L’art. 118 della Costituzione tra originaria formulazione e prospettive di modifica

Redazione 09/12/04
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di Luciano Barbuto

Che la modifica costituzionale operata con la l. n. 3 del 2001 abbia radicalmente mutato i criteri di distribuzione ed esercizio delle funzioni amministrative, a livello regionale e locale, è affermazione che non può essere revocata in dubbio, atteso il carattere profondo dei mutamenti che essa ha comportato.

Innanzitutto, è stato abbandonato il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative della Regione, sostituito dal criterio della sussidiarietà (verticale). In base all’attuale formulazione dell’art. 118 Cost., peraltro non toccato, in questa prima parte, dal disegno di riforma costituzionale recentemente approvato alla Camera (C4862), le funzioni amministrative sono di regola svolte a livello comunale, salvo che, “ per assicurarne l’esercizio unitario”, siano conferite ai livelli superiori fino allo Stato.

In realtà, il comma 1 dell’art. 118 della Costituzione menziona altri due criteri-guida nel conferimento di funzioni ad enti superiori, i principi di differenziazione ed adeguatezza (e, per alcuni [CERULLI IRELLI], anche un quarto principio, di preferenza per l’amministrazione comunale).

Qual è il contenuto di siffatti principi? Con essi sembra volersi fare riferimento alla necessità di tener conto, nella riallocazione delle funzioni secondo il principio di sussidiarietà, della idoneità della prescelta dimensione territoriale ad assicurare un efficace svolgimento delle funzioni assegnate, in considerazione delle diversità esistenti tra i vari enti, anche dello stesso livello, delle diverse capacità di governo, dell’entità delle risorse disponibili, delle dimensioni organizzative, anche in una prospettiva di associazionismo tra enti, etc. Viene, tuttavia, da chiedersi se tali criteri abbiano un valore giuridico autonomo o, al contrario, debbano considerarsi ricompresi entro lo stesso principio di sussidiarietà, risultandone così la loro enunciazione del tutto pleonastica.

Un’ulteriore osservazione che può essere formulata è che non vengono individuati dall’art. 118, comma 1, Cost., i campi d’intervento dei singoli enti, ma solo i criteri di assegnazione (operandosi, così, una scelta nel senso della “decostituzionalizzazione delle materie” [MARINI]).

A chi spetta, dunque, il compito di effettuare tale assegnazione, sulla base dei criteri indicati in costituzione? Innanzitutto, in base al combinato disposto degli artt. 97 e 118 Cost. e della disp. trans. VIII, Cost., non è sostenibile la tesi dell’immediato trasferimento delle funzioni ai Comuni, dovendosi provvedere a tal fine con legge statale, che trasferisca al contempo anche le necessarie risorse umane, finanziarie e strumentali. In caso di spostamento delle funzioni, l’assegnazione avverrà mendiante legge statale o regionale, a seconda delle rispettive competenze. Quid nel caso di materie di legislazione concorrente? E, nelle materie di competenza general-residuale regionale, lo Stato può avocare a sé le funzioni amministrative?

L’art. 118 nella sua attuale formulazione, anche per questa parte rimasto invariato nel disegno riformatore recentemente approvato alla Camera, prosegue, al comma 2, con l’indicazione delle tipologie di funzioni amministrative di cui sono titolari i Comuni, le Province e le c.d. Città metropolitane.

Tale norma necessita di coordinamento con la disposizione di cui all’art. 117, comma 2, lett. p), la quale indica, tra le materie in cui ha legislazione esclusiva lo Stato, la disciplina delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. Come ci si districa in un simile “rovo normativo” [BIN], costituito da funzioni fondamentali, attribuite, proprie e conferite?

Diverse sono state le tesi avanzate in dottrina. Una prima soluzione consisterebbe nell’identificare le funzioni proprie con quelle fondamentali [PIZZETTI; CAMMELLI]. Secondo altri le funzioni proprie sarebbero quelle spettanti agli enti locali in forza delle leggi previgenti [MANGIAMELI]. Nota è anche la tesi di BIN per il quale le funzioni fondamentali sarebbero quelle attribuite con legge dello Stato, uguali per tutti gli enti dello stesso livello, funzioni proprie quelle attribuite da legge statale o regionale ma differenziate, funzioni conferite quelle conseguenti allo spostamento. Interessante è la tesi di chi [MARINI] sostiene che l’art. 118 stabilirebbe che Comuni, Province, Città metropolitane sono titolari di funzioni proprie e conferite, ma, poiché di esse godono secondo le rispettive competenze, ai Comuni spetterebbero le funzioni proprie e agli altri enti quelle conferite a seguito dello spostamento. In questo contesto le funzioni fondamentali di cui all’art. 117 sarebbero solo un criterio in base al quale distinguere la competenza legislativa statale e regionale. Secondo CERULLI IRELLI, infine, le funzioni proprie sarebbero quelle funzioni che costituiscono il nucleo identificativo degli enti stessi, poiché tradizionalmente ad essi inerenti e la cui titolarità non può che essere riconfermata in capo ad essi. Dall’altro lato vi sono delle funzioni aggiuntive, appunto “conferite” dalla legge. La categoria delle funzioni fondamentali riguarderebbe, invece, l’assetto delle fonti in materia di amministrazione locale.

Una prima novità apportata dal disegno di legge di riforma recentemente approvato alla Camera la si ritrova al terzo comma dell’art. 118, il quale prevede l’istituzione della conferenza Stato-Regioni “per realizzare la leale collaborazione e per promuovere accordi e intese” e la possibilità di istituire altre Conferenze tra lo Stato e gli altri enti di cui all’art. 114 Cost.

Criticabile è apparsa [ROVERSI MONACO] l’istituzionalizzazione di centri di cooperazione poiché, per questa via, non si farebbe altro che creare ulteriori luoghi di scontro politico. A tale affermazione si potrebbe obiettare che, in un momento di profonda riorganizzazione dello Stato, l’indicazione già in Costituzione di momenti di raccordo tra i vari centri politico-decisionali e tra i vari livelli territoriali, oltre a sottolineare la valenza del momento collaborativo, fornisce già delle linee guida su come realizzare tale collaborazione, ossia attraverso le suddette Conferenze, ponendo dei paletti per il legislatore ordinario alla creazione di ulteriori, molteplici, non coordinati, luoghi d’incontro.

Il comma 4 enuncia l’autonomia amministrativa di Comuni, Province e Città metropolitane, nell’ambito delle leggi statali e regionali, ossia nel rispetto del principio di legalità.

L’enunciazione non può non apparire pleonastica dal momento che ribadisce principi, quello dell’autonomia amministrativa e del necessario collegamento dell’azione amministrativa con la legge, già affermati nell’esperienza regionale e locale, implicitamente ricavabili dalla Costituzione, sia al Titolo V sia tra i principi fondamentali, e posti alla base della legislazione ordinaria riguardante le funzioni amministrative degli enti territoriali. Forse uno specifico significato essa potrebbe assumere rispetto alle neo-istituite Città metropolitane, dal momento che rispetto ad esse mancano riferimenti legislativi e una precedente esperienza che permettano di parlare dell’esercizio autonomo di funzioni amministrative da parte di esse come di un dato di fatto acquisito. Nonostante tale rilievo, la norma non smette di dare l’impressione di una enunciazione di mero principio, di importanza assai circoscritta, trattandosi di principio per nulla nuovo e comunque già riconosciuto, anche a livello costituzionale.

L’art. 118, nella formulazione di cui al disegno di legge recentemente approvato alla Camera, prosegue enucleando, al comma 5, una serie di materie (immigrazione, ordine pubblico, tutela dei beni culturali, ricerca scientifica e tecnologica, trasporto e navigazione con riferimento, in particolare, alle grandi reti strategiche di interesse nazionale) in cui alla legge statale è affidato il compito di disciplinare forme di coordinamento. Si tratta di materie di competenza legislativa esclusiva statale, fatta eccezione per la ricerca scientifica e tecnologica rientrante tra le materie di competenza concorrente.

Tale norma sembra rappresentare la presa d’atto del fatto che, al di là delle competenze legislative, al fine del raggiungimento degli obiettivi prefissati per ciascuna materia, non si possa prescindere dalla collaborazione delle Regioni, quale organismo al contempo sufficientemente vicino alle comunità locali e per dimensioni ed organizzazione comunque adeguato, rispetto a Comuni e Province, avuto riguardo all’importanza ed al respiro delle materie considerate.

Il penultimo comma dell’art. 118, nel testo recentemente approvato alla Camera, stabilisce che “Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato riconoscono e favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà, anche attraverso misure fiscali”.

A parte l’inversione dell’ordine dei soggetti istituzionali, quasi a voler sottolineare come la sussistenza di un rapporto di sussidiarietà tra di essi porti in primo piano, innanzitutto, l’istituzione più vicina ai cittadini, il Comune, la norma prende in considerazione quell’aspetto della sussidiarietà che concerne i rapporti tra pubblico e privato e che va sotto il nome di sussidiarità orizzontale. Ciò che deve essere sottolineato è come la norma costituzionale non si esprima in termini di possibilità, ma fondi un obbligo giuridico di favorire l’iniziativa privata. Ciò significa che, ove il privato agisca e la sua azione possieda quei caratteri di efficacia ed efficienza che ne rivelano la capacità di soddisfare le esigenze di interesse generale, tale privata attività non solo deve essere sostenuta dagli enti suddetti, inizialmente ad es. con finanziamenti, successivamente con la creazione di infrastrutture, dislocazione del personale degli stessi enti, etc., ma non può essere soppressa o sostituita dall’iniziativa pubblica [CERULLI IRELLI]. Aperto rimane il problema di definire i contorni dell’iniziativa privata e di individuare quelle attività di interesse generale che possono essere svolte dai privati.

Quale significato dare, poi, al riferimento alle misure fiscali attraverso cui favorire l’iniziativa dei cittadini. Tale prescrizione sembra difficilmente attuabile da parte degli enti diversi dallo Stato, se non in una prospettiva di effettivo federalismo fiscale. Allo stato attuale potrebbe darsi luogo ad intese tra Stato, Regioni ed enti locali, nelle apposite sedi previste dallo stesso art. 118, comma 3, dalle quali siano previsti possibili vantaggi fiscali per i cittadini o le formazioni sociali che svolgono attività di interesse generale.

Il testo recentemente approvato alla Camera menziona, infine, i c.d. enti di autonomia funzionale, ossia quegli enti pubblici che svolgono attività di interesse generale, di carattere non territoriale e privi di substrato sociale. Anche di essi è riconosciuta e favorita l’iniziativa per le medesime attività e sulla base del principio di sussidiarietà. Il loro riconoscimento in tale sede finisce, tuttavia, per provocare una contaminazione, da un lato, del concetto di sussidiarietà verticale, poiché vengono messi sullo stesso piano enti territoriali esponenziali di comunità di riferimento ed enti istituiti dallo Stato al fine di assolvere a determinate funzioni, dall’altro, del concetto di sussidiarietà orizzontale, riguardando questa il rapporto tra pubblico e privato e non tra enti territoriali ed altri enti pubblici [ROVERSI MONACO].

L’art. 118, u.c., riconosce l’autonomia delle aggregazioni di piccoli comuni e di comuni situati nelle zone montane, parificati da questo punto di vista ai Comuni, e stabilisce l’obbligo per lo Stato di favorirne l’aggregazione.

L’impressione complessiva che si trae dalla lettura della nuova formulazione dell’art. 118 nel testo riformato recentemente approvato alla Camera è che, da un punto di vista sostanziale, nulla sia innovato rispetto ai principi già posti alla base dell’esercizio delle funzioni amministrative dalle leggi “Bassanini” e dalla riforma costituzionale del 2001. Si prosegue, dunque, sulla strada intrapresa negli anni 90, caratterizzata da un rafforzamento dell’autonomia amministrativa degli enti territoriali, in cui oggi un ruolo centrale è giocato, per effetto della costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà, dal Comune, in perfetta corrispondenza, peraltro, con la storia e la tradizione di tale ente nel nostro Paese, da sempre sentito come l’istituzione più vicina al cittadino.

Sicuramente importante è, ma anche questa non è una novità, la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale, soprattutto ove la si interpretasse nel senso che essa fonda un obbligo per gli enti territoriali di valorizzarne le espressioni nel senso cui si faceva accenno sopra.

Il disegno di legge approvato recentemente alla Camera apporta, attraverso la previsione di forme di collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti locali, di eventuali agevolazioni fiscali per i privati e attraverso il riconoscimento degli enti di autonomia funzionale, dei piccoli aggiustamenti la cui effettiva portata è, allo stato, difficile prevedere.

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