L’anatocismo

Redazione 25/03/19
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L’art. 120 del TUB ha subito nell’arco di un decennio ben 6 modifiche sostanziali, di cui 4 riguardanti il problema dell’anatocismo.

L’iter dell’istituto dell’anatocismo

Nella sua versione iniziale, in vigore dal 1 gennaio 1994 al 18 ottobre 1999, si limitava a prevedere in uno solo comma che “gli interessi sui versamenti presso una banca di denaro, di assegni circolari emessi dalla stessa banca e di assegni bancari tratti sulla stessa succursale presso la quale viene effettuato il versamento sono conteggiati con la valuta del giorno in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del prelevamento”. Nessun accenno vi era al fenomeno della produzione degli interessi sugli interessi in deroga al generale divieto di cui all’art. 1283 c.c.

Successivamente il legislatore, intervenendo dopo le note sentenze della Cassazione del 1999, che hanno negato l’esistenza di un uso normativo che potesse legittimare a norma del secondo comma dell’art. 1283 c.c. la prassi bancaria della capitalizzazione periodica degli interessi, con il D.Lgs. n. 342/99 ha modificato l’art. 120 del T.U.B., demandando al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (C.I.C.R) le modalità e i criteri per la produzione di interessi su interessi sulle operazioni bancarie.

Il C.I.C.R., con Delibera del 9/2/00, ha rimesso alle parti, nei contratti di conto corrente, la determinazione della periodicità degli interessi, ammettendo la possibilità per le banche di pretendere interessi sugli interessi, purchè l’addebito e l’accredito dei medesimi avvenga con la stessa periodicità.
All’art. 7 della citata Delibera C.I.C.R. viene dettata la disciplina per i precedenti rapporti disponendo che: “1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30/6/00 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1° luglio. 2. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30/6/00, possono provvedere all’adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e, comunque, entro il 30/12/00. 3. Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela.”
Dunque per i contratti in corso la norma transitoria dell’art. 7 prevede che l’adeguamento debba essere esplicitamente approvato dalla clientela solo nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate.

Deve peraltro ritenersi che il richiamo alle “condizioni precedentemente applicate” di cui all’art. 7 della Delibera, non possa essere riferito all’illegittima capitalizzazione trimestrale, in quanto le variazioni delle condizioni contrattuali presuppongono pur sempre una valida pattuizione sottostante, mentre rispetto ad una clausola nulla non può operare alcun meccanismo di variazione, tanto meno semplificato, ad iniziativa di una sola parte; in ogni caso, la capitalizzazione trimestrale con identica periodicità costituisce una modifica peggiorativa per il cliente rispetto all’assenza di capitalizzazione, e necessita pertanto di esplicita approvazione, perdurando, in difetto, gli effetti della nullità.

Sul punto:” L’usura sopravvenuta”

L’illegittimità dell’anatocismo trimestrale

A tali considerazioni devono aggiungersi ulteriori argomenti; va infatti ricordato che, dopo le menzionate sentenze della Cassazione del ’99, che avevano sancito l’illegittimità dell’anatocismo trimestrale praticato dalle banche, il Governo era intervenuto con l’art. 25 del D. Lgs. 342/99 sull’art. 120 del T.U.B., stabilendo una sanatoria delle clausole anatocistiche stipulate sino a quel momento e l’adeguamento di una pari periodicità degli interessi a debito e a credito; era stata quindi emanata la Delibera CICR dell’8/2/00 che, nel prevedere l’identica periodicità delle condizioni di conto, disciplinava all’art. 7, come si è visto, le clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della delibera stessa, prevedendone l’adeguamento alla nuova disciplina e stabilendo una specifica approvazione per iscritto della clientela solo per la circostanza di modifiche comportanti un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate.

Peraltro la Corte Costituzionale, con la sentenza 17 ottobre 2000, n. 425, ha dichiarato l’illegittimità del 3° comma dell’art. 25 D. Lgs. 342/99; conseguentemente è venuto meno il presupposto legittimante l’art. 7 della Delibera CICR 9/2/00, finalizzato a disciplinare i rapporti in essere al momento dell’entrata in vigore della Delibera stessa.
Né il 2° comma dell’art. 25 conferisce al CICR il potere di prevedere disposizioni di adeguamento, con effetti sananti delle condizioni contrattuali stipulate anteriormente; al riguardo le S.U. (n. 21095/04) hanno precisato che: “in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della corte costituzionale n. 425/00, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76, Cost., l’art. 25, comma terzo, D. Lgs. n. 342/99, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia – fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successioni delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283, cod. civ.” (vedi anche le successive Cass. n. 4093/2005; n. 25016/2007).

Deve quindi ritenersi in conclusione che, con riguardo ai contratti in essere alla data di entrata in vigore della Delibera CICR 9/2/00, la modifica introdotta dalla banca senza approvazione scritta del cliente debba essere considerata inefficace (tra le tante sentenze di merito in tal senso vedi Tribunale di Venezia, sent. 22.1.2007; Tribunale di Torino, n. 6204/2007; Tribunale di Benevento, n. 252/2008; Tribunale di Padova, 27.4.2008; Tribunale di Mondovì, sent. 10.2.2009).

Ai “finanziamenti con piani di rimborso rateale”, il CICR ha dedicato l’articolo 3 delibera 9 febbraio 2000.
Detta disposizione prevede che: “(Finanziamenti con piano di rimborso rateale) 1. Nelle operazioni di finanziamento per le quali 6 previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino a1 momento del pagamento.Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. 2. Quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto di finanziamento, l’importo complessivamente dovuto può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. 3. Quando il pagamento avviene mediante regolamento in conto corrente si applicano le disposizioni dell’art. 2. 4. Nei contratti che prevedono un periodo di pre-finanziamento, gli interessi maturati alla scadenza di tale periodo, se contrattualmente stabilito, sono cumulabili all’importo da rimborsare secondo il piano di ammortamento”.

L’anatocismo nei contratti di mutuo fondiario

La validità della deroga al divieto di anatocismo secondo le previsioni dell’art. 3 della delibera CICR 2000 è stata indirettamente confermata dalla S.C. (“La conclusione secondo cui, a partire dall’entrata in vigore del t.u.b., nei contratti di mutuo fondiario, al pari di quanto previsto per ogni altro contratto di mutuo bancario, non è più ammessa l’automatica capitalizzazione degli interessi trova, infine, ulteriore conforto nell’art. 3 della delibera 9.2.2000 del CICR (emessa in attuazione del disposto dell’art. 120, comma 2, del t.u.b. medesimo, introdotto dal D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25), il quale prevede che nelle operazioni di finanziamento in cui il rimborso del premio avviene mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento”(così Cass., n. 11400/2014 in motivazione).

La Cassazione ha anche affermato che, nel caso di avvenuta risoluzione del rapporto di mutuo (fondiario e non), il mutuatario sarà tenuto, oltre al pagamento integrale delle rate già scadute, alla immediata restituzione della quota di capitale ancora dovuta, ma non al pagamento degli interessi conglobati nelle semestralità a scadere, dovendosi invece calcolare, sul credito così determinato, gli interessi di mora ad un tasso corrispondente a quello contrattualmente pattuito, se superiore al tasso legale (vedi S.U., n. 12639/2008; Cass., n. 25412/2013).

Deve ritenersi che quest’ultimo principio sia applicabile ai contratti che non contengono una pattuizione in deroga al divieto di anatocismo.

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Il secondo comma dell’art. 120 TUB, fonte primaria delegante della delibera CICR 9 febbraio 2000, è stato sostituito dall’art. 1, comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 1° gennaio 2014, che prevede: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Vedi anche:”Anatocismo bancario”

La modifica può essere riassunta nei seguenti termini:

– dal tenore della lettera a) emerge che – e fin qui nessuna novità – nelle operazioni in conto corrente deve essere assicurata alla clientela la parità di conteggio nella produzione degli interessi composti e che spetta al CICR (Comitato interministeriale credito e risparmio) stabilire modalità e criteri di riferimento. Non si tratta altro che della riproposizione di quanto stabilito dall’art. 25, co. 2, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, che aveva introdotto nel corpo dell’art. 120 del TUB il potere del CICR di definire modalità e criteri per la produzione degli interessi sugli interessi nelle operazioni in conto corrente, garantendo la coincidenza temporale, nel computo di questi, in tutte le operazione di dare e avere;

– di difficile interpretazione appare invece il tenore della lettera b) del secondo comma dell’art. 120 novellato atteso che, dopo avere negato nella parte introduttiva e alla lettera a) la possibilità per il CICR di stabilire criteri e modalità nella “produzione degli interessi sugli interessi”, fa inopinatamente riferimento a “interessi periodicamente capitalizzati”, sia pur per affermare che tali interessi “non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
Un’esegesi letterale potrebbe portare alla conclusione che quantomeno un anatocismo per così dire “primigenio” sarebbe dal legislatore consentito, mentre sarebbe sicuramente vietato un anatocismo “ulteriore”, a computarsi sulla prima capitalizzazione.

Ed invero, secondo una prima interpretazione, gli interessi creditori e debitori, una volta calcolati con la stessa periodicità confluirebbero in conteggio a parte, non dando luogo ad alcuna capitalizzazione. In concreto si verrebbe a creare un monte interessi da liquidazione periodica, che non si capitalizza e che, dunque, non va assolutamente mescolato con il capitale, il quale ha la sua sola origine nell’erogazione della banca, a diverso titolo, legittimamente produttiva di frutti (art. 821 c.c.) liquidabili periodicamente, una sola volta. La creazione di un apposito monte interessi sarebbe destinato a confluire nel saldo del conto in uno con la sorte capitale.

Secondo altra interpretazione, invece, lo scopo della novella disposizione è quello di vietare che gli interessi, una volta capitalizzati, possano produrre in via ulteriore interessi, ponendo fine in modo all’istituto
Al riguardo si riporta quanto affermato dal Trib. Milano, 3 aprile 2015: “ L’art. 1, comma 629, della legge n. 147 del 2013, modificando il secondo comma dell’art. 120 TUB, ha inteso vietare l’anatocismo nei rapporti bancari, di fatto introducendo in tale ambito una disciplina speciale più rigorosa della normativa ordinaria dettata dall’art. 1283 c.c.

La norma, in particolare, ha reso illegittima a decorrere dal 1/1/2014 qualsiasi prassi anatocistica nei rapporti bancari e ha vietato l’addebito di interessi anatocistici passivi: e, infatti, una volta riconosciuto come l’articolo in esame vieti in toto l’anatocismo bancario, nessuna specificazione tecnica di carattere secondario potrebbe limitare la portata o disciplinare diversamente la decorrenza del divieto, pena diversamente opinando ammettere che una norma primaria possa in tutto o in parte o anche solo temporaneamente essere derogata da una disposizione secondaria ad essa sotto-ordinata” (Trib. Milano 3 aprile 2015).

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