La prova della “lucida agonia” del paziente può essere ricavata dalla percezione da parte del paziente degli esami, delle terapie e delle consulenze cui questi era sottoposto. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Indice
1. I fatti: l’agonia del paziente
Un paziente affetto da numerose patologie si sottoponeva ad un intervento chirurgico di by-pass axillo femorale presso una struttura sanitaria campana e nell’immediato post operatorio veniva colpito da infarto del miocardio, che lo conduceva al decesso.
I figli del paziente deceduto agivano in giudizio dinanzi al tribunale di Napoli, sia in proprio e quali eredi del padre nonché di rappresentazione della madre deceduta, lamentando il gran inadempimento dei sanitari della struttura convenuta per non aver correttamente adempiuto la prestazione sanitaria sui medesimi gravanti e chiedendo quindi il risarcimento dei danni subiti in proprio per la perdita del rapporto parentale nonché subiti dal paziente per la morte e trasmessi loro in via ereditaria.
Il tribunale di Napoli, dopo aver istruito la causa con prova testimoniale e c.t.u., accoglieva le domande formulate dagli attori limitatamente alla richiesta di risarcimento dei danni subiti in proprio per la perdita del rapporto parentale, mentre rigettava la richiesta di risarcimento del danno morale determinata subito dal paziente.
In particolare, il giudice di primo grado riteneva sussistente una responsabilità della struttura sanitaria perché non aveva effettuato un’adeguata indagine preoperatoria utile di identificare la lesione che era stata responsabile dell’ostruzione che aveva condotto all’infarto del paziente nonché utile a ridurre il rischio operatorio a fronte delle plurime patologie che il paziente già aveva.
In considerazione di ciò, il tribunale aveva condannato a struttura sanitaria a pagare ai congiunti del paziente l’importo di euro 50.000 cadauno, liquidato riducendo in via equitativa gli importi previsti dalle tabelle di Milano per il danno parentale.
Gli attori avevano quindi proposto appello avverso la suddetta sentenza, ritenendola errata sia nella parte in cui aveva quantificato i danni per la perdita del rapporto parentale sia nella parte in cui aveva rigettato la richiesta di risarcimento del danno morale terminale. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
Giuseppe Cassano | Maggioli Editore 2024
58.90 €
2. Le valutazioni del Tribunale: la prova per la perdita del rapporto parentale
Per quanto concerne il primo motivo di appello, il giudice ha evidenziato che, la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale deve avvenire attraverso una tabella basata sul “sistema a punti”, che tenga conto delle varie circostanze di fatto rilevanti nel caso concreto (tra le quali, l’età della vittima, l’età dei congiunti superstiti, il grado di parentela fra gli stessi, la convivenza ecc.).
Infatti soltanto dal sistema può garantire sia un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, sia l’uniformità di giudizio in casi analoghi.
Infine, rileva la corte d’appello napoletana che, secondo i giudici della corte suprema, il giudice avrà la possibilità di applicare sull’importo finale derivante dall’applicazione dei suddetti “punti”, dei correttivi che tengano conto della particolarità della situazione.
Tuttavia, i correttivi di cui parlano supremi giudici possono essere soltanto in melius, cioè non possono mai comportare che il giudice riduca l’importo scaturente dall’applicazione del sistema a punti della tabella.
In altri termini, il giudice nel decidere la causa a lui sottoposta, per garantire l’effettività del ristoro in base alle circostanze del caso concreto, qualora faccia ricorso alle tabelle che prevedono il predetto “sistema a punti” per la liquidazione del danno patrimoniale, non potrà mai cedere al di sotto dei parametri minimi previsti da dette tabelle, in quanto si tratta di criteri di rigida applicazione.
Invece, il giudice, potrà non applicare i predetti parametri tabellari, qualora decida di effettuare una valutazione equitativa pura. Tuttavia, in questo caso, dovrà argomentare la logica che ha applicato il motivo per cui ha superato la regola tabellare.
Per quanto concerne il secondo motivo di impugnazione, la corte d’appello di Napoli ha esaminato l’istituto del danno biologico terminale.
A tal proposito, i giudici hanno ricordato che detto danno consiste nel pregiudizio non patrimoniale patito dalla vittima primaria nell’intervallo di tempo intercorso tra la lesione del bene salute e il sopraggiungere della morte. Si tratta di un danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus e si configura se, nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso, la persona si trovi in una condizione di lucidità agonica e, in quanto tale, in grado di percepire la sua situazione ed, in particolare, l’imminenza della morte.
In tal caso in cui la persona sia rimasta manifestamente lucida, ai fini del riconoscimento del danno, è irrilevante il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale ed il decesso.
In termini, il presupposto per il risarcimento è la prova della cosciente e lucida percezione dell’ineluttabilità della propria fine da parte del paziente.
Potrebbero interessarti anche:
3. La decisione del Tribunale
Per quanto concerne il primo motivo di appello, la corte di secondo grado ha ritenuto fondato detto motivo, in quanto il tribunale di Napoli aveva effettuato una liquidazione equitativa pura del danno parentale invocato dagli attori, anche se in premessa aveva detto di far riferimento ai parametri tabellari a punti.
Infatti, il tribunale aveva ridotto l’importo previsto dai suddetti parametri dando rilievo al fatto che la condotta dei sanitari non aveva comportato la morte del paziente bensì la perdita di chance di sopravvivenza.
Tuttavia, secondo la corte d’appello, la condotta dei sanitari della struttura convenuta ha invece determinato la morte del paziente e non una mera diminuzione delle chances di sopravvivenza. Pertanto, non è possibile prendere i criteri tabellari in ragione delle precarie condizioni di salute del paziente.
Conseguentemente, il giudice di secondo grado ha aumentato l’importo, riconosciuto ai congiunti a titolo di risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale.
La corte d’appello di Napoli ha accolto anche il secondo motivo di appello, relativo al fatto che il tribunale di primo grado avrebbe errato nell’escludere il danno morale terminale in quanto dalla istruttoria svolta in giudizio era emerso che nei due giorni trascorsi tra l’intervento chirurgico e la morte del paziente quest’ultimo era cosciente.
In particolare, secondo i giudici d’appello, gli attori hanno dimostrato, come risulta dalla documentazione medica depositata, che, a seguito dell’intervento effettuato, il paziente è stato sveglio e cosciente per quasi ventiquattr’ore fino ad un paio di ore prima di subire l’arresto cardiaco fatale.
Secondo la corte d’appello di Napoli, quindi, durante tale spazio di tempo in cui è stato sveglio e cosciente, il paziente è stato sottoposto ad esami, terapie e consulenza cardiologica, da lui direttamente percepite e che sono sintomatiche di complicazioni, senz’altro idonee a farvi percepire l’esposizione al rischio dell’approssimarsi della morte.
In considerazione di ciò, la corte d’appello ha ritenuto di poter riconoscere il danno morale terminale favore del paziente, in quanto deve ritenersi che la vittima abbia avuto consapevolezza e si sia potuto rendere conto della fine imminente.
Conseguentemente i giudici hanno liquidato, in via equitativa, il danno in questione a favore del paziente deceduto in euro 10.000, applicando le apposite tabelle del tribunale di Milano che prevedono un importo di euro 10.000 per ogni giorno di sopravvivenza dopo la acquisizione della consapevolezza della concreta probabilità del decesso.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento