Le dichiarazioni da rendere ai sensi dell’art. 38, d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e, in precedenza, dall’art. 75 comma 1 lett. c) d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 (per i lavori), dall’art. 12 del d.lgs. 157/95 (per i servizi) e dall’art. 11 del d.lgs. 358/92

Lazzini Sonia 22/09/11
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Le dichiarazioni da rendere ai sensi dell’art. 38, d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e, in precedenza, dall’art. 75 comma 1 lett. c) d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 (per i lavori), dall’art. 12 del d.lgs. 157/95 (per i servizi) e dall’art. 11 del d.lgs. 358/92 (per le forniture), compresa quella riguardante la posizione dell’amministratore o rappresentante deceduto nel triennio, sono obbligatorie.

L’art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 – Codice dei contratti pubblici, che recepisce sostanzialmente le disposizioni previgenti, è stato interpretato in modo analogo dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo C.d.S., sez. V, 7 ottobre 2009, n. 6114; C.G.A., 11 aprile 2008, n. 312), secondo cui:

a) per le società e gli enti l’obbligo di dichiarare l’assenza del c.d. “pregiudizio penale” concerne tutti i soggetti, in atto, muniti dei poteri di rappresentanza, anche institoria o vicaria, ovvero il direttore tecnico, nonché tutti i soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la pubblicazione del bando, indipendentemente dalla circostanza che non abbiano materialmente speso i loro poteri nella specifica gara;

b) tale obbligo, espressivo di principi fondamentali di ordine pubblico, in caso di previsioni generiche della lex specialis, ne consente la eterointegrazione, ove manchino clausole esplicite con esso contrastanti;

c) l’obbligo della dichiarazione può ritenersi assolto dal legale rappresentante dell’impresa, con la specifica indicazione degli altri soggetti in carica, muniti di rappresentanza, immuni dai c.d. “pregiudizi penali”.

La ratio della norma è quella di tutelare il buon andamento dell’azione amministrativa per evitare che l’amministrazione entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale; pertanto, la disposizione va interpretata nel senso che impone di estendere l’accertamento del possesso del requisito della moralità professionale in capo a qualsiasi persona fisica che sia dotata di poteri così ampi da consentire di obbligarsi, validamente, per conto della società.

In altri termini, occorre avere riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto, più che alle qualifiche formali, altrimenti la ratio legis potrebbe venire agevolmente elusa e dunque vanificata.

Sotto tale angolazione l’obbligo è stato riferito, ai sensi dell’art. 2203 c.c., anche all’institore; quest’ultimo, infatti, è preposto dall’imprenditore all’esercizio di un’impresa commerciale, ovvero di una sua sede secondaria o di un suo ramo particolare; può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto ed ha un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore, con esclusione dei soli atti di alienazione o di ipoteca dei beni immobili del preponente, limitabile esclusivamente mediante atto scritto opponibile ai terzi nei modi stabiliti dalla legge.

Alla stregua delle coordinate ermeneutiche tracciate deve vagliarsi la fondatezza delle censure in esame, che denunciano la mancanza della dichiarazione di moralità da parte della figura del responsabile tecnico.

In realtà tale figura non è assimilabile, per tipologia di compiti e per i poteri ad esso attribuiti, alla figura del direttore tecnico peraltro tipica negli appalti di lavori pubblici, il quale è espressamente menzionato nell’articolo 38 quale soggetto tenuto alla dichiarazione di moralità.

I requisiti soggettivi di partecipazione alla gara non possono essere interpretati in modo estensivo o analogico, poiché le imprese devono essere messe in condizione di conoscere con certezza quali sono gli adempimenti occorrenti a soddisfare le prescrizioni previste per legge, pena la lesione della trasparenza delle regole di gara e, per conseguenza, della par condicio competitorum. Pertanto, le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l’esigenza della più ampia partecipazione. Ne consegue che le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato comunitario (tra molte: Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2005 n. 5194; V, 13 gennaio 2005 n. 82; IV, 15 giugno 2004 n. 3903; VI, 2 aprile 2003 n. 1709).

In virtù delle medesime considerazioni non è parimenti condivisibile la tesi secondo cui l’obbligo dichiarativo in parola dovrebbe riconoscersi anche in capo agli amministratori di società che siano state fuse o incorporate con la società concorrente alla gara nel triennio antecedente.

Sul punto vale ribadire l’orientamento espresso dalla Sezione (Tar Campania, sent. n. 19865 del 2008) secondo cui manca nel codice appalti una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici della cedente sia ai debiti tributari e previdenziali dalla stessa contratti, mentre l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo di azienda successiva alla aggiudicazione della gara. Ne discende che in assenza di tale norma e per il principio di soggettività e personalità della responsabilità non può essere esclusa l’impresa cessionaria del ramo d’azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente (cfr. C.d.S. 3213 del 2010).

Sentenza collegata

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