L’avvocato non può considerarsi “consumatore” se stipula un contratto per lo studio professionale

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I contratti per lo studio (luce, gas, telefono, assicurazione, ecc.) sono atti “professionali” e agli stessi, pertanto, non si applica il cd. foro del consumatore.

E’ noto che il Codice del Consumo (D.Lgs. 6.9.2005 n. 206) definisce “consumatore” la persona fisica che agisce e stipula contratti per scopi estranei alla attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, mentre assume la qualità di “professionista” la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività professionale o imprenditoriale.
Tuttavia parte della dottrina e della giurisprudenza hanno ritenuto come, ai fini della distinzione tra consumatore e professionista, bisognerebbe avere riguardo agli atti concretamente posti in essere. In altri termini, distinguere tra “atti della professione”, quelli con i quali il soggetto effettivamente esercita la professione e che, pertanto, si pongono al di fuori dell’alveo del consumatore, e quelli “relativi alla professione”, vale a dire quelli che, quand’anche posti in essere nell’ambito professionale, hanno un oggetto che non è estrinsecazione della professione e che, quindi, devono considerarsi atti del consumatore.
Il nostro ordinamento (artt. 1341 e segg. Cc) riserva un trattamento di maggior favore nei riguardi del consumatore, siccome ritenuto contraente “debole” e, pertanto, meritevole di una particolare tutela.
La differenza, quindi, non è di poco conto è comporta rilevanti conseguenze sul piano giuridico, oltre che pratico, prima tra tutti l’applicabilità o meno del cd. foro del consumatore (art. 33, co. 2, lettera u, D.Lgs. 6.09.2005, n. 206), vale a dire il luogo in cui si radica la competenza territoriale, nel caso concreto, il luogo di residenza o di domicilio del consumatore, foro che prevale su tutti gli altri eventualmente stabiliti, sancendo una competenza esclusiva e inderogabile.

Motivi in fatto

Ciò posto, con la sentenza oggi in commento è stato stabilito che, affinché un contratto possa considerarsi stipulato da un “professionista”, con tutte le conseguenze in ordine all’inapplicabilità delle regole dettate dal Codice del Consumo, occorre verificare se questo ha ad oggetto il compimento di un “atto della professione”.
Vale a dire che, per assumere la qualità di professionista, è sufficiente che il contratto sia stato concluso per soddisfare un’esigenza anche meramente connessa ovvero accessoria rispetto all’attività imprenditoriale o professionale esercitata.
Pertanto il contratto di somministrazione di luce, gas o servizi telefonici stipulato dall’avvocato per il proprio studio professionale, siccome atto della professione, farà acquisire allo stesso la qualità di professionista, conseguentemente, la competenza territoriale dovrà essere individuata secondo i criteri generali stabili dal codice di procedura civile (artt. 18 e segg. Cpc) ovvero in relazione a quella eventualmente indicata in contratto.
Sulla scorta di ciò la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22810, Relatore dott. M. Rossetti, pubblicata in data 26 settembre 2018, ha accolto il ricorso di una compagnia telefonica stabilendo come la competenza territoriale nel giudizio per risarcimento danni da omessa attivazione della linea telefonica dello studio, intentato da un avvocato nei confronti del fornitore del servizio, non fosse da individuarsi nel domicilio dell’avvocato, bensì nel foro indicato nel contratto di telefonia sottoscritto.
Un avvocato citava in giudizio la compagnia telefonica con la quale aveva stipulato un contratto per l’attivazione dell’utenza telefonica presso il proprio studio legale.
Tuttavia, riferiva che la stessa si era resa inadempiente causando <<disservizi alla linea telefonica, per mancata attivazione del servizio “ISDN”>>.
In virtù di ciò chiedeva, previa risoluzione del contratto, il risarcimento del danno subito.
Si costituiva in giudizio la compagnia telefonica eccependo, preliminarmente, l’incompetenza territoriale dell’adito Tribunale di Monza, in favore del Tribunale di Roma, foro contrattualmente stabilito e chiedeva, comunque, il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Monza respingeva l’eccezione di incompetenza territoriale e condannava la compagnia telefonica a risarcire l’attore.
Sul gravame proposto dalla compagnia telefonica la Corte d’appello di Milano respingeva sostanzialmente l’appello, ritendo infondata l’eccezione di incompetenza territoriale con conferma dell’esistenza di un danno all’immagine professionale dell’avvocato, cagionata dall’indisponibilità del servizio telefonico.
Propone ricorso per cassazione la società telefonica eccependo, tra l’altro, la violazione degli artt. 18, 19, 20, 28 Cpc e 1326, 1341, 1342 e 1469 bis Cc, per avere la Corte di merito erroneamente applicato il cd. “foro del consumatore”, vale a dire il luogo di domicilio dell’avvocato.
La Corte di Cassazione rileva come la Corte d’Appello, così come il Tribunale, ha rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale ritendo come la stipula del contratto telefonico per lo studio legale non fosse un <<atto professionale>> e che, pertanto, l’avvocato, pur essendo un professionista, fosse da considerarsi <<soggetto economicamente più debole della controparte>>.

Motivi in diritto

Il Giudice di legittimità ritiene che nelle suddette motivazioni siano riscontrabili due errori di diritto.
Il primo errore: <<Ritenere che possa considerarsi contratto “del professionista”, ai fini dell’applicabilità delle regole dettate dal codice del consumo (d. Igs. 6.9.2005 n. 206), solo quello che ha ad oggetto il compimento d’un “atto professionale”. Tale affermazione contrasta col consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui per assumere la qualifica di professionista, ai sensi e per i fini di cui all’art. 3 del d. Igs. 6 settembre 2005, n. 206, non è necessario stipulare un contratto che costituisca di per sé esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, ma è sufficiente che il contratto sia stipulato al fine di soddisfare interessi anche solo connessi od accessori rispetto allo svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale.>>.
Tanto è vero che, continua la Suprema Corte, in conformità con il predetto principio, a titolo di esempio, è stata negata la qualità “consumatore”, idonea ad invocare il foro di residenza o domicilio dell’attore: <<(a) [al]l’avvocato che abbia acquistato riviste giuridiche in abbonamento o programmi informatici per la gestione di uno studio legale (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 17466 del 31/07/2014, Rv. 631788 – 01); (b) [al]la persona fisica che, pur avendo concluso un contratto di apertura di credito in nome proprio, abbia però ottenuto il finanziamento non per sé ma in favore della società di cui era amministratore (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21763 del 23/09/2013, Rv. 627977 – 01); (c) [al]l’imprenditore od il professionista che abbia stipulato un contratto di assicurazione per la copertura dei rischi derivati dall’attività dell’azienda (Sez. 3, Sentenza n. 4208 del 23/02/2007, Rv. 595519 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 23892 del 09/11/2006, Rv. 592667 – 01); (d) [al] fideiussore che abbia prestato garanzia in favore di un imprenditore, per un debito d’impresa (Sez. 3, Ordinanza n. 13643 del 13/06/2006, Rv. 590625 – 01); (e) infine, e costituisce un precedente in terminis rispetto all’odierno ricorso, merita di essere ricordato il decisum di Sez. 3, Sentenza n. 11933 del 22/05/2006, Rv. 589986 – 01, la quale ha escluso che potesse considerarsi “consumatore” l’avvocato che aveva stipulato un contratto di utenza telefonica con riferimento ad un apparecchio del quale faceva uso anche per l’esercizio della sua attività professionale.>>.
Orbene, continua la stessa, dai precedenti ricordati emerge come è atto compiuto del professionista <<non solo quello che costituisca di per sé esercizio della professione, ma anche quello legato alla professione da un nesso funzionale.>>.
Conseguentemente, l’avvocato compie atti della professione tali da qualificarlo come “professionista” – con inapplicabilità del foro del consumatore – <<non solo [quando] stipula col cliente del contratto di mandato o di consulenza, ma anche [quando] stipula di tutti i contratti necessari od utili per il compimento degli atti professionali: quali, ad esempio, l’acquisto di testi giuridici; la stipula di un’assicurazione della responsabilità civile professionale; l’appalto dei servizi di pulizia dello studio professionale; la somministrazione di luce, gas o servizi telefonici per lo studio professionale.>>.
Appare evidente, infatti, che l’utilizzo del telefono all’interno dello studio legale è funzionale all’esercizio della professione, di talché l’inapplicabilità della disciplina prevista per i contratti stipulati dal consumatore alla fattispecie concreta.
Il secondo errore: <<l’affermazione secondo cui la disciplina dettata dal d. Igs. 206/05 per i contratti stipulati dal consumatore dovrebbe comunque trovare applicazione, nel caso di specie, dal momento che l’attore …. era un soggetto “economicamente e contrattualmente debole” rispetto alla controparte … .>.
Ebbene, un tale regola non esiste, afferma laconicamente la Suprema Corte.
Ed invero l’art. 3, co. 1, lettera a, D.Lgs. 206/2005, definisce “consumatore o utente” la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, pertanto, alcun riferimento viene fatto <<alle condizioni economiche delle parti, al loro potere commerciale, alla loro forza o capacità di imporre all’altra condizioni più o meno svantaggiose per l’aderente.>>.
Tanto è vero che, <<le differenze economiche esistenti tra le parti di un contratto, da sole, non giustificano l’applicazione delle norme dettate per i contratti dei consumatori; né esiste nell’ordinamento alcuna corrispondenza biunivoca tra la nozione di “professionista” e quella di “soggetto forte” del rapporto contrattuale, come già affermato da questa Corte (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15391 del 26/07/2016, Rv. 641154 – 01).>>.
In definitiva il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, conseguentemente, deve essere dichiarata la competenza del Tribunale di Roma, con condanna dell’originario attore al pagamento delle spese dei tre gradi di giudizio.

 

Avv. Accoti Paolo

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