La proroga o la istituzione di consorzi di funzioni in materia socio assistenziale il caso della regione piemonte

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Come noto, con la L. 23 dicembre 2009 n. 191 (art. 2, comma 186), lo Stato ha imposto ai comuni la soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali.

È poi intervenuto l’art. 14, comma 28 D.L. 31 maggio 2010 n. 78 convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122, successivamente sostituito dall’art. 19 D.L. 6 luglio 2012 n. 95 convertito in L. 7 agosto 2012 n. 135, il quale ha stabilito che tra le funzioni fondamentali dei comuni sono comprese quelle di “progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini” e che le stesse sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti.

Con tale norma si è quindi prevista forma obbligatoria di unione e di convenzione, mentre non viene contemplata la figura del consorzio.

Con il D.L. n. 95/2012 (norma di coordinamento della finanza pubblica) citato, all’art. 9 si è disposto che “le regioni, le province e i comuni sopprimano o accorpino o, in ogni caso, assicurino la riduzione dei relativi oneri finanziari […], enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che […] esercitino, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a comuni, province, e città metropolitane ai sensi dell’articolo 118, della Costituzione”.

All’art. 9 è stato poi inserito un comma 1 bis in ragione del quale “le disposizioni di cui al comma 1 non  si  applicano  alle aziende speciali,  agli  enti  ed  alle  istituzioni  che  gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali”.

Detta deroga, seppure prevista in relazione al comma 1, ha reso comunque esplicito il favore del legislatore verso enti, istituzioni e simili, tra cui possono annoverarsi i consorzi, che, anche in base alla legislazione regionale, operano in ambito socio assistenziale.

Alla luce della citata normativa, pertanto, poteva sostenersi l’obbligo di soppressione dei consorzi di funzione, sancito dal ridetto art. 2 comma 186 L . n. 191/2009, non più operante per quelli deputati a svolgere funzioni socio-assistenziali.

Si poneva tuttavia la domanda se rimanesse vigente per i Comuni sotto i 5.000 abitanti (o i 3.000 se montani) l’obbligo delle sole forme associative previste dalla L. 122 (unione e convenzione), escludendo quindi la forma dei consorzi per i comuni di minori dimensioni (con conseguente caos applicativo non indifferente).

La Corte dei Conti Piemonte (Delibera n. 10/2013/SRCPIE/PAR) alla luce delle sopra argomentate disposizioni ha ritenuto che un comune di 2.300 potesse continuare a mantenere la propria partecipazione in un consorzio per l’esercizio in forma associata delle funzioni e dei servizi socio-assistenziali.

A fortiori di siffatta interpretazione interveniva la normativa della Regione Piemonte, la quale, a seguito del citato D.L. 95/2012 e, in particolare a seguito dell’emendamento di cui all’art. 9 comma 1 bis inserito in sede di conversione, ha emanato la L.R. n. 11/2012 con la quale all’art. 3 comma 1 ha previsto come “nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1 bis, del decreto legge 95/2012, convertito con modificazioni nella legge 135/2012, le funzioni ed i servizi in materia socio assistenziale possono essere gestite mediante consorzi tra comuni”.

Tuttavia, con la successiva Legge statale n. 147 del 2013 (anch’essa norma di coordinamento della finanza pubblica) il comma 1 bis appena richiamato è stato abrogato e, almeno per quanto concerne la normativa nazionale, si è avuto un ritorno allo status quo ante: infatti, come noto, il principio “abrogata lege abrogante non reviviscit lex abrogata”, non trova applicazione in caso di abrogazione di una deroga (cfr. in dottrina V. Marcenò “La legge abrogata. Esistenza, validità, efficacia” – Torino Giappichelli, ed. 2013). Sicché abrogata una deroga a una legge, la legge stessa torna ad avere pieno vigore.

Ne consegue che, a livello nazionale, i consorzi di funzione, anche in materia socio assistenziale, sono soppressi e per i comuni di minori dimensioni le uniche forme associative (obbligatorie) previste sono quelle delle unioni o delle convenzioni.

Da un punto di vista teorico, secondo il riparto previsto all’art. 117 della Carta costituzionale, la materia parrebbe di competenza regionale e non quindi esclusiva dello Stato o concorrente, potendosi quindi dedurre che la norma nazionale non possa incidere sulle scelte di ciascuna Regione. Corre però l’obbligo di evidenziare come non si ravvisi violazione di competenza allorché le norme statali siano ricondotte alla materia del  “coordinamento della finanza pubblica”, ex art. 117 comma terzo Costituzione (cfr. Corte Costituzionale n. 44/2014), per la quale è prevista legislazione concorrente Stato/Regioni.

Occorra ora chiedersi quale sia la sorte dell’art. 3 comma 1 della Legge regionale piemontese che, come prima accennato, recita: “nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1 bis, del decreto legge 95/2012, convertito con modificazioni nella legge 135/2012, le funzioni ed i servizi in materia socio assistenziale possono essere gestite mediante consorzi tra comuni”.

Si potrebbe infatti sostenere che, poiché il comma 1 della Legge regionale fondava la sua deroga ancorandosi espressamente ad una norma dello Stato, venendo a mancare tale norma di salvaguardia venga a cadere a cascata anche la norma che ne discende in ragione dell’espresso richiamo che viene fatto.

Per converso, però, la legge regionale non risulta abrogata con un espresso provvedimento e quindi parrebbe anche potersi ritenere continui ad esplicare i suoi effetti fino a un intervento ad opera della Corte Costituzionale che, investita della questione (a questo punto presumibilmente in via incidentale) possa porre fine alla querelle dichiarando la Legge piemontese superata da quella statale o confermarne invece la piena vigenza.

Sull’intervento della Corte costituzionale nulla quaestio circa un procedimento incidentale ad opera di un soggetto interessato.

In via principale, come noto, ai sensi dell’art. 39 Legge n. 87/1953 qualora una Regione  invada  con  un  suo  atto  la sfera di competenza assegnata  dalla  Costituzione allo Stato, lo stesso può proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento di competenza entro il termine di sessanta giorni. In questo caso però non di atto regionale nuovo si tratta, bensì di un atto esistente che la Regione potrebbe intendere non implicitamente abrogato, sicché difficilmente potrebbe configurarsi il termine decadenziale previsto. Lo Stato, in questi casi, potrebbe ricorrere in via principale anche successivamente allorché venga a conoscenza di un comportamento regionale ritenuto non conforme a Costituzione.

Allo stato attuale, qualora come sembra la Regione Piemonte reputi vigente la propria norma di salvaguardia, in assenza di un intervento del Giudice costituzionale la costituzione di nuovi consorzi di funzioni in materia socio assistenziale o la loro proroga non possono che essere ritenute possibili. Certo la loro vita potrebbe essere troncata qualora la consulta esprimesse il proprio parere negativo. 

 

* Dott. Luigi spadone – laureato in giurisprudenza e scienze politiche, abilitato alla professione forense, è pubblico dipendente presso amministrazione locale. 

Dott. Spadone Luigi

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