La libera commerciabilità della canapa sativa nel mercato comune europeo

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A seguito della recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (d’ora in poi “CJE”) nella causa C-663/18 del 19.11.2020 si impongono alcune riflessioni sulla libera circolazione della canapa sativa L. e dei suoi derivati nel mercato comune europeo.

La linea interpretativa dettata dalla CJE

La CJE, infatti, ha operato una attesa e fondamentale interpretazione sui rapporti tra la disciplina della Single Convention on Narcotic Drugs del 1961 (cd. Convenzione di New York, d’ora in poi anche in forma abbreviata “SC”) ed il diritto comunitario con riferimento alla pianta di cannabis sativa L. (cd. canapa industriale, ovvero la canapa proveniente da varietà iscritte nel Catalogo Comune delle varietà delle specie delle piante agricole con tenore di THC sino allo 0,2%)[1].

In particolare la CJE ha ricostruito correttamente la ratio della SC nell’esigenza di evitare l’assunzione di sostanze nocive da parte dell’uomo.

La SC definisce la cannabis come:

“Il termine «cannabis» indica le sommità fiorite o fruttifere della pianta di cannabis (esclusi i semi e le foglie che non siano uniti agli apici) la cui resina non sia stata estratta, qualunque sia la loro applicazione”, escludendo, pertanto, semi e foglie non accompagnate dalla sommità fiorita dal novero delle sostanze vietate, così come le infiorescenze stesse laddove sia stata estratta la resina in quanto deprivate delle potenzialità nocive.

All’art. 2, c. 9 esplicita inoltre che “Le Parti non sono tenute ad applicare le disposizioni della presente convenzione agli stupefacenti che sono convenientemente impiegati nell’industria a fini diversi da medici o scientifici”,

D’altro canto a livello comunitario il TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), nell’allegato I, elenca alla lettera a) i prodotti agricoli cui si applicano le disposizioni del medesimo Trattato, tra cui la “canapa greggia, macerata, stigliata, pettinata o altrimenti preparata, ma non filata”.

Pertanto, la canapa, a livello comunitario, viene qualificata come prodotto agricolo e come “pianta industriale” ai sensi del Reg. UE n. 220/2015.

Il Reg. (CE) n. 1307/2013 recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, all’art. 32, par. 6, dispone che “Le superfici utilizzate per la  produzione di  canapa (cannabis sativa L.) sono ettari ammissibili solo  se il tenore di tetraidrocannabinolo delle varietà  coltivate  non supera lo 0,2%“.

Il Reg. (CE) n. 1308/2013 istituisce un’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, tra cui “lino e canapa”, quest’ultima definita come “canapa greggia, come proviene dal raccolto, anche se sgranata” secondo le note esplicative del SA.

Non vi sono distinzioni tra parti della pianta di canapa sativa L. nella normativa comunitaria e ciò si trova perfettamente in linea con la ratio della SC (e delle normative sugli stupefacenti dei degli Stati Membri dell’Unione Europea – d’ora in poi “MS”) come vedremo infra.

A livello comunitario, con riferimento alla pianta di cannabis sativa L. nella sua interezza, la CJE ribadisce come ogni valutazione circa le problematiche attinenti alla salute pubblica sia già stata eseguita dall’Unione Europea nel momento in cui la canapa è stata qualificata come prodotto agricolo nel TFUE ed è stata istituita una apposita organizzazione del mercato comune, in ultimo con i Reg. n. 1307/2013 e n. 1308/2013[2] .

Pertanto i MS, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, possono limitare la circolazione nel mercato comune di un prodotto agricolo solo su dati scientifici certi e non su un generico principio di precauzione.

Il diritto nazionale italiano.

  1. A livello nazionale, la materia della cannabis trae le proprie fonti, da un lato dal D.P.R. n. 309/1990 (cd. T.U. Stupefacenti) e dell’altro dalla L. n. 242/2016.

Secondo le disposizioni del TU Stupefacenti, art. 2, è competenza del Ministero della Salute la concessione delle autorizzazioni per “la coltivazione, la produzione, la fabbricazione, l’impiego, il commercio, l’esportazione, l’importazione, il transito, l’acquisto, la vendita e la detenzione delle sostanze stupefacenti o psicotrope”.

L’art. 26 sancisce poi l’illiceità della coltivazione di cannabis “ad eccezione  della  canapa  coltivata esclusivamente  per  la  produzione  di  fibre  o   per   altri   usi industriali, diversi da quelli di  cui  all’articolo  27,  consentiti dalla normativa dell’Unione europea”.

La tabella II allegata al DPR 309/1990, menziona la cannabis con la specifica “Fiori, foglie, oli e resine”, per cui si può constatare come tali parti e/o derivati della pianta di cannabis siano soggetti alla normativa penale del T.U. Stupefacenti.

In tale contesto normativo si è inserita la L. n. 242/2016, la quale reca norme “per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.), la quale consente la coltivazione e la trasformazione della canapa sativa L. per le finalità elencate dall’art. 2, c. 2 e, segnatamente:

a) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;

b) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attivita’ artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;

c) materiale destinato alla pratica del sovescio;

d) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;

e) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;

f) coltivazioni dedicate alle attivita’ didattiche e dimostrative nonche’ di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;

g) coltivazioni destinate al florovivaismo.

Per poter comprendere l’ambito della materia ed i rapporti tra L. n. 242/2016 e DPR 309/1990 è necessario fare un breve excursus della giurisprudenza penale che ha avuto modo di pronunciarsi sulla materia.

La giurisprudenza

A seguito della diffusione del fenomeno della cd. “cannabis light” (ossia la commercializzazione di infiorescenze di canapa per destinazioni non precisate quali “ad uso tecnico” o per “collezionismo” ma in realtà destinate ad essere assunte quali erbe sostitutive del tabacco), è intervenuta una copiosa giurisprudenza sia di merito sia di legittimità; quest’ultima si è pronunciata con orientamenti contrastanti tanto da rimettere la questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la quale con la sentenza n. 30475 del 30.05.2019, ha affermato il seguente principio di diritto: “La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte al Catalogo comune delle specie delle piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicchè la cessione, la vendita, e in genere la commercializzazione al pubblico dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 4 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano in concreto privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”.  

In particolare spiega la Corte che “ogni condotta di cessione o di commercializzazione di categorie di prodotti, ricavati dalla coltivazione agroindustriale della cannabis sativa L., quali foglie, infiorescenze, olio e resina, diversi da quelli tassativamente indicati dall’art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016, da un lato è estranea dall’ambito di operatività della predetta legge, dall’altro integra una attività illecita, secondo la generale disciplina contenuta nel T.U. stup.. Segnatamente, le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell’art. 1, comma 2, legge n. 242 del 2016 e la realizzazione di prodotti diversi da quelli inseriti nell’elenco di cui all’art. 2, comma 2, legge n. 242 cit., risultano penalmente rilevanti” (v. Corte di Cass., SS.UU. cit; conforme Cass. Civ., sez III, n. 14735/2020).

Analizzando le motivazioni del predetto provvedimento emerge come le Sezioni Unite abbiano ricondotto l’intera disciplina sulla cannabis al DPR 309/1990 per cui la produzione di cannabis è sempre illegale salvo che sia coltivata, nel rispetto della L. n. 242/2016 e per le sole finalità tassativamente elencate dall’art. 2 della L. n. 242/2016[3].

Ogni differente condotta risulta invece riconducibile alla generale previsione del DPR 309/1990 e, come tale, punibile penalmente, salvo che in concreto cannabis e derivati siano privi di efficaci drogante secondo il principio di offensività.

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Il concetto di efficacia “drogante”

A questo punto appare rilevante determinare in concreto che cosa si intenda per “efficacia drogante” o psicotropa, concetto sul quale, purtroppo tuttora non sussiste una interpretazione univoca.

In proposito, occorre rilevare che secondo la giurisprudenza, a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione penale n. 16648/1989, a sua volta fondata sulla letteratura scientifica e sulla tossicologia forense[4] , la soglia che determina l’efficacia drogante della cannabis risulti fissata nei parametri dello 0,5% di THC.

Tale impostazione è stata altresì richiamata anche dal Ministero dell’Interno con la circolare del 22.07.2018  secondo cui “Le infiorescenze con tenore superiore allo 0,5% rientrano nella nozione di sostanze stupefacenti”.

Dello stesso avviso il Ministero dell’Interno – Servizio di Polizia Scientifica – Divisione III – Sezione Indagini sulle Droghe, la quale ha eseguito una relazione tecnica su prodotti sequestrati rilevando come “considerato il valore limite di 0,5%, si valuta il reperto 1 materiale NON idoneo ad un uso stupefacente”.

Nello stesso senso si sono espresse anche altre Procure della Repubblica e Tribunali di merito[5], che hanno assunto il parametro dello 0,5% quale soglia percentuale per la valutazione dell’efficacia drogante in concreto, escludendo pertanto la rilevanza penale delle condotte che avevano ad oggetto cannabis e derivati con soglie inferiori ed, in alcuni casi, disponendo la restituzione della merce sequestrata.

Al tempo stesso, occorre comunque evidenziare che altre pronunce (Trib. Parma, Trib. Reggio Emilia, Trib. Alessandria, Trib. Oristano) hanno messo in discussione la suddetta interpretazione dell’efficacia drogante disancorando tale concetto da una soglia predeterminata in termini percentuali e ritenendo che la medesima debba essere valutata in concreto in base alla singola fattispecie (ed alla quantità detenuta); pertanto anche la detenzione di prodotti di cannabis con valori di THC inferiori alla suddetta soglia potrebbe originare condotta penalmente rilevante in quanto comunque idonea a produrre efficacia drogante.

In questo senso, in presenza di quantitativi rilevanti di cannabis (fiori, foglie, oli e resine), la capacità drogante non potrebbe essere apprezzata in modo parcellizzato in relazione alla percentuale di THC contenuta nelle singole dosi potenzialmente acquistabili dai Clienti, ma dovrebbe essere messa in relazione al peso complessivo della sostanza detenuta dai venditori.

Ma tale concezione, oltre a presentare un evidente contrasto con il diritto comunitario, non appare in linea né con la ratio della SC e del DPR 309/1990 stesso né con il concetto della “dose media singola”.

A tal proposito, infatti, occorre segnalare un ulteriore livello interpretativo[6] che, fondandosi sul punto 7 della parte motiva della stessa sentenza delle Sezioni Unite sopra riportata, individua il parametro per la valutazione in concreto dell’efficacia drogante nella dose media singola prevista dalle tabelle ministeriali di cui al DM Min. Salute del 11.04.2006 che fissa per la cannabis la soglia di 25 mg[7].

La dose media singola, riportata in dette tabelle ministeriali, è intesa come quantità di principio attivo THC per singola assunzione idonea a produrre effetto drogante ed è espressione di evidenza scientifica (v. premessa al D.M. 11.04.2006; conforme SS.UU. n. 47472 del 29.11.2007).

Pertanto, al fine di valutare se la singola assunzione di cannabis e derivati possa produrre efficacia drogante, occorre quantificare il dato ponderale lordo per il confezionamento del prodotto da assumere (uno spinello oppure un olio) e rapportarlo con il valore di 25 mg (0,025 grammi) quale dose media singola di THC.

La “cannabis light” solitamente commercializzata presenta un tenore di THC non superiore allo 0,6%; pertanto per poter avere effetti psicotropi, sarebbero necessarie 16,6 assunzioni (ad esempio 16,6 “spinelli”), il che escluderebbe l’efficacia drogante della singola assunzione di un prodotto con un basso contenuto di THC.

Altro elemento idoneo a distinguere la cannabis stupefacente dalla cannabis “lecita” può poi essere individuato nel rapporto tra cannabinoidi, ove una bassa percentuale di THC rispetto ad una più alta percentuale di CBD determinerebbero l’inquadramento della cannabis nei fenotipi riconducibili alle varietà certificate[8].

Tale impostazione troverebbe riscontro anche nella formula proposta nel Manuale ST/NAR/40 elaborato dall’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) secondo cui la distinzione tra cannabis stupefacente e canapa industriale deve essere ricondotta al rapporto tra i cannabinoidi presenti.

A tal proposito il Protocollo prevede una formula matematica secondo cui solo se la somma di THC+CBN diviso per il CBD è superiore a 1 si può configurare cannabis del tipo stupefacente, mentre valori inferiori ad 1 individuano la canapa per destinazione industriali (v. pag. 28 “Recommended methods for the identification and analysis of cannabis and cannabis products, United Nations, New York, 2009).

La scelta degli altri Stati Membri dell’Unione Europea.

La prassi della vendita della cd. “cannabis light” (altrimenti nota in EU come “CBD flowers”) si è diffusa anche in altri Stati Membri, i quali hanno effettuato scelte regolatorie contrastanti.

Da un lato, vi sono i Paesi che hanno regolamentato tale fenomeno considerando tali prodotti non soggetti alle legge sugli stupefacenti e, dall’altro, Paesi che, persistendo nella volontà (anche politica) di sostenere l’assoggettamento di tali prodotti alla legge sugli stupefacenti hanno finito per “scontrarsi” con concetti sostanzialmente analoghi a quelli dell’efficacia drogante sopra riportati.

Belgio[9] e Lussemburgo[10] hanno incluso fiori ed e-liquids tra i prodotti da fumo a base di erbe, soggetti pertanto alla relativa disciplina.

In Austria le infiorescenze e le parti fruttifere del genere cannabis da cui non è stata estratta la resina non rientrano nella legge nazionale sugli stupefacenti (cd. SMG) laddove presentino un contenuto di THC inferiore allo 0,3% e se non sono commercialmente utilizzate per la produzione di stupefacenti.

Provvedimenti analoghi sono stati assunti da Croazia e Lituania che hanno escluso il carattere stupefacente dell’intera pianta di cannabis sativa con tenori inferiori a tali soglie.

Germania[11], Francia[12] e Spagna[13], al contrario, in maniera analoga all’Italia, hanno cercato, a vario titolo di mantenere l’assoggettamento dei “CBD flowers” alla normativa sugli stupefacenti, ma in tutti questi Paesi si sono verificati precedenti e provvedimenti giurisdizionali che invece hanno messo in discussione tale impostazione.

Occorre altresì sottolineare come sia in Francia che in Germania siano pendenti iter legislativi volti ad affermare la commerciabilità della parte apicale della pianta (fiori e foglie) con esclusione delle stesse dalla normativa sugli stupefacenti.

Il mercato comune europeo

Terminata l’analisi della attuale situazione europea, occorre valutare se gli elementi sopra riportati abbiano o meno una loro incidenza sull’organizzazione del mercato comune e, di conseguenza sui rapporti tra diritto comunitario e legislazioni nazionali degli Stati membri sulla canapa.

La libera circolazione delle merci tra i MS è un principio fondamentale del TFUE, che ha trovato espressione nel divieto di restrizioni quantitative all’importazione tra MS, nonché di tutte le misure di effetto equivalente di cui all’art. 34 TFUE. Per consolidata giurisprudenza per restrizione quantitativa si intende qualsiasi misura adottata dai MS idonea ad ostacolare, direttamente o indirettamente, in maniera effettiva o potenziale, il commercio all’interno del mercato comune europeo; è da ritenersi altresì una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ogni norma che in concreto produca l’effetto di trattare meno favorevolmente i prodotti di altri MS in quanto comunque idonea ad ostacolare l’accesso al mercato di prodotti proveniente da altri MS[14].

A ciò occorre aggiungere che il campo di applicazione dell’art. 34 non si limita alle merci provenienti dai soli MS in quanto l’art. 28, par. 2 TFUE estende la libera circolazione anche alle merci provenienti da Paesi Terzi; per cui, come confermato dalla CJE, i prodotti di Paesi Terzi (quali la Svizzera) sono “definitivamente e completamente assimilati” nel mercato comune alla stregua di prodotti dei MS con la conseguenza che il divieto di cui all’art. 34 si applica allo stesso modo.

D’altro canto l’art. 36 prevede che una misura restrittiva da parte di un MS può trovare giustificazione in motivazioni di interesse pubblico o in esigenze imperative del MS.

Ma, come chiarito dalla CJE, tali motivazioni, con riferimento alla canapa sativa L., devono fondarsi su evidenze scientifiche e non su mere esigenze di precauzione dal momento che – occorre ripetere – ogni valutazione circa la salute pubblica è già stata fatta dalla UE nel momento in cui la canapa sativa L. è stata qualificata quale prodotto agricolo con una propria organizzazione comune del mercato.

Ne consegue che l’art. 34 si pone come regola rispetto all’eccezione di cui all’art. 36 e che tale eccezione debba essere adeguatamente motivata. Nello specifico, con riferimento alla canapa sativa, da concrete evidenze scientifiche che ne dimostrino la pericolosità per la salute pubblica.

Da tutte le considerazioni che precedono, è possibile trovare un punto di raccordo comune a livello comunitario per le infiorescenze di cannabis sativa L.?

Applicando i principi testé elencati, atteso che Belgio e Lussemburgo hanno già qualificato tali prodotti nella normative relative alle erbe succedanee del tabacco (al pari della Svizzera) e che altri Paesi (Austria, Croazia e Lituania) ne hanno escluso l’assoggettabilità alla normativa sugli stupefacenti, viene naturale sostenere come tali prodotti possano trovare un comune spazio nel mercato europeo tra i prodotti da inalazione di cui alla Direttiva 2014/40/UE del 3.04.2014 “sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati”.

Nello specifico i prodotti da fumo a base di erbe sono contemplati nell’art. 2 n. 15 di tale Direttiva e definiti come “un prodotto a base di piante, erbe o frutta che non contiene tabacco e che può essere consumato mediante un processo di combustione”.

Ciò troverebbe riscontro anche nella normative nazionali tedesche (ove vige il Tabakerzeunignisgesetz che disciplina i prodotti da fumo a base di erbe nella sezione 17) ed italiane (D.lgs. n 6/2016 che disciplina agli artt. 22 e 23 i “prodotti da fumo a base di erbe”[15]) .

In base ai principi sopra esposti circa la ratio della normativa stupefacenti, la portata e l’ambito del diritto comunitario ed il concetto dell’efficacia drogante, appare evidente come non sussistano elementi ostativi per vietare o limitare la produzione e l’importazione tra MS di prodotti da fumo a base di erbe composti da fiori e foglie di cannabis sativa L.

Anzi eventuali posizioni negative da parte del Ministero della Salute italiano (o di altri MS) si sostanzierebbero in una evidente restrizione quantitativa (o misura di effetto equivalente) in contrasto con l’art. 34 TFUE e privo, per le ragioni sopra esposte, delle necessarie motivazioni scientifiche idonee per poter invocare l’eccezione di cui all’art. 36 TFUE.

In tale cornice verrebbero infatti a convergere tutti gli elementi sopra descritti:

  • La destinazione effettiva del prodotto;
  • Esigenze di tutela della salute pubblica, in quanto tali prodotti verrebbero sottoposti alle medesime cautele previste per i prodotti da fumo a base di erbe (avvertenze, divieto di vendita ai minori, limitazioni pubblicitarie ecc.);
  • Il tenore di THC presente non sarebbe idoneo a produrre alcun effetto psicotropo e comunque non avrebbe effetti nocivi per la salute pubblica, essendo inferiore alle soglie elaborate dalla tossicologia forense ed alla cd. “dose media singola”;
  • Si eviterebbero potenziali lesioni al mercato comune europeo eliminando restrizioni quantitative tra MS;
  • Ogni MS sarebbe libero di sottoporre tali prodotti al regime fiscale previsto per prodotti analoghi con conseguente gettito per l’Erario.

Per le medesime considerazioni, dovrebbero rientrare nella libera circolazione delle merci anche piante e parti di piante di cannabis sativa L. uso florovivaistico/ornamentale atteso che tale destinazione è lecita in alcuni Paesi UE (tra cui l’Italia stanti le previsioni di cui all’art. 2, c. 2, lett. g) della L. n. 242/2016)[16].

Analoghe considerazioni valgono infine per le foglie di canapa che dovrebbero essere liberamente impiegabili e commercializzabili nel mercato comune per destinazione alimentare come thé.

Atteso che le foglie, non accompagnate dalle sommità fiorite, non rientrano nella nozione di cannabis secondo la SC, è evidente che tali parti della pianta, da un lato, non possono essere considerate stupefacenti (non incontrano quindi le limitazioni di cui al Reg. (CE) n. 178/2002) e, dall’altro, esulano dalle previsioni di cui al Reg. (CE) n. 258/1997 sui cd. “novel foods”, dato il consumo di tali prodotti ante 15.05.1997[17].

Peraltro tale impostazione è già stata seguita dalla Commissione Europea per quanto attiene ai cosmetici: nel Cosmetic Ingredient Database (cd. “CosIng List”) cannabis sativa leaf extract risulta menzionato quale ingrediente cosmetico ammesso per la formulazione di prodotti cosmetici senza alcuna restrizione.

In ogni caso è evidente come, a seguito della sentenza della CJE in epigrafe, sia necessario un riallineamento tra diritto comunitario e SC sulla scorta della linea interpretativa fornita dalla CJE mediante l’emanazione di un Regolamento avente efficacia erga omnes che consenta l’uso dell’intera pianta di canapa sativa L. (fiori e foglie incluse) per le varie finalità agro-industriali, in modo da prevenire ed evitare potenziali (ed evidenti) lesioni all’intangibile principio della libera commercializzazione di beni e servizi all’interno del mercato comune della canapa ai sensi degli art. 34 e 36 TFUE

 

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Note

[1] E’ atteso, a seguito della riforma della Politica Agricola Comune un innalzamento di tale limite allo 0,3% a partire dall’annata agraria 2023.

[2] Principio già affermato dalla CJE con la sentenza n. 462/01 del 16.01.2003 (cd. Caso Hammerstein).

[3] 3. Tale impostazione appare ulteriormente corroborata dalla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui il legislatore non “ha sottratto dall’applicazione della normativa penale la sola attività di coltivazione, come dimostra il richiamato art. 2 c. 1 della novella del 2016 e l’interpretazione strettamente letterale dell’art. 1 c. 2 della stessa legge. Il legislatore, tuttavia, non si è limitato a stabilire una deroga ritenendo la coltivazione lecita solo in relazione alla qualità del seme impiegato, ma ha definito la “liceità della coltivazione” in relazione all’individuazione di determinate finalità, specifiche e tassative, ovvero finalità agroindustriali -come recita la rubrica della legge che incentiva la filiera agroindustriale- che non comportano la circolazione della .coltivazione della canapa tra soggetti che non siano in grado di dare attuazione alle predette finalità, impiegando il risultato della coltivazione per gli usi stabiliti” (v. Cass. Pen., sez IV, sent. n. 147/2020).

[4] V. Lodi, Marozzi, Bertoli e Mari, Trattato di Tossicologia Forense, ed. Libreria Cortina, Milano, ove si afferma che “Tenuto conto che la quantità massima di canapa reperita nelle sigarette risulta di gr. 1 si ritiene che la percentuale di THC necessaria perché si possa parlare di canapa stupefacente sia identificabile in quella idonea a garantire un contenuto di THC nella sigaretta di almeno 5 mg e corrisponde quindi allo 0,5%”.

[5] Cfr Trib. Genova, Trib. Reggio Emilia, sent. n. 1351/2020; Trib. Firenze, Gip, decreto archiviazione del 2.03.2020, Procura della Repubblica di Roma, richiesta di archiviazione del 7.09.2020; Trib. Lucca, Gip, decreto archiviazione del 7.11.2019.

[6] V. Trib. Vasto, Gip, 4.11.2020.

[7] “Le Sezioni Unite hanno rilevato che rispetto al reato di cui al DPR 309 del 1990, art. 73, non rileva il superamento della dose media giornaliera ma la circostanza che la sostanza ceduta abbia effetto drogante per la singola assunzione dello stupefacente”.: E’ pertanto necessario verificare l’efficacia drogante in relazione alla singola assunzione.

[8] L’applicazione di tale principio è stato seguito in Spagna dal Tribunale di Valencia di cui infra.

[9] Il Belgio ha qualificato cannabis e derivati (infiorescenze, e-liquid) con tenore di THC sino allo 0,2% “comme autres tabacs à fumer” e, come tali, soggetti al relativo regime fiscale;

[10] Analogamente al Belgio, il Lussemburgo ha inserito tali prodotti nella “Taxation de produits à base de cannabis susceptibles d’être fumés ou vaporisés”.

[11] In Germania, recentemente, l BGH ha ribaltato il verdetto Hanfbar, per cui la vendita agli utenti finali di infiorescenze di #canapa industriale a fini di consumo non è radicalmente esclusa dalla normativa. Per cui laddove si escluda l’abuso della sostanza e la volontà del venditore di generare effetti nocivi nel consumatore, la detenzione ed il possesso di qualsiasi prodotto di canapa industriale non trasformato non rientra nella legge sugli stupefacenti; v. sulla situazione Niermann, Schulte, Zeitschrift für Lebensmittelrecht (ZLR) 3/2021, Die Verkehrsfähigkeit von hanfhaltigen Lebensmitteln, Nutzhanfblüten und Nutzhanfblättern.

[12]   In Francia, dello stesso avviso alcune pronunce, tra cui, a titolo esemplificativo, la Cour d’Appel de Reims che ha escluso che derivati di cannabis con tenore inferiore allo 0,2% di THC possano rientrare nella legge penale degli stupefacenti (Sul punto v. L’extension du domaine du chanvre légal, Article paru dans le Recueil Dalloz, 2018, 1445-1446).

[13] In Spagna in assenza di un quadro normativo definito, sia l’Agenzia per la medicina dei prodotti sanitari (AEMPS) che i ministeri dell’Agricoltura e delle Finanze, le Autorità agricole di alcune regioni hanno emesso circolari interpretative senza valore normativo in cui sostengono che i fiori di canapa, anche se provenienti da varietà certificate e prive di THC sono comunque sostanze narcotiche la cui produzione deve essere autorizzata dalla AEMPS. Al contempo occorre segnalare la recente sentenza Corte penale n. 8 di Valencia n. 359/20 del 30.12.2020 in cui il proprietario di un grow shop è stato assolto per la vendita al pubblico di fiori, resina ed estratti di CBD. In tale sentenza un contenuto di THC dell’1,2% è stato considerato non narcotico per il suo alto contenuto di CBD che ha posto il tasso di psicoattività a meno di 1, secondo la formula del Protocollo dell’UNODC sopra menzionato. Resina ed estratti di CBD, invece, non sono stati considerati narcotici in quanto contenenti solo CBD, ossia una sostanza non soggetta al controllo della normativa stupefacenti in applicazione della recente sentenza della CJE (argomento ex Joan Bertomeu, Estudio Juridico Brotsanbert, www.brotsanbert.com).

[14] v.  Niermann, Schulte, op. cit. cfr CJE, ECLI:EU:C:2020:938 BeckRS 2020, 31297 punto 79, sentenza CJE del 18.06.2019, Austria contro Germania, C-591/17, EU:C:2019:504, punto 119; CGCE, ECLI:EU:C:2020:938 = BeckRS 2020, 31297, punto 80, sentenza del 18 giugno 2019, Austria contro Germania, C591/17, EU:C:2019:504, punto 120; CGCE, ECLI:EU:C:2020:938 = BeckRS 2020, 31297, punto 81, sentenza del 18 giugno 2019, Austria contro Germania, C591/17, EU:C:2019:504, punto 12.

[15] In particolare l’art. 22, richiamando in toto gli artt. 21 e 22 della Direttiva sopra menzionata, stabilisce che:

“1. Ciascuna confezione unitaria e l’eventuale  imballaggio  esterno dei prodotti da fumo a base di erbe  recano  la  seguente  avvertenza generale: «Il fumo di questo prodotto nuoce alla tua salute»

L’avvertenza relativa alla salute e’ stampata sul fronte e sul retro  della  superficie  esterna   della   confezione   unitaria   e sull’eventuale imballaggio esterno.

L’avvertenza relativa alla salute rispetta le prescrizioni  di cui all’articolo 10, comma 4, copre il 30 per cento  dell’area  della corrispondente superficie della confezione unitaria e  dell’eventuale imballaggio esterno.

Le confezioni unitarie e l’eventuale imballaggio  esterno  dei prodotti da fumo a base di erbe non comprendono alcuno degli elementi o delle caratteristiche di cui all’articolo 14, comma 1, lettere  a), b) e d), e non indicano che  il  prodotto  non  contiene  additivi  o aromi.

L’art. 23 prevede poi che:

1.I fabbricanti e gli importatori di prodotti da fumo  a  base  di erbe presentano al Ministero della salute un elenco, con le  relative quantita’, di tutti gli ingredienti utilizzati nella  lavorazione  di tali prodotti, suddivisi per  marca  e  tipo.  I  fabbricanti  o  gli importatori  comunicano,  inoltre,  le  eventuali   modifiche  della composizione di un prodotto che incidono sulle informazioni fornite a norma del presente articolo. Le informazioni prescritte a  norma  del presente articolo sono presentate prima che un  prodotto  da  fumo  a base di erbe, nuovo o modificato, sia immesso sul mercato.

Il Ministero  della  salute  assicura  che   le   informazioni presentate ai sensi del comma 1 siano rese  disponibili  al  pubblico sul proprio sito istituzionale, tenendo in debito conto l’esigenza di tutelare  le  informazioni  commerciali  riservate.   Gli   operatori economici  specificano  esattamente  quali  informazioni  considerano segreti commerciali.

[16] Per le tematiche inerenti al florovivaismo si rinvia a quanto già esposto in “La destinazione florovivaistica della cannabis sativa L. La previsione dell’art. 2, lett. g) della L. n. 242/2016”, Altalex, 6.09.2019.

[17] Sulle tematiche alimentari si rinvia a quanto esposto in La destinazione alimentare della canapa: alimento o stupefacente? Una riflessione sui recenti sviluppi dell’Hemp Food alla luce delle nuove definizioni della canapa e dei cannabinoidi nel Novel Food Catalogue, Altalex, 17.03.2020.

Giacomo Bulleri

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