LE NOMINE DEGLI AMMINISTRATORI DELLE IPAB

Redazione 12/11/01
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Gli amministratori delle IPAB di nomina comunale e la legge 25 marzo 1993, n. 81

di DANILO CORRÀ, Segretario generale della Fondazione Groggia di Venezia – Formatore e consulente di enti non profit pubblici e privati
e-mail: danilo@unive.it
Tratto da Nuova Rassegna, 1994, n. 17, p. 1993 e s.

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Gli amministratori delle IPAB -3. Le nomine degli amministratori delle IPAB e la legge n. 81 del 1993. L’organo comunale competente – 4. Segue: Il problema della revoca degli amministratori delle IPAB di nomina comunale – 5. Il diverso ambito di applicazione delle norme sulle autonomie locali.
1. Premessa.
Con la legge 25 marzo 1993, n. 81, il legislatore ha attribuito al Sindaco ed al Presidente della Provincia alcuni compiti che la legge 8 giugno 1990, n. 142, aveva fatto rientrare tra le competenze dei rispettivi consigli.
Tra questi vanno ricordati, per quanto qui interessa, quelli relativi “alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del Comune e della Provincia presso enti, aziende ed istituzioni” (art. 13 della legge n. 81 del 1993, che sostituisce il comma 5 dell’art. 36 della legge n. 142 del 1990).
E noto, infatti, che molti consigli di amministrazione di IPAB sono in buona parte composti da membri di nomina comunale, cosicché una lettura coordinata delle disposizioni che ancora disciplinano l’attività delle IPAB (legge 17 luglio 1890, n. 6972, cosiddetta legge Crispi, e relativi regolamenti) e della più recente legislazione comunale e provinciale è necessaria, ai fini soprattutto della chiarezza dei rapporti tra enti cui la Costituzione (art. 5) attribuisce pari dignità.
2. Gli amministratori delle IPAB.
L’organo di amministrazione di un’IPAB è disciplinato dalle tavole di fondazione e/o dallo statuto, cui la legge (artt. 4 e 9 della legge n. 6972 del 1890) espressamente demanda ogni facoltà dispositiva.
La legge, pertanto, stabilisce i requisiti di accesso alla carica di amministratore e disciplina compiutamente le ipotesi di incompatibilità ed ineleggibilità e quelle di decadenza; detta inoltre precise norme sull’attività dell’organo di amministrazione e sulla responsabilità degli amministratori, ma nulla dispone in ordine alla composizione dell’organo stesso, che può, quindi, anche essere monocratico (art. 19 del R.D. 5 febbraio 1891, n. 99), né determina la sua durata e neppure il metodo di scelta degli amministratori (diretta o elettiva). Ciò significa che ciascuna istituzione è autonoma nella scelta della propria amministrazione, e che nessuna ingerenza esterna è consentita, se non prevista da precise disposizioni statutarie.
La questione è pacifica, e sia la dottrina che la giurisprudenza concordano in tal senso.
Le tavole di fondazione e/o gli statuti possono prevedere le più diverse composizioni del consiglio di amministrazione: a titolo esemplificativo, può ricordarsi la frequente previsione del parroco locale come membro di diritto, la presenza di amministratori di nomina comunale e provinciale, di nomina prefettizia, eletti dai soci, ecc.
Ciò che accomuna gli amministratori delle più diverse estrazioni è, oltreché ovviamente il fine di assistenza e beneficenza da perseguire, l’appartenenza ad un collegio che funziona con proprie, autonome regole, e che dal momento della propria costituzione agisce come un solo soggetto, secondo i principi propri dei collegi amministrativi. In particolare, lo status degli amministratori delle IPAB non può trovare disciplina in fonti diverse da quelle citate, poiché il sistema è un sistema chiuso: ciò che la legge Crispi non ritiene di dover disciplinare è demandato alle tavole di fondazione e/o agli statuti, e ad essi soltanto; in caso contrario, la necessaria autonomia dell’organo di amministrazione risulterebbe frustrata, dovendo piegarsi, ad esempio, alle diverse norme che regolano l’attività dei soggetti cui è attribuita la nomina o l’elezione dei membri e, conseguentemente, non potendo contare su regole uniformi.
In questo senso sembra deporre la disciplina che la legge Crispi (art. 32) detta in ordine alle ipotesi di decadenza cosiddetta sanzionatoria degli amministratori che senza giustificato motivo non intervengano alle sedute consiliari: la competenza a dichiararne gli effetti è infatti attribuita allo stesso consiglio di amministrazione, e non ai soggetti competenti alla nomina, né all’autorità tutoria, la quale può eventualmente soltanto promuovere la decadenza.
3. Le nomine degli amministratori delle IPAB e la legge n. 81 del 1993. L’organo comunale competente.
Nell’ipotesi, frequente, che alcuni (o tutti) i membri dell’organo di amministrazione di un’IPAB siano di nomina comunale, sorgono due problemi: il primo riguarda l’individuazione dell’organo comunale competente alla nomina; l’altro, la possibilità, per lo stesso, di revocare l’amministratore nominato.
Quanto alla prima questione, è necessario distinguere: se lo statuto dell’IPAB demanda sic et simpliciter al Comune la nomina di uno o più amministratori, deve ritenersi che ciò comporti un implicito rinvio alle norme che regolano l’attività comunale, e cioè agli artt. 32, lett. n), e 36 della legge n. 142 del 1990 come modificati, rispettivamente, dagli artt. 15 e 13 della legge n. 81 del 1993, oltreché allo statuto comunale (art. 4 della legge n. 142 del 1990): pertanto, la relativa competenza deve ritenersi appannaggio del Sindaco, che la esercita “sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio”.
Qualora, invece, lo statuto attribuisca tale competenza ad un altro organo comunale, sorge un dubbio interpretativo di non poco conto: può lo statuto di un’IPAB estendere la propria efficacia sino al punto di prevalere sulle disposizioni di una legge statale?
Si ritiene che la risposta debba, nella fattispecie in esame, essere positiva. La legge Crispi, infatti, che è legge speciale, contiene, si è visto, una vera e propria “riserva di statuto” per quanto riguarda “la nomina e la rinnovazione degli amministratori di un’IPAB” (art. 9); le corrispondenti disposizioni statutarie devono, pertanto, ritenersi a loro volta “norme speciali”, ossia norme che, limitatamente alla materia loro demandata, non ammettono fonti concorrenti.
La legge Crispi contiene, in tal senso, una disposizione il cui tenore conferma l’assunto sopra esposto: l’art. 52, infatti, fa menzione di “statuti speciali aventi forza di legge”.
Se quanto sin qui sostenuto è corretto, le norme statutarie dell’IPAB prevalgono anche su quelle statutarie comunali, e ciò in virtù della specialità che, per la materia loro demandata, le caratterizza.
D’altra parte, se il legislatore Crispino non avesse attribuito agli Statuti delle IPAB tale forza normativa, avrebbe creato una forma senza contenuto: poiché gli Statuti possono prevedere una vastissima gamma di soggetti competenti alla nomina degli amministratori, il rimettere agli stessi la determinazione dell’organo competente o addirittura la facoltà di decidere se provvedere o meno alla nomina avrebbe gravemente pregiudicato la funzionalità dell’organo di amministrazione dell’IPAB.
4. Segue: Il problema della revoca degli amministratori delle IPAB di nomina comunale.
La seconda questione, di cui si è più sopra fatto menzione, concerne la revoca degli amministratori di un’IPAB.
Anche in questo caso è necessario distinguere: se lo statuto dell’IPAB ne disciplina la fattispecie, nulla quaestio; se invece tace sui punto, la questione dev’essere affrontata facendo riferimento a fonti diverse.
L’art. 36, comma 5, della legge n. 142 del 1990 (come novellato dall’art. 13 della legge n. 81 del 1993) attribuisce, si è visto, al Sindaco la competenza in ordine “alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del Comune (…) presso enti, aziende ed istituzioni”; dato per acquisito quanto si è più sopra ribadito circa la titolarità o meno del Sindaco in ordine a tali competenze, si deve ora circoscrivere l’attenzione alla possibilità di revoca degli amministratori di un’IPAB.
Se lo statuto dell’IPAB (come si riscontra nella pratica) prevede la durata del consiglio di amministrazione, non si vede come il Sindaco (o chi per esso) possa influire sulla stessa, privando l’organo di uno (o più d’uno; anche di tutti, se il consiglio e interamente nominato dal Comune) dei propri membri. La revoca, poi, dovrebbe essere congruamente motivata, in quanto provvedimento che incide negativamente sul proprio destinatario, e comunque ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, ma non si vede quale motivazione potrebbe essere ritenuta sufficiente per provvedervi. Non la mancata presenza alle sedute del consiglio di amministrazione, poiché la legge, si é visto, già vi provvede (art. 32, n. 3, della legge Crispi); non il mancato perseguimento delle finalità dell’IPAB o la violazione delle norme che disciplinano l’attività del consiglio, poiché a vigilare su di essa è chiamato, in base ai principi generali, il Presidente dell’IPAB; non per motivi stricto sensu politici, poiché gli amministratori di un’IPAB sono chiamati ad un’attività qualificata in senso tecnico, e non politico. Non restano che le ipotesi in cui l’amministratore o gli amministratori contravvengano a disposizioni di legge, di statuto o di regolamento. Senonché, per tali ipotesi, la legge prevede che sia l’autorità tutoria (Prefetto o, se l’IPAB è infraregionale, l’organo regionale competente, ai sensi dei decreti del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 9, e 24 luglio 1977, n. 616) ad intervenire: o nei confronti del singolo amministratore (art. 17 della legge n. 6972 del 1890 e art. 20 del R.D. n. 99 del 1891), o dell’intero collegio (art 44 e segg. della legge n. 6972 del 1890), con un intervento classificabile tra i controlli sugli organi, la cui titolarità in capo all’autorità tutoria è stata ribadita in tempi recenti anche dalla Corte Costituzionale.
5. Il diverso ambito di applicazione delle norme sulle autonomie locali.
Deve, pertanto, ritenersi che l’art. 36, comma 5, della legge n. 142 del 1990 (come novellato dall’art. 13 della legge n. 81 del 1993) non abbia tra i propri destinatari enti autonomi quali sono le IPAB, bensì enti strumentali del Comune, o comunque sottoposti alla sua vigilanza, come sembra confermare anche l’art. 23 della legge n. 142 del 1990 che, nel disciplinare le aziende speciali e le istituzioni (e non sembra casuale che la norma prima ricordata disciplini la revoca dei rappresentanti comunali “presso enti, aziende ed istituzioni”), prevede che “le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dallo statuto dell’Ente locale”.
A quanto sin qui esposto deve aggiungersi la considerazione che gli amministratori di un’IPAB nominati dal Comune non possono ritenersi rappresentanti del Comune stesso o del Consiglio comunale, secondo l’espressione della legge sulle autonomie locali, bensì rappresentanti della più ampia collettività che al Comune è territorialmente collegata, e ciò conferma la tesi sin qui sostenuta, che altri cioè sono gli enti rientranti nella disciplina dell’art. 36, comma 5, della legge n. 142 del 1990 (come novellato dall’art. 13 della legge n. 81 del 1993), sul quali il Comune esercita una diversa ingerenza.
Se tale assunto è valido, anche li comma 5-bis dell’art. 36 della legge n. 142 del 1990 (introdotto dall’art. 13 della legge n. 81 del 1993), ovviamente, non deve, salvo espresso richiamo statutario dell’IPAB, riferirsi alle IPAB. In particolare, il termine di 45 giorni assegnato al Sindaco per rinnovare le cariche presso gli enti di cui al comma precedente non deve ritenersi direttamente conseguente al collegamento tra la durata in carica del consiglio di amministrazione dell’IPAB e quella dell’Amministrazione comunale che, si ripete, se non espressamente previsto dallo statuto dell’IPAB, non può ammettersi, in quanto lesivo dell’autonomia dell’istituzione e preclusivo di una seria programmazione in un settore tanto delicato qual è quello dell’assistenza e della beneficenza.

DANILO CORRÀ

Redazione

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