“La motivazione della sentenza civile su richiesta e i recenti tentativi di introduzione dell’istituto della «motivazione breve» in Italia”

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SOMMARIO:

1. Premessa: la fase decisoria tra innovazione e tradizione. PARTE I: L’istituto della motivazione a richiesta. 2. Obbligatorietà della motivazione: 2a) La previsione costituzionale: art. 111, comma 6, ********) La motivazione nella sua dimensione europea: art. 6 CEDU. 3) La motivazione su richiesta. 3a. (…) segue: la praticabilità teorica dell’istituto. 3b. (…) segue: l’esperienza degli altri ordinamenti. 3c. (…) segue: le implicazioni pratiche. Cosa si perde con la “motivazione a richiesta”. 3d. (…) segue: cosa invece si guadagna con la “motivazione a richiesta”. 3e. (…) segue: conclusioni (provvisorie). PARTE II: 4. Premessa: I recenti tentativi del legislatore di introdurre nel nostro ordinamento “la motivazione breve”. 4a) l’emendamento 48 al ddl 2228. 4b) Il ddl Alfano e la “motivazione breve”: le disposizioni normative di riferimento. 5. La motivazione breve tra finalità, contenuti ed effetti: prime riflessioni. 6) Segue(…): Moduli decisionali a confronto. 7) Segue (…): ulteriori ripercussioni sul processo. 8. Art. 281 decies e art. 352 c.p.c. L’istituto della motivazione breve nel processo avanti la Corte di Appello. 9) L’esame oggettivo delle nuove disposizioni: difficoltà interpretative ed applicative ed eventuali proposte correttive.

 

1. PREMESSA: LA FASE DECISORIA TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE.

In questo ormai tristemente noto scenario, fatto di un sistema-giustizia definito addirittura fallimentare2, è di estrema attualità un tema assai caro agli studiosi del diritto, pratici ed accademici, ed al legislatore dell’ultimo ventennio, che è quello relativo alla fase decisoria del processo civile, alla motivazione della sentenza e ai tempi di redazione della stessa, ritenuti uno dei fattori determinanti i ritardi della giustizia, una concreta e seria minaccia al rispetto del principio della ragionevole durata del processo, principio cardine degli ordinamenti nazionale (art. 111, comma 2, Cost.)3 e sovranazionale (art. 6 della CEDU e 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea). Si tratta, in particolare, di analizzare, in termini di conciliabilità, il rapporto tra l’obbligo costituzionale di motivare le sentenze, sancito dall’art. 111, comma 6, della Cost. e il principio della ragionevole durata del processo civile, di cui al comma 2: entrambi elementi fondamentali del giudizio sui diritti soggettivi e status prefigurato dalla nostra Carta Costituzionale.

Preliminare all’avvio di alcune riflessioni sul tema, è una considerazione generale: non è dubbio che, secondo l’opinione dominante, per un ottimale risultato formale e sostanziale di giustizia, la soluzione migliore sia rappresentata da una decisione completa di dispositivo e di esaustiva motivazione.4

Le esigenze di accelerazione della fase decisioria5, funzionali a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, hanno però indotto gli studiosi del diritto, seguiti poi dallo stesso legislatore, a ripensare ulteriormente le forme, i contenuti e le tecniche di redazione della motivazione della sentenza.

Da qui l’introduzione nel nostro ordinamento, negli anni: della c.d sentenza contestuale o a verbale, di cui all’art. 281 sexies del vigente codice di rito, introdotto con la novella del 19 febbraio 1998, d. lgs. n. 51; della c.d. sentenza immediata o con motivazione abbreviata6, introdotta con l’art. 16 del d. lgv 05/2003 di cui all’ormai abrogato rito commerciale; della sentenza lavoristica di cui all’art. 429 c.p.c., come riformato dall’art. 53, comma 2, del D. L. 25.06.2008 n. 1127, nonché della sentenza in forma semplificata del processo amministrativo, di cui all’art. 74 del nuovo codice del processo amministrativo, approvato con d. lgs 2.07.2010 n. 104 8. De iure condendo, si è assistito al fiorire di “suggerimenti” di riforma, volti, ad esempio a rendere lex generalis la decisione ex art. 281 sexies, ovvero trasformarla in modalità obbligatoria e vincolante di definizione delle controversie civili di fronte al tribunale in composizione monocratica9; a prospettare la possibilità di utilizzare scansioni processuali intermedie per la costruzione progressiva della motivazione della sentenza10, o ancora, come i più arditi hanno suggerito, ad introdurre la c.d. motivazione su richiesta.

Sul piano del diritto positivo, l’ultimo sforzo del legislatore è di appena un biennio fa, allorquando con la Legge n. 69/09 ha tentato, attraverso una rimodulazione degli art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., di indicare ai giudici la strada per una motivazione più snella e, quindi, almeno nelle intenzioni, per una decisione più rapida. Intervento, quest’ultimo che, come ho già avuto modo di osservare in altra occasione11 è, per vero, apparso piuttosto timido, ancorché si sia presentata, nel faticoso iter di approvazione della legge, più di un’occasione per garantire una maggiore incisività in materia. Tuttavia, malgrado l’avvertito interesse per la tematica in esame da parte del legislatore (il quale, peraltro, ha finora dimostrato una tendenza preferenziale verso un modello di motivazione contestuale), oggettivamente l’obiettivo non è stato ancora centrato, atteso che i tempi della decisione, ad oggi, non sembra abbiano subito una sensibile riduzione, di talchè il problema torna costantemente a riproporsi.

Occorre allora partire da un dato di fatto, costituito dalla circostanza che, almeno in questo preciso momento storico, alla giustizia è assegnato il compito di risolvere un numero sempre crescente di controversie; il problema, reale e concreto, va allora affrontato laicamente, nel tentativo di individuare “il male minore”.

Se l’ostacolo sono i tempi per ottenere la decisione, allora, occorre valutare in che modo sia possibile razionalizzare la variabile fondamentale “tempo”, con il minor sacrificio possibile delle garanzie processuali. Da qui il vaglio di alcune possibili soluzioni: eliminare un grado di giudizio12; introdurre forme di conciliazione para obbligatoria13, o istituti affini come per esempio l’introduzione14 per alcune materie, ed l’aumento per altre15, dei costi per l’iscrizione della causa a ruolo; oppure affidare le decisioni ad un numero maggiore di giudici (di cui, però, sarà più difficile garantire un elevato livello qualitativo), da cui continuare a pretendere decisioni motivate, con un evidente aggravio, però, di costi per il sistema giudiziario; o, al contrario, sulla scia della spinta all’ottimizzazione delle risorse, affidare la decisione a giudici di ottimo livello chiamati a decidere con motivazioni più asciutte o addirittura senza motivazione, se non espressamente richiesta. Probabilmente, però, si potrebbe tentare di ottimizzare i tempi della decisione anche attraverso l’adozione di soluzioni meno dirompenti e più garantiste, quale possa essere una più razionale distribuzione delle piante organiche, o l’adozione di un preciso modello di stesura degli atti di parte che possa rendere più agevole il lavoro del giudicante16, coniugando per tale via la garanzia della motivazione all’efficienza della giurisdizione senza porre necessariamente i due elementi in irresolubile contraddizione. Oppure ancora si potrebbe ipotizzare una diversa struttura del processo che consenta al giudice di lavorare su un numero limitato di controversie così da poterle istruire e decidere rapidamente, evitando, come invece oggi è costretto a fare, di dover troppe volte riprendere in mano lo stesso fascicolo a distanza sempre di troppo tempo e di dovere così, almeno in parte, ristudiare ogni volta la controversia.

In questo ampio contesto valutativo, dunque, è logico riflettere anche sulla possibilità di una ulteriore revisione delle modalità di stesura della motivazione delle decisioni, fino ad arrivare ad interrogarsi sulla decisione priva di motivazione o con motivazione su richiesta delle parti. Riflessione, quest’ultima, oggi meno peregrina e non più soltanto teorica, atteso che già qualche mese fa il legislatore, in sede di conversione del d.l. n. 78/2010, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, ha introdotto l’emendamento n. 48.0.1000 (proposta di modifica al ddl 2228), ancorché prontamente ritirato, con cui ha tentato di risolvere il problema dell’arretrato introducendo l’istituto della motivazione (estesa) su richiesta e dietro pagamento delle parti. Tentativo nel quale è tornato ad insistere ad inizio anno17, nella speranza di ottenere maggiore fortuna. Certo è che occorre valutare primariamente la legittimità, anche sul piano di compatibilità con l’assetto costituzionale, ma non solo, di simili progetti di riforma che, ove concretizzati, potrebbero avere un impatto certamente non inessenziale sull’attuale sistema giustizia, offrendo non solo una seria occasione per una proficua gestione dell’attuale fase di emergenza, ma anche un valido banco di prova con possibili ricadute sulla gestione del contenzioso anche nella prospettiva di nuovi modelli processuali.

Nel prosieguo del lavoro, i paragrafi 2 e 3 saranno dedicati alle riflessioni in ordine alla fattibilità e opportunità nel nostro ordinamento di più radicali proposte di modifica delle disposizioni sulle modalità di stesura delle decisioni, eventualmente prive di motivazione o con motivazione “a richiesta”, da cui potrebbero invero derivare conseguenze dirompenti sui tempi e sulla qualità delle decisioni; mentre ai paragrafi 4a e 4b saranno analizzate le recenti proposte legislative in tema di “motivazione breve”, di cui agli art. 281 decies, 282 e 324 bis del codice di rito, il cui carattere originale e meno “estremo” necessita una riflessione a parte. Riflessioni più approfondite sul nuovo modello decisorio, oggi all’esame del Senato, saranno compiute nei paragrafi a seguire, dal 5 al 9.

 

PARTE I: L’ISTITUTO DELLA “MOTIVAZIONE A RICHIESTA”

 

2. L’OBBLIGATORITA’ DELLA MOTIVAZIONE.

2a. LA PREVISIONE COSTITUZIONALE: ART. 111, COMMA 6, ****. Nel nostro ordinamento nazionale, il referente normativo in tema di motivazione è primariamente l’art. 111, comma 6, Cost., che, laddove esprime il principio secondo cui “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”, viene pacificamente ritenuto il fondamento normativo del principio di obbligatorietà della motivazione. Tale previsione, di carattere precettivo, viene storicamente letta in funzione di una concezione liberale dello Stato di diritto, ove la motivazione rappresenta la garanzia della razionalità delle decisioni giurisdizionali, del rispetto del principio di legalità (art. 101 Cost.) e della tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

Ed è in funzione di tali ragioni che essa, nel nostro Paese, è diffusamente avvertita come una garanzia fondamentale del cittadino, in un contesto democratico18, dinanzi all’esercizio del potere giurisdizionale19.

Tale principio è stato poi, negli anni, declinato dal legislatore ordinario20, il quale ha dettato concretamente, attraverso il confezionamento delle norme processuali, il quomodo, la misura ed i contenuti della motivazione, sia in ambito civile che penale21, ponendosi, a più riprese, il problema di individuare un “minimum” contenutistico22 idoneo a rispettare il precetto costituzionale e soddisfare, contemporaneamente, le sempre più pressanti esigenze di celerità ed effettività della tutela giurisdizionale, nel rigoroso rispetto del perimetro dettato dalla carta costituzionale, anche se non senza pragmatiche eccezioni; mi riferisco ai provvedimenti monitori che, come noto, pur rappresentando un essenziale strumento dell’esercizio della giurisdizione, risultano emessi in assenza di contraddittorio, solo eventuale e differito, e in assenza di motivazione (salvo volerla ravvisare nella mera declaratoria della sussistenza dei presupposti di legge per l’emanazione del decreto), ancorché le ragioni che fondano il provvedimento siano comunque facilmente individuabili per il tramite della disamina del ricorso della parte e della relativa documentazione allegata.

 

2b. LA MOTIVAZIONE NELLA SUA DIMENSIONE EUROPEA: ART. 6 CEDU.

La motivazione della sentenza, altresì, è, almeno in linea di principio, avvertita come necessaria anche dall’ordinamento sovranazionale, nel quale l’obbligatorietà della decisione motivata viene ricondotta all’art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950. Per la verità, l’art. 6 CEDU non fa alcun espresso riferimento alla motivazione della sentenza, ma è la Corte di Strasburgo, organo competente a pronunciarsi su “tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli” (art. 32, par. 1 CEDU)23, alla cui giurisdizione l’Unione si assoggetta24, ad includerla tra le garanzie dell’equo processo, che, nell’esigere che la decisione sia pubblica, implica che essa debba essere motivata. Essa, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, lungi dall’essere concepita esclusivamente in funzione della possibilità di impugnare la decisione, risponde ad ulteriori finalità, che attengono al rapporto con le parti processuali e con i cittadini in generale nonché alla fiducia che deve poter essere riposta nell’amministrazione della giustizia che deve essere trasparente, al fine di evitare sospetti di arbitrarietà25.

Secondo la Corte Europea, tuttavia, sul piano pratico, i modi per adempiere a tale obbligo possono variare, non solo sul piano formale ma anche sostanziale, dovendosi anche tenere conto delle differenze esistenti tra gli Stati contraenti, quanto a disposizioni di legge, consuetudini, concezioni dottrinali, presentazione e redazione delle decisioni giudiziarie26. Ciò che comporta, sul piano pratico, che la questione del se il giudice abbia adempiuto o meno all’obbligo della motivazione che deriva dall’art. 6 CEDU può essere risolta solo alla luce delle circostanze del caso concreto (ed in relazione al singolo Paese)27.

Pur tuttavia, in occasione delle sue numerose pronunce, la Corte ha avuto modo di dare una serie di indicazioni in tema di motivazione. Così, in alcuni casi ha ritenuto che l’obbligo di motivazione riguarda le sole questioni controverse che presentino carattere di essenzialità, senza che possa ritenersi violato l’art. 6 CEDU laddove siano trascurati nella motivazione punti secondari28; in altri casi che è necessario che dalla motivazione si evinca che gli argomenti decisivi sottoposti dalla parte siano stati presi in esame, senza tuttavia pretendere una risposta dettagliata ad ogni argomentazione29, in altri ancora che la motivazione per relationem può essere sufficiente purché si possa comprendere che tutti i motivi sono stati esaminati30; in altre occasioni, che l’ampiezza e l’analiticità e gli specifici contenuti delle motivazioni sono comunque condizionati dalla natura e dalle circostanze di ciascun caso, nonché dal tipo di provvedimento31, in altri casi ancora, invece, ha riconosciuto, che esistono circostanze nelle quali la motivazione è implicita nella stessa decisione32. Proprio l’approccio casistico della Corte, tuttavia, induce a ritenere che le sue decisioni, lungi dall’enunciare principi generali ed astratti, valevoli in tutte le situazioni e per tutti gli Stati aderenti al suo sistema, vadano invero contestualizzate, di talchè analoghe situazioni di fatto possano avere conseguenze diverse sul piano giuridico, a seconda dello specifico contesto in cui si inseriscono.

Occorre in particolar modo prendere atto della circostanza che nel sistema CEDU, il principio della necessarietà della motivazione va letto in stretta funzione delle fondamentali garanzie processuali di cui essa è presidio, la cui effettività, in un ottica di attuazione dell’equo processo, deve essere garantita. E, a ben guardare, è questo il fine ultimo delle disposizioni della Convenzione, come si può ricavare in via interpretativa dalla lettura delle numerose sentenze della Corte Edu, da cui parrebbe emerge che ciò che realmente appare ineludibile, non è tanto la presenza di una parte motivatoria nella testo della sentenza, quanto l’effettività, nel caso concreto, della tutela delle garanzie fondamentali di cui essa è presidio33. Ed è sulla scia di tale principio che la Corte ha, ad esempio, riconosciuto che la mancanza di motivazione non costituisce di per sé una violazione del diritto ad un equo processo, purché le parti siano poste concretamente nelle condizioni di comprendere la decisione34.

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La previsione a livello sovranazionale dell’obbligo di motivazione (nei termini appena espressi) potrebbe acquisire maggiore rilevanza alla luce del Trattato di Lisbona35, che pone oggi un problema di coordinamento tra il diritto interno e il diritto sovranazionale che riguarda anche gli altri Stati appartenenti alla dimensione europea.

Il rapporto tra gli Stati membri e le norme CEDU è stato finora disciplinato da ciascun ordinamento nazionale, nel rispetto del principio di sussidiarietà, nel senso che in concreto l’applicazione della CEDU è stata rimessa alle valutazioni delle giurisdizioni nazionali, cui è stato riconosciuto un margine di apprezzamento nella applicazione della Convenzione36 (purché, chiaramente, la sussidiarietà ed il margine di apprezzamento non sconfinino in una limitazione della protezione dei cittadini37) 38, anche in coerenza con la diversa forza cogente che, nei diversi ordinamenti, viene riconosciuto agli obblighi internazionali39. Con specifico riferimento alla realtà nostrana, a seguito della riforma dell’art. 117 Cost.40, e delle sentenze chiarificatrici della Corte Costituzionale n. 348 e 349 del 2007, cui hanno fatto seguito le sentenze nn. 239, 311 e 317 del 200941, la CEDU, e l’interpretazione giurisprudenziale datane della Corte di Strasburgo, hanno acquisito nel nostro ordinamento valore vincolante42, ancorché le disposizioni della Convenzione non abbiano (ancora) efficacia diretta, posto che, a differenza di quanto avviene per le norme di diritto comunitario, il giudice interno che ravvisi il contrasto di una norma nazionale con le disposizioni della CEDU, non può direttamente disapplicarle, ma solo interpretarle, per quanto possibile, in senso conforme alla CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo o, in ultima istanza, sollevare la questione di legittimità costituzionale della disciplina interna in raffronto al parametro costituzionale dell’art. 117 Cost.43 (la norma internazionale, in questo modo, diventa parametro interposto nel giudizio di costituzionalità delle leggi interne, purché sia a sua volta conforme a Costituzione44).

Tale realtà, tuttavia, pare essere destinata a cambiare alla luce del Trattato di Lisbona, che ha modificato l’art. 6 del TUE prevedendo che “L’unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

L’adesione dell’Unione Europea alla CEDU, secondo la procedura indicata nel protocollo n. 8 annesso al trattato di Lisbona, ha ufficialmente avuto inizio a Strasburgo il 7 luglio 2010 e si concluderà, solo a seguito della definizione di un accordo tra UE ed il Consiglio d’Europa, con la successiva ratifica degli altri 47 Stati contraenti. Molti sono i dubbi legati alle conseguenze che tale adesione potrebbe avere sul piano dei rapporti tra Unione Europea, Convenzione e gli ordinamenti degli Stati membri. In particolare ci si interroga sulla possibilità di un ampliamento delle fonti del diritto dell’Unione Europea45, di una comunitarizzazione delle norme CEDU46 e di un riconoscimento alle stesse di efficacia diretta negli ordinamenti nazionali; ciò che aprirebbe la strada ad un controllo diffuso e ad un potere di disapplicazione in capo ai giudici comuni della norma interna in contrasto con la norma CEDU 47. Dubbi che, con sorprendente rapidità, i nostri giudici nazionali sembrano aver superato, riconoscendo sin da subito, e in una totale non curanza della circostanza che il processo di adesione dell’Unione alla CEDU non abbia ancora avuto compimento, le norme CEDU come direttamente applicabili nel nostro ordinamento per effetto dell’art. 11 Cost.48.

Fermo restando che sarà opportuno attendere di conoscere i contenuti dell’accordo tra UE e Consiglio d’Europa, che definiscano la posizione dell’Unione Europea e delle sue istituzioni rispetto alla Convenzione, in ogni caso occorre prender sin d’ora atto della circostanza che l’eventuale riconoscimento alle norme CEDU, nella dimensione interpretativa della Corte Edu di cui essi vivono, di diretta forza cogente e immediata vincolatività per tutti gli Stati aderenti all’Unione49, potrebbe risolversi in una compressione del margine di manovra di cui sinora gli Stati membri hanno usufruito, con tutto ciò che questo comporterebbe in termini di rispetto della diversità giuridica dei diversi ordinamenti50 e, soprattutto, di compatibilità degli stessi e delle normative nazionali con l’ordinamento sopranazionale.

Ciò potrebbe significare, tornando specificatamente al tema che qui interessa, che il legislatore italiano, laddove intendesse incidere sull’obbligo di motivazione della sentenza, potrebbe dover non soltanto tenere a parametro di riferimento l’art. 111, comma 6, Cost. ma altresì confrontarsi, più di quanto non sia già costretto a fare oggi, con i vincoli derivanti dal nuovo diritto comunitario (rectius: europeo) che, tuttavia, sul punto in questione, appaiono meno intensi di quelli previsti dall’ordinamento italiano; ma ciò vale, naturalmente, anche per gli altri Stati membri, in relazione ai quali si potrebbe porre anche un problema di compatibilità tra i sistemi attualmente vigenti (il riferimento è a quegli ordinamenti che contemplano ipotesi di provvedimenti solo facoltativamente motivati -se non interviene la rinuncia della parte, e sempre che il giudice non ravvisi comunque la necessità di una motivazione- in relazione ai quali si pone, oggi più che mai, l’esigenza di verificare in concreto la sufficienza delle garanzie offerte) ed il nuovo quadro normativo sovranazionale in relazione alla motivazione dei provvedimenti.

 

3. LA MOTIVAZIONE SU RICHIESTA.

Nel tentativo di rispondere in maniera concreta ed efficace all’esigenza di accelerazione dei tempi della decisione, già da anni alcuni studiosi51, traendo ispirazione dalle tradizioni di altri ordinamenti, hanno suggerito la possibilità di introdurre nel nostro ordinamento, con precipuo riferimento alle decisioni di primo grado52, la c.d. motivazione a richiesta, ovvero un istituto che consente al giudice di non motivare la decisione, rimettendosi a tal fine alla volontà delle parti processuali, di talché il magistrato sarebbe tenuto a motivare il decisum solo in presenza di una espressa richiesta di parte o, eventualmente, anche per scelta propria qualora ritenga di aver affrontato una questione importante o di aver proposto una nuova soluzione per una questione di routine53.

Occorre primariamente capire, in concreto, come opererebbe tale meccanismo e sembrerebbe più coerente con le finalità dell’istituto, ritenere che la richiesta della motivazione, possa intervenire solo in un momento successivo alla decisione54, atteso che non sarebbe fine a se stessa, ma certamente funzionale a valutare la possibilità ed i margini d’impugnazione della sentenza, di talché l’interesse a conoscere le ragioni della decisione sorgerà, verosimilmente, non al momento in cui la causa viene introitata o nel corso del giudizio, ma solo a seguito della decisione, in capo alla parte che sarà risultata soccombente.

Si è poi sostenuto55 che la richiesta della motivazione dovrebbe essere avanzata solo dopo aver impugnato il provvedimento, così da escludere che essa possa essere giustificata da fini meramente dilatori e v’è chi56, invece, a garanzia di una seria e responsabile volontà di contrastare la decisione, ha ritenuto che la richiesta di motivazione dovrebbe essere preceduta dalla impugnazione con riserva dei motivi57, facendo salvo, in ogni caso il diritto dell’appellante di rinunciare all’impugnazione, una volta depositata la motivazione. Ciò che è certo è che, se successiva alla decisione, la richiesta di motivazione dovrebbe essere fatta comunque entro tempi strettissimi dall’emissione del dispositivo, onde consentire al giudice di motivare la decisione senza dover riesaminare la causa, pena la frustrazione delle finalità acceleratorie dell’istituto che, contrariamente agli intenti, costringendo il giudice a studiare la causa, prima per decidere e poi per motivare, allungherebbe ulteriormente i tempi di definizione della controversia.

Infine, appare utile che, affinché tale meccanismo possa operare in chiave deflattiva, almeno in linea teorica, la richiesta di motivazione sia subordinata al pagamento di un costo, magari tramite versamento di un contributo unificato al momento della richiesta o il pagamento di diritti allorquando si estragga copia della sentenza motivata58; diversamente, appare chiaro che il soccombente il più delle volte la pretenderà59, per la fondamentale ragione che di regola non ha agito e/o non si è difeso temerariamente60.

 

3a. (…) segue. LA PRATICABILITA’ TEORICA DELL’ISTITUTO.

Occorre certamente interrogarsi sulla compatibilità di tale istituto con l’ordinamento nazionale e sovranazionale, secondo i parametri prima delineati, al fine di verificarne la legittimità e, quindi, la (almeno teorica) praticabilità.

Sul piano dell’ordinamento nazionale, si pone un problema di compatibilità con l’art. 111 Cost. che, come visto, fonda l’obbligatorietà della motivazione. La motivazione su richiesta, tuttavia, non pare porsi in irresolubile contrasto con la previsione costituzionale, poiché lungi dal negare l’attuazione di un diritto processuale ritenuto fondamentale, si limita esclusivamente a subordinarlo alla richiesta della parte, e dunque, a renderlo eventuale e differito rispetto alla decisione. Né più né meno di quanto già accada, come è stato da più parti rilevato61, con i provvedimenti monitori, in relazione ai quali, al fine di salvarne la legittimità costituzionale, l’art. 111, comma 2, Cost., è soggetto ad una interpretazione correttiva, nel senso che si ritiene sufficiente, perché il dettato costituzionale possa considerarsi rispettato, che il contraddittorio sia garantito, ancorché in un momento successivo al provvedimento di condanna emesso nei confronti della parte. Ne deriva che, per una coerenza di sistema, se la garanzia del contraddittorio è rinunciabile ad opera della parte a cui favore è prevista, senza che il precetto costituzionale possa dirsi violato, allo stesso modo deve considerarsi compatibile con il sistema costituzionale la previsione della rinunciabilità alla motivazione della sentenza. Senza considerare, oltretutto, che il decreto ingiuntivo ha già imposto una lettura correttiva dello stesso comma 6 dell’art. 111 Cost., atteso che si tratta di un provvedimento potenzialmente decisorio e, praticamente non motivato, ancorché la motivazione sia ricostruibile sulla base della combinazione degli atti della procedura62; ciò che evidentemente è ritenuto sufficiente per salvare il provvedimento monitorio dalla censura costituzionale. D’altra parte, la costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111, comma 2 Cost., impone una reinterpretazione dei principi e dei valori del sistema, ivi compresi quelli di rango costituzionale63. Per quanto qui interessa, ciò si traduce nell’esigenza che il legislatore proceda (secondo ragionevolezza e nel rispetto dei principi costituzionali) ad un bilanciamento fra l’interesse alla motivazione della sentenza e quello alla pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale64, cercando di coniugare tali garanzie costituzionali, senza che l’attuazione dell’una si tramuti in pregiudizio per l’altra65.

Sembrerebbe allora che la motivazione su richiesta possa essere sufficiente ai fini dell’osservazione del precetto costituzionale, anche se quanto sinora detto sembrerebbe imporre una lettura della motivazione in chiave strettamente endoprocessuale, esclusivamente riferita all’esigenza di tutela delle garanzie offerte alle parti, con conseguente esclusione della funzione extraprocessuale, ossia della possibilità di una verifica diffusa, e non limitata alle parti, della legalità della decisione per il tramite della motivazione. Sul punto tuttavia, occorre osservare che la costituzionalizzazione della funzione extraprocessuale della motivazione non è pacifica66, ma in ogni caso potrebbe apparire sufficiente, al fine di scongiurare il rischio di una decisione arbitraria del giudice, già la sola possibilità che le parti chiedano (successivamente) l’estensione e la successiva pubblicazione della motivazione della sentenza67. In altri termini potrebbe essere la mera richiedibilità della sentenza e la verificabilità delle ragioni della decisione a garantire sufficientemente la legalità della decisione.

A ciò si aggiunga che, in ogni caso, le eventuali finalità di stampo illuminista sottese alla previsione di cui all’art. 111, comma 6, Cost. potrebbero forse essere superate alla luce del mutamento del contesto storico-politico-sociale in cui viviamo.

In questo contesto si inseriscono le riflessioni in ordine alla tendenziale affermazione di una rinnovata concezione della stessa nozione di giurisdizione che, in un contesto storico-normativo mutato68, potrebbe non esigere la motivazione ai fini della sua attuazione; ciò che permetterebbe una interpretazione evolutiva dei dettami costituzionali di cui all’art. 111, comma 6 Cost. La motivazione delle decisioni ha rappresentato uno dei pilastri centrali nell’affermazione politico e culturale della rivoluzione illuminista in una fondamentale ed assai delicata fase storica. In quest’ambito, appariva coerente individuare nella motivazione la parte più importante dell’attività giurisdizionale, addirittura la sua essenza69; ciò sulla base dell’assunto per cui la giurisdizione fosse espressione della sovranità statale, di talché, essendo il giudice soggetto alla legge (art. 101, comma 2, Cost.), la sua funzione poteva esplicarsi attraverso discorsi necessariamente giustificativi, intesi a dimostrare che ogni sua statuizione fosse conforme alla legge e non frutto di mero arbitrio70.

Oggi, però, può ragionevolmente assumersi che la motivazione si è evoluta (o involuta) abbandonando la veste di strumento diretto a giustificare il quomodo dell’esercizio del potere. D’altra parte, è la stessa Corte di Cassazione a dirlo, laddove afferma che la giurisdizione rappresenta “un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli71, spingendosi sino ad affermare, in più occasioni, che la mancanza, l’inesistenza o l’apparenza della motivazione sono vizi che si riferiscono non all’essenza della motivazione, bensì al modo del suo esercizio72. Per la cassazione, pertanto, la motivazione non è essenza della giurisdizione, ma “una forma organizzatoria della giurisdizione interna dello Stato73; ciò, a mio parere, crea un ulteriore varco d’accesso, nel nostro ordinamento, all’interpretazione evolutiva e restrittiva dell’art. 111 Cost. e quindi alla motivazione su richiesta, quale forma organizzatoria della giurisdizione, o se si preferisce, strumento di esercizio della giurisdizione che, benché diversa da quella corrente, non è nel nostro ordinamento, nell’attuale fase storica e culturale, ontologicamente incompatibile con la nozione stessa di motivazione e di giurisdizione.

Si tratta poi di affidare alla stessa magistratura civile nei gradi di merito una richiesta di riflessione, non inessenziale nella valutazione dell’istituto della motivazione; se cioè i giudici percepiscono oggi il proprio ruolo nei confronti della pubblica opinione come rivolto essenzialmente a risolvere situazioni di contrasto e applicare la legge o invece ancora a spiegare la propria decisione scrivendo le motivazioni come elemento fondante tutt’oggi la propria legittimazione sociale; se cioè la motivazione se non più, in ipotesi, come essenza della giurisdizione, non sia ancora l’essenza del giudice.

 

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L’esame della legittimità dell’istituto della motivazione a richiesta, ancora, alla luce di quanto sopra detto, passa inevitabilmente attraverso il vaglio di compatibilità con l’ordinamento sovranazionale. Anche sotto questo punto di vista, probabilmente, l’istituto in esame non si scontra con il vincolo della obbligatorietà della motivazione. Pur avvertendo che, rimossa l’idea di un risultato sicuramente univoco, occorre muoversi sull’accidentato terreno della “verità probabile”74, importanti indicazioni in tal senso sono ricavabili, in via interpretativa, dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, dalla quale sembrerebbe emergere che la mancanza di motivazione non costituisce di per sé una violazione del diritto ad un equo processo, purché le parti siano poste concretamente nelle condizioni di comprendere la decisione e vengano in concreto tutelate, ancorché aliunde, le fondamentali garanzie processuali di cui la motivazione è presidio75. La conoscibilità delle ragioni del decisum e l’attuazione delle garanzie processuali fondamentali potrebbe perciò apparire sufficientemente garantita dalla motivazione su richiesta, di talché nessuna violazione del diritto al giusto processo, allo stato, e fintantoché la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo in ordine all’interpretazione dell’art. 6 CEDU non assuma una posizione più restrittiva, dovrebbe ravvisarsi.

 

3b) (…) segue: L’ESPERIENZA DEGLI ALTRI ORDINAMENTI.

L’istituto della motivazione su richiesta, d’altra parte, non è una novità assoluta nel panorama europeo. Significativa è l’esperienza dell’ordinamento tedesco76, che contempla ipotesi (seppur eccezionali) di non motivazione della sentenza per rinuncia delle parti77. In particolare, secondo la previsione del §313a ZPO78, quando la sentenza79 non è suscettibile di gravame80, l’esplicitazione dei motivi della decisione non è necessaria se le parti vi rinunciano81 o, comunque, il loro contenuto essenziale è inserito nel verbale redatto ai sensi del par. 16082. Il secondo comma dello stesso paragrafo prevede poi che se la sentenza viene pronunciata all’udienza in cui si conclude la trattazione orale, l’indicazione del fatto e dei motivi della decisione non è necessaria se entrambe le parti rinunciano all’impugnazione del provvedimento; se la sentenza può essere impugnata da una sola delle parti, è sufficiente la rinuncia di quest’ultima. La dichiarazione di rinuncia alla motivazione può essere fatta (comma 3 par. 313a ZPO) già prima della pronuncia della sentenza e, comunque, non oltre una settimana dalla conclusione della trattazione orale83; tuttavia non è rinunciabile la motivazione delle sentenze relative a determinate materie (ovvero: separazione e divorzi84, convivenze di fatto, diritto minorile85) o nel caso in cui è prevedibile che la sentenza sarà fatta valere all’estero.

Già i primi commentatori86 della riforma del codice di rito -che ha introdotto nel sistema processuale tedesco la norma di cui al §313a ZPO – manifestavano alcune perplessità in merito alle implicazioni e le difficoltà applicative correlate all’entrata in vigore della predetta disposizione. Si è infatti subito rilevato che l’alleggerimento del carico di lavoro dei giudici, che legislatore ha inteso realizzare attraverso la possibilità di rinuncia alla motivazione della decisione, nasconde in realtà delle insidie soprattutto in termini di individuabilità dell’oggetto della controversia che non pare più garantita. Il problema è emerso in tutta la sua chiarezza soprattutto alla luce della circostanza che, una volta che gli uffici giudiziari provvedono al macero degli atti delle parti (ovvero decorsi cinque anni dalla conclusione del processo), possono sorgere dubbi su ciò che con la sentenza (priva di motivazione) sia stato effettivamente deciso.

Per queste ragioni, l’opinione prevalente87 ritiene che, nel caso in cui venga esercitata dalle parti la facoltà di rinunciare alla motivazione, nondimeno il dispositivo della sentenza deve essere formulato in maniera tale da consentire la individuazione esatta ed analitica dell’oggetto della controversia, in modo tale che, anche dopo la distruzione dei fascicoli delle parti, non sorgano dubbi sulla portata e gli effetti del giudicato.

Una concisa esposizione idonea a delineare l’oggetto della controversia ai fini dell’accertamento della portata del giudicato materiale, pertanto, non soltanto sarebbe possibile ma è, anzi, auspicabile88. In particolare, la stessa può essere contenuta o nel dispositivo della sentenza (una sorta di “dispositivo allargato”)89, ovvero in una rappresentazione sintetica delle ragioni su cui si fonda la decisione90 (che non deve, tuttavia, rispettare pienamente i requisiti canonici della motivazione, di cui al terzo comma del §313 ZPO 91).

Al fine di incentivare la rinunzia delle parti alla motivazione della sentenza, l’ordinamento processuale tedesco prevede espressamente che, nelle ipotesi di sentenza pronunciata ai sensi del § 313a ZPO, le stesse beneficino di una riduzione delle spese processuali liquidate dal Giudice92.

Occorre infine segnalare che l’istituto disciplinato dal §313a ZPO ha avuto nella prassi scarsissima applicazione93.

Il par. 313 b94, prevede ancora che non è necessaria la indicazione dei motivi della decisione nel caso di sentenza contumaciale, sentenza di riconoscimento (ovvero basata sul riconoscimento dell’altrui pretesa) e sentenza di rinuncia (ovvero fondata sulla rinuncia dell’attore alla pretesa azionata), sempre che la decisione non debba essere eseguita all’estero)95. In tali ipotesi la sentenza può essere redatta anche in forma abbreviata96 e, se è di accoglimento, il dispositivo può essere redatto rinviando al ricorso introduttivo. Il sistema appena delineato, peraltro, vale tanto per le sentenze di primo grado quanto per le sentenze d’appello (par. 540 ZPO). Come si può facilmente evincere, in Germania la “dispensa” dall’obbligo di motivare la sentenza è, in alcuni casi, rimessa alla volontà delle parti ed è strettamente connessa al fatto che la sentenza non è impugnabile (sembra prevalere, in questo caso, la funzione endoprocessuale della motivazione, atteso che la non impugnabilità della decisione renderebbe quasi superflua la motivazione al punto da consentire alle parti di rinunciarvi, tranne che non vi sia un interesse superindividuale nascente o dalla particolare materia oggetto di decisione o dall’eseguibilità all’estero della decisione) in altri casi è rimessa alla volontà del legislatore. In ogni caso, la richiesta di motivazione non comporta costi di giustizia aggiuntivi per le parti.

 

3c (…) segue: LE IMPLICAZIONI PRATICHE. COSA SI PERDE CON LA “MOTIVAZIONE A RICHIESTA”.

Una volta valutato l’istituto della motivazione su richiesta sotto un profilo di legittimità, occorre interrogarsi su quelle che potrebbero essere concretamente gli effetti dell’introduzione di tale istituto nel nostro ordinamento ovvero le incidenze che potrebbe avere sul piano pratico, anche in relazione alle garanzie di cui la motivazione è presidio. In sostanza, cosa si perderebbe e cosa, invece, si guadagnerebbe con la introduzione di tale istituto nel nostro ordinamento.

Ai fini di tale valutazione, la cartina di tornasole è certamente rappresentata dalle funzioni che si è soliti riconoscere alla motivazione delle decisioni, atteso che l’istituto della motivazione su richiesta, inevitabilmente porterebbe a sacrificarne (almeno potenzialmente) alcune e ad esaltarne altre.

Cominciando dalle conseguenze “passive”, l’istituto in esame inciderebbe certamente su quelle che comunemente vengono definite funzioni extraprocessuali della motivazione. In primo luogo verrebbe meno la possibilità che, per il suo tramite, siano suscettibili di un controllo esterno97 le ragioni che fondano la decisione giudiziaria. Ed è ovvio che, nel momento stesso in cui si consentisse alla parte di rinunciare alla motivazione, la possibilità di tale controllo sociale verrebbe meno contestualmente alla rinuncia. Tuttavia, probabilmente, si tratterebbe di una perdita più formale che sostanziale, atteso che nella prassi, solitamente tale forma di controllo non è esercitata98 e il controllo della correttezza della sentenza è demandato alle stesse parti private del processo che ha originato la pronuncia99.

Risulta, invece, certamente più importante –e, corrispondentemente di maggior peso l’eventuale compromissione- tra le funzioni extraprocessuali della motivazione, quella di rispondere all’interesse pubblico all’esatta osservanza della legge. Attraverso la motivazione, infatti, chiunque ne abbia interesse, ha la possibilità di verificare che il giudice, in ossequio al dettato costituzionale (art. 101 Cost.) abbia deciso conformemente alla legge, rifuggendo da eventuali arbitrii e che pertanto, nel singolo caso siano stati attuati i principi, costituzionalmente garantiti, di legalità, di giusto processo, di terzietà ed imparzialità del giudice nonché di corretta amministrazione della giustizia 100. E’ per tali ragioni che molti dei fautori dell’istituto hanno comunque ritenuto di limitarne l’applicazione ad un campo di azione predeterminato, costituito da materie nelle quali sia normalmente scarsa l’incidenza extraprocessuale della motivazione101.

La motivazione della sentenza ha altresì funzioni di natura endoprocessuale.

Essa è in primo luogo strumento di verifica del rispetto e della concreta attuazione del fondamentale diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. che postula, da una parte, il potere della parte di sottoporre al giudice le sue argomentazioni, di proporre le difese che sono nella sua disponibilità, di utilizzare mezzi di prova e, dall’altra, il dovere del giudice di chiarire, attraverso la motivazione, su quali prove ha fondato un certo suo convincimento, quali argomentazioni gli hanno consentito di pervenire a determinate affermazioni,102 ovvero, in sintesi, dimostrare di aver realmente giudicato iuxta alligata et probata103, evitando, oltretutto, le c.d. decisioni a sorpresa, precluse dalla nuova formulazione dell’art. 101 c.p.c.104. Laddove la motivazione non dovesse essere richiesta, traducendosi tale opzione, nell’emanazione di una decisione non motivata, tale controllo (ma il discorso vale anche con riferimento al rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.) sarebbe in concreto precluso. Tuttavia, occorre precisare che, in effetti, tale controllo non è pienamente garantito nemmeno dal modello di motivazione concisa, direi essenziale, che il legislatore, da ultimo con la riforma degli art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. realizzata con Legge n. 69/2009, ha (forse celatamente) introdotto. In ogni caso, non va sottaciuto, che l’interesse a tale verifica è più privato che pubblico, di talché sembrerebbe ragionevole ipotizzare di rimettere alle parti stesse la scelta se operare in concreto tale verifica, richiedendo o meno la motivazione.

Ma la motivazione non è solo questo; essa attende anche a funzioni “pratiche”, la più importante delle quali, che è quella di consentire al giudice di verificare la sostenibilità della statuizione e, indi, la sua correttezza, proprio alla luce della spiegazione logico-processuale che della decisione è in grado di fornire105 rischierebbe di essere compromessa dall’istituto della motivazione su richiesta, che determina la rinuncia alla contestualità tra decisione e motivazione. In altri termini, è in particolare al momento in cui redige la motivazione che il giudice può valutare in concreto la fondatezza e ragionevolezza del decisum.106 La motivazione è, infatti, anche una modalità di ricerca – verifica della decisione: intreccio tra il momento euristico e quello giustificativo. Ciò che è anche garanzia di una migliore pronuncia107: la stesura della motivazione costringe, ad esempio, il giudice a verificare, grazie anche alla tradizionale struttura sillogistica della motivazione, se le sue statuizioni rispondano alle regole sostanziali e processuali che devono essere, nel nostro ordinamento, alla base della decisione108. Per cui, in assenza di motivazione, si aggraverebbe il pericolo che non vengano presi in considerazione i necessari controlli giuridici della soluzione prescelta che si palesano elementi fondamentali per la rispondenza della pronuncia alle regole dell’ordinamento. E’ pur vero, tuttavia, che già la sentenza lavoristica pre-riforma del 2008109 ci aveva già abituati a tale rischio, e senza troppe recriminazioni anche se, nel caso della sentenza ex art. 429 c.p.c. la garanzia di tale verifica della decisione era solo postergata, a differenza dell’ipotesi di cui si discute in questa sede, in cui la motivazione della decisione potrebbe non essere richiesta110. A ciò si aggiunga che verrebbe meno la possibilità di realizzare, a mezzo della motivazione, il controllo acchè nella redazione del dispositivo non siano stati commessi errori ictu oculi tali da provocare la correzione o la revocazione della pronuncia.

Sempre su un piano pratico, la rinuncia alla motivazione della decisione potrebbe avere importanti risvolti in ordine alla individuazione della esatta portata della decisione e del suo contenuto precettivo111. La motivazione, infatti, rende più agevole l’interpretazione dell’atto, con ciò consentendo di determinare più esattamente il contenuto della volontà del giudice ed i limiti entro cui la stessa debba essere circoscritta, così da risultarne agevolata la più precisa e puntuale esecuzione dell’atto stesso. La strumentalità della motivazione per l’esatta comprensione della portata della decisione si apprezza soprattutto con riferimento alle sentenze di rigetto112; solo la motivazione, consente infatti di desumere con certezza i motivi della pronuncia, specie se di rito,113e ad individuare, nell’ipotesi di pluralità di domande, l’eventuale vizio di omissione di pronuncia. Ma non solo. In assenza di motivazione potrebbe altresì risultare particolarmente difficile l’individuazione dell’esatto titolo giuridico su cui si basa la pronuncia, ovvero la causa petendi del diritto riconosciuto all’attore, con inevitabili ricadute anche sul piano della esatta individuazione dei limiti oggettivi del giudicato114 115; ciò che renderebbe difficile persino l’applicazione dello stesso principio del ne bis in idem.

L’individuazione dell’esatta portata della decisione diventa ancora più complessa nell’ipotesi in cui la pronuncia discenda dall’applicazione del c.d. criterio della ragione più liquida, adoperando il quale, la decisione –s’intende, solo quella di merito e per lo più di rigetto – viene emessa sulla base di un’unica ragione, a carattere assorbente, che da sola è idonea a regolare la lite, ancorché l’astratto ordine logico delle questioni imporrebbe un percorso diverso e più lungo. Se si ritiene applicabile tale criterio, nondimeno appare importante la funzione della motivazione; esso, infatti, sostanzia non soltanto una tecnica di motivazione, ma anche una tecnica di decisione di talché la motivazione è funzionale a giustificare la discrezionalità del giudice nell’adottare tale tecnica ed idonea a determinare la portata del giudicato, atteso che, secondo la dottrina prevalente, il criterio della ragione più liquida esclude la formazione del c.d. giudicato implicito116. Qualora, invece, dovesse ritenersi non applicabile tale criterio di decisione e motivazione, nondimeno la motivazione apparirà rilevante, poiché soltanto attraverso la parte motivatoria della decisione sarà possibile verificare che l’ordine di decisione delineato dall’art. 276 c.p.c. sia stato in concreto rispettato.

La mancanza della motivazione, quale conseguenza di una scelta in tal senso della parte, a sua volta incide inevitabilmente sul valore che la decisione può assumere come precedente giudiziale. L’autorevolezza del precedente, infatti, è data proprio dalle sue motivazioni e dalla persuasività del ragionamento del giudice117. Non solo. In assenza di motivazione diventa difficile l’individuazione dello stesso oggetto del precedente che non è dato tout court dal principio di diritto ma ha una portata più limitata, in concreto determinata dal collegamento della decisione con i fatti rilevanti della causa118, che emergono dalla motivazione. Né si potrebbero capire le ragioni, la cui esposizione è per vero ritenuta obbligatoria, per evidenti ragioni di tutela del diritto all’affidamento nella uniformità del diritto, anche a livello europeo119, di un eventuale distacco dal precedente120.

Infine, la mancanza della motivazione, da una parte, priverebbe i giudici di un valido strumento per la progressione di carriera, che, soprattutto nel settore civile, è proprio nella stesura della motivazione della sentenza che danno ampie dimostrazione della propria abilità e capacità giuridica, ma soprattutto mal si concilierebbe con le norme del nuovo ordinamento giudiziario (D. Lgs. 109/2006, art. 1), che individuano illeciti disciplinari121 a carico dei magistrati proprio nelle ipotesi di “emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione é richiesta dalla legge”, nonché nelle ipotesi di “grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile” e “travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile”, la cui sussistenza potrebbe emergere esclusivamente dalla motivazione della decisione 122.

 

3d (…) segue: COSA INVECE SI GUADAGNA CON “LA MOTIVAZIONE A RICHIESTA”.

Questo, finora, il quadro di ciò che si perderebbe qualora nel nostro ordinamento facesse ingresso l’istituto della motivazione su richiesta delle parti. Come visto, il sacrificio che ne deriverebbe sarebbe in alcuni casi marginale in altri di maggiore rilevanza, salvo valutare se sufficientemente compensati dall’unico grande vantaggio che tramite tale istituto si intende perseguire, ovvero il ridimensionamento dei tempi della decisione e, indi, una maggiore efficienza del sistema giustizia e, soprattutto, l’effettività della tutela giurisdizionale. Premettendo che solo l’esperienza pratica potrebbe concretamente offrire una risposta a tale interrogativo, in ogni caso appare più che verosimile che, se sollevati dall’onere motivazionale, i giudici sarebbero concretamente messi nelle condizioni di incrementare l’output giudiziario, pur nella consapevolezza che la motivazione, per quanto, in alcuni casi, onerosa per il giudice, rappresenta solo una parte del procedimento decisionale, ovvero l’esternazione scritta di un percorso valutativo, fatto di premesse, sussunzioni, sillogismi, riscontri fattuali che in ogni caso il giudice dovrà compiere per addivenire alla soluzione del caso concreto123. Altresì deve prendersi atto della circostanza che il giudice, nella prospettiva di una richiesta di motivazione, dovrà probabilmente comunque stendere degli appunti, una sorta di promemoria che lo faciliterebbe nella successiva eventuale stesura della motivazione, e ciò al fine di evitare di dover riprendere in mano il fascicolo e, sostanzialmente, ristudiare la causa a distanza di tempo dal momento in cui l’ha decisa.

L’introduzione di tale istituto porrebbe in ogni caso problemi di organizzazione dei ruoli giudiziari124, nascente dalla non prevedibilità del numero delle richieste di motivazione, soprattutto se si ritiene di dover consentire alle parti di richiedere la motivazione non al momento dell’iscrizione a ruolo della causa ma solo dopo aver conosciuto la decisione.

 

3e. (…) segue: CONCLUSIONI (PROVVISORIE).

Nella valutazione, riservata al legislatore, in ordine all’opportunità dell’introduzione di tale istituto nel nostro ordinamento è certo utile considerare anche la pietra di paragone. Mi spiego. Se l’alternativa alla motivazione a richiesta fosse la tempestiva redazione di una decisione con motivazione esaustiva, che tenga analiticamente conto delle ragioni in fatto ed in diritto delle parti, e ne argomenti le ragioni dell’accoglimento e del rigetto, ciò che si perderebbe con la stesura del solo dispositivo con motivazione eventuale sarebbe immenso. Ma oggi l’alternativa è l’attuale, o meglio, le attuali forme motivazionali (concise, brevi e/o abbreviate) come definite dagli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., 281 quinquies e 281 sexies. Da questo punto di vista, l’attuale sistema, esortando vivamente il giudice alla concisione ed alla brevità, già non consente il puntuale pieno dispiegamento di tutti i requisiti propri della c.d. motivazione estesa, pur senza che ciò si traduca necessariamente in una compressione delle garanzie di tutela nei confronti delle parti. L’esercizio del potere decisionale, le sue forme e i suoi contenuti (ivi compresi quelli della motivazione) non dipendono solo da quanto previsto astrattamente nelle norme, ma da come in concreto le stesse norme vengono applicate dai giudici; e oggi, a mio avviso, il giudice diligente, capace e responsabile riuscirà a motivare bene e in tempi più ristretti (garantendo il rispetto e l’attuazione delle primarie garanzie processuali e verificando se la decisione regge alle obiezioni delle parti ed alla applicazione della regola di diritto) decidendo a seconda dell’importanza del caso se essere più o meno esaustivo (pur se è vero che proprio il “bravo” giudice è quello che meno ha bisogno della motivazione). Solo il giudice meno diligente approfitta dell’invito alla concisione come un invito alla fretta, dando spazio a soluzioni apodittiche o che, comunque, non tengono conto delle motivate osservazioni delle parti, dimenticandole o banalizzandole con la forzata riconduzione ad argomentazioni già superate in giurisprudenza su fattispecie tuttavia solo strumentalmente simili. Ciò tuttavia rende l’idea di come oggi già l’istituto della motivazione contestuale, certo anche per le sempre pressanti esigenze di decidere un numero maggiore di controversie, sia talora utilizzato come mero elemento burocratico che tuttavia non permette al giudice di utilizzare in pieno le utilità che derivano dalla contestualità della motivazione.

Se così è, allo stato dell’arte, ed alla luce delle ulteriori necessità di incrementare il “prodotto giudiziario”, non appare più “blasfemo” interrogarsi sull’opportunità di promuovere diverse forme decisorie con dispositivo “allargato” agli elementi necessari per individuare anche la portata della decisione e del giudicato, e con motivazione successiva soltanto eventuale, così agevolando il lavoro del giudice (che magari, almeno nell’immediato, avrà quantomeno più tempo per pensare) chiamato alla motivazione in un più limitato numero di casi, cui poter attendere con maggiore calma, così almeno da fornire elementi utili per il giudizio di impugnazione.

In definitiva, però, tenuta l’analisi “costi-benefici”, rimane l’opportunità, a mio avviso, di evitare una generalizzata introduzione dell’istituto della “motivazione a richiesta” nel nostro processo.

 

Parte II

4. I RECENTI TENTATIVI DEL LEGISLATORE DI INTRODURRE NEL NOSTRO ORDINAMENTO “LA MOTIVAZIONE BREVE”.

 

PREMESSA

Come già anticipato, il tentativo di introdurre nel nostro ordinamento un modello di decisione con motivazione rimessa alla volontà delle parti non è più solo appannaggio della dottrina più sensibile ai problemi della giustizia, ma è stata presa seriamente in considerazione dallo stesso legislatore, che già nel luglio scorso ha tentato di introdurre nel processo civile un “surrogato” di tale istituto attraverso un emendamento (proposta di modifica n. 48.0.1000 al ddl S. 2228 recante “Interventi urgenti per il rilancio della competitività attraverso la riduzione del contenzioso civile pendente) introdotto, su iniziativa del governo, in sede di conversione del d.l. n. 78/2010, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010 n. 122.

Tale emendamento, su invito dei senatori della commissione Bilancio, in sede referente, è stato prontamente ritirato; ma il Consiglio dei Ministri ne ha sostanzialmente riprodotto il contenuto (salvo qualche novità di cui si darà debitamente conto nel testo) nel ddl ****** n. 125, approvato all’unanimità il 9.02.2011, recante interventi in materia di efficienza del sistema giudiziario e misure per uno smaltimento rapido dell’arretrato, che ripropone il modello di motivazione breve con possibilità di richiesta della motivazione c.d. estesa. Nelle pagine che seguono si analizzeranno i contenuti di ciascuno di tali progetti di legge, riflettendo, specie in ordine al ddl ******, sulle implicazioni pratiche connesse all’eventuale approvazione di un simile progetto.

Le proposte in esame, infatti, sono in realtà assai diverse dall’istituto della motivazione a richiesta “pura” analizzata nella prima parte di questo contributo; e richiedono pertanto riflessioni da calibrare diversamente. Nella consapevolezza, tuttavia, che difficilmente tale disegno di legge si risolverà in una riforma del processo, come si desume dalla circostanza che la recentissima manovra finanziaria ha totalmente ignorato la possibilità di introdurre nel nostro ordinamento l’istituto della motivazione breve, affidando ad altri sistemi il perseguimento delle finalità deflative.

 

4a. L’EMENDAMENTO 48 AL DDL 2228.

Partiamo dalle osservazioni relative all’emendamento 48.

In primo luogo, vale osservare come ancora una volta (così anche nel 2009) il legislatore abbia avuto la pretesa di inserire la riforma del processo civile all’interno della manovra finanziaria, sottraendola per tale via ad un -per vero necessario- esame tecnico da parte della Commissione giustizia, chiamata invece solo ad esprimere un affrettato parere (si ricorda che l’emendamento è stato presentato a poche ore dalla scadenza del termine per la conversione del decreto). Segno tuttavia, della consapevolezza dello stretto legame esistente tra “lo stato di salute” delle finanze dello Stato e l’efficienza del sistema giustizia.

La proposta prevedeva l’inserimento nel codice di rito dell’art. 281 decies, rubricato “Della motivazione breve”, che disponeva: “Se non decide a norma degli artt. 275, 281 quinquies o 281 sexies, il giudice, entro 30 giorni dalla scadenza dei termini previsti dall’art. 190, fissa con decreto, entro i successivi 30 giorni, l’udienza per la pronunzia della sentenza con motivazione breve, disponendo la comparizione personale delle parti”. Si tratta di un modello decisionale/motivazionale alternativo ed ulteriore rispetto a quello ordinario ed ai modelli “semplificati” già previsti per le cause dinanzi al giudice monocratico.

All’udienza prevista dal comma che precede, il giudice pronunzia sentenza dando lettura del dispositivo e della sommaria elencazione dei fatti rilevanti, delle fonti di prova e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con riferimento a precedenti conformi. La sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”.

Ciò vuol dire che nel modello proposto il minimum motivazionale, ovvero la specificazione delle ragioni essenziali che giustificano la decisione del giudice, veniva subito offerto alle parti, garantite dal rischio che la statuizione fosse frutto di mero arbitrio ed espressione di atto di imperio. Ciò che è apparso sin da subito sufficiente a salvare la disposizione de qua dal rischio di censura costituzionale per contrasto con l’art. 111 Cost.125.

 

Le parti che vogliono proporre impugnazione devono chiedere, con atto depositato in cancelleria entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia della sentenza, la motivazione estesa redatta ai sensi dell’art. 132, primo comma n. 4, che il giudice deposita nei successivi trenta giorni. Del deposito è data notizia alle parti con biglietto di cancelleria”.

In questo passaggio della norma il legislatore espressamente subordinava l’esperimento della impugnazione alla previa stesura, su richiesta della parte, della motivazione estesa. Ciò che, per vero, è apparso sin da subito eccessivo, atteso che i contenuti della motivazione breve sembrerebbero di per sé essere già sufficienti per consentire alla parte la valutazione dell’impugnazione.

Dal momento del deposito della motivazione estesa, la sentenza può essere notificata ai fini della decorrenza dei termini di cui all’art. 325 e decorre il termine di cui all’art. 327, primo comma”.

Oggetto dell’impugnazione, dunque sarebbe stata la motivazione estesa, e non il “dispositivo allargato”, come conferma il successivo art. 324 bis, rubricato “Non impugnabilità della sentenza”, a tenor del quale “La sentenza resa ai sensi dell’art. 281 decies, primo comma, non è soggetta ai mezzi di impugnazione indicati nell’art. 324, quando le parti non hanno chiesto la motivazione estesa”.

Il dispositivo della sentenza, peraltro, secondo la previsione normativa, non era dotato di provvisoria esecutorietà. Il comma 1 dell’art. 282, infatti, recitava: “nel caso previsto dall’art. 281 decies, la sentenza è provvisoriamente esecutiva a seguito del deposito della motivazione estesa, ovvero, se questa non viene richiesta, decorso il termine previsto dal terzo comma del medesimo articolo”. Ciò che, certamente, sarebbe stato irrazionale, atteso che nelle more del deposito della sentenza completa di motivazione estesa la parte soccombente avrebbe potuto compiere gli atti dispositivi idonei a pregiudicare i diritti della controparte.

Della possibilità che la motivazione della sentenza fosse resa nelle forme di cui all’art. 281 decies, l’attore doveva avvertire il convenuto a pena di nullità dell’atto introduttivo; infatti, tra gli avvertimenti di cui all’art. 163 n. 7, previsti ex art. 164 c.p.c. a pena di nullità, l’art. 13 lett. a) dell’emendamento 48 aveva inserito anche quello della motivabilità della sentenza nelle forme dell’art. 281 decies (e ciò in considerazione delle conseguenze che ne sarebbero derivate sul piano della impugnabilità della decisione).

Di particolare rilievo è, infine, la constatazione che nel disegno di legge, il modello di motivazione appena delineato era previsto anche per la decisione di secondo grado, potendo il giudice decidere la causa, qualora lo avesse ritenuto opportuno (la facoltatività la ricaviamo dall’uso del verbo “potere”) ex art. 281 decies, dunque con motivazione breve, e persino con motivazione contestuale ex art. 281 sexies, modello decisionale finora riservato al giudice monocratico.

Infine, l’emendamento in esame prevedeva, al comma 16, modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002 n. 115, ovvero l’inserimento all’articolo 14 di un comma 1 bis che testualmente disponeva: ”Nell’ ipotesi prevista dall’articolo 281-decies, terzo comma, del codice di procedura civile la parte che per prima deposita l’atto di richiesta della motivazione estesa della sentenza è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato dovuto per il successivo grado di giudizio”. Inequivocabilmente, pertanto, il legislatore subordinava l’emissione della motivazione al pagamento di un costo, ancorché sembrerebbe non si trattasse di un costo aggiuntivo, ma di una mera anticipazione dei costi dell’impugnazione, cui la motivazione è strumentale, di talché, una volta pagato tale contributo, l’accesso al giudizio di secondo grado non avrebbe comportato ulteriori costi.

La commissione Giustizia aveva, in sede consultiva, espresso le proprie perplessità riguardo il delineato modello motivazionale, reputando inutile la “motivazione estesa” e i relativi provvedimenti consequenziali. Ciò sul rilievo che già la motivazione breve consentiva alle parti di proporre impugnazione, contenendo, sia pure in sintesi, gli elementi necessari costituiti dalla sommaria elencazione dei fatti rilevanti, delle fonti di prova e dei principi di diritto posti a fondamento della decisione, osservando altresì che il versamento del contributo unificato non appariva dissuasivo della richiesta della motivazione estesa con la conseguenza che il giudice, nella maggior parte dei casi, si sarebbe trovato nella condizione di dover redigere due distinte sentenze, una con motivazione breve ed un’altra con motivazione estesa.

Non migliore fortuna ha avuto il delineato modello dinanzi alla commissione Bilancio in sede referente, ove veniva rilevato che la motivazione breve non avrebbe portato alcun beneficio al sistema, piuttosto un aggravio di tempi, dal momento che appariva presumibile che nella maggior parte dei processi almeno una parte avrebbe richiesto la motivazione estesa, con il risultato di un inutile duplicazione di lavoro per il giudice, costretto a stendere prima una motivazione breve e successivamente una motivazione completa.

Prendendo atto degli orientamenti emersi dalla discussione parlamentare, il governo, pur sottolineando che la motivazione breve è un modello già sperimentato in altri Paesi europei, dove è stata registrata una drastica riduzione del contenzioso, a soli due giorni dalla proposta, ha ritirato l’emendamento.

 

4b. IL DDL ALFANO E LA MOTIVAZIONE BREVE: LE DISPOSIZIONI NORMATIVE DI RIFERIMENTO.

Il 9.02.2011 il Consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità il ddl n. 125126 recante interventi in materia di efficienza del sistema giudiziario al dichiarato scopo di consentire al nostro Paese di fronteggiare efficacemente un debito giudiziario di quasi 6 milioni di cause pendenti.

Tale disegno di legge, recante “Interventi in materia di efficienza del sistema giudiziario”, è stato presentato dal Governo al Senato il 15.03.2011 (ddl A.S. 2612) ed assegnato in sede referente alla II Commissione permanente (Giustizia) ed in sede consultiva alla I (***********.) e V (Bilancio) Commissione.

Esso prevede l’inserimento, all’interno del libro II, titolo I del codice di rito, di un nuovo capo, il III quater, dedicato alla c.d. motivazione breve.

Si tratta dello stesso modello motivazionale proposto in sede di conversione della manovra finanziaria nel luglio del 2010, con qualche ulteriore accorgimento.

Questo il testo del disegno di legge (a confronto con il testo del ritirato emendamento 48 al ddl 2228):

la proposta prevede l’inserimento nel codice di rito dell’art. 281 decies, rubricato “Della motivazione breve”, che dispone: “Se non decide a norma degli art. 275, 281 quinquies o 281 sexies, il giudice, entro 30 giorni dalla scadenza dei termini previsti dall’art. 190, fissa con decreto, entro i successivi 30 giorni, l’udienza per la pronuncia della sentenza con motivazione breve”. Rispetto al ddl 2228 è stata espunta la previsione della comparizione personale delle parti all’udienza fissata per la pronuncia della sentenza con motivazione breve127.

All’udienza prevista dal primo comma, il giudice pronunzia sentenza dando lettura del dispositivo ed elencando sommariamente a verbale i fatti rilevanti, le fonti di prova ed i principi di diritto su cui la decisione è fondata anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi ovvero a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa”.128

Rispetto alla precedente formulazione si rileva un rimodulamento terminologico, ove le parole “dando lettura del dispositivo e della sommaria elencazione dei fatti rilevanti (…)” sono state sostituite dall’espressione “dando lettura del dispositivo ed elencando sommariamente a verbale i fatti rilevanti (…)”. Ciò che probabilmente porterebbe semplicemente ad escludere che il giudice debba dare lettura della c.d. motivazione breve, contenuta comunque nel verbale di causa, potendosi limitare alla lettura del solo dispositivo. Di più ampio spessore appare invece l’inserimento della previsione che la motivazione possa essere resa anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi o ai contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. La specificazione che il riferimento al precedente possa essere “esclusivo”, infatti, sembra essere volta a superare i dubbi interpretativi sorti primariamente con riferimento all’art. 16 d. lgv. 05/2003 (ormai abrogato) e successivamente riproposti in relazione all’art. 118 disp. att. c.p.c., che, dopo la riforma del 2009, contempla la possibilità di motivare in diritto richiamando il precedente. In effetti era dubbio e controverso se il giudice potesse limitarsi a richiamare la decisione conforme o se dovesse quantomeno argomentare in ordine alle ragioni della sovrapponibilità della decisione alla fattispecie, o persino in relazione alle ragioni dell’adesione del giudice al principio richiamato129 130. Perplessità che il legislatore di questi mesi, con la disposizione in esame, sembra aver superato, anche se rimarranno certamente i dubbi di chi non crede nella legittimità costituzionale di una simile soluzione. Con l’ulteriore conseguenza che, se l’esclusivo riferimento al precedente sarà sufficiente per la motivazione breve, verosimilmente non lo sarà per la motivazione ordinaria. Altrettanto innovativa, ma non in senso assoluto, è la possibilità di motivare con riferimento a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. Tale possibilità, infatti, era già contemplata dal modello di motivazione abbreviata di cui all’ormai abrogato art. 16 del d. lgs 05/2003 (processo societario) che, per le ipotesi di sentenze più complesse, prevedeva che il giudice, in luogo della sentenza contestuale ex art. 281 sexies, potesse rendere una decisione che “può essere motivata in forma abbreviata mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa131.

La sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”. La sentenza con motivazione breve, dunque, prevede le stesse forme di pubblicazione contemplate per la sentenza contestuale ex art. 281 sexies, differenziandosi pertanto dalla decisione ordinaria che, invece, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., si intende pubblicata mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata. Nulla dispone, invece, la nuova norma in ordine alla comunicazione di tale provvedimento alle parti.132

Le parti che vogliono proporre impugnazione devono chiedere, con atto depositato in cancelleria entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia della sentenza, la motivazione estesa redatta ai sensi dell’art. 132, primo comma. n. 4, che il giudice deposita nei successivi trenta giorni. Del deposito è data notizia immediata133 alle parti costituite134.

La nuova versione del testo della disposizione precisa, rispetto alla precedente, che la notizia dell’avvenuto deposito debba essere comunicata solo alle parti costituite (con evidente esclusione del contumace) ed immediatamente (data la perentorietà del termine di 15 giorni dalla lettura della decisione ai fini della richiesta della motivazione). E’ stato, invece, soppresso il riferimento alle modalità con cui dell’avvenuto deposito si dà notizia, non essendo più previsto che ciò avvenga con biglietto di cancelleria.

Dal momento del deposito della motivazione estesa la sentenza può essere notificata ai fini della decorrenza dei termini di cui all’art. 325 e decorre il termine di cui all’art. 327, primo comma”. Rimangono fermi, pertanto, i termini breve e lungo di proposizione dell’impugnazione ma decorrono dal deposito della motivazione estesa e non dalla pubblicazione della sentenza con dispositivo “corredato”.

All’art. 282 del c.p.c., dopo il primo comma è aggiunto, infine, il seguente: “Nel caso previsto dall’art. 281 decies, la sentenza è provvisoriamente esecutiva a seguito della pronuncia di cui al secondo comma del medesimo articolo 281 decies, anche nel caso di richiesta della motivazione estesa”. Il nuovo progetto di riforma, prevede, dunque, a differenza dell’emendamento 48, che la sentenza con motivazione breve sia esecutiva sin dal momento della lettura del dispositivo. Soluzione, questa, che va certamente salutata con favore e che sostanzialmente ricalca il meccanismo previsto dalla sentenza laburistica135, che consente, ai sensi dell’art. 431 c.p.c., al lavoratore di intraprendere l’esecuzione nei confronti del datore di lavoro sulla base del solo dispositivo in attesa del successivo deposito della sentenza corredata di motivazione. C’è tuttavia un limite di non poco rilievo che la sentenza con motivazione breve, rispetto alla sentenza del rito lavoro, presenta, ovvero la non impugnabilità, nemmeno con riserva dei motivi136. Ciò comporta che il soccombente, in attesa del deposito della motivazione lunga (tempi concretamente incerti, posto che il termine di trenta giorni dalla richiesta ha carattere ordinatorio) non potrà verosimilmente tutelarsi da una esecuzione ingiusta, non potendo esercitare alcuna azione inibitoria.

Per il resto, il nuovo ddl si compone delle stesse disposizioni già previste dall’emendamento 48 al ddl 2228. Ovvero:

il comma 5 dell’art. 281 decies prevede che “Nei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge nei quali una o più parti sono state dichiarate contumaci, l’art. 281 decies del codice di procedura civile, come introdotto dall’articolo 5 comma 2 della presente legge, si applica se, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, una delle parti costituite notifica al contumace l’avviso che la motivazione della sentenza può essere resa nelle forme di cui all’art. 281 decies del codice di procedura civile”. Ciò da cui si ricava la conseguenza che, ad esclusione dei giudizi contumaciali, la nuova disposizione normativa sarebbe immediatamente efficace ed applicabile anche ai giudizi pendenti.

Dopo l’art. 324, il ddl in esame prevede l’introduzione dell’art. 324 bis, rubricato “Non impugnabilità della sentenza”, a tenor del quale “La sentenza resa ai sensi dell’art. 281 decies, primo comma, non è soggetta ai mezzi di impugnazione indicati nell’art. 324, quando le parti non hanno chiesto la motivazione estesa”. Ne deriva, nel caso di mancata richiesta della motivazione estesa, il passaggio in giudicato della sentenza appena 15 giorni dopo la comunicazione del provvedimento. La relazione illustrativa del ddl parla a tal proposito di “giudicato breve”.

Infine, l’art. 6 del ddl introduce alcune modifiche al codice di rito per l’accelerazione del contenzioso civile pendente in grado di appello. In particolare, in tema di motivazione, il comma 1 lett. b) prevede che all’art. 352 c.p.c. è aggiunto il seguente comma: “Quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’art. 281 sexies ovvero dell’art. 281 decies”. Pertanto, l’istituto della motivazione breve e la motivazione contestuale (sinora riservata al giudice monocratico) diventerebbero modelli motivazionali utilizzabili anche in appello.

Infine l’art. 7, comma 1, lett. a) prevede che all’art. 13, del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 30.05.2002 n. 115 e successive modificazioni, è aggiunto il seguente : “1 bis. Il contributo è aumentato della metà nei giudizi di impugnazione”. La lett. b) del medesimo comma 1, prevede poi che “all’articolo 14, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: “1 bis. Nell’ipotesi previsto dall’art. 281 decies terzo comma del codice di procedura civile, la parte che per prima deposita la richiesta di motivazione estesa della sentenza è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato dovuto per il successivo grado di giudizio”.

Fatta questa breve ricognizione del testo delle disposizioni normative in tema di motivazione breve, veniamo ad esprimere qualche considerazione in ordine alla portata innovativa di tale istituto, alla sua capacità di centrare l’obiettivo, alle implicazioni di sistema derivanti dalla sua eventuale introduzione nel nostro ordinamento.

 

5. LA MOTIVAZIONE BREVE TRA FINALITA’, CONTENUTI ED EFFETTI: PRIME RIFLESSIONI.

L’introduzione della motivazione breve (o, se si preferisce, della motivazione “estesa” a richiesta) nel nostro sistema processuale, come si legge a chiare lettere nella relazione governativa che accompagna il disegno di legge presentato all’esame del Senato, rappresenta uno di quei rimedi pensati dall’esecutivo che, attraverso la razionalizzazione delle risorse esistenti, mira ad incrementare la produttività del sistema giudiziario civile per ridurre il contenzioso pendente, nella consapevolezza che il costante incremento delle pendenze giudiziarie civili ha determinato una paralisi del sistema comportando una notevole immobilizzazione di risorse e fungendo altresì da forte disincentivo agli investimenti stranieri137.

Chiarisce la Relazione governativa che l’introduzione della motivazione breve “consentirà, nel pieno rispetto dei principi dettati dall’art. 111 della Costituzione, l’adozione di moduli di provvedimento differenziati in relazione alle esigenze del caso concreto, ricorrendo alla motivazione estesa solamente in funzione dell’esigenza di impugnazione del provvedimento da parte del soggetto processuale che non si ritiene soddisfatto dalla decisione emessa”.

La predetta relazione illustrativa ha cura di precisare che il provvedimento in esame è compatibile con i principi costituzionali in materia di ordinamento giudiziario, che soddisfa lo standard costituzionale imposto dall’art. 111 Cost. e che non si pone in contrasto con l’ordinamento comunitario né con gli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese. Anzi, precisa la relazione, l’introduzione della motivazione breve, quale modalità di decisione della causa alternativa a quelle già attualmente stabilite rispettivamente dagli articoli 275, 281 quinquies e 281 sexies c.p.c. riprende, adattandola alle peculiarità del nostro codice, una soluzione già adottata negli ordinamenti giuridici di altri Stati membri dell’Unione Europea, quali la Polonia138, l’Austria139 e la Germania140. La Relazione tecnica141, infine, assicura che gli interventi previsti dal ddl in esame determineranno risparmi di spesa certi per lo Stato in relazione al minor numero di ricorsi per l’equa riparazione di cui alla legge Pinto142 e che l’introduzione del contributo unificato per la richiesta di motivazione estesa delle sentenze determina ipotesi di maggior gettito, seppure allo stato non esattamente quantificabili.

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Dal punto di vista formale e sostanziale con la motivazione breve il legislatore intende introdurre non solo un nuovo modello motivazionale ma anche una nuova modalità decisoria, alternativa ai modelli già diffusi nel nostro ordinamento, ovvero quelli di cui agli art. 281 quinquies e 281 sexies c.p.c., per i procedimenti dinanzi al giudice monocratico, ed art. 275 c.p.c. per i procedimenti dinanzi al giudice in composizione collegiale. La riforma amplierebbe anche i moduli decisori di cui dispone il giudice dell’appello, il quale potrebbe discrezionalmente adottare,143 oltre al modello ordinario, anche lo schema decisionale-motivazionale della motivazione breve (art. 281 decies) e della motivazione contestuale (art. 281 sexies)144.

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Quanto alla individuazione dei contenuti della motivazione breve, è facile scorgere nell’art. 281 decies c.p.c. una disposizione normativa “infelice”. Stando al tenore letterale della norma, infatti, la “nuova” motivazione sembra semanticamente coincidente con il modello “ordinario” di motivazione di cui agli art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. Se non fosse però che al secondo comma la stessa norma precisa che quella di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c. è la c.d. motivazione “estesa”, la cui stesura la parte soccombente potrà richiedere, previo pagamento. Ciò da cui deriva la conseguenza logica, ancorché non necessitata, che i contenuti della motivazione ex art. 281 decies c.p.c. rappresentano un “quid minoris” rispetto a quanto confluisce nella motivazione di cui all’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. Tutto sta nel capire in concreto il quid ed il quomodo di tale differenziazione (riflessioni che saranno compiute nel paragrafo che segue).

Nel progetto normativo, la motivazione breve consisterebbe in un “dispositivo corredato145 che, per punti, rende conoscibile l’iter logico seguito dal giudice. Ed infatti, contiene la sommaria elencazione dei fatti rilevanti, l’enunciazione delle fonti di prova e l’indicazione dei principi di diritto su cui la decisione è fondata. In particolare, secondo quanto chiarisce la relazione ministeriale illustrativa, la sommaria elencazione dei fatti rilevanti si riferirà ai fatti ritenuti costitutivi, impeditivi o estintivi rilevati; l’indicazione dei principi di diritto traccerà la qualificazione del fatto, l’enunciazione delle fonti di prova chiarirà quali, tra quelle acquisite, sono state poste alla base del decisum. Senza, tuttavia, costringere il giudice ad entrare nel merito delle stesse.

Ciò che consente una prima riflessione.

La motivazione breve, qualunque sia poi in concreto il suo contenuto (di cui si parlerà più ampiamente infra), non sembra creare problemi di incompatibilità con l’ordinamento costituzionale, con riferimento all’art. 111, comma 6, Cost., né con l’ordinamento sovranazionale, riferendoci, in questo caso, alle garanzie dell’equo processo di cui all’art. 6 CEDU.146 Ed infatti, la motivazione resa immediatamente insieme al dispositivo è già verosimilmente sufficiente ad offrire il minimo comune denominatore necessario alla piena copertura costituzionale e processuale internazionale per il richiesto contenuto della motivazione, essendo sufficientemente idonea ad offrire all’utente del servizio giustizia quelle garanzie interne ed esterne al processo tendenzialmente ritenute irrinunciabili. Ed infatti, a ben osservare, la necessaria elencazione a verbale dei fatti rilevanti e dei principi di diritto applicati nonché degli elementi di prova ritenuti decisivi consente in buona sostanza di garantire il controllo dell’operato del giudice e della sua tendenziale rispondenza al dettato normativo in luogo del mero arbitrio, e garantisce, altresì, la piena conoscibilità della portata della decisione, anche ai fini di una corretta identificazione della portata del giudicato della statuizione147 (così superando uno dei maggiori limiti ascritti alla motivazione a richiesta “pura”). Ancora, la necessità della successiva stesura della motivazione estesa, quale condizione imprescindibile per l’accesso all’impugnazione, consente altresì al giudice del gravame di poter disporre di una motivazione di primo grado esaustiva che valga da ausilio a rendere, almeno potenzialmente, una migliore decisione di secondo grado. Tale modello motivazionale, pertanto, sembra garantire a sufficienza funzioni148 extraprocessuali (controllo esterno delle ragioni giudiziarie, controllo democratico sull’esatta osservanza della legge e sul legittimo esercizio del potere giurisdizionale) ed endoprocessuali della motivazione (quali l’agevolazione della comprensione della decisione da parte del giudice dell’impugnazione) ma anche alcune delle funzioni pratiche ad essa ordinariamente riconosciute, quali appunto, la definizione della portata del giudicato e la capacità dissuasiva rispetto alla successiva impugnazione149.

Tuttavia, l’adozione di tale modello comporterebbe anche delle rinunce.

Non può sottacersi, infatti, che il modello di motivazione breve, è ragionevole pensare, precluderà al giudice la possibilità di operare pienamente la nomofilachia cosiddetta “orizzontale” per la quale in effetti appare assai più utile una più ampia e convincente argomentazione in motivazione. E’ pur vero, però, che la scelta del modello motivazionale è comunque riservata al giudice, il quale, nel caso in cui dovesse ritenere necessario, o quantomeno utile, dotare la propria decisione di una certa efficacia persuasiva che possa attribuirle forza di precedente giudiziale, potrà liberamente optare per un modello motivazionale diverso quale quello indicato dall’art. 281 quinquies c.p.c., se è giudice monocratico, o 275 c.p.c. se è giudice collegiale, che gli concedono maggiori margini di argomentazione.

Ciò che nel nuovo modello di motivazione manca è, altresì, la possibilità per le parti di effettuare, a mezzo di quanto è in essa esplicitato, un pieno esame del rispetto, da parte del giudice, del diritto di difesa delle parti, che si estrinseca principalmente nell’onere, a carico del giudice, di valutare eccezioni, istanze istruttorie, mezzi di prova, argomentazioni difensive delle parti e giustificare, in relazione ad esse, la propria decisione dimostrando di averle tenute in debito conto. Tuttavia, la possibilità offerta a tutela di questo interesse, verosimilmente più privato che pubblico, attraverso la richiesta successiva del deposito della motivazione estesa, può consentire di ritenere tutto sommato non troppo incisiva la limitazione dei poteri delle parti.

Rimane tuttavia la compressione di una fondamentale finalità della motivazione contestuale scritta, ovvero la possibilità che per questo tramite il giudice assicuri migliori decisioni della controversia, utilizzando la motivazione scritta come elemento di controllo della piena rispondenza alle disposizioni di legge della soluzione giuridica prescelta; in effetti, a questi fini, appare assai utile prima della formulazione della decisione finale anche la stesura di una motivazione “piena”150.

Quella oggi offerta dall’art. 281 decies c.p.c., è pertanto una soluzione normativa che sacrifica, almeno in parte, l’utilizzo della motivazione contestuale come elemento atto a favorire una decisione “migliore”; ma è tuttavia una soluzione che d’altro canto, potrebbe essere utile per consentire un più veloce disbrigo delle controversie giuridiche.

 

6. Segue (…) MODULI DECISIONALI A CONFRONTO.

In questa sede appare utile offrire anche una riflessione sulla opportunità della proponenda nuova disposizione, anche da un punto di vista degli esiti pragmatici, e con il tentativo di evidenziare eventuali ragioni non perfettamente esplicitate alla base dei nuovi articoli proposti.

In primo luogo, allora, può essere utile valutare se la nuova disposizione abbia o meno un certo impatto anche su altre disposizioni normative e, a mio giudizio, già a prima lettura, deve comunque valutarsi la nuova proposta delle modalità espressive del giudice insieme alle altre tuttora concesse, onde ricavarne a livello ermeneutico una lettura globale, per quanto possibile, coerente.

Primariamente, pertanto, non si può non rassegnare la potenziale incoerenza della nuova disposizione avuto riguardo al vigente art. 186 quater c.p.c., ovvero all’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione. Come noto, si tratta di uno strumento di tutela anticipata che prevede che, esaurita l’istruzione, il giudice istruttore, su istanza di parte, pronunci un’ordinanza di condanna al pagamento di somme o di consegna o rilascio (con valore di titolo esecutivo) nei limiti in cui ritenga già raggiunta la prova, provvedendo anche sulle spese processuali. Se dopo l’ordinanza il processo si estingue, o la parte soccombente rinuncia, “l’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza”.

Appare evidente che la “filosofia” dell’art. 186 quater (nato come misura “estemporanea”151 –ed auspicabilmente contingente- in un contesto oggettivamente emergenziale) sia non solo diversa ma persino incompatibile con quella propria dell’art. 281 decies. Infatti, l’ordinanza post istruttoria, la cui operatività è rimessa esclusivamente alla richiesta della parte (contrariamente all’art. 281 decies, che troverà applicazione solo se il giudice lo riterrà opportuno e senza che la parte possa incidere su tale scelta) e cui sottendono esigenze anticipatorie di tutela più che deflattive del contenzioso, nel caso di inerzia della parte è direttamente impugnabile152, senza che a tal fine sia necessario attendere il deposito della sentenza completa, cui l’intimato rinuncia. Per la decisione ex art. 281 decies, invece, opera un meccanismo opposto in cui l’impugnazione, per espressa volontà del legislatore, potrà essere esperita solo avverso il provvedimento che esprime la “decisione completa” e l’inerzia della parte (rispetto alla richiesta del deposito della sentenza con motivazione estesa) comporterà addirittura la non impugnabilità della sentenza ed il suo passaggio in giudicato153. Dal punto di vista del risparmio dei tempi, pertanto, la nuova soluzione normativa sembrerebbe costituire addirittura un arretramento rispetto al modello dell’ordinanza istruttoria, laddove impone al giudice ed alle parti una duplice motivazione ai fini dell’impugnazione; come pure non può negarsi che sarebbe stato forse più opportuno, come in effetti accade per l’operatività del 186 quater, rimettere alla volontà delle parti, piuttosto che esclusivamente alla discrezionalità del giudice, la scelta in favore di una decisione più rapida ma meno argomentata (anche perché riterrei assai probabile che se è stata la parte a richiedere al giudice la motivazione breve, tendenzialmente si accontenterà della stessa). Si tratta, all’evidenza, di meccanismi non facilmente compatibili che creano una illogicità di fondo del sistema che sarebbe opportuno eliminare, probabilmente proprio attraverso l’abrogazione dell’art. 186 quater e dello strumento anticipatorio da esso introdotto, atteso il suo fallimento pratico (oltre forse gli effettivi demeriti) che è già stato decretato dalla prassi, e che induce, in questa sede, a non indugiare oltremodo su tale istituto.

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Ben più importante appare invece valutare il modello decisorio di cui all’art. 281 decies c.p.c. in relazione reciproca e comune con i modelli di cui agli art. 281 quinquies (decisione a seguito di trattazione scritta o mista) e 281 sexies c.p.c. (decisione a seguito di trattazione orale) nonché, più in generale, in relazione ai contenuti della motivazione ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., al fine di capire se l’interpretazione di tali disposizioni possa essere in qualche modo condizionata dall’introduzione nel nostro ordinamento processualcivilistico dell’art. 281 decies.

A mio avviso, la risposta a tale quesito è affermativa, nel senso che mi parrebbe quantomeno logico, se non proprio necessitato, interpretare in un’ottica sistematica le diverse disposizioni in tema di decisione e motivazione.

Partendo, pertanto, dal modello ordinario di motivazione e, dunque, dalle prescrizioni di cui all’art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., la motivazione si estrinseca nella “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione154 ovvero contiene la “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.155

Si è già avuto modo di osservare156 che l’intervento riformatore del legislatore del 2009, che ha inciso da ultimo sulle disposizioni normative appena citate, non ha imposto nessuna concreta riduzione degli oneri motivazionali del giudice, di fatto tradendo, pertanto, l’intento acceleratorio che ha ispirato la riforma. ***** dall’operare sul piano dei contenuti, infatti, tale riforma ha inciso esclusivamente sul piano dello stile e delle tecniche di redazione della sentenza al fine di favorirne ed attualizzarne la concisione.157 Ad oggi, pertanto, il modello ordinario di motivazione prevede che la stessa, per quanto breve e concisa, sia completa, esaustiva e sufficiente, dovendo esplicitare le ragioni di fatto (tale è la c.d. motivazione in fatto, ovvero i “fatti rilevanti” della causa, per come sono emersi alla luce della attività istruttoria compiuta o per il tramite dell’applicazione di altri parametri normativi, quali la pacificità del fatto per notorietà o per mancata contestazione158) e le ragioni giuridiche (la c.d. motivazione in diritto che richiede l’enunciazione delle norme processuali e sostanziali di cui si è fatta applicazione nella qualificazione dei fatti) della decisione, nel rispetto di alcuni parametri fondamentali di riferimento, quali la garanzia del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., della tutela del contraddittorio, del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. con la precisazione, tuttavia, di non poco momento, che sulla determinazione del contenuto minimo necessario della motivazione incidono l’importanza e la complessità della causa, il suo potenziale impatto sociale e la sua pragmaticità.

Non diversamente in riferimento ai modelli decisori ad uso del giudice monocratico, introdotti dal legislatore del 1998, ovvero la decisione a seguito di trattazione scritta o mista ex art. 281 quinquies, rispettivamente primo e secondo comma, e la decisione contestuale a seguito di trattazione orale di cui all’art. 281 sexies. Sul piano dei contenuti motivazionali, infatti, tali modelli non sembrano differire da quello tradizionale, soprattutto in mancanza di specifiche e chiare indicazioni in tal senso da parte del legislatore. Qualche distinguo rispetto al modello classico è possibile ricavarlo, in via interpretativa, per la sola sentenza contestuale ex 281 sexies ma, anche qui, non tanto sul piano dei contenuti, quanto dello stile motivazionale. Ed in effetti, trattandosi di sentenza a verbale, si è, in primo luogo, ritenuta non necessaria l’indicazione dei meta-dati, delle conclusioni delle parti, della esposizione dello svolgimento del processo, in quanto ricavabili facilmente dal verbale di causa, ritenendosi piuttosto sufficiente la concisa esposizione dei passaggi dell’iter processuale avente diretta incidenza sulla decisione. Elemento di differenziazione, quest’ultimo, che, peraltro, si è ulteriormente attenuato a seguito della riforma del 2009, che ha soppresso anche dal corpo della sentenza ordinaria la indicazione dello svolgimento del processo. Inoltre, trattandosi di sentenza a verbale contestuale, ovvero stesa immediatamente dopo la trattazione orale della causa, esige dei contenuti snelli, chiari e lineari, riflesso della semplicità (dal punto di vista della decisione o anche solo della motivazione159) della causa trattata. Snellezza di forme e stile che, tuttavia, almeno nelle intenzioni del riformatore, sono divenuti la regola anche per la motivazione ordinaria dalla quale il legislatore del 2009 ha parimenti preteso il rigoroso rispetto del canone della concisione.

Ne deriva che, ad oggi, dal punto di vista contenutistico, tutti i modelli motivazionali offerti dal nostro ordinamento processualcivilistico sono accomunati dall’esigere la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Nell’ipotesi di sentenza contestuale, la necessità di una redazione graficamente contenuta ha portato a ritenere sin dagli albori della disposizione normativa che il giudice possa procedere all’esposizione del fatto e dei motivi senza necessità di ripetere le versioni narrate dalle parti, ma optando decisamente per la versione ritenuta attendibile dal giudice, e però indicandone i passaggi probatori che lo hanno convinto nei vari punti della motivazione in fatto. Ciò che ad oggi, soprattutto a seguito della riforma del 2009, ma per la verità già qualche anno prima a livello giurisprudenziale160, può essere tendenzialmente ritenuto sufficiente anche per il modello di motivazione ordinario, sempre che la particolare importanza della questione oggetto di trattazione non imponga degli oneri motivazionali più “impegnativi”, che portano il giudice ad ampliare le argomentazioni sia in fatto che in diritto, rispondendo analiticamente alle deduzioni delle parti, spiegando le ragioni che lo hanno indotto ad accoglierne alcune rigettando le altre, a ritenere ammissibili alcune prove ed inammissibili altre, ad interpretare una legge in un modo rifiutando una interpretazione diversa etc..; tutto ciò che la motivazione per così dire “vecchio stile” puntualmente esigeva.

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Venendo ora al nuovo modello di motivazione breve, si può agevolmente osservare come di fatto nessuno degli elementi che compongono il contenuto motivazionale della decisione ordinaria sia stato in esso pretermesso; vi è, infatti, l’indicazione dei fatti rilevanti e dei principi di diritto nonché delle fonti di prova su cui la decisione è fondata. Nessuna differenza contenutistica, pertanto, parrebbe intercorrere tra la motivazione breve e la motivazione estesa161.

Ciò che sembrerebbe escluso dalla motivazione breve, infatti, è la sola espressa valutazione del giudice in ordine alle singole allegazioni, prospettazioni ed argomentazioni delle parti, come pure la valutazione, una per una, di tutte le prove prodotte o acquisite, potendo il giudice in questo caso limitarsi, dopo averli vagliati nel loro complesso, ad indicare gli elementi di fatto e di diritto posti a base della decisione, nonché i mezzi di prova sui quali ha fondato il proprio convincimento, ritenendosi in tal caso respinti implicitamente tutti gli altri rilievi e le circostanze che, sebbene non esaminati specificatamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. Come visto, però, questo è quanto, già da qualche anno, a livello giurisprudenziale 162, anche prima della riforma del 2009 si riteneva essere sufficiente per il modello classico di motivazione di cui all’art. 132 c.p.c. e, a fortiori, per i modelli decisionali ad uso del giudice monocratico.

La conseguenza logica allora è che se la motivazione ex art. 281 decies è normativamente definita “motivazione breve”, gli altri moduli motivazionali di cui il nostro ordinamento processualcivilistico dispone non possono che avere un contenuto più ampio, di fatto coincidente con quella che lo stesso art. 281 decies definisce motivazione “estesa”. Ciò che porta inevitabilmente a compiere un passo indietro e ad interpretare in senso rigorosamente più tradizionale e restrittivo le preesistenti disposizioni normative in tema di motivazione, mortificando, per tale via, qualsiasi velleità di riconoscere ai precedenti interventi normativi in materia una portata più ampia ed incisiva, ancorché più in linea con gli intenti di accelerazione dei tempi della giustizia che le hanno ispirate. Ed infatti, la lettera della disposizione emananda, induce ad una rilettura in chiave tradizionale dell’art. 132 c.p.c.163 (ma stesso discorso vale per i modelli decisori di cui all’art. 281 quinquies e sexies c.p.c.164) come motivazioni tendenzialmente esaustive e senza “compromessi al ribasso”, nel senso che il giudice che opterà per i modelli motivazionali alternativi a quello breve ex art. 281 decies, dovrà garantire un tessuto motivazionale più ampio ed argomentato165; ciò che lo porterà, ad esempio, a non poter più limitarsi alla pura e semplice indicazione dei fatti accertati e rilevanti, ma lo indurrà a giustificare tali fatti alla luce del materiale probatorio acquisito che ha fondato il relativo accertamento, cui dovrà fare espresso riferimento166 e persino, così pare doversi intendere, alle singole allegazioni e deduzioni delle parti.

Tale soluzione allora non può non destare serie perplessità, soprattutto sulla capacità di questa ennesima riforma di centrare l’obiettivo che, ancora una volta, è la velocizzazione dell’attività decisoria. Ed infatti, su queste basi, va quantomeno messa in conto la possibilità di un certo affaticamento temporale delle altre forme di decisione alla luce della nuova possibilità offerta dall’art. 281 decies. Tale soluzione mi pare logica, ancorché non necessitata, trattandosi comunque di forme motivazionali diverse e non essendo necessario un tentativo di ricostruzione a tutti i costi armonica della disciplina.

E’ tuttavia possibile ipotizzare una soluzione diversa, e meno “invasiva”. Ovvero lasciare immutata l’interpretazione degli art. 281 quinquies e sexies e utilizzare, in concreto, il modello di motivazione introdotto dall’art. 281 decies in tutti i casi in cui il giudice ritenga di non poter ricorrere alla motivazione contestuale (allorquando la brevità della motivazione possa essere concretamente pregiudizievole per la parte, che non potrebbe chiedere in un secondo momento ulteriori chiarimenti, se ritenuti necessari) ritenendo invece più opportuno disporre la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. In questo senso, la decisione ex art. 281 decies servirebbe principalmente al posto del modello decisionale previsto dall’art. 281 quinquies, dunque dovrebbe essere utilizzato potenzialmente per le controversie “difficoltose” ovvero quelle che, secondo il giudice, hanno bisogno di una motivazione attenta e piena. In tali ipotesi, la motivazione ex art. 281 decies consentirebbe di indicare sommariamente167 (ma sufficientemente) alle parti le ragioni della decisione, in modo conciso ed asciutto, senza dover spiegare le ragioni che hanno indotto il giudice a ritenere prevalenti quelle prove o quei principi di diritto rispetto a quelle altre che ad esse si contrapponevano, con la possibilità di una successiva integrazione, se necessaria.

Questa lettura, in effetti, è quella che valorizzerebbe l’utilizzo della motivazione “estesa” a richiesta nell’auspicata funzione deflativa. Una simile soluzione manifesta chiaramente la portata della nuova disposizione tesa ad evitare le motivazioni più “difficili” e al tempo stesso quelle secondo logica più importanti per l’esercizio del controllo della precomprensione, senza il sacrificio dei diritti delle parti (almeno in linea teorica).

 

7. Segue (…) ULTERIORI RIPERCUSSIONI SUL PROCESSO.

Si tratta così di ragionare se la riforma sia in grado di centrare o meno l’obiettivo di velocizzare l’attività decisoria e attraverso quali scotti da pagare. Al riguardo, a mio giudizio, la motivazione ex art. 281 decies, quale mezzo per deflazionare i giudizi, non è primariamente rivolto ad evitare le motivazioni lunghe delle sentenze di primo grado, quanto invece e principalmente a limitare i giudizi di appello, attraverso l’imposizione del pagamento di un contributo unificato, oltretutto rincarato del 50%, quale unica via di accesso alla motivazione estesa che, a sua volta, rappresenta il percorso obbligato verso il gravame.

Ciò, chiaramente, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla costituzionalità di un simile meccanismo (di cui infra).

Ed in effetti, la realtà dei recenti meccanismi deflativi sembra confermare che gli unici strumenti efficaci sotto questo punto di vista siano quelli che in qualche modo costringono la parte processuale a pagare più somme per il processo, soprattutto nel nostro Paese, dove i costi processuali sono in genere inferiori rispetto ad altre realtà.

A tal proposito, si facciano solo alcuni esempi: in primis è un dato oggettivo che l’imposizione di un contributo unificato fisso, nella massima misura e in modo indifferenziato, ovvero indipendentemente dal valore e della rilevanza della controversia, per i ricorsi innanzi al giudice amministrativo in materia di affidamento di lavori, servizi e forniture, ivi compresi quelli per motivi aggiunti e quelli incidentali contenenti domande nuove168, ha determinato un sensibile abbattimento del numero di cause aventi tale oggetto dinanzi ai TAR, incidendo particolarmente sul contenzioso relativo alle gare di affidamento aventi importi a base d’asta di ridotta entità, che, per la verità, sono la maggioranza169. L’introduzione di un filtro economico all’accesso alla giustizia amministrativa nel settore degli appalti ha pertanto dimostrato l’auspicata capacità deflativa del contenzioso amministrativo.

Stessa cosa può dirsi con riferimento alle cause dinanzi al giudice di pace in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, per le quali dall’1 gennaio 2010 è stato introdotto il pagamento del contributo unificato, sino ad allora escluso. L’introduzione di tale costo, ad opera della Legge finanziaria 2010, art. 1 comma 212, ha sortito l’effetto sperato, determinando una significativa diminuzione dei fascicoli pendenti dinanzi al giudice di pace che, secondo le stime comunicate dal Ministro della Giustizia nella sua relazione annuale, raggiunge la soglia del 10%170 incidendo in maniera considerevole sulla riduzione delle pendenze nell’area civile.

Analoghe riflessioni possono valere in relazione all’istituto della conciliazione obbligatoria171, per la quale si tratterà di capire se la realtà non sia, come credo, che l’effetto deflativo sia atteso non tanto dalle eque conciliazioni quanto invece dalle ulteriori complicazioni che derivano da tale meccanismo e, soprattutto, dai costi che le parti dovranno affrontare nella fase introduttiva del giudizio per avviare l’operatività della conciliazione, che, non è difficile da credere, condurranno talora le parti a rinunciare alla proposizione del giudizio172.

Comune, a mio parere, è il meccanismo che opererebbe con l’entrata in vigore dell’art. 281 decies ai fini dell’effetto deflativo dei giudizi di impugnazione173. L’art. 7 del ddl, che reca modifiche in materia di spese di giustizia, prevede, infatti, l’aumento della metà del contributo unificato per i giudizi di impugnazione; contributo che, peraltro, dovrà essere pagato non dalla parte che per prima impugna, ma dalla parte che per prima richiede la motivazione estesa, propedeutica ed imprescindibile ai fini dell’impugnazione della decisione ed a prescindere dall’effettiva proposizione della stessa (senza che, peraltro, sia in qualche modo previsto che la parte che, alla fine, rinuncerà all’impugnazione, possa recuperare i costi del contributo unificato già versato). L’accelerazione dei tempi di giustizia, in questo caso, discenderebbe sia da una limitata agevolazione del giudice di primo grado che, proprio a causa dei costi imposti dalla motivazione estesa, sarà più difficilmente chiamato a redigerla (quantunque si corre il rischio di dover stendere la motivazione in pratica due volte) con evidente risparmio di tempi, sia, soprattutto, da una riduzione del contenzioso in appello, conseguenza della rinuncia della parte soccombente a richiedere la motivazione estesa174.

Con buona pace, tuttavia, della strumentalità della motivazione per decisioni migliori e per un uso corretto del processo nei casi in cui serve. E’ probabile, infatti, che la parte, anche alla luce del considerevole rincaro del contributo unificato, per le cause di piccola e media importanza, prima deciderà se impugnare o meno e solo successivamente richiederà, se del caso, la motivazione estesa. Ciò significa che potrà facilmente accadere che la parte soccombente rinuncerà ad impugnare senza conoscere realmente quelle piene motivazioni che magari avrebbero potuto condurla verso l’impugnazione. L’effetto deflativo sarebbe certamente assicurato ma, certo, a fronte di un uso non ottimale del processo. Come al contrario potrà accadere, in taluni casi, che la parte soccombente che ha pagato per ottenere una motivazione estesa ed accurata, sia poi spinta ad impugnare proprio dal fatto di avere già comunque pagato i costi di accesso al giudizio di impugnazione (che non potrà più comunque recuperare), e ciò anche a prescindere dalla capacità dissuasiva della motivazione “lunga” rispetto al gravame. Ciò che, a sua volta, rappresenta un uso non ottimale del processo.

Altro fattore di cui non si può non tener conto nel valutare l’istituto in esame è il rischio che il giudice, chiamato a motivare brevemente, possa inconsciamente cedere alla spinta di trovare soluzioni permeate da momenti di maggiore equità piuttosto che dalla fedele applicazione del diritto in senso stretto. Ma ciò che più preoccupa è soprattutto il rischio che il giudice, nell’individuare la soluzione alla questione giuridica sottoposta al suo esame, possa altrettanto inconsciamente essere indotto a privilegiare soluzioni che più difficilmente potranno essere oggetto di richiesta di motivazione estesa, ciò che in concreto potrebbe tradursi nella scelta di quella soluzione giuridica che favorisca la parte economicamente forte, stante che la possibilità che questa impugni una decisione a sé sfavorevole, richiedendo pertanto la motivazione ex art. 132 c.p.c., è certamente maggiore rispetto al rischio che tale impugnazione provenga dalla parte economicamente debole.

E ne deriva, ancora, che la scelta del giudice tra le varie forme decisorie non è irrilevante, ma al contrario reca delle conseguenze che impattano direttamente sui diritti delle parti; la scelta del modello decisorio di cui all’art. 281 quinquies in luogo della decisione ex art. 281 decies, infatti, favorisce la parte soccombente che conoscerà sin da subito, in maniera verosimilmente completa, le ragioni di fatto e giuridiche della decisione e, quindi, gli effettivi margini di impugnazione della stessa verso la quale potrà risolversi a costo zero, al contrario della parte soccombente nel caso di decisione brevemente motivata ex art. 281 decies, chiamata a pagare il costo dell’accesso al giudizio di impugnazione già prima di poter in concreto verificare se sussistono sufficienti margini per il gravame, ed a prescindere dall’effettiva proposizione dello stesso. In questo modello decisorio, pertanto, è la parte vincitrice ad essere avvantaggiata, atteso che otterrà una pronuncia che è immediatamente esecutiva, che non potrà essere immediatamente impugnata e che, visti i costi della motivazione estesa, resisterà più facilmente alla possibilità del gravame.

Si tratta allora di valutare se è da accogliere positivamente il riconoscimento di questo ulteriore elemento di discrezionalità che viene riservato al giudice, che ha delle conseguenze, come visto, direttamente incidenti sui diritti delle parti, in maniera ancora più netta di quanto il legislatore ci abbia sinora abituati, da ultimo, per esempio con l’introduzione del rito sommario, ove è il giudice il soggetto cui compete la scelta definitiva sul rito175, con tutte le conseguenze che ne derivano, soprattutto in termini di limitazione del diritto alla prova e riduzione dei tempi di difesa per il convenuto. In conclusione, quantomeno per il giudizio di primo grado, riterrei non auspicabile l’introduzione del nuovo istituto nel nostro processo civile.

 

8. ART. 281 DECIES E ART. 352 C.P.C. L’ISTITUTO DELLA MOTIVAZIONE BREVE NEL PROCESSO AVANTI ALLA CORTE DI APPELLO.

Nel paragrafo che precede ho espresso alcune perplessità in ordine alla capacità della motivazione breve ex art. 281 decies di realizzare l’obiettivo di accelerazione dei tempi di definizione dei giudizi, condividendo in buona parte le ragioni di chi sostanzialmente ritiene non necessaria la stesura di una seconda motivazione per l’accesso all’impugnazione, recando già la motivazione in sé gli elementi necessari per esplicitare le ragioni della decisione, di talchè il frazionamento dell’iter motivazionale appare essere un ulteriore appesantimento del processo che, paradossalmente, allunga i tempi di definizione del giudizio, introduce ulteriori rischi di inceppamento della macchina della giustizia e rischia di porre nel nulla quei piccoli passi che sinora sono stati fatti verso l’obiettivo di una giustizia più rapida ed efficiente. Ciò che altro non è se non il frutto di un’ennesima prova di “timidezza” da parte del legislatore che, pur avvertendo la necessità di un intervento riformatore dai toni più radicali (diversamente non sarebbe tornato a proporre una riforma in tema di motivazione a poco più di un anno e mezzo dall’entrata in vigore della precedente), temendo probabilmente la scure della pronuncia di incostituzionalità di una soluzione più incisiva, quale avrebbe potuto essere l’introduzione della motivazione a richiesta “pura”, ha introdotto un meccanismo ibrido che, tuttavia, rischia seriamente di mancare l’obiettivo.

Tuttavia le mie valutazioni di opportunità della riforma e degli istituti decisori che essa introduce si configurano diversamente con riferimento al giudizio di appello.

L’art. 6 del ddl in esame prevede, infatti, di estendere, modificando l’art. 352 c.p.c., al giudizio di appello la possibilità che la causa venga decisa, oltre che secondo il tradizionale modello della decisione che segue lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, anche secondo il modello disciplinato dall’art. 281 sexies c.p.c. nonché secondo il modello disciplinato dal nuovo art. 281 decies c.p.c.

Il giudice dell’appello, pertanto, avrebbe a disposizione tre diversi modelli decisori: quello ordinario di cui all’art. 352, quello della sentenza contestuale ex art. 281 sexies e quello della motivazione breve ex art. 281 decies.

Quanto all’utilizzabilità anche in appello della sentenza contestuale, sembra finalmente essere stata recepita una soluzione da tempo auspicata e verso la quale la giurisprudenza cominciava a muovere i primi passi176. Riterrei che tale soluzione sia da salutare con favore, atteso che consentirebbe anche in appello, ove il problema del ritardo nelle decisioni è ben più serio, di decidere in tempi più rapidi quelle cause che, per la loro semplicità, si prestano ad una decisione contestuale177. Fermo restando, però, che si creerebbe una contraddittorietà interna al sistema, da risolvere in via normativa, che ammetterebbe l’utilizzabilità della sentenza contestuale dinanzi al giudice collegiale in appello ma non in primo grado, ove continuerebbe a rimanere appannaggio del giudice monocratico.

Quanto all’applicabilità dell’art. 281 decies, riterrei che è proprio nel giudizio di appello che tale istituto decisorio possa trovare maggiore coerenza e razionalità. Ed infatti qui ben si comprende la necessità, per vero non altrettanto essenziale in primo grado178, di subordinare l’esperibilità dell’impugnazione, che è il ricorso per Cassazione, alla stesura di una motivazione puntuale e completa. Tale esigenza nasce dalla necessità di salvare la pronuncia dal rischio del vizio di nullità per i motivi di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c179, in particolare per il mancato ossequio al canone della sufficienza tradizionalmente inteso come parametro di valutazione della completezza e della esaustività della decisione. Ciò che rende razionale la previsione del legislatore di mettere il giudice nelle condizioni di spiegare compiutamente le ragioni della propria decisione, qualora la parte non le abbia pienamente comprese sulla base della sola motivazione breve, per il tramite della stesura della motivazione estesa180.

Considerazioni, queste, che inducono a riflettere, de iure condendo, in ordine alla probabilità che il giudice dell’appello, proprio per le controversie “più semplici”, sarà propenso ad applicare il più delle volte l’art. 281 decies piuttosto che ricorrere allo strumento della motivazione contestuale ex art. 281 sexies, atteso che quest’ultimo istituto decisorio non contempla quel “paracadute” che è la “integrazione” della motivazione, che salva la statuizione del giudice dal vizio di nullità per i motivi di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., cui la snellezza contenutistica della decisione contestuale verosimilmente lo espone. Salvo ritenere che oggi, la circostanza che il legislatore abbia esteso anche al giudizio di appello la decisione contestuale, non imponga una reinterpretazione in chiave restrittiva dello stesso canone di sufficienza di cui all’art. 360 n. 5, tradizionalmente inteso quale criterio determinativo dei contenuti della motivazione ma che, soprattutto alla luce della sempre più pressante spinta del legislatore verso la sinteticità e la concisione, ha assunto dei contorni meno definiti, tendenzialmente individuati caso per caso dal giudice chiamato a decidere181.

La soluzione offerta dall’art. 281 decies, pertanto, sembra opportuna per la definizione dei giudizi di appello, perché in grado di conciliare ad un tempo la necessità di una decisione rapida con la necessità di una decisione sufficiente e completa, idonea a resistere, sotto il profilo dei vizi di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., al sindacato della Corte Suprema. Tuttavia, valgono chiaramente anche per il giudizio di appello le considerazioni già svolte nei paragrafi che precedono in ordine alla circostanza che la necessità di pagare il contributo unificato previsto per il successivo grado di giudizio al fine di ottenere la motivazione estesa, potrebbe indurre la parte soccombente a decidere se impugnare o meno già prima di prendere visione della motivazione lunga, che sarà verosimilmente richiesta solo da chi ha già deciso di impugnare. Ciò che in secondo grado è, naturalmente, particolarmente grave anche se non statisticamente ricavabile. La scelta, dunque, in questo caso, si presenta particolarmente complessa.

 

9. L’ESAME OGGETTIVO DELLE NUOVE DISPOSIZIONI: DIFFICOLTA’ INTERPRETATIVE ED APPLICATIVE ED EVENTUALI PROPOSTE CORRETTIVE.

A prescindere dalle valutazioni di opportunità che si vogliano dare sulle nuove disposizioni proposte, rimane ancora da analizzare se queste non presentino difficoltà di interpretazione oltre che di coordinamento con altre disposizioni, al fine di provare a proporre degli aggiustamenti onde evitare complesse difficoltà ermeneutiche alla comprensione della nuova disciplina che, è esperienza comune alle ultime riforme processuali, rendono assai difficile la gestione “semplificatrice” che le nuove disposizioni si propongono.

Ed in effetti le “zone d’ombra” create dalla nuova disposizione normativa non sono poche.

Partiamo dall’art. 5 del ddl, che prevede la modifica dell’art. 163 c.p.c., inserendo al comma 3 n. 7, le seguenti parole: “e che la motivazione della sentenza può essere resa nelle forme di cui all’art. 281 decies”, introducendo pertanto uno specifico onere informativo a carico dell’attore nei confronti del convenuto, a pena di nullità ex art. 164 c.p.c. dell’atto introduttivo182. Ciò che vale ad avvertire la parte convenuta (che nell’ottica dell’attore sarà soccombente) che, nel caso in cui il giudice dovesse risolversi per l’applicazione al caso di specie dell’art. 281 decies, se sarà soccombente, avrà l’onere di richiedere, entro 15 giorni dalla pubblicazione della sentenza (che avverrà in udienza e che, verosimilmente non sarà soggetta a comunicazione da parte della cancelleria), la motivazione estesa, se non vorrà decadere dall’impugnazione. Tale avvertimento assume un particolare rilievo nei confronti del contumace, atteso che, sul piano pratico, si rileva l’oggettiva difficoltà per la parte non costituita di richiedere la motivazione nel breve termine di decadenza, decorrente dalla lettura in udienza della decisione, della quale, il contumace potrebbe non avere contezza. Occorre osservare che la relazione ministeriale illustrativa del ddl prevede che solo le parti costituite potranno chiedere la motivazione estesa. Ciò da cui discenderebbe l’ulteriore osservazione che l’avviso di cui all’art. 163, comma 3, n. 7 c.p.c. varrebbe come avvertimento che la scelta di rimanere contumace comporterà, se il giudice deciderà ex art. 281 decies, la rinuncia preventiva all’impugnazione.

Sul punto occorre fare chiarezza. La disposizione normativa in esame, laddove prevede la possibilità di richiedere la motivazione estesa nel termine perentorio, ritenuto “strangolatorio”183, di quindici giorni dalla pubblicazione della motivazione breve, riconosce tale facoltà alle “parti” 184. Ciò da cui non pare possa presumersi alcuna esclusione della parte contumace dalla possibilità di richiedere la motivazione estesa. Occorre pertanto prendere atto della erroneità della relazione nel punto in cui esclude il contumace dal novero dei soggetti legittimati a richiedere la motivazione estesa, in quanto non corrispondente alle prescrizioni del testo normativo, ed auspicare che il legislatore possa utilmente rimediare a tali “sviste” che potrebbero creare non pochi problemi interpretativi e difficoltà applicative del nuovo istituto.

Ma vi è un altro punto in cui la relazione ministeriale contraddice il testo della norma. La relazione contiene un preciso riferimento all’avviso di cui all’art. 133, secondo comma, c.p.c. laddove prevede che esso conterrà il dispositivo e gli elementi della decisione; deponendo, pertanto, per la tesi secondo cui la sentenza ex art. 281 decies sarebbe soggetta a comunicazione. In ciò differenziandosi, però, dal regime cui è soggetta la sentenza contestuale. Stando al tenore letterale delle disposizioni normative di riferimento, invero, nessuna differenza, sotto questo profilo, parrebbe esserci tra le due decisioni; infatti, anche la sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., al pari della decisione ex art. 281 decies, “si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”. In relazione alla sentenza ex art. 281 sexies, la giurisprudenza ritiene che sia applicabile lo stesso regime previsto per le ordinanze processuali di cui all’art. 176, comma 2, c.p.c., secondo cui le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono185 conosciute dalle parti presenti e da quelle che avrebbero dovuto comparirvi, esonerando, pertanto, il cancelliere dall’onere della comunicazione ex art. 133 c.p.c.186. Una successiva pubblicazione da parte del cancelliere, pertanto, è stata ritenuta ultronea ed in contrasto con l’intento di semplificazione delle forme previsto dal legislatore. Se così è per la sentenza contestuale, non v’è ragione per cui non si debba ritenere che le stesse considerazioni possano valere anche per la sentenza con motivazione breve; ciò cui osterebbe solo la relazione ministeriale, che tuttavia, altro non è se non il frutto di una ennesima disattenzione dei conditores.

Entro trenta giorni dallo scadere dei termini ex art. 190 c.p.c., il giudice fissa con decreto, entro i successivi trenta giorni, l’udienza per la pronuncia della sentenza con motivazione breve. Stando al tenore letterale della disposizione, non è previsto che, in occasione di tale udienza, le parti possano discutere la causa, prospettando al giudice, un’ultima volta e con la massima chiarezza possibile, ciascuno le proprie ragioni di fatto e di diritto, come accade di regola dinanzi al giudice monocratico che decide ex art. 281 sexies nonché, nell’ipotesi di espressa richiesta della parte, anche nel caso di decisione ex art. 281 quinquies e 275 c.p.c. L’udienza cui fa riferimento l’art. 281 decies, infatti, sembra essere stata concepita esclusivamente allo scopo di dare lettura alle parti della decisione partorita dal giudice. Trattasi pertanto di un modello ibrido rispetto a quelli sinora conosciuti, che prevede la trattazione scritta della causa cui segue, ex officio, una successiva udienza che, tuttavia, non è di discussione ma di mera lettura della decisione con motivazione breve, che è una decisione a verbale ma non propriamente contestuale. Ciò che desta alcune perplessità sia in ordine alla necessità di fissare una ulteriore udienza esclusivamente per rendere la decisione, ben potendo piuttosto essere emessa attraverso l’ordinario deposito in cancelleria187, sia in ordine alla previsione della necessità che la sentenza sia resa mediante la lettura del dispositivo corredato, cosa che è semmai coerente e comprensibile nel caso di sentenza contestuale, ove è diretta conseguenza del principio di oralità ed immediatezza, ma non nell’ipotesi di una sentenza non contestuale, quale è quella di specie, ove invece, sembra rappresentale un mero ed inutile orpello.

La sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione del verbale che la contiene. Avvengono, pertanto, contestualmente le operazioni di deliberazione e pubblicazione della decisione. L’omessa lettura del dispositivo non comporterà la nullità della sentenza188, ma esclusivamente la sua irregolarità, purchè il giudice abbia ottemperato alla prescrizione normativa dell’immediato deposito189. In tal caso, però, non potrà residuare alcun dubbio in ordine alla necessità dell’avviso di cui all’art. 133, comma 2, c.p.c., da cui decorrerà il termine perentorio di quindici giorni per la richiesta della motivazione estesa.

Il deposito della motivazione completa da parte del giudice è subordinato al previo pagamento del contributo unificato previsto per l’accesso al grado di giudizio successivo, che sarebbe rincarato del 50%190. Tenuta al pagamento è la parte che per prima depositerà l’istanza, ancorché ad impugnare la sentenza dovesse poi essere un’altra parte. Tale pagamento, il più delle volte, si risolverà nell’anticipazione del costo di accesso alla fase successiva di gravame; fermo restando, però, che se la parte, dopo la lettura della motivazione dovesse rinunciare ad impugnare, non è prevista alcuna restituzione dei costi sostenuti.

Particolare attenzione merita invece la previsione dell’inserimento nel codice di rito dell’art. 324 bis, che stabilisce che la sentenza resa con motivazione breve non sarà soggetta ai mezzi di impugnazione ordinari, con conseguente passaggio in giudicato (c.d. giudicato breve) delle statuizioni in essa contenute nel caso di mancato richiesta della motivazione estesa. Nulla osta, però, alla proponibilità dell’opposizione di terzo e della revocazione ex art. 395 n. 1, 2, 3 e 6 c.p.c., anche se in concreto, la stringatezza della motivazione breve, renderà difficilmente esercitabili tali impugnazioni191.

La sentenza con motivazione breve sarà immediatamente esecutiva (a differenza di quanto prevedeva l’emendamento 48 al ddl 2228) mettendo pertanto la parte vittoriosa nelle condizioni di iniziare immediatamente l’esecuzione, senza dover attendere, il deposito della motivazione estesa per l’inizio dell’azione tesa alla realizzazione coattiva della propria pretesa. Ciò che, in effetti, è quanto già previsto per la sentenza lavoro, anche se con esclusivo riferimento alla ipotesi contemplata dall’art. 431 c.p.c., di sentenze di condanna emesse a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di lavoro. Ma con una differenza di non poco momento: al datore di lavoro che subisce l’inizio dell’esecuzione nelle more del deposito della sentenza completa di motivazione192, viene riconosciuta la possibilità di proporre appello con riserva dei motivi (art. 433, comma 2, c.p.c.) e di ottenere, sussistenti gravi motivi, la sospensione della esecuzione. Il nuovo modello di sentenza, invece, non è immediatamente impugnabile, nemmeno con riserva dei motivi, ciò che preclude l’esercizio della inibitoria193; lacuna che, a mio avviso, dovrà necessariamente essere colmata.

La peculiarità del frazionamento dell’iter motivazionale, ancora, potrebbe generare una serie di problematiche per certi versi assimilabili a quelli già conosciuti in relazione alla sentenza del rito lavoro, di cui all’art. 429 c.p.c., nella formulazione pre-riforma del 2008194, esponendosi tuttavia, talvolta, a soluzioni diverse. In particolare potrebbe verificarsi che malgrado la richiesta della parte, il giudice ometta la stesura della motivazione lunga, volontariamente o perché impedito da fatti sopravvenuti; o ancora che la motivazione lunga contenga dei momenti precettivi che la decisione munita di motivazione breve non presentava, o che vi siano persino ragioni di contrasto tra la motivazione breve e la motivazione lunga o tra il dispositivo e la motivazione estesa. Si tratta di questioni alle quali, ancora una volta, lo studioso ed il pratico del diritto sarebbero chiamati, di fronte al silenzio del legislatore, a risolvere in via interpretativa. Ora, è vero che le disposizioni processuali, in fondo, si rivolgono a tecnici, dunque è verosimile che il legislatore confezioni la norma processuale in maniera tale da lasciare margini più ampi, che saranno riempiti consapevolmente dalla prassi, capace di individuare la migliore soluzione applicativa della norma stessa, ma è anche vero, però, che il processo civile è una realtà assai variegata e complessa, fatta di una miriade di avvocati (circa 200 mila) e numerosi giudici, “sparsi” nelle varie sedi195, molto più di quanto possa esserlo, ad esempio, il processo amministrativo, la cui realtà, potremmo dire, “di nicchia”, è costituita, in primo grado, da 30 TAR ed un numero decisamente più contenuto di avvocati. Ciò da cui deriva l’inevitabile lentezza dei tempi di conoscibilità delle c.d. best practices (soprattutto a causa della contemporanea diffusione, purtroppo, anche delle bad practices). E’ proprio per queste ragioni che, de iure condendo, si suggerisce l’introduzione di norme di attuazione del codice di procedura civile atte a chiarire i diversi aspetti applicativi delle norme in via di introduzione, così da scongiurare il rischio, oltretutto, che l’incertezza applicativa della norma possa in concreto spingere il giudice a non applicarla.

Nelle more di un auspicabile accoglimento di tale suggerimento da parte del legislatore, possono comunque essere compiute alcune riflessioni. Il punto di partenza è rappresentato dalla circostanza che la sentenza emessa ai sensi dell’art. 281 decies c.p.c., viene giuridicamente ad esistenza nel momento in cui viene sottoscritta dal giudice che l’ha pronunciata, che ne dà lettura in udienza ed immediatamente la deposita.

Con la sottoscrizione, il giudice assume la paternità della decisione nei limiti di quanto espresso nell’atto grafico. La lettura del dispositivo196, stando a quanto è stato sostenuto dall’opinione prevalente con riferimento alla sentenza del rito lavoro pre-riforma e che potrebbe valere anche con riferimento alla sentenza ex art. 281 decies, esaurirebbe l’esercizio del potere decisorio per quel grado di giudizio, con la conseguenza che sarebbe illegittimo il successivo rilevamento di questioni preliminari e del loro inserimento nella motivazione estesa197, e ne deriverebbe, altresì, l’impossibilità di sollevare in sentenza questioni di illegittimità costituzionale o di dare spazio ad uno ius superveniens dopo l’emissione del dispositivo198. Tuttavia, se da una parte deve restare acquisita, come valore portante, l’esigenza di evitare la modifica delle statuizioni rese in udienza, non può comunque ritenersi esaurita la funzione giurisdizionale con l’emanazione del dispositivo (sia esso “puro” o “corredato”, come nel caso di sentenza ex art. 281 decies). In altri termini, se si esaurisce il potere di decidere, questo vale solo per le statuizioni espresse nel dispositivo di udienza, ma ciò non implica l’integrale perdita del potere giurisdizionale199. Nella motivazione, infatti, oltre a momenti meramente giustificativi, sono fisiologicamente presenti momenti prodromici alla decisione finale o autonome statuizioni (es. rigetto di eccezioni in senso stretto) funzionali alle pronunce contenute nel dispositivo e non riportate in esso; e sarebbe errato ritenere tali necessari momenti come estranei all’esercizio del potere giurisdizionale. Ne deriva che, se da una parte è pacifico che la motivazione estesa avrà contenuti esplicativi delle statuizioni già contenute nel dispositivo e nella motivazione breve che lo correda, dall’altra non è in assoluto da escludere che essa possa avere anche contenuti precettivi autonomi200. Nella maggior parte dei casi, infatti, le nuove statuizioni contenute nella motivazione lunga permetteranno di evitare vizi di nullità per omissione di pronuncia od insufficienza della stessa, e ciò perché in genere le nuove statuizioni rappresenteranno risposte a domande delle parti cui non si è data espressa risposta con la motivazione breve201. Purché la motivazione estesa non introduca nuove statuizioni che modificano le disposizioni lette in udienza ponendosi in contrasto con le ragioni già espresse nella motivazione breve. In questo caso, infatti, la sentenza sarà viziata da nullità, per l’evidente intima contraddittorietà; se tale nullità non è fatta valere con i motivi di gravame, il contrasto si risolverà in favore delle statuizioni di cui al dispositivo corredato.

Altra ipotesi che in concreto potrebbe verificarsi è quella di mancato deposito della motivazione estesa, malgrado l’espressa richiesta della parte che, a tal fine, abbia già pagato il contributo unificato previsto, come conseguenza o dell’inerzia del giudice o di un suo impedimento (quale possa essere la morte o il trasferimento presso altra sede). E’ ragionevole ritenere che una simile ipotesi non possa comunque determinare l’inesistenza della decisione già assunta, atteso che pur in assenza di una motivazione estesa, con la sentenza ex art. 281 decies sarebbe stato comunque già reso un provvedimento munito di quei requisiti minimi necessari che ne facciano un atto giurisdizionale. Né si potrebbe dubitare della validità di tale provvedimento, che appare già sufficientemente motivato. Trattasi, però, di un provvedimento non suscettibile di impugnazione in assenza di motivazione estesa; ciò che impone la necessità di trovare una soluzione, al fine di garantire l’effettività del doppio grado di giudizio. L’unica soluzione che appare praticabile (se si esclude, come pare ragionevole, quella di considerare nulla la sentenza, atteso che ciò comporterebbe una lesione del principio di economia processuale ed arrecherebbe un danno alla parte vittoriosa) è quella di prevedere che, decorso un ragionevole lasso di tempo dalla pronuncia (ad esempio tre mesi) della sentenza ex art. 281 decies c.p.c. o, eventualmente, dalla richiesta di integrazione, o dal momento stesso in cui si verifica un impedimento del giudice (ad esempio la morte) che è chiamato ad estenderla, senza che la motivazione estesa sia stata depositata, la decisione munita di motivazione breve possa essere direttamente impugnata.

Ma non sono solo questi i dubbi applicativi legati alla disposizione in esame: sarebbe opportuno, per esempio, chiarire se il modello di decisione breve possa essere applicato con esclusivo riferimento al processo ordinario di cognizione o possa estendersi ai procedimenti soggetti al rito lavoro o al rito sommario di cognizione; ciò che rileva ancor più alla luce del decreto legislativo in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri l’1.09.2011, in attuazione della legge delega data al governo con l’art. 54 della L. 69/2009. Come pure andrebbe chiarito, ad esempio, se possa essere applicato anche nei procedimenti dinanzi al giudice di pace.

E’ proprio alla luce di tali ragioni che, de iure condendo, si suggerisce al legislatore di specificare, con la maggiore chiarezza possibile, la portata applicativa dell’istituto che si intende introdurre, magari servendosi di disposizioni di attuazione, che proprio a questo servono, in modo da risolvere ab origine quei problemi che dall’applicazione della norma potrebbero derivare e che potrebbero indurre l’operatore del diritto, in questo caso i giudici, ad astenersi da tale applicazione, con conseguente mortificazione delle potenzialità dell’istituto e degli auspicabili esiti ermeneutici, con buona pace dei nobili intenti del riformatore.

 

2 In questi termini si è espresso il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione in occasione della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario tenutasi il 28.01.2011 e non diversamente il Presidente della Corte di Cassazione il quale ha sottolineato come gli eccessivi tempi dei processi rappresentino uno dei problemi cronici della giustizia, cui deve essere riconosciuta una priorità assoluta, soprattutto alla luce del richiamo che, lo scorso 2 Dicembre, l’Italia ha ricevuto dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che nell’ultima risoluzione ha sottolineato che “i ritardi sono un grave pericolo per lo Stato di diritto conducendo alla negazione dei diritti consacrati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

3 Il riferimento alla ragionevole durata del processo quale garanzia attuativa del “giusto processo” è stato inserito nel nostro ordinamento con la Legge di riforma costituzionale n. 2 del 23.11.1999.

4 SANTANGELI, L’interpretazione della sentenza civile, Milano, 1996, pp. 273-274, ove si è altresì sottolineato la vantaggiosità della tecnica decisoria che prevede la risoluzione della causa tramite la contemporanea redazione di dispositivo e motivazione, come opzione finale al termine della trattazione. Ad una maggiore celerità nell’emissione del provvedimento e ad un minor costo temporale si accompagna pur sempre la possibilità che la motivazione esplichi le sue potenzialità di ausilio al giudice come meditato controllo sulla congruità di quanto ha deciso (un utilizzo che, ad esempio, viene a perdersi nell’ipotesi di frazionamento del momento decisorio da quello riservato alla motivazione, come era la regola nel caso di decisione resa con le forme del processo lavoro nel sistema pre –riforma, perché le ulteriori riflessioni sul contenuto della decisione, indotte dalla redazione della motivazione, dopo la lettura del dispositivo, restavano definitivamente precluse). Tuttavia non è mancato chi ha messo in rilievo le possibili degenerazioni di una decisione immediata e completa di dispositivo e motivazione, quali la possibilità che la funzione della motivazione scada nell’ottica del decidente, atteso che l’immediata redazione della stessa può facilmente indurre a riferire nella motivazione l’iter mentale seguito per raggiungere la decisione piuttosto che argomentazioni razionali (*******’, La deliberazione della sentenza e gli atti successivi, in Giust. Pen. 1989. c. 661 e ss.).

5 Un significativo intervento in tale direzione è stato compiuto, altresì, con l’introduzione nel nostro ordinamento dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. che, al di là degli intenti deflativi o meno che il legislatore con essa abbia voluto conseguire, concretamente costituisce un provvedimento che può, per scelta di parte, trasformarsi in una sentenza appellabile e, per tale via, può certamente qualificarsi come “sentenza abbreviata”. In tal senso v. se vuoi **********, L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione, Milano, 2001, p. 41, *******, La girandola delle riforme del codice di procedura civile, in ****. Giur. 1995, p. 871.

6 L’ormai abrogato art. 16 del d. lgv. 05/2003 prevedeva, al comma 5, nelle cause soggette al rito societario, che: “La decisione è emessa a norma dell’articolo 281 sexies del codice di procedura civile. In caso di particolare complessità della controversia, il Tribunale dispone con ordinanza, di cui dà lettura in udienza, che la sentenza sia depositata nei trenta giorni successivi alla chiusura della discussione orale. La sentenza può essere sempre motivata in forma abbreviata, mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e la concisa esposizione delle ragioni di diritto, anche in riferimento a precedenti conformi”.

7 Il nuovo art. 429 c.p.c. dispone: “Nell’udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza”. Tale disposizione si sostituisce alla precedente formulazione dell’art. 429 c.p.c. che invece recitava: “ Nell’udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo. Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza”.

8 L’art. 74 del codice del processo amministrativo prevede infatti che: “Nel caso in cui si ravvisi la manifesta infondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”. Tale forma di motivazione semplificata (alternativa a quella “ordinaria”, di cui all’art. 88 del nuovo Codice di Giustizia amministrativa, che prevede che “la sentenza deve contenere la concisa esposizione dei motivi in fatto ed in diritto, della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi”) era già stata introdotta dal legislatore con l’art. 26 della Legge Tar che testualmente: “nel caso in cui ravvisino la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il tribunale amministrativo regionale ed il Consiglio di Stato decidono con sentenza succintamente motivata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”.

9 Questo il suggerimento di ********, Scritti di diritto processuale civile comparato, Macerata, 2009 pag. 93 e ss.

10 Questa prospettiva è stata suggerita dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Salerno che, nell’ottica della accelerazione della fase decisoria, ha prospettato la possibilità di costruire progressivamente la motivazione della sentenza attraverso le motivazioni dei provvedimenti istruttori ed interinali che, ancorché in estrema sintesi, indichino la più plausibile soluzione di questioni preliminari, sia di rito che di merito, e che possano essere richiamate in sede di decisione finale. A tale progetto fa riferimento ********, La motivazione della sentenza civile tra garanzie ed efficienza, la quale riferisce in ordine alla prospettiva proposta dagli Osservatori sulla Giustizia civile a seguito dell’Assemblea nazionale tenutasi a Salerno l’1 e il 2 Giugno 2008.

11 V., se vuoi, **********, Art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., commento a tali disposizioni normative alla luce della L. 69/2009, edito su Le Nuove Leggi Civili Commentate, Anno XXXIII, 4-5 Luglio –Ottobre 2010, p. 822 – 847.

12 Soluzione apparentemente legittima, atteso che nel nostro ordinamento il doppio grado di giudizio non è costituzionalizzato.

13 Vedi il D. lgv. 28/10 recante “Attuazione dell’art. 60 della L. 69/2009 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” pubblicata in G.U. 5.03.2010 n. 53.

14 Ciò che, per vero, è quanto è stato realizzato con la manovra finanziaria del 2011. Il D.L. 98 del 06.07.2011, recante “Misure Urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito in Legge n. 111 del 16.07.2011, ha infatti introdotto il pagamento del contributo unificato in materie prima esenti, quali le controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, i ricorsi principali ed incidentali proposti avanti le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, i procedimenti esecutivi per consegna o rilascio, i procedimenti di separazione personale dei coniugi e divorzio congiunto.

15 Il D.L. 98 del 06.07.2011 di cui alla nota precedente, oltre ad introdurre l’obbligo del pagamento del contributo unificato per alcune delle materie prima esenti, ha operato un aumento dei costi del contributo unificato per le altre materie.

16 Vedi supra, nota 10.

17 Ddl Alfano n. 125 approvato dal Consiglio dei Ministri all’unanimità il 9.02.2011, recante “Interventi in materia di efficienza del sistema giudiziario”, ha introdotto nel libro II, titolo I, del codice di procedura civile, un nuovo capo (III quater) dedicato alla c.d. “motivazione breve”.

18 L’obbligo della motivazione del provvedimento giurisdizionale è previsto dall’art. 149 della costituzione belga, dall’art. 16, comma 2, della costituzione finlandese, dall’art. 93, comma 3, della costituzione greca, dall’art. 89 della costituzione lussemburghese, nonché dall’art. 205, comma 1, della costituzione portoghese; non è così invece, per l’ordinamento tedesco, ad esempio, ove l’obbligatorietà della motivazione è prevista solo a livello normativo ordinario. Tuttavia, è appena il caso di accennare che negli ordinamenti in cui l’obbligo di motivazione è sancito a livello costituzionale, non è previsto l’istituto della motivazione a richiesta. Significativo è però il caso italiano: nel nostro ordinamento, infatti, ove la motivazione è costituzionalmente garantita, non è prevista la motivazione a richiesta, ma è pacificamente ritenuto legittimo il decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c. che, a ben osservare, offre un ventaglio di garanzie nettamente inferiori a quelle che la motivazione a richiesta potrebbe realizzare.

19 Ancorché, si avverte sin d’ora, le più recenti pronunce della Cassazione sono nel senso di considerare la motivazione più come forma organizzatoria della giurisdizione interna dello Stato (v., tra le altre, Cass. civ., Sez. Un., 15.04.2005 n. 7799).

20 Fondamentale, in questo senso, è stata anche la feconda interpretazione giurisprudenziale integrativa dell’art. 111, comma 6, Cost., che ha contribuito a trasformare il precetto costituzionale da criterio di generale orientamento dell’attività giurisdizionale in concreta regola di generale osservanza nell’adozione di ogni provvedimento giurisdizionale.

21 Occorre prendere atto della circostanza che ultimamente si tende ad affermare la costituzionalizzazione dell’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi, ancorché espressamente previsto solo dall’art. 3 della L. 241/90, sul rilievo che esso è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa. Ed infatti con la recentissima sentenza n. 310 del 5.11.2010, su Giust. Civ. 2010, 12, pag. 2715, la Corte Costituzionale ha affermato che “l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo è radicato negli artt. 97 e 113 Costituzione, in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale”. Come si vede, siamo in presenza di una importante indicazione di principio, che rafforza in misura assai significativa il rilievo dell’obbligo di motivazione, facendolo diventare una indicazione di valenza generale. D’altra parte, l’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo costituisce principio dell’ordinamento comunitario, ora dell’Unione Europea -la cui applicazione è richiamata nell’art. 1 della L. 241/90, introdotto dall’art. 1 della L. 15/2005 -testualmente sanzionato dall’art. 296, comma 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Tale principio è stato ribadito dalla Carta sui diritti fondamentali dell’Unione Europea come diritto ad una buona amministrazione con l’art. 41 comma 2 lett. c), in cui è previsto l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

22 A tal proposito, v. se vuoi, **********, Art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., op. cit., ove è avallata la tesi secondo cui l’onere motivazionale del giudice non possa rifarsi ad un modello contenutistico standardizzato, ma varia a seconda della materia e dei diritti oggetto del contendere, caso per caso, rilevando a tali fini anche l’impatto sociale e persino economico che la decisione potrà avere. Da qui il mostrato favore, in relazione alle cause più semplici e di interesse spiccatamente individuale, verso i modelli motivazionali d’oltralpe, quali quello francese, che alla tecnica discorsiva sostituisce la tecnica del c.d. attendu que.

23 L’art. 32, par. 1 CEDU, rubricato “Competenza della Corte”, prevede che: “La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa nelle condizioni previste dagli art. 33, 34 e 47”. La Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 349/2007, ha poi precisato che: “La Corte di Strasburgo garantisce l’esatta ed uniforme applicazione delle norme della Convenzione, essendone ad essa attribuita l’interpretazione centralizzata, ed avendo una competenza che si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli, ciò che solo garantisce l’applicazione del livello uniforme di tutela all’interno dell’insieme dei Paesi membri”.

24 COLAVITTI- PAGOTTO, Il Consiglio di Stato applica direttamente le norme CEDU grazie al Trattato di Lisbona: l’inizio di un nuovo percorso?, nota a sentenza del Consiglio di Stato n. 1220/2010 su Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, del 2.07.2010, in www.rivistaaic.it.

25 CEDU sentenza Karakasis c. Grecia del 17.10.2000, CEDU sentenza Hirvisaari c. Finlandia del 27.09.2001 ma anche CEDU sentenza Tatishvili c. Russia del 9.07.2007.

26 Così la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza ************ c. Spagna del 21 gennaio 1994.

27 La giurisprudenza della Corte di Strasburgo è caratterizzata da un approccio casistico, ove le affermazioni di principio non possono essere lette in modo avulso e scollegato dal concreto caso in relazione al quale sono state pronunciate. In tal senso ********, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corriere Giuridico n. 7/2010, p. 960.

28 CEDU sentenza ***** c. Finlandia, del 19.12.1997.

29 CEDU sentenza Torija c. Spagna, del 9.12.1994, CEDU sentenza *** de Hurk c. Olanda del 19.04.1994 e di recente CEDU sentenza Gomez Cespon c. Svizzera, del 5.10.2010.

30 CEDU sentenza ******* c. Romania del 3.12.2002.

31 CEDU sentenza ************ c. Spagna del 21.01.1994, CEDU sentenza ******* c. Francia del 19.02.1998, CEDU sentenza ***** c. Finlandia del 19.12.1997.

32 CEDU sentenza Vedi X v. Federal Republic of Germany del 13.07.1982.

33 Gli Stati contraenti, infatti, godono di una notevole libertà nelle scelte delle misure atte a garantire che i loro sistemi giuridici soddisfino i requisiti di cui all’art. 6 CEDU.

34 Estremamente significativa al riguardo è, da ultimo, la sentenza della Corte EDU Taxquet c. Belgio del 16.11.2010 secondo cui “Nei processi che prevedono una giuria popolare, un verdetto privo di motivazione non determina di per sé la violazione dell’art. 6 CEDU, a condizione però che siano previste adeguate garanzie che consentano all’imputato ed al pubblico ministero di comprendere le ragioni della decisione”. Ma non solo. Nella giurisprudenza CEDU muovono in tale direzione anche altre pronunce, ancorché non espressamente riferite al difetto di motivazione, dalle quali è tuttavia possibile ricavare principi generali valevoli, quali parametro interpretativo di riferimento, all’interno del sistema CEDU. Per un approfondimento, vedi infra nota 83.

35 Entrato in vigore il 1 dicembre 2009.

36 Secondo l’impostazione di Strasburgo è la previsione convenzionale stessa ad essere formulata in modo tale da lasciare agli Stati un margine di manovra, mentre secondo l’impostazione della Corte costituzionale italiana, il margine di manovra si conquista a posteriori, a seguito del bilanciamento dell’obbligo convenzionale con altri elementi tratti dalla Costituzione italiana. Così ********, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo, op. cit., p. 961.

37 Peraltro ci sono materie in cui il margine di apprezzamento non trova posto, come per esempio l’art. 3 che proibisce la tortura.

38 Margine che, quindi, ha portato la corte a rifuggire l’idea di elaborare un modello astratto di motivazione obbligatoria e completa; ciò che ha consentito, ad esempio, di ritenere non illegittimo il sistema anglosassone della giuria. In tal senso ZAGREBELSKY, nella relazione dell’intervento al convegno di studi organizzato dalla Corte di cassazione, Ufficio dei Referenti per la Formazione decentrata tenutosi a Roma il 20.01.2010 in tema di “La motivazione della sentenza civile di Cassazione”, a cura di *********.

39 Osserva MIRATE, La CEDU nell’ordinamento nazionale: quale efficacia dopo Lisbona? in Riv. it. dir. pubbl. com. 5/2010, pag. 1363, che anche se la Convenzione delinea un sistema di tutela dei diritti umani che presenta indubbiamente un sostrato uniforme comune al patrimonio costituzionale di ciascuno Stato contraente, l’attuazione delle garanzie previste nella Convenzione stessa, anche in conseguenza dell’attività interpretativa della Corte Europea, varia inevitabilmente da Stato a Stato. Ogni diritto nazionale mantiene sue specifiche peculiarità in rapporto alla necessità di rispetto dei canoni convenzionali. Si tratta di peculiarità che a volte portano anche a situazioni di scontro del diritto nazionale con le garanzie imposte dalla Convenzione e dalla sua Corte. In ragione di tale peculiarità, osserva l’a., e quindi della necessaria caratteristica di autonomia che deve connotare la relazione tra ordinamento statale e sistema convenzionale, il rapporto tra Stati membri dell’Unione Europea e Convenzione non pare poter essere assorbito e totalmente neutralizzato, neanche dopo l’adesione dell’Unione Europea prevista dal Trattato di Lisbona, attraverso una completa omogeneizzazione del sistema di tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione Europea.

40 Il nuovo art. 117 Cost. prevede che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. La Consulta, con le sentenze prima citate, ha a più riprese chiarito che l’art. 117, comma 1, cost. ed in particolare l’espressione “obblighi internazionali” in essa contenuta “si riferisce alle norme internazionali convenzionali, anche diverse da quelle comprese nella previsione degli artt. 10 e 11 Cost. Così interpretato, l’art. 117 Cost., primo comma, Cost. ha colmato la lacuna prima esistente quanto alle norme che a livello costituzionale garantiscono l’osservanza degli obblighi internazionali pattizi. La conseguenza è che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, si traduce in una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. Questa Corte ha inoltre precisato che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme, nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti. Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna ed una norma della Convenzione europea, il giudice naturale comune deve, pertanto, procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica. Solo quando ritiene che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, il giudice comune, il quale non può procedere all’applicazione della norma della CEDU (allo stato, a differenza di quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo di quella interna contrastante, tanto meno fare applicazione di una norma interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve sollevare la questione di costituzionalità con riferimento al parametro dell’art. 117, comma 1, cost ovvero anche dell’art. 10, primo comma, cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta.”

41 Con tali sentenze la Consulta ha altresì avuto modo di precisare che alla stessa Corte Costituzionale “è precluso di sindacare l’interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo, cui tale funzione è stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve”. Tuttavia, “compete alla Consulta di verificare se la norma della CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte Europea, non si ponga in conflitto con altre norme conferenti della nostra costituzione. Il verificarsi di tale ipotesi, pure eccezionale, esclude l’operatività del rinvio alla norma internazionale e, dunque, la sua idoneità ad integrare il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.; e non potendosi evidentemente incidere sulla sua legittimità, comporta, allo stato, l’illegittimità, per quanto di ragione, della legge di adattamento” . Così sentenza Corte cost. del 26.11.2009 n. 311 in Giur. Cost. 2009, 6, pag. 4657.

42 Sul punto si impone qualche precisazione. Il vincolo interpretativo della Corte Edu non è assoluto, ma soggetto, per espressa previsione della Corte Europea, all’operatività di strumenti di graduazione, quali sono il c.d. “margine di apprezzamento” ed il “ragionevole bilanciamento degli interessi” che, introducendo un elemento di relatività all’interno dell’uniforme applicazione della CEDU, riconoscono ai legislatori ed alle giurisdizioni nazionali il potere di limitare il vincolo interpretativo derivante dalla giurisprudenza della Corte Edu per la determinazione dell’esatto contenuto dell’obbligo internazionale ogni qualvolta l’interpretazione centralizzata della Corte rischi di porsi in contrasto con i profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali di ciascuno Stato contraente. Ciò che consente agli Stati, in situazioni di critiche antinomie, di abbandonare gli automatismi e procedere all’interpretazione della portata degli obblighi convenzionali in modo meno dipendente dalla giurisprudenza del giudice europeo e più adeguato invece alla realtà dell’ordinamento nazionale; ciò non solo a tutela di interessi nazionali sanciti e riconosciuti a livello costituzionale ma anche di interessi protetti da statuizioni legislative e giudicati, in sede di bilanciamento, più meritevoli di tutela (DOMENICALI, Il seguito della giurisprudenza costituzionale sul ruolo della CEDU nell’ordinamento italiano, relazione presentata al convegno di studi sul tema “Lo strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo” tenutosi a Bologna in data 05.03.2010, disponibile sul sito www.forumcostituzionale.it, che rileva come l’integrazione tra ordinamento internazionale ed ordinamento interno non sembra essere fissata una volta per tutte, ma aperta ad una pluralità di esiti in relazione agli interessi in campo ed ai modi con cui essi si riportano ai valori, avendo sempre come punto di riferimento fondamentale la più intensa tutela dei diritti.). La stessa Corte europea ricostruisce il margine di apprezzamento in questi termini, ovvero come strumento di differenziazione in nome del pluralismo, valorizzando sia esigenze funzionali, poiché riconosce che sono le autorità nazionali ad avere una conoscenza migliore delle circostanze e delle condizioni locali di applicazione della CEDU, sia l’esigenza ideologica di salvaguardare la diversità giuridica dei vari ordinamenti. La corte Costituzionale italiana, tuttavia, ha invece inteso in maniera assolutamente restrittiva la portata del margine di apprezzamento, affermando, per contro, il carattere vincolante della interpretazione della Corte Edu nei confronti degli organi giurisdizionali interni quando devono stabilire la portata di quell’obbligo, di talché, nell’ottica della Consulta, la giurisprudenza di Strasburgo vincola sia i giudici comuni, quando procedono all’interpretazione della legge interna in senso conforme alla Convenzione e alla valutazione della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità, sia la Corte costituzionale stessa nella risoluzione dei dubbi di costituzionalità che le vengono rivolti.

43 Ciò significa che, allo stato, risulta preclusa la strada di un meccanismo di risoluzione diffusa degli eventuali contrasti tra disciplina nazionale e CEDU, atteso che ogni antinomia deve essere affrontata in sede di controllo accentrato di costituzionalità da parte della consulta, che ha inteso riservarsi tale controllo nel caso in cui si profili la necessità di effettuare un bilanciamento tra il vincolo derivante dalla CEDU e ulteriori interessi costituzionalmente tutelati (è questa la c.d. Teoria dei controlimiti). In questo modo viene escluso il valore incondizionatamente vincolante della giurisprudenza CEDU, ma non perchè la consulta intenda sindacare l’operato della corte EDU, piuttosto perchè in un caso concreto potrebbe ritenere eventualmente prevalenti sull’obbligo internazionale interessi costituzionalmente garantiti.

44 Si tratta del c.d. “principio della supremazia costituzionale”, come è stato definito dalla dottrina. Vedi per tutti ******, Il cammino internazionale della Corte costituzionale dopo le sentenze n. 348 e 349 del 2007, in Riv. it. dir. pubbl. com, 2008, in particolare p. 772 e ss.

45 Osserva MIRATE, op. cit. p. 1369, che nei primi documenti emanati sia in seno al Consiglio d’Europa che al Parlamento Europeo, sin dai primi mesi successivi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Convenzione viene definita solo come fonte esterna rispetto all’ordinamento dell’Unione Europea che vi aderisce.

46 COLAVITTI- PAGOTTO, op. cit., osservano che il Trattato di Lisbona ha conferito al sistema giuridico CEDU (ossia alla Convenzione ed a tutta la giurisprudenza della corte di Strasburgo che l’ha interpretata e sviluppata in questi decenni) un nuovo status nel sistema delle fonti, poiché tutto porta a ritenere che anche questo insieme normativo acquisisca il beneficio della primautè rispetto al diritto nazionale, finora appannaggio esclusivo delle norme comunitarie.

47 A favore della tesi secondo cui l’adesione dell’Unione alla CEDU comporterebbe che tutte le norme della Convenzione diverrebbero direttamente operanti negli ordinamenti nazionali degli Stati membri, con il grado e la forza delle norme comunitarie, e cioè ai sensi dell’art. 11 Cost., e non più come norme sub-costituzionali ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione anche *******, La Corte di Strasburgo quale garante del giusto processo, in Dir. pen e proc. 2010, p. 373. Conformemente ********, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona: verso nuovi equilibri?, in Giornale amministrativo 3/10, p. 224. Occorre tuttavia rilevare che sul punto si sono profilate anche opinioni dissenzienti. Ed invero è stato rilevato (*******, Il trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell’ordinamento italiano?, nota a margine della sentenza n. 1220/2010 del Consiglio di Stato, su www.neldiritto.it) che l’adesione dell’Unione alla CEDU non comporterà l’equiparazione della Convenzione al diritto comunitario, e dunque l’efficacia diretta delle sue disposizioni nel nostro ordinamento, bensì semplicemente una loro utilizzabilità quali “principi generali” del diritto dell’Unione al pari delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, non differendo pertanto da quanto già previsto dalla formula originaria del Trattato sull’Unione Europea secondo cui “L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata il 4 novembre 1950 a Roma, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”. Nelle stesso senso D’******, “Comunitarizzazione” dei vincoli internazionali CEDU in virtù del Trattato di Lisbona? No senza una expressio causae in www.forumcostituzionale.it, e MIRATE, op. cit., pag. 1370.

48 Vedi Tar Lazio Roma 18.05.2010 n. 11984 e Consiglio di Stato 02.03.2010 n. 1220, in Riv. It. Dir. pubbl. com., 2010, 5, pag. 1346-1349, con nota contraria di MIRATE, op. cit., pag. 1354-1372.

49 In ogni caso, nel cammino giurisprudenziale intrapreso, andrà chiarito in particolare per chi e come sono divenuti direttamente applicabili i predicati normativi della CEDU. Come già, in alcuni casi, rilevato (v. COLAVITTI-PAGOTTO, op. cit., p. 3) altro è che i precetti della CEDU siano divenuti direttamente applicabili nelle materie in qualche modo connesse con il diritto comunitario, altro è che essi si considerino come paramento vincolante tout court per il giudice comune, e che dunque sia possibile darne applicazione in relazione a qualunque fattispecie.

50 Osserva MIRATE, op.cit., pag. 1371, che la comunitarizzazione della CEDU avrebbe come inevitabile effetto quello di ridurre, se non azzerare, il rapporto autonomo tra gli Stati Membri dell’UE e la Convenzione. La protezione dei diritti e delle libertà fondamentali sancite dalla Convenzione europea ed interpretate e salvaguardate dalla corte di Strasburgo, trova una sua più compiuta ricchezza di attuazione nell’esplicarsi di quel rapporto necessariamente bilaterale esistente fra la Convenzione stessa e l’ordinamento nazionale che è chiamato a rispettarla. Una ricchezza che si misura nell’affrontare, talvolta anche attraverso scontri tra Strasburgo e le corti nazionali, le specificità che ogni ordinamento presenta nella sua relazione con il sistema di protezione dei diritti umani voluto dalla CEDU, che non possono essere assorbite e neutralizzate da una applicazione, seppure uniforme, del diritto UE.

51 A favore della motivazione a richiesta, tra gli altri, CHIARLONI, Accesso alla giustizia e uscita dalla giustizia in Doc. giust. 1995, n. 1-2, pag. 40, ID. Valori e tecniche dell’ordinanza di condanna ad istruzione esaurita ex art. 186 quater c.p.c., in Riv. Trim. dir. proc. civ. 1996. p. 519 e ss., ID., Rinunciabilità al contraddittorio e rinunciabilità alla motivazione dei provvedimenti, doc. n. 110/2008 su www.ilcaso.it., e ID., Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, in Riv. Dir. proc. civ. 2008, p. 129 e ss. L’a., in sintesi, prendendo atto della circostanza che il nostro ordinamento riconosce efficacia ai provvedimenti monitori, ancorché a contraddittorio solo eventuale e comunque differito, come tali, in linea di principio, in contrasto con l’art. 111 della Costituzione, ritiene, dovrebbe parimenti riconoscersi la legittimità della sentenza di primo grado ancorché priva di motivazione, purché l’ordinamento garantisca alla parte di conoscere la motivazione della decisione, su richiesta, in una fase successiva all’emanazione del provvedimento decisorio. In altri termini, secondo l’a., l’art. 111 Cost., comma 6, deve essere interpretato nel senso di ritenere sufficiente, ai fini della compatibilità con l’ordinamento costituzionale, la richiedibilità della motivazione, al pari di quanto già accade in materia di decreto ingiuntivo, ove a garantire la salvezza dalla censura di illegittimità costituzionale vale la garanzia di un contraddittorio anche solo eventuale e differito. Sulla medesima lunghezza d’onda, in termini di legittimità dell’istituto della motivazione a richiesta VERDE, Giustizia e garanzie nella giurisdizione civile, in Riv. Dir. proc. 2000, p. 310, il quale ritiene che una attenuazione dell’obbligo costituzionale di motivazione, tale da consentire, nei processi civili relativi a diritti disponibili, che il giudice è tenuto a motivare solo quando una delle parti gliene faccia richiesta ai fini dell’impugnazione, non dovrebbe apparire una soluzione eversiva, e forse, potrebbe favorire un incremento della produttività dei singoli magistrati giudicanti. A favore di tale istituto anche *******, Considerazioni sulla compatibilità del procedimento per ingiunzione (e delle ipotesi della motivazione della sentenza a richiesta di parte) con l’art. 111 Cost., in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di ************************ e ********************, Milano, 2007, p. 296-297, il quale, pur non negando rilievo alla funzione extraprocessuale della motivazione, ritiene in ogni caso plausibile un’interpretazione dell’art. 111 Cost. che legittimi il giudice di primo grado a subordinare alla richiesta della parte, sul presupposto di una eventuale impugnazione, la motivazione della decisione (il cui dispositivo, però, dovrebbe essere adeguatamente analitico) purché abbia “un campo di azione predeterminato, che andrebbe precisato mediante l’individuazione di materie nelle quali sia normalmente molto scarsa l’incidenza extraprocessuale della motivazione e relativamente basso il tasso di impugnazione”. Fermo restando, in ogni caso, la necessarietà della motivazione in presenza di questioni non di routine. L’apertura verso una simile soluzione deriva dall’avvertita necessità di tenere conto dei nuovi contenuti dell’art. 111 Cost., con particolare riferimento alla garanzia della ragionevole durata del processo; principio che, secondo l’autore, è destinato ad interagire, nel complessivo ordinamento giuridico, con altri valori e principi, anche costituzionali, ivi compresi quelli enunciati nello stesso art. 111 Cost., limitandone la valenza. Ciò che è accaduto in relazione ai procedimenti monitori e che, ammette l’autore, potrebbe accadere con l’introduzione della motivazione a richiesta delle parti interessate, che si basano su un bilanciamento tra i principi alla base della regola del contraddittorio e della motivazione delle sentenze, e il principio della celerità processuale. Non diversamente **********, L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione, op. cit., pag. 133-134 secondo cui la nuova versione dell’art. 111 Cost. con l’espressa estrinsecazione del principio della ragionevole durata dei processi diventa parametro cui commisurare la costituzionalità delle disposizioni processuali. Tale principio, infatti, diventa criterio che il legislatore e la Consulta dovranno utilizzare anche per valutare se determinate marginali letture restrittive di alcune garanzie processuali non possano essere anzi giustificate da esigenze di sveltimento e funzionalità giudiziali. Manifestamente a favore della motivazione su richiesta *********, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima ennesima riforma in materia di giustizia civile, su www.judicium.it, *******, La cosiddetta motivazione a richiesta nei giudizi civili, relazione all’incontro di studi organizzato dal CSM sul tema “L’organizzazione del procedimento e le tecniche di motivazione nei giudizi civili e di lavoro”, tenutosi a Roma il 14-16 febbraio 2011; *******, La motivazione ex art. 281/6 c.p.c. e quella ex art. 16 d. lgs. 5/03. Alla ricerca di forme semplificate di decisione, il quale ritiene che si possa parlare di violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. solo nel caso in cui venga esclusa tout court la motivazione del provvedimento giudiziario a carattere decisiorio, come prova, nel diritto vivente, “la conclamata conformità al modello costituzionale di provvedimenti quali il decreto ingiuntivo, l’ordinanza di convalida di sfratto e/o di licenza per finita locazione, il decreto penale di condanna, ecc. Per essi la motivazione non è esclusa ma solo eventuale e differita, attraverso il meccanismo della provocatio ad opponendum che restituisce alla motivazione il suo proprium (vale a dire la funzione di indebolire il decisum al solo fine di consentirne il gravame da parte di chi ne contesti l’ingiustizia sostanziale)”. L’a., tuttavia, ritiene che al fine di evitare che la motivazione a richiesta diventi un automatismo, è necessario che venga preceduta dalla impugnazione con riserva dei motivi, a garanzia di una seria e responsabile volontà di contrastare la decisione. Altra parte della dottrina, al contrario, ha ritenuto invece inconciliabile il dettato costituzionale dell’obbligatorietà della motivazione con l’idea di una motivazione rimessa alla volontà delle parti: v. tra gli altri ******, L’art. 111 Cost. e le garanzie europee del processo civile, in Riv. Dir. proc. n. 1/2001, p. 12; *************, voce Giusto processo civile, Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Agg. III, A-G, Utet, Torino, 2007, p. 652-653, ********, op. cit., p. 38 e ss., ********, op. cit., che dubita delle conseguenze acceleratorie di tale soluzione, in considerazione delle circostanza che il numero delle “richieste” non è agevolmente prevedibile, di talché diventerebbe aleatoria l’organizzazione dei ruoli decisori.

52 Ciò prevalentemente sul rilievo che, in primo grado, la garanzia costituzionale abbia una funzione più limitata rispetto a quella che la motivazione assolve, assieme alla pubblicità della decisione, nel processo penale come nel processo civile, nei gradi superiori di giudizio ed in particolare nel giudizio di Cassazione, atteso che la conoscenza delle ragioni di fatto e di diritto che sorreggono la decisione civile di primo grado serve essenzialmente alle parti e, in modo particolare al soccombente, interessato a soppesarli nel momento in cui decide di impugnare la sentenza, di talché è parso lecito concludere che la garanzia propria della motivazione, per le sentenze civili di primo grado, potrebbe essere soddisfatta da una disciplina ordinaria che preveda la stesura della motivazione su richiesta delle parti. In tal senso CHIARLONI, Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, op. cit., p. 139 e ss.

53 Ciò al fine di assicurare la c.d. nomofilachia orizzontale, *******, op. cit.

54 Per la verità occorre osservare che l’ordinamento tedesco prevede (comma 3 par. 313 ZPO) che la rinuncia alla motivazione (che, in concreto, corrisponderebbe alla richiesta di motivazione) possa essere fatta già prima che intervenga la decisione (e fino ad una settimana dalla conclusione della trattazione orale). Tuttavia è verosimile che tale previsione sia essenzialmente riferita all’ipotesi in cui la sentenza sia inimpugnabile, di talchè diventa ininfluente conoscere preventivamente l’esito della causa ai fini della rinuncia alla motivazione che, in tali ipotesi, è funzionale (non a valutare i margini dell’impugnazione, preclusa ma) ad ottenere in tempi più rapidi la decisione. Ciò che incentiverebbe le parti a rinunciarvi.

55 CHIARLONI, Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, op. cit. p. 139.

56 MIRENDA, op cit.

57 Ciò, a ben vedere, è quanto previsto dall’art. 433, comma 2, c.p.c. nell’ambito del processo lavoristico: “Ove l’esecuzione sia iniziata, prima della notificazione della sentenza, l’appello può essere proposto con riserva dei motivi che dovranno essere presentati nel termine dell’art. 434” ovvero entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza .

58 Anche se, in quest’ultimo caso, si correrebbe il rischio che la parte prima richieda la stesura della motivazione, poi, rinunci ad estrarne copia (perché magari, nelle more, ha desistito dalla volontà di impugnare), con la conseguenza che rimarrebbero scoperti i costi di tale ulteriore servizio reso dal sistema giustizia.

59Occorre tuttavia prendere atto della circostanza che nell’ordinamento tedesco opera un meccanismo diverso che, nei casi in cui è prevista la motivazione a richiesta, non prevede alcun onere di pagamento per il deposito della stessa a carico delle parti richiedenti.

60 Sulla necessità della previsione di un costo per la motivazione, tra gli altri, già *********, op. cit. e ********, op. cit., p. 41.

61 Primo fra tutti CHIARLONI, Rinunciabilità al contraddittorio e rinunciabilità alla motivazione dei provvedimenti, op. cit., il quale in questa nota mostra una accresciuta convinzione della legittimità costituzionale della motivazione a richiesta rispetto al precedente Accesso alla giustizia e uscita dalla giustizia, op. cit., ove non negava che l’introduzione di una norma che prevedesse la motivazione opzionale potesse passare, se necessario, per il tramite di una modifica dell’art. 111 Cost. A sostegno della compatibilità dell’istituto in parola con l’obbligatorietà costituzionale della motivazione anche VERDE, op. cit., p. 310.

62 TOFFOLI, op. cit., p. 297, il quale ritiene che la motivazione su richiesta è ammissibile in relazione a quelle controversie aventi ad oggetto materie nelle quali è normalmente molto scarsa l’incidenza extraprocessuale della motivazione e relativamente basso il tasso di impugnazione. Dunque, la giustificazione di una normativa che introduce la motivazione a richiesta, si baserebbe sul rilievo che è possibile un modesto sacrificio di determinate finalità della motivazione, importanti su un piano generale ma di fatto trascurabili in relazione a determinate controversie, allo scopo di perseguire, senza lesione dei diritti individuali, una maggiore tempestività dell’intervento giudiziario nel suo complesso e quindi nell’ambito di un razionale bilanciamento dell’operatività dei principi costituzionali.

63 SANTANGELI, L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione, op. cit., pag. 133-134 afferma che tale principio diventa criterio che il legislatore e la Consulta dovranno utilizzare anche per valutare se determinate marginali letture restrittive di alcune garanzie processuali non possano essere anzi giustificate da esigenze di sveltimento e funzionalità giudiziali. Nello stesso senso *******, op. cit., p. 296-297; *******, La durata ragionevole del processo civile e le garanzie costituzionali in materia processuale alla luce della legislazione vigente, Relazione dell’incontro di studi organizzato dal CSM sul tema “Ragionevole durata del processo”, organizzato a Roma nei giorni 13-15 gennaio 2003, p. 47, secondo cui nella prospettiva della giustizia costituzionale, il canone della ragionevole durata del processo può essere invocato, come criterio di bilanciamento e di razionalizzazione di altri valori costituzionali, relativi alla giurisdizione.

64 Corte cost. 17.07.2007 n. 287, in Giur. Cost. 2007, 4, pag. 2827.

65 Recentemente, la Cassazione a sezioni unite, con la sentenza 24883/2008, in motivazione, ha espresso il principio secondo cui è certamente vero che il principio della ragionevole durata deve essere contemperato con le esigenze di tutela degli altri diritti ed interessi costituzionalmente garantiti e rilevanti nel processo, la cui attuazione positiva, ove sia frutto di scelte assistite da valide giustificazioni non è sindacabile sul terreno costituzionale (in tal senso anche Corte cost. 11.12.2007 n. 399) ma è altrettanto vero che il rispetto delle garanzie costituzionali non deve sacrificare il diritto della parte ad una valida decisione di merito in tempi ragionevoli (in tal senso Corte cost. n. 77/2007).

66 Sono dell’opinione contraria, tra gli altri, *******, Brevi appunti sulla motivazione della sentenza, su www.osservatorino.it. e ********, op. cit.

67 PORRECA, La cosiddetta motivazione a richiesta nei giudizi civili, relazione per l’incontro di studi organizzato dal CSM sul tema “L’organizzazione del procedimento e le tecniche di motivazione nei giudizi civili e di lavoro”, tenutosi a Roma il 16.02.2011 in www.appinter.csm.it.

68 L’evoluzione del quadro legislativo, ordinario e costituzionale, ma anche storico-culturale, mostra l’affievolimento della centralità del principio di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, e la giustizia appare non più espressione esclusiva del potere statale, ma come servizio per la collettività, che deve avere come parametro di riferimento l’efficienza delle soluzioni e la tempestività del prodotto-sentenza, in un mutato contesto globale in cui anche la giustizia deve adeguarsi alle regole della concorrenza (si parla infatti di “concorrenza degli ordinamenti giuridici”). Principio, questo, espresso dalla recente giurisprudenza della Suprema Corte. Vedi, per tutte, Cass. sez. un. 9.10.2008 n. 24883, in Giust. Civ. 2009, 1, 47.

69 SATTA, Le impugnazioni, Estratto dal Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1962, p. 208, definiva la motivazione come “l’essenza della giurisdizione”, TARUFFO, La motivazione della sentenza civile, Padova 1975, il quale definisce la motivazione come “una condizione imprescindibile del corretto esercizio della funzione giurisdizionale”. In tal senso anche la giurisprudenza di legittimità. *******, op. cit., cita una sentenza delle sezioni Unite della Corte di Cassazione, ovvero la sentenza n. 103 del 9 luglio 1947, in cui il Supremo Collegio ha espresso il principio secondo cui “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”.

70 ROSELLI, La motivazione della sentenza civile in fatto ed in diritto, in Il Giusto processo civile 2007, p. 389, il quale rileva come il dovere di motivare il provvedimento giurisdizionale trova spiegazione nella circostanza che il giudice italiano viene scelto per concorso, ossia in base a criteri esclusivamente tecnici e non risponde in sede politica, con la conseguenza che l’apporto della giurisprudenza alla formazione-evoluzione del diritto oggettivo deve fondarsi su tecniche elaborate soltanto sulla scienza giuridica, autonoma rispetto al gioco dei poteri politici ed economici. Secondo l’a., la separazione della tecnica giuridica, propria del giudice, dalla scelta politica, propria del legislatore, deve risaltare in sede di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.

71 Così, ad es. Cass. civ., Sez. Un., n. 24883 del 9.10.2008, in motivazione, Cass. civ., Sez. Un., n. 13916 del 16.06.2006 in motivazione, Cass. civ., n. 24856 del 22.11.2006 in motivazione.

72 Tale principio è ricavabile dalla pronuncia Cass. civ., sez. un., n. 7799 del 15.04.2005, ove testualmente si legge: “Anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nell’art. 111 cost., il sindacato delle sezioni unite della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale continua ad essere circoscritto al controllo dei limiti esterni della giurisdizione del g.a., ovvero all’esistenza dei vizi che attengono alla funzione giurisdizionale, e non al modo del suo esercizio, cui si riferiscono, invece, gli errori in iudicando o in procedendo, con la conseguenza che tale sindacato non è invocabile nei casi in cui, come motivo di impugnazione, sia dedotta una mancata (inesistente o apparente) motivazione della decisione”. In tal senso, mutatis mutandis, tra le altre, anche Cass. civ. , Sez. Un., n. 10828 del 11.05.2006 in Foro amm. CDS, 2006, 9, pag. 2455.

73 Cass. civ. n. 5451 del 18.05.1995, in Giust. Civ. Mass. 15 pag. 1023.

74Ciò in conseguenza dell’approccio casistico utilizzato dalla Corte che impone una contestualizzazione delle sue pronunce e preclude una generalizzazione dei principi da essa, di volta in volta, espressi.

75 Vedi, da ultimo, la sentenza della Corte EDU Taxquet c. Belgio del 16.11.2010 secondo cui “Nei processi che prevedono una giuria popolare, un verdetto privo di motivazione non determina di per sé la violazione dell’art. 6 CEDU, a condizione però che siano previste adeguate garanzie che consentano all’imputato ed al pubblico ministero di comprendere le ragioni della decisione”. Ma non solo. Nella giurisprudenza CEDU muovono in tale direzione anche altre pronunce, ancorché non espressamente riferite al difetto di motivazione, dalle quali è tuttavia possibile ricavare principi generali valevoli, quali parametro interpretativo di riferimento, all’interno del sistema CEDU. In tale contesto si inserisce la sentenza ********** c. Svizzera del 24.11.1993, che afferma: “Non sussiste la violazione dell’art. 6, par. 1 e par. 3 c) CEDU, sotto il profilo del rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa se, nonostante la mancata partecipazione del difensore all’interrogatorio del suo assistito, lo Stato membro individua strumenti idonei a garantire tali principi, come ricevere la notifica dei verbali degli interrogatori, la possibilità di incontrare il suo assistito e contestare, in sede dibattimentale, il risultato delle indagini” o ancora, in maniera più incisiva, la sentenza Bocellari e ***** c. Italia del 13.11.2007 (ma nello stesso senso anche la sentenza Buongiorno c. Italia del 5.01.2010) che statuisce: “L’impossibilità di richiedere lo svolgimento a porte aperte dell’udienza procedimentale in materia di applicazione delle misure di prevenzione (personali e patrimoniali) nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, comporta la violazione dell’art. 6, par. 1 CEDU, atteso che ai fini del rispetto della Convenzione è essenziale che al soggetto interessato dal procedimento venga almeno offerta la possibilità di sollecitare una pubblica udienza”. Tali pronunce appaiono un importante punto di riferimento atteso che da esse è possibile ricavare dei principi generali idonei a costituire delle chiavi di lettura delle disposizioni della CEDU. Quest’ultima sentenza, in particolare, esprime un principio di fondamentale importanza che potrebbe valere, mutatis mutandis, anche in materia di motivazione. Ed infatti, ancorché la pubblicità del procedimento giurisdizionale (al pari dell’obbligo della motivazione, che la Corte di Strasburgo fa discendere proprio dall’obbligo del canone pubblicitario) sia garanzia fondamentale in grado di realizzare quella tensione naturale verso un processo equo, atteso che essa aiuta a preservare la fiducia dei cittadini nelle corti e nei tribunali, ed è per ciò stesso garanzia del rispetto dei diritti dell’interessato, pur nondimeno la Corte di Strasburgo, nella predetta sentenza, ha ritenuto sufficiente, al fine di non incorrere nella violazione della normativa CEDU, che alla parte fosse riconosciuta quantomeno la possibilità di richiedere la pubblica udienza. Stessa cosa, probabilmente, si può lecitamente ritenere in materia di motivazione. Tale sentenza, infatti, potrebbe legittimare a ritenere compatibile con il sistema della Convenzione una sentenza che, ancorché priva formalmente di motivazione, sia comunque idonea ad attuare l’equo processo sul presupposto che alla parte sia stata riconosciuta, quantomeno, la possibilità di richiederla. Ciò, pertanto, renderebbe compatibili con il sistema CEDU la legislazione nazionale di quegli ordinamenti, quali quello tedesco, che contemplano ipotesi di sentenze non motivate se le parti non lo richiedono. Ciò sul presupposto che ciò che rileva, è l’effettività delle tutela delle garanzie offerte alla parte anche se realizzata con strumenti diversi da quelli “tipizzati” dalle norme della Convenzione.

76 Ma è un istituto presente anche nell’ordinamento austriaco, polacco, svizzero. Con particolare riferimento all’ordinamento svizzero, la motivazione su richiesta è prevista tanto in ambito civilistico che penalistico. In ambito civilistico, la motivazione scritta delle sentenze di prima istanza è facoltativa. Ed infatti: l’art. 238 c.p.c. annovera, nel contenuto della decisione, i relativi motivi, ma solo “se del caso” e, più espressamente, l’art. 239 prevede che “Il giudice può notificare la sua decisione senza motivazione scritta: a) al dibattimento, consegnando alle parti il dispositivo scritto, con una breve motivazione orale; b) recapitando il dispositivo alle parti. La motivazione scritta è fatta pervenire in un secondo tempo se una parte lo chiede entro dieci giorni dalla comunicazione della decisione. L’omessa richiesta di motivazione si ha per rinuncia all’impugnazione della decisione mediante appello o reclamo. Sono fatte salve le disposizioni della legge 17 giugno 2005 sul Tribunale federale, concernenti la notificazione di decisioni che possono essere impugnate davanti al Tribunale federale” (prevede, infatti, l’art. 112 di tale legge che “Le decisioni impugnabili mediante ricorso al Tribunale federale sono notificate per scritto alle parti. Contengono: a. le conclusioni, i motivi, le allegazioni probatorie e le dichiarazioni processuali delle parti, in quanto non risultino dagli atti; b. i motivi determinanti di fatto e di diritto, segnatamente l’indicazione delle disposizioni legali applicate; c. il dispositivo; d. l’indicazione dei rimedi giuridici, con menzione del valore litigioso nei casi in cui la presente legge prevede un valore litigioso minimo. Se il diritto cantonale lo prevede, l’autorità può notificare la sua decisione senza motivarla. In tal caso le parti possono chiedere, entro 30 giorni, il testo integrale della decisione. La decisione non può essere eseguita finché tale termine non scade infruttuoso o il testo integrale della stessa non è notificato). In ambito penalistico, l’art. 82 del c.p.p. testualmente: “Art. 82 Limitazioni dell’obbligo di motivazione. Il tribunale di primo grado rinuncia a una motivazione scritta se:a. motiva oralmente la sentenza; e b. non pronuncia una pena detentiva superiore a due anni, un internamento secondo l’articolo 64 c.p. un trattamento secondo l’articolo 59 capoverso 3 CP oppure una privazione di libertà di oltre due anni conseguente alla revoca simultanea della sospensione condizionale di sanzioni. Il tribunale di primo grado notifica successivamente alle parti una sentenza motivata se:a. una parte lo domanda entro dieci giorni dalla notificazione del dispositivo; b. una parte interpone ricorso. Se solo l’accusatore privato domanda una sentenza motivata o interpone ricorso, il tribunale di primo grado motiva la sentenza soltanto nella misura in cui concerne il comportamento punibile che ha arrecato pregiudizio all’accusatore privato e le pretese civili dello stesso. Nella procedura di ricorso, il giudice può rimandare alla motivazione della giurisdizione inferiore per quanto concerne l’apprezzamento di fatto e di diritto dei fatti contestati all’imputato”. Da sottolineare che la legge sulla tariffa giudiziaria (LTG) del 14.12.1965 prevede che la richiesta di motivazione scritta comporterà una tassa di giustizia più elevata.

77 In un contesto normativo, tuttavia, differente dal nostro, atteso che l’obbligatorietà della motivazione non è sancita costituzionalmente. Dal punto di vista prettamente semantico, va osservato che in questa ipotesi non si tratta di una vera e propria motivazione su richiesta ma di possibilità, per il giudice, di non motivare se le parti vi rinunciano; da un punto di vista pratico, tuttavia, non sembrano esserci differenze.

78 Tale norma è stata introdotta a seguito della novella del 1976. realizzata con Legge 03.12.1976 n. 3281. La ratio di tale innovazione normativa viene sinteticamente illustrata dalla relazione governativa di accompagnamento al testo normativo (disponibile su: www.bundestag.de/dokumente/drucksachen/index.html) secondo cui “attraverso tale nuova disciplina si realizza una deflazione del carico di lavoro dell’ufficio giudiziario, per le ipotesi in cui le parti non abbiano alcun interesse alla riproduzione scritta della decisione resa oralmente.” (…) “l’insussistenza di un reale interesse delle parti ad ottenere una motivazione scritta delle decisioni è frequente soprattutto nelle ipotesi in cui le stesse (rectius: i rapporti da queste dedotti in giudizio) risultino garantiti da contratti assicurativi”.

79 Ritiene Zöller, Zivilprozessordnung, Köln, 2005, pag. 923 che la regola dettata dal § 313a ZPO trova applicazione anche nel caso in cui la decisione assume la forma dell’ordinanza.

80 Questo è il caso delle sentenze dichiarative della decadenza da un diritto, ai sensi del § 957 ZPO, e delle decisioni che pronunziano sulle spese di giustizia, ai sensi del § 99 ZPO.

81 Occorre precisare che non sussiste alcun obbligo a carico del giudice di astenersi dal motivare la decisione, ben potendo lo stesso non tener conto, nella redazione della sentenza, della rinunzia operata dalle parti.

82 Par. 160: “Contenuto del Verbale”.

“(I) Il verbale contiene:

  1. Il giorno ed il luogo della trattazione;

  2. Il nome dei giudici, del cancelliere e dell’interprete eventualmente chiamato;

  3. L’indicazione della controversia;

  4. I nomi delle parti che sono comparse, degli intervenienti adesivi, dei rappresentanti, dei procuratori, dei testimoni e dei consulenti tecnici;

  5. L’indicazione che la trattazione avviene in modo pubblico, ovvero che è stata esclusa la presenza del pubblico;

(II) I più importanti eventi che avvengono durante la trattazione devono essere registrati.

(III) Nel verbale si deve dare riscontro:

  1. Del riconoscimento, della rinunzia a pretese e della transazione;

  2. Delle domande;

  3. Di confessioni e dichiarazioni riguardanti un’istanza di interrogatorio di parte, cosi come di ogni altra dichiarazione di cui sia imposto l’accertamento;

  4. Delle deposizioni dei testimoni, dei consulenti tecnici e delle parti che vengono interrogate;

  5. Del risultato dell’ispezione;

  6. Delle decisioni (sentenze, ordinanze e provvedimenti) del tribunale;

  7. Della pronuncia delle decisioni;

  8. Del ritiro dell’azione o di un mezzo d’impugnazione;

  9. Della rinuncia a mezzi d’impugnazione;

  10. Del risultato dell’udienza di conciliazione.”

83 La brevità del termine è imposta dall’esigenza di limitare i tempi dell’incertezza in cui versa il giudice in ordine alla necessità di redigere integralmente la motivazione della sentenza. In ogni caso la rinuncia può produrre i suoi effetti anche se tardiva, nel senso che il giudice nel caso non abbia ancora provveduto a redigere la motivazione, potrà discrezionalmente tener conto della volontà espressa dalla parte di rinunciare alla motivazione, anche se manifestata oltre il termine previsto dalla legge. Cfr. Zöller, Zivilprozessordnung, Köln, 2005, pag. 924, nonché Prütting-Gehrlein, ZPO Kommentar, Köln, 2011, 916. La rinuncia, però, una volta espressa, si considera irrevocabile: cfr. Corte d’Appello di Francoforte, 23.04.1983, in Neue Juristische Wochenschrift, 1989, pag. 841. Si ritiene, inoltre, che la rinunzia non possa essere sottoposta a condizione: cfr. Musielak, Münchner Kommentar zur Zivilprozessordnung (Commentario monacense al codice di procedura civile tedesco), München, 1992, §313a, pag. 1352.

84 § 38 IV FamFG.

85 Si tratta di ipotesi in cui sussiste un interesse pubblico alla motivazione scritta della sentenza e in cui è concreta la possibilità che venga presentata, ai sensi del § 323, un’azione volta ad ottenere una modifica dei contenuti della pronunzia. Il §313a ZPO non trova altresì applicazione in materia di procedimenti di volontaria giurisdizione. In materia di rito del lavoro, invece, l’istituto di cui al §313a ZPO trova applicazione, fatta eccezione per i procedimenti che si svolgono in camera di consiglio.

86 Cfr ad es., ******, ****, Wax, Das Verfahren nach der Vereinfachungsnovelle und vor dem Familiengericht, München, 1977.

87 Musielak, Münchner Kommentar zur Zivilprozessordnung (Commentario monacense al codice di procedura civile tedesco), München, 1992, §313a, pag. 1352. In Giurisprudenza v. Corte d’Appello di Amburgo, 12.03.1995, in Neue Juristische Wochenschrift, 1995, pag. 186; Corte d’Appello di Colonia, 14.07.1998, in Neue Juristische Wochenschrift, 1998, pag. 397.

88 Anche durante i lavori preparatori della riforma del 1976, è stata richiamata l’attenzione sul fatto che il §313a, non preclude al Giudice, nonostante la rinuncia delle parti, di motivare comunque la sentenza, qualora lo ritenesse necessario al fine di chiarire la portata del giudicato, o quando comunque, risulti difficile definire l’oggetto della controversia in assenza di motivazione V. Relazione al disegno di legge del Bundestag, n. 7/5250 S. 5.

89 Es. “la domanda di risarcimento del danno derivante dall’incidente stradale verificatosi tra il sig. A, in data X…..viene rigettata.”

90 Dello stesso avviso Prütting-Gehrlein, ZPO Kommentar, Köln, 2011, 916, secondo cui è sufficiente che l’oggetto della controversia venga esplicitato in un “erläuternden ****” (breve paragrafo) della decisione.

91 Secondo cui “i motivi della decisione contengono una breve sintesi delle riflessioni su cui si basa la decisione in fatto ed in diritto”.

92 La riduzione delle spese processuali è pari a circa il 50%.

93 Cfr. *********-******-********, Zivilprozessrecht, München, 2010, 311.

94 Anche tale norma è stata introdotta con la novella del 1976.

95 Si tratta, anche in questa ipotesi, di una facoltà riconosciuta al Giudice, il quale non è obbligato ad astenersi dal motivare la decisione. Nell’esercizio di tale potere discrezionale, il Giudice dovrà valutare se il solo dispositivo è sufficiente a definire la portata del giudicato della decisione. Cfr. Corte d’Appello di Brandeburgo, 02.06.2004, in FamRZ, 2004, 651.

96 La sentenza può essere redatta in forma abbreviata ai sensi del secondo comma del §313b, in calce all’originale o sulla copia del ricorso introduttivo presente nel fascicolo o su un foglio da allegare. In tal caso non è necessario che la sentenza contenga l’indicazione del nome dei giudici e l’indicazione delle parti, dei loro rappresentanti legali e dei procuratori alle liti deve essere inserita nella sentenza soltanto nella misura in cui vi siano divergenze rispetto a quanto indicato nel ricorso introduttivo. Se la sentenza viene redatta su un foglio unito con il ricorso introduttivo, il punto di congiunzione deve essere contrassegnato con il sigillo del tribunale o realizzato con filo e sigillo.

97 In tal modo la motivazione consente il controllo sul modo in cui gli organi dello stato hanno esercitato il potere loro attribuito a “quello stesso popolo nel cui nome la sentenza viene pronunciata” (c.d. controllo democratico diffuso). Critici sul punto *********, La sentenza in rapporto alla struttura e all’oggetto del processo, nel volume La sentenza in Europa, Padova, 1988, pagg. 316 e *********, Controlli esterni sull’amministrazione della giustizia e funzioni garantistiche della motivazione, nel volume La sentenza in Europa, op. cit., pagg. 435 e ss.

98 La finalità di controllo diffuso è già disattesa, tuttavia, dalla circostanza che la sentenza italiana, non di rado, si struttura come un dialogo chiuso tra giudici ed avvocati, con frequenti richiami, impliciti od espliciti, agli scritti difensivi ed agli atti della causa che rendono talvolta difficilmente comprensibile la sentenza se non ai partecipanti al processo cui è seguita. *************, La sentenza civile come precedente giudiziale. Il suo valore, le modalità di estrazione, i suoi interpreti, Catania, 1996, p. 52.

99 CHIARLONI, Accesso alla giustizia e uscita dalla giustizia, op. cit., p. 52, nota 22, parla a tal proposito di garanzia “illusoria”, rilevando come il pubblico non sia generalmente interessato ai contenuti dell’attività giurisdizionale civile, cosicché i volumi che contengono le sentenze “giacciono negli archivi esposti soltanto alla critica roditrice dei topi”. In ogni caso, rileva l’a., l’eventuale interesse del pubblico potrebbe essere soddisfatto in seconda battuta, dalla possibilità di conoscere le motivazioni delle sentenze grazie ai gravami proposti dalle parti, oppure grazie alla pubblicazione nelle riviste giuridiche quando la riserva di motivazione sarà stata sciolta. Di diverso avviso TARUFFO, “La motivazione della sentenza civile” relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal CSM sul tema “La motivazione dei provvedimenti giudiziari – I edizione” tenutasi a Roma il 5-7.04.2004, il quale rileva che ciò che occorre è che siffatto controllo esterno da parte del “popolo nel cui nome le sentenze vengono pronunciate” venga reso possibile, non che in ogni singolo caso esso venga davvero effettuato. La circostanza che in concreto tale controllo venga esercitato in pochi casi e solo da un ristretto gruppo di addetti ai lavori, secondo l’a., individua un problema culturale e sociologico molto serio la cui esistenza non può essere invocata per togliere significato alla garanzia dell’obbligo di motivazione.

100 Tale garanzia risulta necessaria nelle ipotesi in cui le decisioni del giudice siano fondate su una maggiore discrezionalità del decidente, allorquando, ad esempio, sia chiamato a decidere secondo equità (art. 114 c.p.c). La motivazione, infatti, è stata definita come il contrappeso del libero convincimento del giudice, ma soprattutto come corollario naturale dell’imparzialità del giudice, nonché strumento fondamentale per accrescere il livello di accettazione, da parte della collettività, del dictum giudiziario. In tal senso MANNA, I principali vizi di motivazione delle sentenze di primo grado, visti da un giudice di appello, relazione relativa all’incontro di studi organizzato dal Csm sul tema La motivazione della sentenza penale tenutosi a Roma nei giorni 14-16 settembre 2009.

101 TOFFOLI, Il nuovo art. 111 della Costituzione e il giusto processo civile, op. cit., p. 297.

102 TURATTO in *******-************* (a cura di), Codice di procedura civile commentato, diretto da *******, La riforma del 2009, IPSOA, 2009, p. 102 osserva come sia proprio la motivazione che permette alle parti di verificare se ed in quale misura il giudice abbia tenuto conto dei loro sforzi e delle loro istanze e deduzioni, spiegando perché una abbia perso e l’altra vinto, consentendo un controllo sull’intervento giurisdizionale e sul suo esito. Secondo gli autori «occorre che la motivazione giustifichi la decisione in rapporto alle difese svolte dalle parti: soltanto in questo modo è possibile verificare se in concreto vi sia stata in sede di decisione una violazione o uno svuotamento della garanzia del contraddittorio».

103 EVANGELISTA, voce Motivazione della sentenza civile, in Enc. dir, XXVII, Milano, 1977, p. 159.

104 L’esigenza di rispettare il diritto di difesa in linea generale impone al giudice di rispondere in maniera analitica, nei limiti del possibile, alle domande e, nell’ipotesi di impugnazione, ai singoli motivi di ricorso. Tale esigenza si avverte a fortiori oggi, alla luce del riformato art. 101 c.p.c., che prevede al comma 2, introdotto con la Legge 6/2009, che: “se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevabile d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”. Attraverso questa previsione, il legislatore ha espressamente sancito la nullità della c.d. “sentenza a sorpresa” o “della terza via”, ossia di una decisione fondata su di una questione non segnalata dalle parti ma rilevata d’ufficio dal giudice.

105 E’ importante poi valutare portata e funzione della motivazione, distinguere tra sentenza resa immediatamente a seguito delle difese delle parti e sentenza emessa a distanza di tempo. L’immediata redazione della sentenza è più facile che induca il giudice a riferire nella motivazione l’iter mentale seguito per raggiungere la decisione piuttosto che argomentazioni razionali. In tal senso ZAPPALA’, op. cit., c. 661 ss. Sul ragionamento “interno” del giudice v. SANTANGELI, L’interpretazione della sentenza civile, op. cit., p. 96-102, nota 9.

106 PORRECA, op. cit., pag. 11, parla a tal proposito di funzione maieutica della motivazione, in considerazione della circostanza che solo stendendo la motivazione il giudice arriva alla migliore decisione.

107 Con riferimento alla opportunità di non motivare l’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione, vanno rammentate le contrapposte opinioni di *******, Attese e problemi sul nuovo art. 186 quater (fra condanna interinale e sentenza abbreviata) in ****. Giur. 1995, pag. 1408-1409, 1416 nota 26 e 1417, per il quale se non si stende la motivazione si rischia di non decidere bene la causa, e di CHIARLONI, Valori e tecniche dell’ordinanza di condanna ad istruzione esaurita ex art. 186 quater c.p.c., op. cit., pag. 520-521, che all’opposto ritiene che la motivazione non ha nulla a che fare con la bontà del giudizio, sibbene con la sua razionalizzazione a posteriori.

108 SANTANGELI, L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione, op. cit. pag. 58, che richiama in nota 33 TARUFFO, Funzione della prova: la funzione dimostrativa in Riv Trim. dir. *********. 1997 pag. 569 e ss., che sostiene (pur sempre avversando la tesi che la motivazione sia una sorta di resoconto del procedimento che il giudice ha seguito per giungere alla decisione) che tra la scelta e la motivazione ci sono connessioni rilevanti, perchè il giudice, che sa di dover motivare la propria decisione, anche nel decidere tenderà ad utilizzare criteri razionali nell’ambito del procedimento decisorio, perchè ciò, se non altro, gli faciliterà il compito di motivare.

109 L’originaria formulazione dell’art. 429 c.p.c. è stata, infatti, modificata dall’art. 53, comma 2, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nelle L. 6 agosto 2008, n. 133.

110 Già **********, ult. op. cit. pag. 59, osserva che il rischio che le regole processuali e sostanziali che devono essere alla base della decisione non siano prese nella dovuta considerazione nel caso di non motivazione della ordinanza post istruttoria, sarebbe assai maggiore che in rapporto, ad esempio, alla sentenza nel processo lavoro, poiché in quella sede la motivazione, anche se non contestuale, appare comunque immediata ed immanente per lo stesso giudice che pronuncia il dispositivo, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 186 quater c.p.c., in effetti, alla successiva motivazione si giungerebbe soltanto (eventualmente) quando il processo venga proseguito fino alla pronuncia della sentenza. E’ chiaro che le stesse osservazioni, mutatis mutandis, possono estendersi all’ipotesi di motivazione su richiesta in confronto con la sentenza ex art. 429 c.p.c. pre-riforma.

111 La difficoltà di evincere il senso precettivo della sentenza deriva in primo luogo dalla difficoltà di determinare il rapporto tra dispositivo e motivazione. Come ho già osservato in un precedente scritto, v. se vuoi **********, L’interpretazione della sentenza civile, op. cit., p. 39 e ss., è comune l’affermazione dell’unicità dell’atto sentenza e così della necessità di una interpretazione complessiva della stessa. Questa opinione, si conferma nella comune affermazione che vuole il pieno utilizzo della parte motiva della sentenza per concorrere all’interpretazione del dispositivo quando questo non sia nella sua letteralità di per sé chiaro, o presenti plurivoci possibili significati.

112 Una sentenza di rigetto priva della motivazione non consentirebbe di acquisire certezza sulla natura della cognizione giudiziale, ovvero di comprendere se la decisione abbia investito il merito o si sia limitata alla verifica della mancanza dei presupposti processuali dell’azione esercitata.

113 In mancanza di motivazione, non vi sarebbe certezza sulla natura della cognizione giudiziale, se cioè essa abbia investito il merito o si sia limitata alla verifica della mancanza dei presupposti processuali propri del provvedimento richiesto. Se a giustificare il rigetto della domanda sono ragioni di rito, il problema non si pone tanto per questioni attinenti al difetto dei presupposti processuali, quali la competenza o la giurisdizione, atteso che in tal caso nel dispositivo della sentenza troveremmo le indicazioni relative alla traslatio ed ai tempi e i modi della riassunzione della causa, quanto piuttosto per ragioni di mancanza di condizioni dell’azione, quali il difetto di interesse o capacità o legittimazione ad agire.

114 PUGLIESE, voce Giudicato civile, in Enc. Dir. XVIII, p. 862 ss.,§§ 23, 24. Già *********, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1923, p. 917, secondo il quale: “per determinare la portata della cosa giudicata è per lo più necessario di risalire ai motivi, per poter identificare l’azione colla ricerca della causa petendi”.

115 Si potrebbe dubitare della idoneità della pronuncia priva di motivazione a risolvere con autorità di giudicato le questioni pregiudiziali, logiche o tecniche, nonché al rapporto giuridico fondamentale dal quale discende il diritto azionato nel processo, limitando gli effetti di giudicato esclusivamente alle statuizioni contenute nel dispositivo, ovvero al solo oggetto in senso stretto della pronuncia. Ciò perché, in assenza di motivazione, risulterebbe del tutto assente l’elemento che consente la verifica sia delle questioni che il giudice ha affrontato e deciso ai fini della statuizione sulla domanda, sia dell’iter logico giuridico seguito dal giudice. Mancando la motivazione, completa ed esaustiva, manca la possibilità di controllare se la cognizione piena sia stata effettuata non solo sull’esistenza del diritto per il quale si chiede la condanna o l’accertamento, ma anche sulle questioni pregiudicanti quest’ultima. In tal senso NAPPI, Rilievi problematici sull’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione (art. 186 quater c.p.c.) in Foro It. 1995, I, col 3310, con riferimento alla portata del giudicato della decisione resa nelle forme dell’art. 186 quater c.p.c.

116 Per un compiuto riferimento bibliografico si rimanda sul punto a *******, Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, p. 1307, nota 18.

117 GORLA, Giurisprudenza, in Enc. Dir. XIX, p. 496, §6, **********, La sentenza civile come precedente giudiziale. op .cit., p. 71.

118 SANTANGELI, ult. op. cit., p. 72 e ss.

119 Corte Europea dei diritti dell’uomo, sentenza 14.01.2010 Atanasovsky c. Macedonia, ha espressamente affermato che: “Viola il diritto ad un equo processo il mutamento, da parte di un organo decidente, del proprio consolidato orientamento giurisprudenziale, in assenza di una chiara indicazione delle ragioni giuridiche che stanno alla base dell’adesione al nuovo orientamento”.

120 Senza dimenticare, poi, che la motivazione svolge un ruolo di prim’ordine nell’attività di interpretazione evolutiva delle norme. Un esempio per tutti: l’art. 2059 c.c., norma che sembrava “chiusa” ma che è stata interpretata in senso evolutivo dalle sentenze motivate della Corte. Problema che, ovviamente, quasi non si pone se l’istituto della motivazione su richiesta è limitato, come è ragionevole credere, alle sole sentenze di primo grado.

121 Si discute addirittura della possibilità che il provvedimento privo (o anche solo carente) di motivazione possa esporre i magistrati al rischio di incorrere nel reato di abuso di ufficio cui all’art. 323 c.p., purchè sussista l’elemento soggettivo del dolo intenzionale. Vedi *********, Il provvedimento giudiziario privo di motivazione non costituisce per ciò solo abuso di ufficio, nota a sentenza Cass. pen. 15.04.2008 n. 20331.

122 SERIO, Tecniche della motivazione e precedente giudiziario, § 3. su www.appinter.csm.it.

123 Già CHIARLONI, Rinunciabilità al contraddittorio e rinunciabilità alla motivazione dei provvedimenti, op. cit., alla luce di ciò ha mostrato un ravvedimento rispetto alle ben più rosee prospettive declamate in passato.

124 Problema già avvertito da CRUGNOLA, La motivazione della sentenza civile tra garanzie ed efficienza, op. cit.

125 Non a caso, infatti, nessuno dei senatori chiamati a valutare l’emendamento ha sollevato problemi di contrasto con l’art. 111 Cost.

126 Il ddl è stato presentato dall’allora Ministro della Giustizia *************** di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze ***************.

127 Innovazione, rispetto all’originaria formulazione della disposizione, che non è stata salutata con favore da alcuni senatori in sede referente, i quali hanno osservato che la nuova disciplina della sentenza potrebbe essere condivisa solo in quanto si garantisca, come avviene nei Paesi che già la praticano, la presenza delle parti all’udienza, condizione ritenuta indispensabile per assicurare l’effettiva comprensione del dispositivo (v. resoconto sommario n. 233 del 19.04.2011, intervento del senatore D’********, su www.senato.it.).

128 La parte in neretto non era prevista dal testo di cui all’emendamento 48, ed è stata introdotta dal nuovo ddl.

129 Sul punto la dottrina ha preso posizioni diverse; da una parte, infatti, c’è chi ha ritenuto sufficiente il mero riferimento alla sentenza richiamata (v. DI BENEDETTO, La motivazione della sentenza e le sentenze ex art. 281 sexies c.p.c. nel rito ordinario e nel nuovo rito societario, in www.judicium.it) , chi ha ritenuto necessario indicare la massima o il principio richiamato (********, La motivazione della sentenza nel giudizio tributario alla luce della novella del c.p.c. (l. n. 69/09) pubblicato su www.altalex.it) e chi ha invece ritenuto necessaria l’indicazione delle ragioni per cui il giudice ha ritenuto applicabile la regula iuris di un caso analogo (TARUFFO, La riforma delle norme sulla motivazione della sentenza, in Giur. it. 2011, 1, p. 246, il quale ha ritenuto che il rinvio apodittico alle ragioni con cui un altro giudice ha ritenuto di giustificare un’altra decisione non equivale ad addurre le proprie ragioni a sostegno di una propria decisione. Scrive l’autore: “la sola vera novità introdotta nell’art. 118 disp. att. sembra dar luogo ad una alternativa interpretativa non particolarmente felice: o il riferimento ai precedenti conformi viene inteso in modo legittimo, ossia come mero suggerimento al giudice di servirsi anche dei precedenti conformi nel motivare la decisione in diritto, ma allora si tratterebbe di una banalità che non meritava di essere esplicitata in una norma, anche perché i giudici lo fanno da sempre; oppure, come sembra, la norma autorizza il giudice a far riferimento soltanto a precedenti conformi, anche quando questi sono costituiti da massime generiche ed anche quando esistono precedenti difformi, ed allora si giustificano dubbi di costituzionalità della norma per violazione dell’art. 111 comma 6 della Costituzione, dato che essa finirebbe con il legittimare la sostanziale mancanza della motivazione in diritto”. Quest’ultima, però, è la soluzione oggi suggerita dal legislatore nel motivazione breve ex art. 281 decies c.p.c.).

130 Per una più ampia ricognizione, anche giurisprudenziale, dei dubbi sulla legittimità costituzionale del modello “puro” di motivazione per relationem v. SANTANGELI, Art. 118 disp. att. c.p.c., op. cit. , §8.

131 C’è chi suggerisce di ricorrere con molta prudenza a questa tecnica di motivazione, dal momento che il richiamo a risultanze processuali o singoli specifici atti, anche di parte, rischia di collocare la ratio decidendi della sentenza al di fuori della sua motivazione, senza consentirne la verifica immediata. Così ****, La motivazione della sentenza in grado di appello, Relazione per l’incontro di studi organizzato dal CSM sul tema “L’organizzazione del procedimento e le tecniche di motivazione nei giudizi civili e di lavoro” tenutosi a Roma il 14-16.02.2011, pag. 18.

132 Per un approfondimento, v. infra, a pagg. 48-49.

133 La parte in neretto non era prevista dal testo di cui all’emendamento 48, ma è stata introdotta dal nuovo ddl.

134 La parte in neretto non era prevista dal testo di cui all’emendamento 48, ma è stata introdotta dal nuovo ddl.

135 Limitatamente alle ipotesi eccezionali (che prima della riforma del 2008 costituivano la regola) in cui il giudice differisca il deposito della motivazione ad un momento successivo rispetto alla pubblicazione del dispositivo, nelle cause di maggiore difficoltà.

136 Ciò che rende tale modello decisorio in esame più simile alla sentenza penale di cui all’art. 544 c.p.p., per la quale è prevista la possibilità che il giudice non emetta la motivazione della decisione contestualmente al dispositivo, ma la differisca ad una data successiva (ovvero entro il termine di quindici giorni dalla pronuncia in udienza del dispositivo o, nei casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa, per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, entro un termine superiore, indicato dal giudice, ma non eccedente il novantesimo giorno da quello della pronuncia). In queste ipotesi di sentenza non contestuale, l’ordinamento non prevede la possibilità di una immediata impugnazione del dispositivo, ma occorre attendere la stesura della motivazione (v. art. 585 c.p.p., che prevede, a pena di decadenza, i termini di impugnazione: “Il termine per proporre impugnazione, per ciascuna delle parti, è: a) di quindici giorni, per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall’articolo 544 comma 1; b) di trenta giorni, nel caso previsto dall’articolo 544, comma 2; c) di quarantacinque giorni, nel caso previsto dall’articolo 544, comma 3. I termini previsti dal comma 1 decorrono: a) dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio; b) dalla lettura del provvedimento in udienza, quando è redatta anche la motivazione , per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura; c) dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza ovvero, nel caso previsto dall’articolo 548, comma 2, dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell’avviso di deposito; d) dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell’avviso di deposito con l’estratto del provvedimento, per l’imputato contumace e per il procuratore generale presso la corte di appello rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte di appello. Quando la decorrenza è diversa per l’imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo. Fino a quindici giorni prima dell’udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti. L’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.

I termini previsti dal presente articolo sono stabiliti a pena di decadenza”. In tale ipotesi, tuttavia, non si ravvisa alcuna necessità di consentire la impugnazione immediata del dispositivo, attesa la non immediata esecutorietà della decisione).

 

137 Ciò è quanto si legge a pag. 1 della Relazione ministeriale di accompagnamento dell’A.S. n. 2612., reperibile su sito del Senato (www.senato.it).

138 In Polonia è previsto, per le cause civili, che il giudice provveda a motivare la sentenza per iscritto e per esteso solo nel caso in cui una delle parti ne faccia richiesta ovvero proponga appello avverso la sentenza.

139 In Austria, il giudice, nelle cause in cui dà lettura del dispositivo in udienza, deposita la motivazione scritta ed estesa della decisione solo nel caso in cui una delle parti faccia dichiarazione d’appello.

140 In Germania, il giudice omette di motivare per iscritto la propria decisione quando la sentenza è pronunciata in udienza e le parti rinunciano all’appello ovvero quando la sentenza è inappellabile e le parti rinunciano alla motivazione, o ancora quando la sentenza è contumaciale o di rinuncia alla pretesa o di riconoscimento di una parte della pretesa dell’altra, tranne che sia prevedibile che la sentenza sarà fatta valere all’estero.

141 Tale relazione è stata trasmessa al Senato in allegato al disegno di legge.

142 L. 24.03.2001 n. 89.

143 PELLEGRINI, I contenuti del ddl governativo sulla giustizia civile, in www.magistraturaindipendente.it. Dello stesso avviso PORRECA, La cosiddetta motivazione a richiesta nei giudizi civili, op. cit., il quale osserva che la flessibilità del sistema decisorio delineata dal regime normativo ordinario consentirebbe al giudice di definire la lite estendendo tutte le motivazioni ma anche di optare per un modulo che rimetta alla richiesta delle parti la loro compiuta esplicitazione. Sarà pertanto il giudice a valutare se la serialità, specie in diritto, suggerisca di decidere la causa secondo un modello che consente alle parti di rinunciare alla motivazione, non ravvisando un sufficiente valore aggiunto nella sua estensione. D’altra parte, che la scelta del modello decisorio da adottare sia determinata dalle peculiarità della controversia oggetto d’esame si evince chiaramente dalla stessa relazione illustrativa del ddl che sottolinea la possibilità offerta al giudice di disporre di “moduli di provvedimenti differenziati in relazione alle esigenze del caso concreto”.

144 Rimarrebbe certamente una incongruenza del sistema estendere la possibilità della motivazione contestuale al giudice dell’appello e continuare ad escluderla per il giudice di primo grado in composizione collegiale, salvo ritenere in via interpretativa implicitamente abrogato tale limite; ciò che forse appare eccessivo, ritenendosi invece più opportuna una esplicita pronuncia in tal senso da parte del legislatore.

145 Così lo definisce la relazione illustrativa allegata al ddl.

146 Dubbi di legittimità costituzionale, tuttavia, sono emersi sotto altri profili. Si è da più parti ritenuto, infatti, che la subordinazione dell’impugnazione alla stesura della motivazione estesa, previo pagamento di un contributo rincarato del 50%, rappresenti ad un tempo una limitazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa, costituzionalmente garantiti rispettivamente dagli art. 3 e 24 Cost., atteso che le classi meno abbienti si troverebbero a dover rinunciare, per mere ragioni economiche, all’esercizio del diritto all’impugnazione.

147 La questione della “tracciabilità” della portata del giudicato non è stata trascurata dai conditores, tant’è che nella relazione illustrativa, in relazione all’art. 5 del ddl, si legge: “Inoltre, sarà definibile il contorno del giudicato che, in presenza del solo dispositivo (non corredato affatto), non sarebbe enucleabile”.

148 Una ricognizione delle funzioni tradizionalmente attribuite alla motivazione è compiuta al paragrafo 3c. del presente elaborato.

149 Anche se, per onestà, è opportuno riconoscere che l’efficacia dissuasiva dalla impugnazione propria del modello di motivazione breve deriva non tanto o, comunque, non soltanto dal contenuto verosimilmente esaustivo ed esplicativo delle ragioni della decisione, quanto dall’imposizione del preventivo pagamento di un contributo unificato, peraltro rincarato del 50%, per la stesura della motivazione estesa, propedeutica all’impugnazione.

150 A ciò si aggiunga il concreto rischio che se la motivazione estesa è redatta solo ai fini dell’impugnazione, è molto probabile che essa anziché rappresentare il procedimento interno che ha condotto il giudice alla decisione, si risolva in una giustificazione ex post della stessa. **********, L’interpretazione della sentenza civile, op. cit. pag. 107.

151 SANTANGELI, L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione, op. cit., pag. 13, nota 25.

152 Si osservi, l’ordinanza ex art. 186 quater non è direttamente impugnabile, ma lo diventa a seguito della rinuncia della parte alla sentenza; la sentenza ex art. 281 decies, parimenti, non è direttamente impugnabile ma la rinuncia della parte alla sentenza completa determinerà la definitiva non impugnabilità della decisione ed il suo passaggio in giudicato.

153 Tale osservazione appartiene anche a *************, Efficienza del sistema giudiziario e diritto all’impugnazione (a proposito di un recente disegno di legge), su www.judicium.it, paragr. 6, pag 5. La necessità di dover ottenere la stesura completa della motivazione della decisione, ai fini dell’impugnazione, rappresenta, per certi versi, un passo indietro rispetto al meccanismo che opera per l’ordinanza post istruttoria e, sotto questo punto di vista, è innegabile un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di primo grado. Tuttavia, rispetto al provvedimento ex art. 186 quater, la decisione resa ai sensi dell’art. 281 decies sottoposta all’esame del giudice dell’appello sarà certamente più completa ed offrirà al giudice dell’impugnazione gli strumenti per una decisione migliore.

154 Così testualmente l’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c., come riformato dalla Legge 18 Giugno 2009 n. 69 pubblicata su G.U. n. 140 del 19 Giugno 2009.

155 Così l’art. 118 disp. att. c.p.c., come riformato dalla Legge 18 Giugno 2009 n. 69, pubblicata su G.U. n. 140 del 19 Giugno 2009.

156 SANTANGELI, Art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c, op. cit., pag. 823 e ss. ove si è espressamente optato per una lettura in chiave restrittiva della riforma.

157 Ciò attraverso il tendenziale abbandono della motivazione discorsiva in favore di una motivazione semplificata, con uno stile tendenzialmente uniforme, privo di obiter dicta e di argomentazioni ridondanti e spesso pleonastiche, l’incentivazione alla motivazione per relationem attraverso il riferimento a precedenti giurisprudenziali conformi, l’eliminazione di quella parte strutturale della sentenza che è lo svolgimento del processo i cui contenuti essenziali sono trasfusi nella parte motiva in senso stretto del provvedimento.

158 RAITI, La motivazione della sentenza civile: tradizionali profili sistematici e incerte prospettive di rinnovamento, pag. 457, Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Catania, Annali del Seminario Giuridico, vol. IX, 2007-2008.

159 Osserva VERDE, Tecniche di decisione e tecniche di motivazione, relazione all’incontro di studi organizzato dalla IX Commissione del CSM, tenuta a Roma in data 13.05.2005 “Prima settimana di studio relativa al tirocinio generico per gli uditori giudiziari nominati con D.M. 1.10.2004 e D.M. 05.05.2004”, pag. 40, che il presupposto per l’operatività della norma è dato dalla semplicità della causa, non necessariamente collegata al valore economico, ma piuttosto alla (relativa) non complessità della motivazione.

160 V. tra le più recenti, Cass. 12.01.2007 n. 407 e Cass. 11.07.2007 n. 15489. Tra i commentatori, osserva in tal senso, BONI, op.cit.

161 Ciò, in effetti, è quanto è stato da più parti osservato sia da parte dei primi commentatori (v. PORRECA, op. cit., pag. 14, il quale sottolinea la evidente difficoltà di distinguere la fattispecie in esame dalla motivazione ordinaria, nelle forme generali dell’art. 132 c.p.c. come novellato dalla L. n. 69/2009 e 281 sexies c.p.c., atteso che già la motivazione estesa deve contenere un’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto in modo conciso. Ma anche *************, op. cit.) sia da parte delle associazioni forensi (in particolare il CNF, che ha espresso parere contrario all’approvazione del ddl, ha rilevato, da parte, sua, come non appaia agevole comprendere quale potrebbe essere la distinzione tra una motivazione breve, che dovrebbe comunque dar conto, secondo la previsione del disegno di legge, dei fatti rilevanti, delle fonti di prova e dei principi di diritto sui quali è fondata la decisione, ed una motivazione estesa, a meno di non voler relegare la prima la ruolo di una mera apparenza di motivazione).

162 V. supra nota 160.

163 Ciò, chiaramente, a dispetto dell’intento acceleratore che ha ispirato la riforma del 2009, la cui portata, già di per sé piuttosto limitata, sembra a questo punto ridursi ulteriormente.

164 Introdotti dal d. lgs 19 febbraio 1998 n. 51

165 Osserva PORRECA, op. cit., pag. 15, che alla luce del nuovo art. 281 decies, che precisa che nella motivazione breve il principio di diritto può essere espresso anche con esclusivo riferimento al precedente conforme, dunque senza alcuna indicazione né ulteriore rispetto a quella dei precedenti né di sintesi rispetto al principio di diritto cui si presti adesione, nella motivazione estesa non ci si potrebbe più limitare alla menzione del precedente, come oggi si potrebbe anche sostenere, in difetto di limitazioni.

166 Questa, in effetti, è la tesi interpretativa dell’art. 132 c.p.c. suggerita, ad esempio da TARUFFO, La riforma delle norme sulla motivazione della sentenza, in Giurisprudenza Italiana, 2011, pag. 243 e ss., il quale riconosce che l’interpretazione più coerente con le intenzioni “economiche” del legislatore del 2009, porterebbe a ritenere che ai fini della sufficienza della motivazione sarebbe bastevole la pura e semplice indicazione dei fatti che il giudice ritiene accertati, senza la necessità di alcuna giustificazione di ciò che il giudice afferma. Tuttavia, a parere dell’autore, non si può intendere l’espressione “ragioni di fatto” usata nell’art. 132 n. 4 come riferita alla mera enunciazione dei fatti senza porsi in stridente contrasto con la garanzia costituzionale della motivazione; per tale via “si giungerebbe a dire che la motivazione in fatto potrebbe essere in realtà una non motivazione”, “si finirebbe con l’indurre a ritenere motivata una sentenza sostanzialmente priva di giustificazione della decisione sui fatti in riferimento alle prove su cui è fondato il relativo accertamento”.

167 Occorre infatti sottolineare che la disposizione normativa non chiede più la “concisa esposizione” ma la “sommaria indicazione” degli elementi della decisione. Ciò che potrebbe indurre l’interprete, attraverso una forzatura della disposizione, a ritenere che il legislatore, con tale meccanismo, stia cercando di introdurre (per vero assai celatamente) la tecnica motivazionale dell’attendu que. Soluzione che, personalmente, riterrei poter escludere, ritenendo piuttosto che qualora il legislatore volesse importare nel nostro ordinamento lo stile delle sentenze francesi dovrebbe farlo in maniera chiara ed esplicita piuttosto che affidarla all’interprete.

168 La previsione di tale contributo unificato è stata introdotta dalla legge finanziaria per il 2007; si tratta, in particolare, dell’art. 1 comma 1307 della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, che però prevedeva il pagamento di tale contributo esclusivamente per la proposizione dei ricorsi al giudice amministrativo in materia di affidamento di lavori, servizi e forniture. Da ultimo, però, l’art. 13, comma 3, del d. lgs. n. 53/2010 ha modificato l’art. 13 comma 6 bis del d.P.R. n. 115/2002 estendendo il pagamento del contributo unificato per ciascun ricorso, compresi quelli per motivi aggiunti e quelli incidentali contenenti domande nuove.

169 Ed è facilmente prevedibile che l’effetto deflazionistico è destinato ad aumentare per effetto degli ulteriori rincari introdotti con il recente D.L. 98/2011 (recante la c.d. manovra correttiva 2011), che per i ricorsi in materia di  affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture e provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, ha imposto il pagamento di un contributo unificato pari ad euro 4.000;

170 Con punte elevatissime, come ad esempio a Napoli, dove nei primi sei mesi del 2010 i ricorsi contro le multe sono precipitati nella misura dell’80%, a Roma del 40%, a Milano del 63%.

171 Introdotto con il D.Lgs. 28/2010, che all’art. 5, specifica le materie in relazione alle quali, a partire dal 20.03.2011 è obbligatorio esperire il tentativo di mediazione per le cause su di esse vertenti (trattasi di condominio, diritti reali,  divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di autoveicoli e natanti, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, risarcimento del danno derivante dalla diffamazione con il mezzo della stampa o altro, mezzo di pubblicità, contratti assicurativi bancari e finanziari).

172 In tal senso si muove altresì la nuova manovra finanziaria, decreto legge 98 del 6 Luglio 2011, pubblicata in G.U. n. 155, in vigore dal 6 luglio 2011, recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, che con l’art. 37 rubricato “Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie” introduce delle modifiche al d. P.R. 30 maggio 2002 n. 115, operando un rincaro del contributo unificato per i procedimenti civili e prevedendone il pagamento anche in relazione a controversie vertenti su materie che prima ne erano escluse (domande di separazione giudiziale personale dei coniugi, liti fiscali contenzioso previdenziale e di lavoro).

173 Occorre tuttavia prendere atto dell’esistenza di opinioni dissenzienti al riguardo. Già in relazione all’emendamento 48 al ddl 2228 del luglio del 2010, le commissioni parlamentari, sia in sede referente che consultiva, avevano ridimensionato la capacità deterrente del pagamento del contributo unificato rispetto all’impugnazione, atteso che, in fin dei conti, i margini di impugnabilità della decisione sono massimamente evincibili già dalla motivazione breve, pertanto chi vuole impugnare lo farà comunque e non sarà soggetto ad alcun costo aggiuntivo ma solo ad una anticipazione del costo dell’accesso al giudizio di impugnazione, che avrebbe sostenuto comunque.

174 Osserva il sottosegretario ******** (v. resoconto sommario n. 233 del 1.04.2011, sul sito del senato www.senato.it ) che attualmente solo il 15-16% delle sentenze civili emesse in primo grado viene impugnato, per cui subordinando l’emissione della sentenza estesa alla proposizione dell’appello si determinerebbe una consistente riduzione del carico di lavoro per l’estensione delle sentenze.

175 Il giudice, infatti, può optare per la conversione del rito sommario in ordinario, ex art. 702 ter, comma 3, c.p.c., qualora ritenga che la causa necessiti di una trattazione istruttoria non sommaria o, al contrario, confermare la scelta dell’attore in favore del rito sommario, e lasciare che la causa proceda con tali forme, qualora le ritenga compatibili con esse la trattazione della causa. In tale seconda ipotesi, il giudice, pur esercitando un potere che il legislatore stesso gli ha riconosciuto, opera discrezionalmente, comprimendo inevitabilmente il diritto di difesa del convenuto (attraverso la limitazione del diritto alla prova).

176 Per vero, con atteggiamento altalenante. Ed infatti si registrano in un arco temporale piuttosto limitati una serie di arresti per certi versi dissonanti. Da una parte, la Suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 6205 del 13.03.2009, su Giust. Civ. 2009, 7-8, pag. 1510, ha affermato il principio secondo cui nel procedimento d’appello davanti al tribunale, in composizione monocratica, non può procedersi alla discussione orale della causa cui segua la lettura del dispositivo ex art. 281 sexies c.p.c. se una delle parti richieda, all’udienza di discussione, di disporre lo scambio delle conclusionali, essendo tenuto il giudice, per espressa previsione dell’art. 352, ultimo comma c.p.c., a provvedere a tale adempimento e a fissare una nuova udienza di discussione nel termine previsto dalla norma, a pena di nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa. Pronuncia da cui si ricava il principio secondo la sentenza contestuale è applicabile nelle cause di appello decise dal tribunale in composizione monocratica, salva l’ipotesi in cui la parte non richieda comunque la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. A tale pronuncia ha fatto seguito la sentenza della Corte di Appello di Roma del 13.01.2010, su Giur. Merito 2010, n, 4, pag. 67, con nota di ***** “L’applicabilità dell’art. 281 sexies cpc dinanzi alla Corte di Appello anche alla luce della Legge n. 69 del 2009”, che si è spinta sino a ritenere generalmente ammissibile l’applicazione dell’art. 281 sexies c.p.c. anche dinanzi alla Corte d’Appello ritenendo che tale disposizione “è applicabile dinanzi alla Corte di Appello, in virtù della norma di rinvio di cui all’art. 359 c.p.c., nelle materie non caratterizzate da particolare delicatezza e complessità, non riconducibili all’elencazione di cui all’art. 50 bis c.p.c., in quanto la decisione a seguito di trattazione orale garantisce il rispetto dei principi regolatori del giusto processo e si armonizza con la complessiva tendenza alla deformalizzazione, riconosciuta dall’art. 360 bis n. 2 c.p.c., che consente la ricorribilità per Cassazione, in ipotesi di vizio del procedimento, nel solo caso di violazione di tali principi”. La Corte, infatti, esclude che possa ravvisarsi ex se una violazione del diritto di difesa in caso di utilizzazione del modulo di decisione ex art. 281 sexies c.p.c. in appello; violazione che potrebbe sussistere solo nel caso in cui la causa sia particolarmente complessa (tali sono le cause vertenti sulle materie indicate nell’art. 50 bis c.p.c.). Diversamente, il diritto di difesa è adeguatamente garantito dalla discussione orale e dalla possibilità riconosciuta alla parte di chiedere rinvio per meglio prepararsi ad essa. Da ultimo, però, la Cassazione, con la sentenza 21.04.2011 n. 9278 ha espresso il principio secondo cui la discussione orale della causa è ammissibile in appello, ex art. 281 sexies c.pc., solo se c’è l’ accordo delle parti. Ed è tornata ad affermare che nel procedimento d’appello davanti al tribunale, in composizione monocratica, non può procedersi alla discussione orale della causa cui segua la lettura del dispositivo ex art. 281 sexies c.p.c., se una delle parti richieda, all’udienza di discussione, di disporre lo scambio delle conclusionali.

177 In dottrina sul punto si sono riscontrate posizioni divergenti. Contrario all’applicabilità di tale modello decisionale dinanzi al giudice dell’appello è DI *********, op. cit. Mentre in senso favorevole si è espresso *******, Sull’applicabilità dell’art. 281 sexies c.p.c. in appello, in Giur. it., Torino, 2009.

178 Come dimostra la circostanza che l’ordinanza post istruttoria ex art. 186 quater c.p.c. è direttamente impugnabile, se la parte rinuncia alla sentenza. D’altra parte, laddove la motivazione della decisione di primo grado dovesse essere palesemente insufficiente ed incompleta, il giudice d’appello potrebbe comunque pronunciare sul merito, colmando eventuali deficienze della sentenza di prime cure, senza alcun pregiudizio per le parti (ex multis, Cass. 05.12.2008 n. 28838 in Giust. Civ. Mass. 2008 n. 12, pag. 1744). E’ anche vero, però, che se il giudizio di primo grado si conclude con una sentenza completa ed esaustiva, ovvero munita di motivazione estesa, il giudizio di secondo grado sarà verosimilmente più agevolato verso il raggiungimento di una decisione tendenzialmente più corretta. La conoscenza dei motivi alla base della decisione (o, comunque, alla base della giustificazione della decisione) nonché delle critiche a questi mosse consentirà, infatti, al giudice di secondo grado (che definirà in ultima istanza il merito) una pronuncia sulla medesima fattispecie che probabilmente potrà essere migliore della prima, in quanto, verosimilmente, più ragionata. Ciò che rischierebbe di essere compromesso se il giudizio di secondo grado avrà ad oggetto una pronuncia resa ai sensi dell’art. 281 decies.

179 Ai sensi dell’art. 360 n. 5 le sentenze pronunciate in grado di appello o in un unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

180 Ciò che chiaramente vale per tutte le sentenze ricorribili per Cassazione e, quindi, censurabili ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., dunque non solo le sentenze pronunciate in grado di appello, ma anche le sentenze pronunciate in unico grado, ovvero quelle sentenze avverso le quali non è consentito l’appello per la particolare struttura del giudizio, quali ad esempio le sentenze che definiscono il giudizio di delibazione delle sentenze straniere, o perché è espressamente escluso dalla legge, ovvero le ipotesi delle sentenze di cui all’art. 339, comma 2, c.p.c. cioè le sentenze pronunciate secondo equità, che sono ricorribili per Cassazione solo ex art. 360 n. 5 (v. MANDRIOLI, ***************************, vol. II, Il processo ordinario di cognizione, XXI ed., Torino 2011, p. 538).

181 EVANGELISTA, voce Motivazione della sentenza civile, op. cit., p. 163 ritiene che la motivazione può dirsi sufficiente allorché contenga l’indicazione delle ragioni obiettivamente adeguate a suffragare il convincimento espresso dal giudice e, come tale, sia in grado di esporre concretamente la ratio decidendi. La giurisprudenza, ha anche precisato che «perché la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente non è necessario che prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse» (Cass. 29 novembre 1999 n. 13342). L’insufficiente motivazione ricorre quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia (Cass. civ. n. 9705/2004), mentre la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza quando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (ex multis Cass. civ. n. 13990/2003) ovvero quando la motivazione si estrinsechi in argomentazioni del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi del provvedimento impugnato (Cass. civ. n. 7068/2004). Sul punto, TARUFFO, La motivazione della sentenza civile, op. cit, pagg. 450-451, precisa che il parametro in base al quale deve essere valutata la completezza della motivazione è costituito dalle esigenze di giustificazione che sorgono a proposito della decisione, ed è quindi un parametro il cui significato varia sensibilmente nei singoli casi concreti. Per tale via, si ha completezza della motivazione in ordine ad un punto deciso quando il giudice enuncia, oltre alle premesse e ai dati rilevanti per la decisione, le regole di scelta in base alle quali la decisione stessa può considerarsi una conseguenza valida di tali premesse. In caso contrario, mancando l’indicazione delle premesse o del criterio di decisione, l’incompletezza equivale ad insufficienza della motivazione.

182 Ovvero dell’atto di citazione e, verosimilmente, del ricorso introduttivo del giudizio sommario ex art. 702 bis c.p.c., atteso che il comma 1 di tale disposizione normativa introdotta dalla L. 69/2009, prevede che il ricorso introduttivo del processo sommario deve contenere, oltre alle indicazioni di cui all’art 163 nn. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, anche l’avvertimento di cui al n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c. Osservazione, questa, condivisa da *******, op cit., pag. 12. Ciò che indurrebbe a ritenere che tale modello decisorio possa trovare applicazione anche in relazione ai procedimenti trattati con rito sommario (peraltro, oggi certamente più numerosi rispetto a quanto originariamente previsto, e ciò in conseguenza della imminente emanazione del decreto legislativo recante “Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione de procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’art. 54 della Legge 18 Giugno 2009 n. 69” che ha individuato nel rito sommario uno dei tre modelli procedimentali in cui potrà d’ora in avanti svolgersi il processo civile di cognizione).

183 Tale è stato definito dall’Organismo Unitario Avvocatura Italiana, che non ha mancato di osservare che la previsione di un termine così ristretto comporterà seri rischi di responsabilità per l’avvocato il quale in tale frangente dovrà leggere la motivazione (verosimilmente estrarne copia, pagando il triplo dei diritti di cancelleria, data l’urgenza), contattare il proprio cliente, che potrebbe essere non reperibile, valutare con lo stesso l’opportunità di chiedere la motivazione (il che concretamente, si tradurrà nella valutazione della possibilità di proporre appello, e dunque nella necessità, per l’avvocato, di studiare i margini di impugnazione in modo da esporli compiutamente al proprio cliente), pagare il contributo unificato e depositare l’istanza. Il che significa che verosimilmente l’avvocato che non sia stato in grado di conferire con il proprio cliente, al solo fine di evitare il decorso del termine di decadenza per la richiesta della motivazione estesa, pur di non pregiudicare la possibilità del suo assistito di impugnare la sentenza, si vedrà talvolta costretto a versar di tasca sua il costo del contributo unificato.

184 Si precisa, oltretutto, che la norma riconosce la possibilità di richiedere la motivazione estesa alle parti che intendono impugnare la decisione. Ciò da cui si desume che sia solo il soccombente (anche solo rispetto a qualche domanda, fosse anche in punto di spese processuali) ad essere legittimato a depositare tale richiesta.

185 Trattasi di una presunzione assoluta iuris et de iure. V. in tal senso ord. Cass. civ. 02.09.2004 n. 17665 in Foro it., 2005, X, 2799, con nota di DI BENEDETTO, Lettura e comunicazione della sentenza nelle decisioni ex art. 281 sexies c.p.c., e più recentemente anche Cass. civ. 24.07.2007 n. 16304 in Giust. Civ. Mass. 2007 n. 7-8 e Cass. 05.06.2009 n. 13035 in Giust. Civ. Mass. 2009 n. 6 pag. 873.

186 In giurisprudenza, infatti, è prevalente l’orientamento, inaugurato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1388/01, in Foro It. 2001, voce Sentenza civile, n. 66, secondo cui il regime previsto dall’art. 176, comma 2 c.p.c. può applicarsi anche alle sentenze tutte le volte in cui in udienza sia data lettura anche della motivazione perchè tale adempimento pone la parte in condizione di conoscere integralmente il tenore della decisione senza che sia necessaria un’ulteriore attività di comunicazione da parte del cancelliere. Con la conseguenza che i termini per l’impugnazione decorrono dalla pronuncia in udienza e non dalla non necessaria comunicazione da parte del cancelliere.

187 Probabilmente, però, lo scopo di tale udienza è quello di consentire di stendere la sentenza incorporandola nel verbale di causa, esaltando l’utilità della sentenza immediata, in cui si ravvisa uno strumento per una più veloce redazione dell’atto decisorio.

188 Diversamente nel caso di sentenza emessa a definizione del giudizio di opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, ove la lettura del dispositivo all’udienza di discussione, prescritta dall’art. 23 L. 24 novembre 1981 n. 689, risponde all’esigenza di ancorare il momento dell’immodificabilità della decisione alla data dell’udienza di discussione, per assicurare alle parti l’immediata conoscenza del regolamento giudiziale dei loro rapporti e l’immutabilità del medesimo rispetto alla successiva stesura della motivazione; sicché l’omissione, nell’udienza di discussione e decisione della causa, della lettura del dispositivo, determina nullità della sentenza. In tal senso Cass. civ. 17.12.2003 n. 19308 in Giust. Civ. Mass. 2003 n. 12. In dottrina si rileva l’opinione contraria di **********, Atti e provvedimenti del giudice nulle teoria unitaria dell’atto giuridico, in Giust. Civ. 1993, pag. 385, il quale ritiene che provvedimenti orali devono considerarsi quelli emessi in udienza (art. 186 c.p.c.) la cui documentazione nel processo verbale (art. 126 c.p.c.) è attività estrinseca rispetto all’emissione dell’atto. Un esempio tipico di oralità è dato dalla lettura del dispositivo in udienza (es. art. 42 c.p.c.) ove la lettura è atto (non decisorio) indipendente ed estrinseco rispetto al documento-dispositivo e rileva ex se ai fini della stessa validità della decisione (sì che la mancata lettura produce la nullità della sentenza anche se il documento-dispositivo sia redatto e depositato nella stessa udienza”).

189 Valgano per tale modello decisorio le stesse riflessioni già maturate in relazione alla motivazione contestuale ex art. 281 sexies c.p.c. In particolare si richiamano le osservazioni della Corte di Cassazione di cui alle sentenze del 23.01.2007 n. 4883 e 23.06.2008 n. 17028, che escludono la nullità della sentenza nel caso di omessa lettura della decisione e deposito non contestuale della decisione in cancelleria purchè il deposito in cancelleria avvenga in un termine congruo, tale da non interrompere la consecuzione prefigurata da codice di rito con l’uso dell’avverbio “immediatamente”. Secondo la Cassazione, infatti, “Nella specie, l’omessa lettura del dispositivo non produce nullità della sentenza, che è stata contestualmente depositata nel suo testo integrale, completo di dispositivo e di motivazione. Viene infatti meno la ratio della nullità riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità in altre fattispecie di omessa lettura in udienza, in cui, invece, la motivazione del provvedimento era stata depositata a distanza di tempo, così da non garantire l’immodificabilità della decisione assunta (Cass. 17.12.2003 n. 1308)”.

190 Il comma 2 dell’art. 7 del ddl (Modifiche in materia di spese di giustizia) chiarisce che il maggior gettito derivante dalle disposizioni in esame sarà destinato al pagamento delle indennità dei giudici ausiliari (fino al 31.12.2015) e, a decorrere dal 2016, per assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari.

191 Si pensi, ad esempio, alla difficoltà di individuazione, in assenza di motivazione completa, dell’errore revocatorio, consistente, per consolidata giurisprudenza, in una erronea percezione dei fatti di causa, decisiva per l’esito del giudizio, che non sia stato oggetto di valutazione da parte del giudice. V. ex multis Cass. civ. 14.04.2010 n. 8907 in Giust. Civ. Mass. 2010, 4, p. 541. *************, op cit., osserva inoltre che la non impugnabilità del dispositivo corredato prevista dall’art. 324 bis c.p.c. non incide sulla garanzia stabilita dall’art. 111, comma 7, Cost., producendo la “paradossale conseguenza di rendere la sentenza motivata in via breve – della quale è indubbio il contenuto definitivo e decisorio- ricorribile in Cassazione per violazione di legge”.

192 Si tratta , oggi, a seguito della riforma del 2008, di ipotesi residuali rispetto al passato, allorquando il frazionamento della decisione dalla motivazione costituiva, invece, l’ipotesi ordinaria. La vecchia formulazione dell’art. 429 c.p.c., prevedeva infatti che il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronunciasse sentenza con cui definiva il giudizio, dando lettura del dispositivo. Il giudice poteva depositare la motivazione nei quindici giorni successivi. Con la riforma realizzata con legge 25.06.2008 n. 112, conv. con modifiche in Legge 6 agosto 2008 n. 133, invece, è prevista la contestuale lettura in udienza del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, prevedendo solo per le ipotesi di controversie particolarmente complesse la possibilità per il giudice di postergare il deposito della sentenza fino a un termine massimo di sessanta giorni.

193 In riferimento a ciò *************, op. cit., parla di “esecutorietà provvisoria al quadrato”, in quanto non suscettibile di sospensione.

194 V. nota 192.

195 La proliferazione delle sedi giudiziarie è avvertita come una delle cause della giustizia lenta: solo in Piemonte, per fare un esempio, vi sono 17 Tribunali e 139 uffici giudiziari. V. Editoriale del Corriere della Sera del 2.07.2011 a firma di *************** e ******************.

196 Il dispositivo della sentenza, in conseguenza della lettura in udienza, non è, come nel caso di sentenza ordinaria, un atto puramente interno modificabile dallo stesso giudice fino a quando la sentenza non venga pubblicata, ma è atto di rilevanza esterna che racchiude gli elementi del comando giudiziale, i quali non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione, atteso che la sua lettura in udienza fissa in maniera immodificabile il comando stesso, portandolo ad immediata conoscenza delle parti, che di esso possono avvalersi come titolo esecutivo autonomo. In tal senso Cass. civ. 18.03.1998 n. 1733 in Giust. Civ. Mass. 1998.

197 In tal senso, in relazione alla sentenza del lavoro, ********, Sulla lettura del dispositivo in udienza nel processo lavoro, in Riv. Dir. proc. 1983, pag. 484, che rileva come, dopo la lettura del dispositivo il giudice non sia più legittimato a rilevare questioni preliminari, di rito o di merito, dando poi loro spazio nella sentenza completa che deve ancora essere depositata, poiché con la dazione del dispositivo egli perde ogni potere decisorio. Nonostante possa forse apparire anti-economico non poter manifestare già in primo grado sopravvenute convinzioni, il giudice non potrebbe più rilevare queste questioni, ed anzi dovrà completamente ignorarle nello stendere la sentenza.

198 Lo ius superveniens, infatti, è applicabile al giudizio in corso allorquando il giudice abbia ancora la potestas iudicandi e sussista una situazione giuridica ancora da tutelare. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 2006, pag. 823, in relazione alla sentenza del rito lavoro, osserva che “con la lettura del dispositivo in udienza si esaurisce totalmente il potere decisorio del giudice e residua solo il potere-dovere di redigere una motivazione coerente con il dispositivo: pertanto, come il dispositivo non può essere modificato a seguito di ius superveniens retroattivo o dichiarazione di illegittimità costituzionale sopravvenuta, così non può essere modificato a seguito di un ripensamento da parte del giudice circa l’esattezza della decisione”.

199 SANTANGELI, L’interpretazione della sentenza civile, op. cit., pag. 216 con riferimento alla sentenza del rito lavoro pre-riforma.

200 Diversamente quando le statuizioni contenute nella sola sentenza siano pregiudiziali a quanto deciso col dispositivo d’udienza a prescindere che siano decise in senso positivo o negativo. Un indiretto limite alla introduzione di nuove statuizioni nella sentenza può infatti rinvenirsi nella esigenza di evitare la modifica delle disposizioni lette in udienza, in ordine alle quali il giudice ha già esercitato il suo potere (le disposizioni lette in udienza, se seguite da nuove statuizioni nella sentenza depositata, possono paragonarsi alle statuizioni di una sentenza non definitiva non più modificabili nello stesso grado di giudizio nonostante la prosecuzione del processo). Si pensi, ad esempio, a statuizioni o precetti non autonomi ma pregiudiziali (ad es: prescrizione) o dipendenti dai precetti contenuti nella sentenza (o su questa direttamente insistenti): in queste ipotesi, si osserva, la sentenza sarà viziata da nullità per l’evidente intima contraddittorietà.

201 SANTANGELI, ult. op. cit., pag. 227 e ss.

Santangeli Fabio

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