L’Autotutela nel Diritto Tributario

Redazione 22/10/01
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di Aldo Battista

SOMMARIO: 1. Il problema – 2. La finalità dell’autotutela – 3. Ambito di applicazione – 4. Il procedimento – 5. Diritto del contribuente o dovere dell’ufficio – 6. Conclusioni

1. Il problema
L’istituto dell’autotutela o jus poenitendi consiste nel potere dell’amministrazione finanziaria di annullare o di revocare un suo atto perché ritenuto privo di fondamento e legittimità. Tale istituto trae origine dal diritto amministrativo in cui l’autotutela viene intesa come la capacità dell’ente di “farsi ragione da sé” in via amministrativa e, ovviamente, rispettando il principio di legalità[1].
Al fine di semplificare l’analisi, applicando il metodo genere-specie, il potere di autotutela può essere considerato come un caso di genere scindibile in due casi di specie:

1. autotutela ai fini di sanatoria: si ha quando un atto viziato viene annullato e riemesso in assenza del vizio che aveva precedentemente; questa facoltà è esercitabile purché non siano trascorsi i termini di decadenza per la notifica degli atti impositivi;

2. autotutela a favore del contribuente: costituisce la facoltà dell’amministrazione di annullare atti che risultano illegittimi o infondati.

Di seguito verrà trattato del potere di autotutela della seconda categoria, quello che è stato introdotto con il DPR 27.3.1992, n. 287 all’art. 68, c. 1 ma solo con il DL 30.09.1994, n. 564 convertito nella L. 30.11.1994, n. 656 si hanno ulteriori disposizioni e precisazioni con specifico riferimento all’amministrazione finanziaria. Sulla base di queste disposizioni, la dottrina ritiene che il potere di autotutela possa manifestarsi sotto diversi aspetti, quelli che hanno carattere generale sono:

1. il potere di annullamento di ufficio: consiste nel ritiro con efficacia ex tunc dell’atto inficiato da un vizio di legittimità (violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere);

2. il potere di revoca: ritiro di un atto inopportuno o infondato per una diversa valutazione delle esigenze che sono alla base della emanazione dell’atto;

3. il potere di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento[2].

Per quanto riguarda il potere di revoca è possibile distinguere a seconda che oggetto di revoca sia un atto a carattere generale oppure un atto particolare. Nel primo caso la revoca opera con efficacia ex nunc; nel secondo caso opera con efficacia ex nunc se l’atto da revocare è a favore del contribuente, opera con efficacia ex tunc se l’atto è sfavorevole al contribuente.

Obiettivo di questo lavoro è quello di inquadrare la disciplina dell’autotutela nell’ambito del diritto tributario alla luce della L. 30.11.1994, n. 656, e del relativo provvedimento di attuazione, DM 11.2.1997, n. 37.

2. La finalità dell’autotutela
I principi ispiratori del potere di autotutela si possono ricondurre alla “esigenza di rapidità, di intervento, di rendimento più utilitario” con l’obiettivo di tendere ad un “effettivo pacifismo anti-giurisdizione”[3]. Alla base del provvedimento di autotutela deve porsi una “motivazione inerente a ragioni di pubblico interesse”[4]. Per pubblico interesse si può far riferimento, tra l’altro, al principio costituzionale di effettività della capacità contributiva, art. 53 CI, secondo il quale al contribuente può essere chiesto di pagare solo in base alla propria effettiva capacità contributiva e non più di quanto effettivamente dovuto[5].
E’ possibile, anche, fare riferimento al principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione stabilito dall’art. 97 CI, il quale sta a significare, non solo svolgimento formalmente corretto dell’azione amministrativa, ma, anche, rispetto del principio di economicità[6]. In base ad esso, e a quanto richiamato dalla L. 30.11.1994, n. 656, l’amministrazione “inizia o abbandona l’attività amministrativa” per fattori “legati al rapporto costi/benefici” superando il “dogma della indisponibilità dell’obbligazione finanziaria”[7]. Si deve inoltre valutare la convenienza in termini di costi e ricavi al proseguimento della lite, considerando anche le eventuali spese che l’erario dovrebbe pagare in base al principio di soccombenza.

Un ulteriore obiettivo attribuito all’autotutela è quello di ridurre la massa globale del contenzioso. Quando l’ufficio è “convinto dell’erroneità o infondatezza della pretesa fiscale” appare opportuno che esso “non insista in un infruttuoso contenzioso” anche perché trova applicazione l’art. 96 cpc sulla lite temeraria con la conseguenza che l’ufficio potrebbe essere obbligato al risarcimento dei danni[8]. Per la grande quantità di ricorsi che le segreterie delle commissioni tributarie devono gestire e in tutti quei casi in cui l’atto impositivo risulta privo di logica, infondato o illegittimo, lo strumento dell’autotutela risulta essere molto efficace[9].

3. Ambito di applicazione
Gli atti sui quali gli uffici possono esercitare il potere di autotutela, in ambito tributario, sono in linea generale, quelli espressamente indicati dall’art. 19, c. 1, del Dlgs 31.12.1992, n. 546, cioè gli atti accertativi, quelli esecutivi, i dinieghi o i mancati rimborsi contro i quali sarebbe stato ammissibile il ricorso del contribuente in commissione tributaria.
Per quanto riguarda le ipotesi in cui è possibile l’autotutela, bisogna riferirsi a quanto espresso dall’art. 2, c. 1 del DM 11.2.1997, n.37:

1. errore di persona;

2. evidente errore logico o di calcolo;

3. errore sul presupposto dell’imposta;

4. doppia imposizione;

5. mancata considerazione di pagamenti d’imposta, regolarmente eseguiti;

6. mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;

7. sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;

8. errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione.

Al contrario, non è suscettibile di annullamento o rinuncia all’imposizione l’atto sul quale sia intervenuta una sentenza passata in giudicato a favore dell’amministrazione e per i motivi addotti dal giudice adito[10]. Tuttavia per tali atti appare ancora ammissibile il potere di revoca ma, comunque, si deve tenere presente che l’autotutela potrebbe ancora applicarsi nei casi previsti dall’art. 395 cpc, cioè quando spetta al contribuente il potere di impugnare per revocazione le sentenze con la conseguenza che l’amministrazione subirebbe quei danni anche economici che l’esercizio del potere di autotutela vuole evitare.

4. Il procedimento
All’interno del procedimento per ottenere il provvedimento di autotutela è possibile distinguere, tra le altre, la fase dell’iniziativa. In particolare, essa, può venire dall’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo, dalla direzione regionale o compartimentale dalla quale l’ufficio dipende, in caso di grave inerzia dell’ufficio o su proposta del contribuente. Si può porre il problema se l’iniziativa del contribuente generi o meno un obbligo per l’ufficio che ha emesso l’atto, o costituisca il presupposto per la formazione del silenzio rifiuto.
5. Diritto del contribuente o dovere dell’ufficio.
Un orientamento dottrinale sostiene che l’autotutela costituirebbe una facoltà della pubblica amministrazione che si esplica mediante un atto amministrativo discrezionale che vuole correggere errori commessi; essa, pertanto, costituirebbe “esercizio di discrezionalità amministrativa”[11]. Da quanto affermato, discende che non è esatto sostenere che l’autotutela costituisca un diritto del contribuente: essa appare come un potere dell’amministrazione a cui non corrisponde alcun diritto soggettivo[12].
Questo orientamento genera perplessità sia sotto il profilo pratico, sia sotto il profilo teorico.

Dal punto di vista pratico si nota che, se l’amministrazione avesse la mera facoltà di adottare il provvedimento di autotutela, si potrebbero verificare disparità di trattamento tra diversi contribuenti che si trovino nelle medesime situazioni di fatto. Poniamo il caso di due contribuenti ai quali viene notificato un identico atto viziato per errore di calcolo. Al primo di essi viene emanato d’ufficio un provvedimento di autotutela senza che quindi il contribuente abbia dovuto compiere nessuna attività per far annullare quell’atto. Il secondo contribuente, invece, pur trovandosi nelle medesime condizioni, è costretto a ricorrere alla commissione tributaria poiché l’ufficio non ha emanato un provvedimento di autotutela né su propria iniziativa, né su istanza dell’interessato: al potere discrezionale dell’amministrazione non corrisponderebbe quindi alcun diritto del contribuente. Nell’esempio riportato è stato previsto che non siano trascorsi i termini di decadenza per l’impugnativa ma potrebbe accadere che, trascorsi tali termini, diventi definitivo per il secondo contribuente l’atto viziato da errore di calcolo.

Dal punto di vista teorico, deve considerarsi che l’unico argomento che può essere invocato a favore dell’orientamento secondo il quale l’autotutela sarebbe mera discrezionalità è la lettera della norma, laddove all’art. 2, c. 1, DM 11.2.1997, n. 37, viene stabilito che “l’Amministrazione finanziaria può procedere …” all’autotutela. Questa interpretazione, fondata solo sul dato letterale, non è sufficiente neanche se la norma è apparentemente di chiaro significato[13]. Rimane, infatti, da stabilire innanzitutto se alla espressione “può procedere” debba essere attribuito il significato di mera facoltà o di potere-dovere e, inoltre, occorre tener presente che l’interpretazione delle norme, non può essere compiuta con l’adozione del solo criterio letterale ma, a norma dell’art. 12 DLG, deve essere condotta con la congiunta applicazione di tutti i criteri legali.

Un’interpretazione sistematica delle norme sull’autotutela nel diritto tributario induce a rilevare che le stesse non contengono alcuna limitazione alla doverosità degli atti che la pubblica amministrazione compie in applicazione di una precisa normativa. Posto quindi che la pubblica amministrazione ha il dovere di emanare gli atti previsti dalla legge, nei termini, nelle forme e secondo i criteri dalla stessa legge prescritti, ove essa rilevi che tali prescrizioni non siano state rispettate (per colpa o magari per caso fortuito) ha il dovere di adottare i provvedimenti amministrativi necessari per ricondurre la situazione a normalità. La pubblica amministrazione ha, cioè, il dovere di adottare un provvedimento di annullamento (autotutela) e di emanare nuovamente l’atto in maniera conforme ai dettami della legge[14]. L’orientamento avverso, sotto il profilo sistematico, si fonda, invece, sul convincimento che le norme che regolano l’autotutela sono in deroga alle norme che disciplinano il procedimento tributario.

Ulteriore elemento da tenere in considerazione è la ratio della norma. Come già è stato sostenuto, l’autotutela è ispirata al principio di buon andamento della pubblica amministrazione e al principio di economicità, entrambi fonte di doveri dell’amministrazione.

L’autotutela quale potere-dovere trova conforto in alcune sentenze in cui si sostiene che “è preciso obbligo dell’ufficio finanziario, nell’esercizio dei suoi poteri di autotutela, di eliminare errori propri o del contribuente, quando esso stesso li rilevi o quando tali errori siano portati a sua conoscenza”[15]. Oppure che “l’ufficio, nell’esercizio del suo potere di autotutela, è tenuto ad eliminare errori propri o del contribuente …”[16]. Il “preciso obbligo” così come il verbo “è tenuto” dimostrano come anche in giurisprudenza si ritiene che si tratti di dovere dell’amministrazione ad esercitare l’autotutela e non di mera facoltà.

Dall’analisi condotta, emerge che l’autotutela consista in attività amministrativa vincolata, intendendo per essa, quella “posta in essere nell’esercizio di un potere che comporta una preliminare attività di mero accertamento di presupposti di fatto”[17] o in subordine un potere discrezionale che attribuisce al contribuente un “interesse legittimo a che l’amministrazione eserciti in modo ragionevole e non arbitrario il proprio dovere di autotutela”[18]. La parola discrezionalità non deve confondersi con l’agire a discrezione, ma deve intendersi, in senso giuridico, come una scelta motivata, razionale, non iniqua, non contraddittoria, non incoerente[19]. Da ciò consegue che più che di una semplice facoltà dell’amministrazione, si deve parlare di un vero e proprio dovere di emanare il provvedimento di autotutela ove ne ricorrono i presupposti, a cui corrisponde un interesse del contribuente[20].

Il giudizio sulla doverosità dell’esercizio dell’autotutela spetta al giudice amministrativo il quale deve “stabilire se l’amministrazione abbia conciliato in modo razionale e non arbitrario” gli interessi in gioco[21].

6. Conclusioni.
Dall’analisi condotta appare evidente come l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto dell’autotutela sia stata opportuna al fine di raggiungere l’obiettivo di efficacia e efficienza dell’azione della pubblica amministrazione. Ciò, sia al fine di un miglioramento dei rapporti tra amministrazione e contribuente, sia al fine di limitare il contenzioso tributario a quanto effettivamente necessario.
Si deve, però, effettuare un’ulteriore considerazione: ritenere l’autotutela una semplice facoltà dell’amministrazione a cui non corrisponde alcuna tutela del contribuente, rischia non solo di vanificare tutti gli auspici del legislatore e di ledere il principio costituzionale di uguaglianza formale[22] ma anche di esporre la pubblica amministrazione a responsabilità patrimoniali per il mancato compimento di atti dovuti. Giova sottolineare come debba auspicarsi che “la mancanza di tutela giurisdizionale non faccia rimanere l’autotutela lettera morta oppure che non la trasformi in un terno al lotto, affidato alla casuale intraprendenza o benevolenza di qualche funzionario”[23]. La stessa mancanza di tutela giurisdizionale deve essere temperata dalla considerazione che, al ricorrere dei relativi presupposti legali, spetta al contribuente la possibilità di esperire l’azione di arricchimento senza causa contro l’amministrazione e quella di responsabilità nei confronti della stessa amministrazione o del funzionario ex art. 28 CI[24]. Non è, quindi, condivisibile, per i motivi appena esposti, la tesi dell’inapplicabilità dell’autotutela quando l’atto sia divenuto definitivo, in considerazione del fatto che, indipendentemente dalla definitività dell’atto, l’autotutela è dovuta ove ne ricorrono i presupposti, quando cioè l’amministrazione abbia emanato atti non conformi alla legge[25].

In conclusione, è possibile evidenziare come le norme sull’autotutela siano integrative di quelle generali e non derogatorie ad esse. Questo, sia per motivi di gerarchia delle fonti (il DM 11.2.1997, n. 37 ha valore di regolamento, come tale subordinato, ex art. 3 DLG, alle norme aventi forza di legge che disciplinano la emanazione dei singoli atti del procedimento tributario), sia per la mancanza di un contrasto tra norme (le norme contenute nel DM 11.2.1997, n. 37 non dettano disposizioni incompatibili, ex art. 15 DLG, con quelle dettate dalle singole leggi d’imposta). L’istituto dell’autotutela è stato disciplinato da un regolamento che, conseguentemente, è subordinato alla legge tributaria e non a questa sovraordinato. Seppur, per assurdo, così fosse, il regolamento non introduce elementi di contrasto con la legge, quindi non può ad essa derogarvi. Questa considerazione ribadisce come la doverosità dell’azione amministrativa-tributaria non può essere stata derogata con l’introduzione dell’istituto dell’autotutela.

 

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI

art. articolo
artt. articoli
BT Bollettino tributario
c. comma
cpc codice di procedura civile
Cass. Corte di cassazione civile
Cass. S. U. Corte di cassazione civile, sezioni unite
CI Costituzione della Repubblica italiana 27.12.1947
Conf. conformemente
CTC Commissione tributaria centrale
DL decreto legge
DLG Disposizioni sulla legge in generale:
artt. 1-31 RD 16.3.1942,
n. 262: Approvazione del codice civile
DM decreto ministeriale
Dlgs decreto legislativo
DPR decreto del Presidente della Repubblica
DPT Diritto e pratica tributaria
EdD Enciclopedia del diritto
EG Enciclopedia giuridica
IO7 Italia oggi 7
IVA Imposta sul valore aggiunto
L. legge
n. numero
RD regio decreto
RDT Rivista di diritto tributario
RT Rassegna tributaria
SVO Il sole 24 ore

BIBLIOGRAFIA

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VIRGA, Pietro Diritto amministrativo. II. Atti e ricorsi, Milano, Giuffrè, 19922.

 

[1] A. M. SANDULLI, Manuale, 198915, 196. Vedi anche G. CORAGGIO, Autotutela, in EG IV, 1988, 1 e F. BENVENUTI, Autotutela, in EdD IV, 1959, 538.

[2] Conf. L. FERLAZZO NATOLI – F. DUCA, Lezioni, 1995, 98; in tal senso P. VIRGA, Diritto, 19922, 135-143; A. M. SANDULLI, Manuale, 198915, 197.

[3] G. BONGIORNO, L’autotutela, 1984, 24.

[4] G. RIPA, Se il fisco, in IO7 17.3.97, 3.

[5] Conf. B. SANTAMARIA, Lineamenti, 1996, 23; G. RIPA, Se il fisco, in IO7 17.3.97, 3.

[6] Conf. V. PARISIO, I silenzi, 1996, 17-23.

[7] G. FORNARI, Perché l’autotutela, in SVO 28.3.1997, 27.

[8] S. MARCHESE, Autotutela, in Summa 3.1997, 45.

[9] “… circa il 70% dei ricorsi pendenti presso la Commissione Tributaria Centrale deriverebbe da impugnazione proposte dagli Uffici, ed avrebbe ad oggetto questioni di ridotto valore economico …”, S. LA ROSA, Processo, in Il contenzioso tributario: problemi e prospettive di riforma 1992, I, 139-140; conf. G. RIPA, Se il fisco, in IO7 17.3.97, 2.

[10] Art. 2, c. 2, DM 11.2.97, n. 37.

[11] L. FERLAZZO NATOLI – F. DUCA, Lezioni, 1995, 98. Vedi anche G. RIPA, Se il fisco, in IO7 17.3.97, 2.

[12] G. RIPA, Se il fisco, in IO7 17.3.97, 2.

[13] “La tesi di una interpretazione letterale di per sé sufficiente a esprimere un significato chiaro ed univoco e che esclude la interpretazione logica, quando questa tende a modificare la disposizione della legge chiaramente espressa, ha origine storica, ma non può seriamente sostenersi”, A. PINO, La ricerca, 1996, 270.

[14] Conf. in dottrina si sostiene che “… l’amministrazione finanziaria, che avrebbe invece potuto (e anzi dovuto) attivarsi e concedere il rimborso in virtù del principio dell’autotutela amministrativa …”, D. STEVANATO, Il mancato, in RDT 1995, II, 321.

[15] CTC, VIII, 22.4.1988, n. 3639, in CTC 1988, I, 399.

[16] CTC, IV, 6.2.1986, n. 1159, in BT 1986, 1681.

[17] A. MELONCELLI, Diritto, 19922, 584.

[18] R. LUPI, Atti, in RT 1994, 755.

[19] Conf. R. LUPI, Atti, in RT 1994, 752.

[20] Conf. G. FORNARI, Perché l’autotutela, in SVO 28.3.1997, 27.

[21] R. LUPI, Diritto, 19953, 130.

[22] “… devono essere trattati in maniera paritaria coloro che si trovano in condizioni identiche e che devono essere trattati in maniera differente coloro che si trovano in condizioni diverse”, A. MELONCELLI, Diritto, 19922, 170.

[23] R. LUPI, Atti, in RT 1994, 756.

[24] Cass. S. U., 3.10.1991, n. 10328, in Il fisco 1991, 6367.

[25] “Il potere di autotutela … non risponde a limiti temporali né a limitazioni derivanti dal contemporaneo svolgimento di un giudizio …”, B. SANTAMARIA, Lineamenti, 1996, 148.

 

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