La prova al tempo di internet: efficacia probatoria delle applicazioni che memorizzano i contenuti pubblicati on-line

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Quanto pubblicato in passato sui siti internet costituisce sempre più spesso la riprova della violazione lamentata e poter accertare il contenuto pubblicato diviene, pertanto, un elemento dirimente.

Alcune applicazioni consentono di memorizzare i contenuti via via pubblicati in un sito e di estrarre copia delle relative pagine ad una certa data, anche se non più presenti on-line, tramite facili ricerche adottando come parametro il nome a dominio del sito.

L’efficacia probatoria di tali produzioni è stata tuttavia in passato contestata (anche se il più delle volte un po’ pretestuosamente).

La Corte di Appello di Milano si è recentemente pronunciata sul punto (sentenza del 22 gennaio 2021, n. 225), al termine di un processo che ha riscosso una certa eco, ribadendo sostanzialmente la legittimità di tali “archivi del web” a comprovare gli estratti prodotti.

La vertenza alla base della pronuncia

Una società italiana specializzata in lingerie, si era rivolta ad una nota show girl per promuovere i propri prodotti e, a tal fine, aveva stipulato con quest’ultima un accordo per lo sfruttamento esclusivo della sua immagine e del suo nome, della durata di poco più di un anno (più precisamente, dal 1 marzo 2013 fino al 31 marzo 2014), per effetto del quale la show girl era divenuta la testimonial ufficiale di una delle linee di intimo da donna dell’azienda, alla quale aveva concesso anche l’uso il proprio soprannome come marchio.

Allo scadere del contratto la società aveva tuttavia proseguito nello sfruttamento dell’immagine e del nome della testimonial, continuando a pubblicare immagini (fotografie e video) della stessa sul proprio sito web e sulla pagina Facebook aziendale, sia nella versione realizzata in esecuzione dell’accordo che in successive versioni rimaneggiate con l’eliminazione del volto e dei tatuaggi della show girl, così da renderla meno riconoscibile, oltre a continuare ad utilizzare il diminutivo quale marchio della linee di prodotti di intimo.

La show girl, personalmente e insieme all’azienda che ne gestisce i diritti d’immagine, si era pertanto rivolta al Tribunale di Milano lamentando che la condotta della società integrasse un illecito ex art. 2043 c.c. nonché, più in particolare, una violazione degli artt. 6, 7, 9 e 10 c.c. e degli artt. 96 e 97 L. 633/1941 (la c.d. “legge autore”).

Al termine del primo grado di giudizio, con sentenza del 6 giugno 2018 il Tribunale, accogliendo le richieste delle attrici, aveva accertato l’illecito utilizzo da parte della convenuta del nome, dello pseudonimo e dell’immagine di show girl, nonché l’illecita manipolazione delle fotografie che la ritraevano, e aveva di conseguenza condannato l’azienda di lingerie.

Avverso la decisione la società aveva quindi promosso appello, per diversi motivi, ritenuti tuttavia infondati dalla Corte di Milano che aveva quindi rigettato l’impugnazione, condannando la ricorrente al pagamento delle spese legali.

La sentenza di secondo grado è stata l’occasione per i giudici milanesi di pronunciarsi sulla validità ed efficacia probatoria della documentazione estratta dalle applicazioni che archiviano i siti su internet, costituendo così un valido ulteriore precedente (anche se non vincolante nel nostro ordinamento, ma sicuramente autorevole) per tutte le controversie che si avvalgono di tali strumenti probatori.

L’efficacia probatoria delle applicazioni che archiviano i siti su internet

L’archiviazione dei contenuti su banche dati digitali, che memorizzano nel tempo i cambiamenti delle pagine web, consente “di accedere alle loro “versioni passate” ossia di visualizzare un determinato sito come esso risultava in una data precedente a quella attuale” (cfr. pag. 6 della sentenza).

Una tale banca dati, tuttavia, “non si limita infatti a “fotografare” le pagine web e a conservare gli screenshot così ottenuti, bensì acquisisce l’intero codice di programmazione (codice HTML) che indentifica e “sostiene” ciascuna pagina”, accompagnato peraltro da altri elementi caratterizzanti come la data e il tipo di codifica della pagina web, che proprio per la loro “presenza” garantiscono “la corrispondenza tra la pagina web come era e la versione della stessa “riprodotta” ex post” (cfr. pag. 7 della sentenza).

La Corte d’Appello, uniformandosi in tal senso alla decisione del Tribunale, ha ritenuto quindi gli screenshot prodotti attraverso applicazioni che archiviano i siti su internet idonei a provare il contenuto delle pagine pubblicate in precedenza, fornendo una sufficiente garanzia dell’attendibilità del servizio di archiviazione e di “ripescaggio” dei dati memorizzati.

La sentenza è peraltro concorde con la giurisprudenza straniera, richiamata dalle attrici, che ritiene tali applicazioni un sistema di archiviazione delle pagine internet accreditato come strumento idoneo a consentire il recupero di prove pubblicate on-line e successivamente cancellate (cfr. “United District Court for the Eastern District of Pennsylvania, case n. 05-3524, Healthcare Advocates vs. Harding Earley, Follmer & Frailey et. al. del 20 luglio 2007; United States District Court for the District of Kansas, case n. 14-2464-JWL, Marten Transport Ltd vs. Plattform Advertising Inc. del 29 aprile 2016” citate in sentenza).

La Corte ha inoltre ritenuto inammissibile il disconoscimento dei documenti digitali operato dall’azienda di lingerie, evidenziando come l’unico disconoscimento consentito ai sensi dell’art. 2712 c.c.[1] sia quello volto a contestare la non conformità tra una copia (cartacea o informatica) ed il suo originale.

La Corte sul punto, richiamando autorevoli precedenti (Cassazione civile, sentenza n. 3122 del 17 febbraio 2015; Cassazione civile, sentenza n. 8998 del 3 luglio 2001), ha infatti sottolineato come “L’art. 2712 c.c. consente di contestare i documenti elettronici che costituiscono rappresentazione informatica di atti, fatti o altri dati aventi rilevanza giuridica, resa possibile grazie alle nuove tecniche derivanti dal progresso scientifico”; pertanto, “il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni informatiche idoneità probatoria, deve concretarsi nell’allegazione di chiari elementi indicatori della non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta” (cfr. pag. 7 della sentenza in commento).

Circostanze che per i giudici meneghini, anche in appello, non sussistono nella fattispecie in esame “in cui l’appellante ha formulato un generico disconoscimento sul presupposto – del tutto indimostrato – di una verità fattuale asseritamente divergente dalle risultanze degli screenshot” (ancora pag. 7 della sentenza).

Conclusioni

In mancanza di un valido e puntuale disconoscimento, basato sulla comparazione di documenti originali e i successivi, gli screenshot delle applicazioni che archiviano i siti su internet costituiscono una valida ed efficace prova ed un utile strumento per accertare i vari contenuti pubblicati nel tempo.

Un ulteriore strumento informatico di ausilio delle parti e della verità processuale.


Note

[1] Art. 2712 c.c.: “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

Sentenza collegata

110981-1.pdf 822kB

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Dott. Gilberto Cavagna

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