La tutela del software come opera dell’ingegno ed il contratto di sviluppo

Redazione 27/03/03
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di E. Olimpia Policella

(1 Il software come opera dell’ingegno – 2 Il Registro speciale dei programmi per elaboratore – 3 Le due facce del diritto d’autore – 3.1 I diritti morali – 3.2 I diritti di utilizzazione economica – 4 I diritti patrimoniali sul software – 4.1 L’applicabilità della normativa sui prodotti difettosi – 4.2 Il software realizzato da dipendenti – 4.2 Il software realizzato da lavoratori autonomi – 5 Il contratto di sviluppo del software – 5.1 Il software standard – 5.2 Il software personalizzato – 6 Il contratto di sviluppo con una software house – 6.1 La fornitura di materia – 7 Il contratto di sviluppo con un lavoratore autonomo – 7.1 La responsabilità per inadempimento – 7.2 Il recesso dal contratto – 7.2.1 Il risarcimento del danno – 7.2.2 La revoca dell’incarico dato ad un ingegnere – 7.2.3 Il caso dell’esistenza del termine per la consegna dell’opera – 8 Suggerimenti operativi per la stipula del contratto di sviluppo del software)

1 il software come opera dell’ingegno

Il software secondo la definizione data dall’OMPI nel 1984 è “l’espressione di un insieme organizzato e strutturato di istruzioni (o simboli) contenuti in qualsiasi forma o supporto (nastro, disco, film, circuito), capace direttamente o indirettamente di far eseguire o far ottenere una funzione, un compito o un risultato particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica dell’informazione”.

Il primo ordinamento che ha giuridicamente qualificato il software come opera dell’ingegno è quello statunitense tramite il Computer Software Amendment Act del 1980. Successivamente pari riconoscimento è giunto dalla Direttiva CEE 91/250 recepita nel nostro ordinamento giuridico con il D. Lgs. 518 del 1992 che ha introdotto delle modifiche ed integrazioni alla Legge 633 del 1941 sul diritto d’autore (1). Nel nostro ordinamento il software viene tutelato come opera di ingegno se ed in quanto esso abbia i requisiti tecnici per rientrare nella definizione di cui all’art. 2, comma 1, n. 8 della Legge 633/1941 (di seguito LDA) che recita: “In particolare sono comprese nella protezione […] I programmi per elaboratori, in qualsiasi forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore. Restano esclusi dalla tutela accordata dalla presente legge le idee e i principi che stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue interfacce. Il termine programma comprende anche il materiale preparatorio per la progettazione del programma stesso”.

La tutela apprestata al software dal Legislatore italiano è stata recentemente rafforzata con la Legge 248/2000 che ha inasprito le sanzioni penali.

La titolarità dei diritti d’autore di un software non consegue all’esecuzione di determinati obblighi giuridici ma è intrinseca nella realizzazione dell’opera di ingegno. Ciò significa che un soggetto per il fatto di aver realizzato un’opera che rientra tra quelle indicate dall’art. 2 della Legge sul diritto d’autore, deve essere considerato titolare originario dei diritti patrimoniali e morali previsti dalla citata legge.

Le particolari forme di tutela del software previste dal Legislatore non hanno, quindi una funzione di pubblicità costitutiva del diritto ma di mera pubblicità legale. Ne deriva che il deposito dell’opera inedita, al pari della registrazione sul Registro pubblico speciale del software, assume nei confronti dell’autore dell’opera, come effetto sociale, quello di essere riconosciuto come tale dal pubblico e, come effetto giuridico, una valore probatorio in virtù del quale l’autore non sarà tenuto a dimostrare gli elementi indicati nei diversi registri.

2 il registro speciale dei programmi per elaboratore

Come anticipato i diritti dell’autore di qualsiasi opera di ingegno possono essere esercitati per il solo fatto dell’avvenuta creazione. Tuttavia in presenza di opere di ingegno immateriali come il software le problematiche inerenti la prova della creazione dell’opera assumono maggiore rilievo.

Per soddisfare dette finalità probatorie il nostro ordinamento riconosce la possibilità di procedere al deposito dell’opera presso la SIAE, per quelle opere che non sono state oggetto di pubblicazione, oppure – in caso si avvenuta pubblicazione – alla registrazione della stessa nel registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore la cui cura pure è stata rimessa dal Legislatore alla Società italiana autori ed editori.

Detto registro è stato istituito con l’art. 6 del D. Lgs 518/1992 e l’avvenuta registrazione, fa fede, salvo prova contraria, dell’esistenza dell’opera e della sua pubblicazione. La ratio della norma è quella di assicurare un regime di pubblicità legale non obbligatoria che consente, per un verso, al titolare dei diritti sull’opera di ingegno di non dover provare le notizie che risultano dalla registrazione, e per altro verso, di rendere pubblici questi medesimi fatti giuridici.

La registrazione può essere eseguita sia per i software elaborati in Italia che per i software elaborati all’estero e può riguardare sia programmi per elaboratori originali che programmi derivati o elaborati da programmi originali.

Le modalità per conseguire la registrazione di un software sul registro speciale per i programmatori sono state stabilite con il DPCM n. 244 del 1994.

La registrazione ha luogo tramite il deposito, da parte dell’autore o del titolare dei diritti esclusivi, di un esemplare del programma (riprodotto su CD ROM) accompagnata da una descrizione contenente tutti gli elementi idonei ad individuare il programma per elaboratore.

3 le due facce del diritto d’autore

La creazione di una qualsiasi opera dell’ingegno implica l’acquisizione, in capo all’autore, dei diritti allo sfruttamento economico dell’opera e dei diritti morali.

3.1 I diritti morali

I diritti morali e patrimoniali vengono a costituirsi direttamente in capo alla persona fisica che ha “creato” l’opera.

Il diritto morale d’autore costituisce un diritto indisponibile della persona e si sostanzia, principalmente, nel diritto al riconoscimento della paternità dell’opera ed all’integrità della stessa.

Ne deriva che l’autore di un’opera può essere esclusivamente una persona fisica stante la concreta impossibilità di ricondurre in capo ad una persona giuridica l’espressione di un’attività creativa. Peraltro, qualsiasi contratto o dichiarazione unilaterale in cui l’autore rinunzi ai suoi diritti morali deve considerarsi nullo ed improduttivo di effetti giuridici poiché, come anticipato, il diritto morale d’autore costituisce un diritto indisponibile e quindi irrinunziabile.

Per quanto concerne il diritto alla paternità dell’opera si ritiene opportuno ricordare che l’autore può decidere di non comparire oppure di avvalersi di uno pseudonimo. Si tratta, ovviamente, di una decisione non vincolante poiché l’autore potrà sempre reclamare la paternità dell’opera dell’ingegno (diritto di rivendica ex art. 2577 c.c.).

Appare, in questa sede, interessante rilevare come l’unico caso previsto nel nostro ordinamento giuridico in cui l’autore non ha il diritto di comparire sull’opera si verifica qualora l’opera sia stata creata per conto ed a spese delle amministrazioni statali e per gli enti locali (art. 11 LDA).

In verità l’art. 11 fa riferimento esclusivamente ad alcuni enti locali costituiti dai comuni e dalle provincie: la mancata menzione delle regioni secondo una parte della dottrina è dovuta esclusivamente alla circostanza che, al momento dell’entrata in vigore del R. D. (1941), le regioni non è erano ancora state istituite. Secondo detto filone dottrinale la norma di cui all’art. 11 LDA deve considerarsi, quindi, applicabile anche ai software elaborati per conto e spese delle regioni.

A parere di chi scrive, invece, poiché il diritto morale d’autore costituisce un bene indisponibile della persona, non può considerarsi ammissibile un’interpretazione in via analogica della norma né qualsiasi operazione ermeneutica di tipo estensivo della stessa.

Ne deriva che in mancanza di un espresso intervento legislativo volto a modificare l’art. 11 non possono considerarsi ammissibili delle interpretazioni tese ad ampliare i casi di deroga al principio generale che riconduce in capo all’autore i diritti morali sull’opera dell’ingegno creata.

Come anticipato la LDA (artt. 20 e ss.) riconosce all’autore, anche dopo la cessione dei diritti patrimoniali, un altro diritto morale quale quello all’integrità dell’opera.

Il diritto all’integrità si sostanzia nella possibilità di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera nonché a qualsiasi atto che possa recare pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.

Tutti questi diritti sono imprescrittibili, irrinunciabili ed inalienabili e possono essere fatti valere, in caso di morte dell’autore, dagli eredi senza limiti di tempo.

Il riconoscimento dei diritti morali d’autore da parte del legislatore italiano non trova riscontro nella legislazione americana che, nella sua solita logica pragmatica, riconosce all’autore, con il Copyright Act, esclusivamente i diritti di utilizzazione economica dell’opera.

Ad onor del vero va anche detto che casi di violazione dei diritti morali d’autore costituiscono in Italia una realtà consolidata e che la diffusione delle opere dell’ingegno nella Rete ha agevolato l’espansione di questo fenomeno.

In relazione ai software venduti off line o online vale la pena soffermarsi ad osservarne alcuni, apparirà lampante l’assenza del nome dell’autore o degli autori degli stessi sia sulle copertine che all’interno.

Nell’eventuale sezione Copyright presente nel programma, difatti, normalmente vengono riportate esclusivamente le specifiche inerenti la titolarità dei diritti di utilizzazione economica delle opere di ingegno con le avvertenze per il licenziatario del software circa le conseguenze in caso di violazione di detti diritti.

3.2 I diritti di utilizzazione economica

I diritti patrimoniali consistono nella possibilità di utilizzare l’opera in ogni forma o modo, originale o derivato. In particolare, esso consiste nella possibilità di riprodurre, trascrivere, eseguire, rappresentare o recitare, diffondere, trasformare, elaborare nonché di tradurre, dare in prestito, noleggiare o vendere l’opera di ingegno (v. art. 12 e ss. LDA).

I diritti patrimoniali possono costituire oggetto di cessione totale o parziale: la cessione parziale costituisce una forma di espressione del principio generale secondo cui debbono considerarsi ceduti esclusivamente i diritti espressamente menzionati nel contratto. Per esprimere in termini giuridici l’ora menzionato principio, si suole dire, che i diritti patrimoniali d’autore sono tra di loro indipendenti. La cessione dei diritti di utilizzazione economica, al pari delle altre forme di sfruttamento dell’opera di ingegno, deve avvenire mediante la stipula di contratti la cui forma scritta è richiesta dal legislatore per mere finalità probatorie (v. art. 110 LDA).

4 I diritti patrominali sul software

Per quanto concerne i diritti patrimoniali scaturenti dalla creazione di un software va rilevato che l’art. 64 bis della LDA, introdotto con il decreto lgs. 518 del 1992, ha specificatamente individuato i diritti esclusivi concernenti i programmi per elaboratore.

I diritti patrimoniali sugli elaboratori consistono nel diritto di effettuare o di autorizzare la riproduzione, permanente o temporanea, totale o parziale, del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo o con qualsiasi forma, la traduzione, l’adattamento, la trasformazione e ogni altra modificazione del programma per elaboratore, nonché la riproduzione dell’opera che ne risulti, senza pregiudizio dei diritti di chi modifica il programma ed ancora qualsiasi forma di distribuzione al pubblico, compresa la locazione del programma per elaboratore originale o di copie dello stesso.

Chi ha la possibilità di utilizzare una copia del programma per elaboratore può, anche in presenza di clausola contrattuale con contenuto contrario, effettuare una copia di riserva ed osservare, studiare o sottoporre a prova il funzionamento del programma. L’attività di analisi deve essere preordinata alla determinazione delle idee e dei principi su cui è basato ogni elemento del programma stesso, qualora egli compia tali atti durante operazioni di caricamento, visualizzazione, esecuzione, trasmissione o memorizzazione del programma che egli ha il diritto di eseguire (v. art. 64 ter LDA).

Il licenziatario o gli altri soggetti che hanno il diritto di usare una copia del programma possono, pur in assenza dell’autorizzazione del titolare dei diritti patrimoniali sul software, effettuare la riproduzione del codice o la traduzione della sua forma al fine di conseguire l’interoperabilità con altri programmi.

Le informazioni ottenute non potranno essere comunicate a terzi né utilizzate per il conseguimento di fini diversi dall’interoperabilità quali lo sviluppo, la produzione e la vendita di programmi simili.

L’esercizio di queste attività, difatti, costituirebbe una forma di disposizione dei diritti patrimoniali non autorizzata né da parte del titolare né da parte del legislatore. Vi è di più, il legislatore, con il decreto legislativo n. 205 del 15 marzo del 1996 intervenuto a modificare le statuizioni del d. lgs. 518 del 1992, ha stabilito che le clausole contrattuali pattuite in violazione di quanto sopra detto debbono considerarsi nulle.

La riproduzione o il caricamento di un programma per elaboratore su un numero di elaboratori maggiore rispetto a quello autorizzato con una licenza configura sia un illecito extracontrattuale che contrattuale (2). La giurisprudenza di merito(3) ha evidenziato che a titolo extracontrattuale al produttore del software spetta, in caso di indebita duplicazione, una somma pari a quanto avrebbe potuto ricavare dalla vendita o dalla licenza dei programmi duplicati, detratti i costi da sostenere per i supporti, i manuali e la distribuzione.

4.1 L’applicabilità della normativa sui prodotti difettosi

Al software deve considerarsi applicabile la normativa sui prodotti difettosi contenuta nel d. lgs. 115/1995 che ha ratificato la Direttiva 92/59 del 25 luglio del 1985, introdotta per colmare le lacune della Direttiva comunitaria 85/274/CEE recepita in Italia con il DPR 224 del 1988.

Un prodotto deve considerarsi difettoso qualora non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto delle circostanze(4).

Tra queste circostanze particolare rilievo assumono le informazioni e le istruzioni eventualmente fornite, il tempo in cui il prodotto è stato immesso sul mercato e le modalità di circolazione dello stesso.

L’applicabilità della normativa sulla responsabilità per prodotti difettosi al software, che oggi può darsi per certa, inizialmente ha visto contrapporsi la tesi di chi riteneva che il software dovesse essere considerato un prodotto poiché “l’oggetto della prestazione di un servizio è dato da un prodotto” (5) all’opinione di chi distingueva il software standard da quello personalizzato definendo il primo come un prodotto ed il secondo come un servizio.

La Commissione CE, espressamente interrogata sulla questione con un’interpellanza parlamentare, ha evidenziato che la direttiva sui prodotti difettosi non si applica esclusivamente ai prodotti fabbricati in serie ma anche a quelli di tipo artistico o artigianale ivi compresi i programmi per elaboratore personalizzati(6).

Nonostante la chiarificazione comunitaria circa l’applicabilità della normativa sui prodotti difettosi va detto che la prova della difettosità del software resta particolarmente difficile soprattutto per i software personalizzati poiché in questo caso il soggetto danneggiato dovrà dimostrare che l’errore del produttore superi quella che è la soglia di “normale” difettosità del prodotto(7).

4.2 Il software realizzato da dipendenti

La produzione di software normalmente viene effettuata da parte di dipendenti e/o collaboratori di società di sviluppo oppure viene commissionata a software houses. Dette diverse modalità assumono un rilevante impatto giuridico poiché, per un verso, importano una differente gestione dei diritti patrimoniali di utilizzazione dell’opera dell’ingegno e, per altro verso, impongono al committente di inserire nei contratti delle clausole ad hoc.

Per quel che concerne il primo aspetto assume particolare rilievo la circostanza che l’opera dell’ingegno sia stata realizzata da un lavoratore dipendente o da un lavoratore autonomo.

Nel caso in cui il programma sia stato realizzato da un lavoratore dipendente tutti i diritti patrimoniali, ex art. 12 bis LDA, spettano al datore di lavoro mentre il dipendente conserverà il diritto morale d’autore.

L’art. 12 bis della LDA, difatti, stabilisce che, salvo patto contrario, spettano al datore di lavoro i diritti esclusivi di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro.

Si tratterebbe, secondo un orientamento dottrinale, di un’ipotesi di cessione legale dei diritti. Secondo una diversa tesi, invece, per le opere dell’ingegno realizzate dai dipendenti si verificherebbe un’acquisizione dei diritti patrimoniali in capo al datore di lavoro a titolo originario.

4.3 Il software realizzato da lavoratori autonomi

Nel caso, invece, in cui il programma sia stato realizzato da parte di lavoratori autonomi a questi certamente competeranno i diritti morali mentre per quanto attiene i diritti patrimoniali occorrerà interpretare il contratto eventualmente stipulato.

Si ritiene che il contratto vada interpretato in conformità a quanto stabilito dalla Convenzione di Berna considerato che l’art. 64 quater, comma 4 la richiama espressamente per l’interpretazione dell’articolo che disciplina le ipotesi di utilizzo del codice del programma in assenza dell’autorizzazione del titolare dei diritti economici(8).

La proposta originaria di direttiva sui programmi per elaboratori prevedeva che anche nel caso di software realizzato su commissione tutti i diritti patrimoniali di sfruttamento dello stesso passassero ope legis al committente, salvo patto contrario. Questa proposta venne modificata e si ritenne che la regolamentazione dei diritti patrimoniali di sfruttamento di un programma per elaboratore non doveva essere regolamentata dalla legge bensì dalle parti nel contratto.

Nel caso di software sviluppato da lavoratori autonomi parte della dottrina ritiene che in assenza di un contratto, debba applicarsi la medesima disciplina prevista per i software sviluppati da lavoratori dipendenti mentre altri ritengono che occorre distinguere i casi in cui il professionista si sia occupato della mera traduzione in righe di codice da quello in cui egli abbia effettuato l’analisi, pianificazione, progettazione e realizzazione del software.

Nella prima ipotesi il software sarebbe di proprietà dell’azienda mentre nella seconda il software sarebbe di proprietà dei professionisti cui, pertanto, spettano le somme dovute in qualità di autori (e titolari non solo dei diritti morali) del programma.

5 il contratto di sviluppo del software

I contratti per lo sviluppo di software sono le pattuizioni aventi ad oggetto l’attività di sviluppo di un programma per elaboratore contro corrispettivo di un prezzo. Detti contratti si differenziano a seconda che essi abbiano ad oggetto lo sviluppo di un software standard o di un programma personalizzato ed a seconda del soggetto che sviluppa il software.

5.1 Il software standard

Lo schema contrattuale per assicurare la disponibilità di un programma standard (vale a dire prodotto e commercializzato in serie) è costituito dalla licenza d’uso.

La licenza d’uso può essere a titolo gratuito o oneroso, a tempo determinato o indeterminato. Qualora la licenza d’uso abbia ad oggetto un software standard ovviamente essa non sarà esclusiva poiché il produttore ha interesse a locare il programma al maggior numero di persone possibili. Con il contratto di licenza viene riconosciuto all’utente (acquirente) il diritto di godimento del software secondo le condizioni indicate nella licenza.

Il software standard può, comunque, costituire oggetto di cessione in favore di un determinato soggetto. In questo caso tutti i diritti patrimoniali di sfruttamento economico del software spettano all’acquirente che potrà liberamente riprodurlo e controllarne il potere di circolazione (differentemente dal licenziatario).

La vendita del programma per elaboratore si sostanzia nella cessione irreversibile di tutti i diritti allo sfruttamento economico dell’opera.

5.2 Il software personalizzato

I software personalizzati consistono in programmi per elaboratore creati su misura tramite l’adattamento di un software già presente sul mercato oppure di quei programmi nuovi realizzati ad hoc.

Sotto il profilo giuridico il contratto di sviluppo del software si configura diversamente a seconda che il soggetto che si impegna nello sviluppo di un software sia una software house oppure un lavoratore autonomo.

Nel primo caso il contratto di sviluppo viene accostato all’appalto nel secondo ad una prestazione di opera intellettuale.

Le conseguenze sono diverse soprattutto dal punto di vista della responsabilità scaturente dal contratto e dell’esercizio del diritto di recesso da parte del committente.

6 Il contratto di sviluppo con una software house

Per quanto riguarda l’appalto di software va precisato che la software house (o appaltatore) può utilizzare anche i macchinari del committente (o appaltante, ossia chi richiede il servizio) (Cass. 19 ottobre 1990, n. 10183; Cass. 16 gennaio 1986, n. 257; Cass. Sez. lav. 31 dicembre 1992, n. 13015) non ostando questa circostanza alla configurazione del contratto come contratto di appalto.

Ciò che invece è necessario perché la pattuizione privatistica possa giuridicamente qualificarsi alla stregua di un contratto di appalto è che l’appaltatore si assuma il rischio circa il risultato da realizzare (vale a dire lo sviluppo del software).

La software house, quindi, potrà organizzare il lavoro secondo le modalità che ritiene più opportune senza subire ingerenze da parte del committente se non limitatamente al diritto di controllo e di verifica che il committente può eseguire in virtù dell’art. 1662 c.c.

Il contratto di appalto può avere ad oggetto un’opera o un servizio; nel primo caso il servizio è solo strumentale alla realizzazione dell’opera.

L’oggetto di un contratto di sviluppo di un software personalizzato è la realizzazione di un software volto a soddisfare le esigenze del cliente.

Ne deriva che essi possono giuridicamente qualificarsi come dei contratti d’opera e non di servizi salvo il caso in cui l’appaltatore si obbliga ad effettuare anche un’attività di ricerca mediante, ad esempio, la fornitura di consulenze tecniche ad hoc al di fuori di un contratto di assistenza e di manutenzione.

Ai contratti di sviluppo di software si applicano gli articoli relativi alla verifica in corso d’opera (1662 c.c.), al collaudo prima della consegna (1665 c.c.), alla garanzia dell’appaltatore per le difformità e i vizi dell’opera (1667 e 1668 c.c.) ed al rischio del perimento della cosa accettata dal committente (1673 c.c.).

6.1 La fornitura di materia

Non è chiaro se per “materia” si possano intendere tutti gli schemi, progetti e quant’altro necessario per definire esattamente la necessità cui deve far fronte il programma per elaboratore richiesto nel contratto. Il materiale fornito dal committente resta di proprietà del committente e gli andrà restituito alla fine del contratto.

Inoltre, questo materiale non potrebbe essere utilizzato da parte dell’appaltatore per lo sviluppo di altri software ma è estremamente difficile assicurare il rispetto di questo principio di buona fede.

7 il contratto con un lavoratore autonomo

Il contratto di sviluppo di un software concluso con un lavoratore autonomo può essere qualificato come appalto d’opera oppure come contratto d’opera intellettuale. Le conseguenze giuridiche sono molto diverse soprattutto sotto il profilo della disciplina della responsabilità o dell’esercizio del diritto di recesso.

7.1 La responsabilità per inadempimento

Difatti, mentre nell’appalto d’opera (obbligazione di risultato) il mancato conseguimento del risultato (consistente – nel caso di specie – nel mancato sviluppo del software), importa la responsabilità dell’appaltatore (vale a dire la software house o il libero professionista), nel contratto d’opera intellettuale la mancata “creazione” del software non genera responsabilità dell’appaltatore (obbligazione di mezzi)(9).

In quest’ultimo caso, difatti, il professionista risponderà per danni esclusivamente nel caso in cui la mancata realizzazione del software sia dovuta a colpa grave oppure a dolo(10).

In altri termini il libero professionista nell’eseguire un contratto d’opera professionale ha sempre il diritto al compenso anche se non riesce a sviluppare il software purché adotti la dovuta diligenza che andrà valutata avendo riguardo allo stato dell’arte dell’informatica(11).

A questo proposito si ricorda che anche le software houses quando stipulano dei contratti di sviluppo di software, pur impegnandosi ad elaborare un software per far fronte alle specifiche esigenze del cliente, non garantiscono l’effettivo conseguimento del risultato desiderato.

L’inclusione di una clausola contrattuale avente questo contenuto ritrova la propria giustificazione logica giuridica nella circostanza che essendo l’informatica un campo in rapida evoluzione non è pensabile di realizzare un software privo di difetti e pienamente affidabile.

7.2 Il recesso dal contratto

Nel contratto di appalto il committente può sempre recedere dal contratto purché indennizzi l’appaltatore.

L’indennizzo è composto dalle seguenti voci costituite da:

Spese sostenute comprensive di spese generali e materiali non ancora impiegati per l’esecuzione dell’opera (per lo sviluppo software ad esempio consulenza, dischetti, apparecchiature speciali);

Retribuzione per i lavori sino ad allora eseguiti, vale a dire fino ad allora completati;

Il mancato guadagno costituito dalla differenza tra il prezzo contrattuale dei lavori non eseguiti ed il presuntivo importo delle spese che sarebbero state necessarie per portarli a compimento.

Nel contratto di prestazione di opera intellettuale invece l’indennizzo spettante al libero professionista si compone esclusivamente delle prime due voci e non è dovuto il mancato guadagno(12).

7.2.1 Il risarcimento del danno

Il cliente può recedere senza addurre alcuna giustificazione, tuttavia, secondo una parte della dottrina in questo caso il libero professionista potrebbe chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni poiché il recesso senza motivo configurerebbe un’ipotesi di abuso di diritto.

Secondo altra parte della dottrina, invece il recesso deve considerarsi sempre legittimo (quindi non darebbe luogo a risarcimento dei danni) nel caso in cui il cliente abbia avvertito il minimo disagio nella prosecuzione del rapporto.

7.2.2 La revoca dell’incarico dato ad un ingegnere

Qualora il libero professionista sia un ingegnere la sospensione dell’incarico dà sempre luogo al risarcimento dei danni ulteriori nel caso in cui essa non sia dovuta a cause dipendenti dal professionista stesso.

Detta previsione è contenuta nell’art. 10, comma 2, della Legge n. 143 del 1949, la cui legittimità è stata recentemente ribadita dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 336 del 24.07.2000. Perché l’ingegnere abbia diritto ai danni ulteriori è indispensabile che egli provi la sussistenza del pregiudizio economico. I giudici di legittimità ritengono che in questo caso al professionista spettino non solo i danni ulteriori ma anche il danno totale(13).

Per danni ulteriori si intendono quelli che sono maggiori rispetto al compenso spettante all’ingegnere per le prestazioni parziali dallo stesso rese anche in caso di revoca dell’incarico.

In altri termini all’ingegnere spetta:

sempre il compenso consistente nell’onorario relativo al lavoro fatto e predisposto. Detto compenso deve essere aumentato del 25% secondo quanto previsto dall’art. 18 della legge 143 sopra citata;

solo in caso di revoca dell’incarico non dovuta a comportamento dell’ingegnere, il risarcimento del danno ulteriore(14).

7.2.3 Il caso dell’esistenza del termine per la consegna dell’opera

L’esistenza in un contratto di prestazione di opera intellettuale di un termine per la consegna del software non implica di per sé una rinunzia delle parti alla facoltà di recesso di cui all’art. 2237 c.c. salvo il caso in cui le parti vi abbiano espressamente rinunziato nel contratto.

La giurisprudenza sul punto non è concorde, difatti, vi è chi sostiene che in presenza di un termine contrattuale la possibilità di recedere spetta esclusivamente al committente(15), mentre altri ritengono che la possibilità di recedere spetti ad entrambi i contraenti(16).

È, quindi, importante che nella stesura del contratto le parti regolamentino espressamente questo diritto.

8 suggerimenti operativi per la stipula del contratto di sviluppo del software

Nel contratto di sviluppo del software è necessario determinare esattamente non solo il risultato che il committente pensa di ottenere ma anche tutti gli elementi necessari per circoscrivere l’obbligo del soggetto incaricato di realizzare l’opera(17).

L’incertezza ermeneutica palesata dalla giurisprudenza e dalla dottrina circa la disciplina di alcuni diritti, come sopra evidenziato, rende opportuna una loro regolamentazione specifica nel contratto di sviluppo.

Tra queste indicazioni essenziali si ricordano:

L’esistenza di specifiche funzionali cui il software dovrà conformarsi (ambiente operativo, interoperabilità con altri software, linguaggio di programmazione, il metodo di sviluppo e di strutturazione, il margine di tolleranza delle difformità);

Le prestazioni qualitative del software (velocità di esecuzione delle funzioni);

I tempi ed il luogo di realizzazione;

L’eventuale utilizzo di macchine del committente;

L’eventuale previsione di parti separate del programma (utilities) con elaborazione e consegna distinta dall’opera completa;

La disciplina della verifica e variazioni in corso d’opera quindi ad esempio in caso di modifica di specifiche deve necessariamente essere rivisto sia l’eventuale termine di consegna che il corrispettivo;

Possibilità o meno del subappalto;

Le modalità di effettuazione del test da parte del committente (ad esempio direttamente o per mezzo di persone da esso designate);

Modalità e tempi della consegna del programma (installazione) e del necessario materiale di documentazione (tecnica e d’uso);

Il prezzo, i criteri per la variazione dello stesso, i termini e le condizioni di pagamento;

L’individuazione della proprietà del software;

Gli obblighi di segretezza relativi alle informazioni ricevute dal committente per l’esecuzione del contratto;

Le conseguenze derivanti dal recesso del committente;

L’eventuale assistenza e/o addestramento da fornire successivamente alla consegna del software;

La disciplina delle modalità di tutela dei diritti morali;

Una clausola di dichiarazione di originalità.

In conclusione alla stesura di un contratto di sviluppo di un software occorrerà dedicare particolare cura redazionale usando attenzione soprattutto nella predisposizione delle specifiche tecniche che si suggerisce di inserire in un allegato.

Si suggerisce di tenere alto il livello di attenzione fino a quando in Europa non si affermerà una solida casistica giurisprudenziale sull’intera problematica della tutela del software.

NOTE

(1) Sull’argomento v. La tutela del diritto d’autore e del software nella società dell’informazione di Andrea Sirotti Gaudenzi, in Ciberspazio e diritto 2002, Vol. 3, n. 3 – 4 pp. 377 – 402.

(2) V. La tutela del diritto d’autore, Bianca Manuela Gutierrez, Giuffré, 2000, pag. 129.

(3) V. Sent. Tribunale Roma, 17.05.93, D. Inf., 1993, 992.

(4) V. Art. 5 del DPR 224/1988.

(5) V. G. Finocchiaro, I contratti ad oggetto informatico, pag. 58.

(6) V. la risposta della Commissione CE del 15 novembre 1988, pubblicata sulla GUCE n. 114 del 1989, pag. 42.

(7) V. G. Savorani, Nuove regole per l’informatica privata e pubblica, in Contr. Impresa, 1995, p. 338.

(8) Per quel che riguarda la forma del contratto si ricorda che la forma scritta è richiesta esclusivamente per finalità probatorie in un eventuale giudizio e non anche ad substantiam vale a dire come condizione di validità dell’accordo intercorso tra il committente – cliente e il fornitore – informatico.

(9) In sostanza nel primo caso si incorre in responsabilità qualora non si consegue il risultato mentre nel secondo caso si incorre in responsabilità solo qualora il prestatore d’opera abbia tenuto un comportamento doloso o gravemente colposo.

(10) V. Cass. 1.02.1991 n. 997.

(11) Una parte della dottrina ritiene che lo sviluppo di software costituisce sempre un’obbligazione di risultato pertanto l’eventuale inadempimento dà luogo a risarcimento dei danni qualora nonostante l’impegno profuso cmq non si sia realizzata l’opera richiesta oppure essa sia difforme rispetto alle specifiche. (V. Auteri, Le commesse di ricerca sviluppo e produzione, in AA VV, I contratti di informatica, Profili civilistici, p. 247; Cass. 21.07.89 n. 3476; Cass. 7.05.88, n. 3389).

(12) Ex art. 2237 c.c.

(13) V. Cass. Civ. n. 401 del 26.01.1985.

(14) Cfr. Sent. Cass. Civ. n. 217 del 1984 e Cass. Civ. n. 7602 del 1999.

(15) Cass. N. 7753 del 1992; Cass. N. 1760 del 1980.

(16) Cass. 19 marzo 1980 n. 1843; Cass. N. 3325 del 7 ottobre 1976.

(17) Sull’argomento si veda Formulario dei contratti d’informatica e del commercio elettronico, di Enzo Maria Tripodi, Buffetti Editore, 2001.

Redazione

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