava, motu proprio, per giuridificare gli usi a-tipici ed eccezionali della canapa. Inoltre, nel TU 309/90, sono altrettanto consentiti gli usi terapeutici della cannabis. Dunque, l’ Ordinamento italiano non necessitava per nulla della traboccante sapienza contenuta nelle Direttive e nei Regolamenti dell’ UE, che spavaldamente ha sovvertito il proibizionismo di fondo del TU 309/90. La L. 242/2016 ha intaccato i delicati equilibri del TU 309/90, che era ed è più che autonomo e sufficiente al fine di normare un ambito estremamente delicato com’ è quello degli usi alternativi di piantagioni potenzialmente psicotrope.

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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