La falsa testimonianza

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Il presente elaborato si incentra sulla ratio normativa sottesa all’istituto del delitto di falsa testimonianza, affrontando, in particolare, i tre elementi fondamentali che compongono tale fattispecie delittuosa.

La falsa testimonianza

Secondo la formula dell’art. 372 c.p. commette questo delitto colui che, “deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato.”[1]

La ratio della disciplina dettata dal c.p. è posta a tutela dell’attività giudiziaria, la quale, per assolvere i suoi compiti, ha bisogno di mezzi di prova, in particolare di testimonianze che devono raggiungere un elevato grado di completezza e di veridicità, affinché possano essere emessi dei provvedimenti giusti, o, meglio ancora, conformi a quanto stabilito dalla legge e nel rispetto di quest’ultima.

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I tre elementi costitutivi di fattispecie

Gli elementi fondamentali che compongono il reato di falsa testimonianza sono tre:

a) il soggetto attivo: l’autore del reato può essere solo il testimone, ossia colui che in un processo è chiamato a dire ciò che sa su determinati fatti; in particolare per commettere il reato di falsa testimonianza occorre che la persona sia soggetta al dovere di testimonianza che, come si è detto in precedenza, è un obbligo a cui il soggetto, qualora riceva la citazione a presentarsi dinanzi al giudice, non può sottrarsi.[2]

Inoltre, affinché il delitto sussista, è necessario che la deposizione venga resa dinanzi all’Autorità giudiziaria, sia essa ordinaria, speciale, civile, amministrativa oppure penale[3]; l’unica eccezione a quanto si è detto è prevista all’ art. 4 della L. 17/5/1998 n. 172, che estende la disciplina di cui all’art. 372 c.p. alle deposizioni davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo.[4]

L’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 372 c.p. è il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di affermare il falso, negare il vero o tacere, in tutto o in parte, ciò che si sa in ordine ai fatti sui quali si è interrogati.

b) l’elemento oggettivo: l’art. 372 c.p. prevede che il reato di falsa testimonianza sussista nel momento in cui il testimone afferma il falso; nega il vero; tace, in tutto o in parte, su ciò che sa relativamente ai fatti su cui è interrogato.

Affermare il falso significa dichiarare accaduto un fatto che nella realtà non si è invece verificato; negando il vero si dichiara un fatto come non accaduto ben sapendo che quest’ultimo si è verificato; tacere, in tutto o in parte, significa rimanere in silenzio relativamente ai fatti di cui si è a conoscenza.[5]

Affinché il reato si concretizzi, basta che il soggetto attivo ponga in essere una sola delle condotte descritte; inoltre, essendo quest’ultime considerate dal legislatore come equivalenti ed alternative, si avrà un unico reato anche nel momento in cui siano poste tutte in essere.[6]

Si discute in dottrina se la falsità della testimonianza rilevi sotto l’aspetto del c.d. falso oggettivo, ossia con riferimento all’alterazione della veridicità dei fatti, o nei confronti del c.d. falso soggettivo, che equivale alla percezione dei fatti avuta dal testimone.

A tal proposito è intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione che ha chiarito che il delitto di falsa testimonianza sussista nel momento in cui vi sia difformità tra quanto dichiarato dal deponente e quanto effettivamente conosciuto.[7]

Inoltre, parte della dottrina ha sottolineato che la sussistenza del delitto possa esserci nel momento in cui la falsità sia giuridicamente rilevante, ossia pertinente con l’oggetto della decisione nonché idonea a fuorviare l’attività giudiziaria.[8]

Si ritiene quindi che la possibilità di influire sulla decisione giudiziaria sia un requisito implicito del reato di falsa testimonianza, che si desume dalla ratio della norma.[9]

Di conseguenza devono essere considerate giuridicamente irrilevanti non solo le falsità che concernono circostanze estranee alla causa oppure insignificanti, ma anche tutte le altre che non hanno in alcun modo la possibilità di turbare il corretto funzionamento dell’attività giudiziaria.

Negli ultimi anni la giurisprudenza della Corte di Cassazione è intervenuta sancendo che le risposte fornite alle domande, dirette a valutare l’attendibilità del teste, debbano considerarsi pertinenti all’oggetto del procedimento anche se apparentemente risultino estranee a quest’ultimo.[10]

Infine, si deve ancora specificare che l’eventuale nullità del procedimento in cui la deposizione falsa viene prestata non influisce sull’esistenza del delitto.[11]

c) il momento consumativo: si verifica non appena il teste ha condotto a termine la sua deposizione e il giudice ne ha preso atto, considerandola definitiva; difatti la ratio dell’art. 372 c.p. non richiede che il deponente raggiunga lo scopo che si era proposto.

A sostengo di quanto detto si sottolinea che il tentativo di falsa testimonianza non sia in alcun modo configurabile.

Nel caso in cui il soggetto deponga il falso in diverse fasi del procedimento il reato rimane unico; difatti il legislatore, disciplinando il reato di falsa testimonianza, ha voluto tutelare l’attività giudiziaria dalla effettiva lesione che la falsità delle dichiarazioni rese potrebbe provocarle e non dal solo interesse che quest’ultima non venga messa a rischio.[12]

Diversamente da quanto è stato detto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione[13] ha sottolineato che, qualora il testimone renda la propria deposizione mendace innanzi a giudici diversi in successive fasi processuali, risponde per ogni falsa testimonianza di un reato distinto e autonomo, qualora ricorrano le condizioni di legge di cui al comma secondo dell’art. 81 c.p.p..

Inoltre, poiché l’Autorità giudiziaria di cui si parla nella norma incriminatrice è quella italiana, l’art. 372 c.p. non si applica né alle testimonianze rese ai Tribunali ecclesiastici e neppure alle testimonianze rese all’Autorità giudiziaria italiana, qualora non eserciti la sua ordinaria funzione giurisdizionale.[14]

Infine, parte della dottrina, diversamente da quanto sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione[15], ha poi sottolineato che il reato di falsa testimonianza sussista nel momento in cui l’amministrazione della giustizia subisca un danno effettivo dalla condotta del testimone; in particolare, è stato sostenuto che il danno subito dall’amministrazione della giustizia debba ritenersi come elemento caratterizzante del reato.[16]

Diversamente, è stato sancito che, il delitto di falsa testimonianza non sussista quando i fatti posti ad oggetto della dichiarazione falsa e reticente, essendo del tutto estranei al procedimento in corso, risultano a priori irrilevanti ai fini della decisione.[17]

Le circostanze aggravanti speciali

Inoltre, l’art. 383-bis c.p. prevede delle circostanze aggravanti speciali, aventi carattere oggettivo, la cui disciplina è contenuta all’art. 70 c.p.[18], se dal fatto punito dall’art. 372 c.p. è derivata una condanna alla reclusione o all’ergastolo; le pene sono aumentate in ragione della crescente gravità della falsa testimonianza.[19]

E’ opportuno evidenziare che gli aggravamenti sanzionatori siano subordinati all’esistenza di tre condizioni:

  1. la sentenza di condanna deve essere passata in giudicato;
  2. deve essere sostanzialmente ingiusta;

Tale è quella sentenza che condanna un innocente o infligge un trattamento più severo di quello che sarebbe stato inferto senza la falsa deposizione.

  1. la sentenza deve essere stata influenzata in modo determinante dal mendacio del testimone.

La normativa in descrizione è stata prevista, in virtù della modifica dell’art. 375 c.p. che in precedenza disciplinava le circostanze aggravanti speciali, dalla L. 11/7/2016 n. 133 che ha introdotto, nello stesso articolo art. 375 c.p., i reati di frode processuale e di depistaggio.[20]

Il rapporto tra la falsa testimonianza e i reati di depistaggio e frode processuale

Per quanto riguarda la disciplina dei reati di depistaggio e frode processuale si denota che la ratio della normativa sia quella di punire, con la reclusione da 3 a 8 anni, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che compia azioni atte a impedire, ostacolare o sviare una indagine o un processo penale.

In particolare commetterà i reati in descrizione il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che:

muti artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi, delle cose, o delle persone connessi al reato;

affermi il falso o neghi il vero ovvero tace in tutto o in parte su ciò che sa introno ai fatti sui quali viene sentito quando gli venga richiesto dall’Autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni all’interno di un procedimento penale.

I reati risulteranno aggravati nelle seguenti ipotesi:

  1. a) il fatto viene commesso mediante distruzione, soppressione, occultamento, danneggiamento, in tutto o in parte, alterazione, in tutto o in parte di un documento o di un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento (in tali casi è prevista una pena aumentata da un terzo alla metà);
  2. b) il fatto è commesso in relazione a procedimenti penali relativi ad alcun specifico grave reato per cui si applica la pena della reclusione da 6 a 12 anni.[21]

Inoltre la legge a cui si sta facendo riferimento prevede una diminuzione di pena nel caso in cui l’autore del fatto si adoperi per:

– ripristinare lo stato originario dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove;

– evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori;

– offrire un aiuto concreto all’Autorità giudiziaria o all’Autorità di polizia nella ricostruzione del fatto oggetto dell’inquinamento processuale e depistaggio nonché nell’individuazione degli attori.[22]

Si tratta di un reato proprio in quanto il soggetto attivo, ossia colui che commette il reato, può solo essere un pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio.

Note

[1]
[1] Antolisei F., Manuale di diritto penale, 2016, Giuffrè, Milano, pag. 620.

[2]
[2] Marsich P., Il delitto di falsa testimonianza, 1929, CEDAM, Padova, pag. 55 e ss.

[3]
[3] Cass. Pen., Sez. un, 5 ottobre 2004, n. 2177 in altalex.com. ha dichiarato che il il delitto di falsa testimonianza sussista qualora la dichiarazione, resa all’interno del procedimento civile, abbia una oggettiva rilevanza ai fini della valutazione dell’attendibilità del teste e ai fini della decisione.

[4]
[4] L’ art. 4 della L. 17/5/1998 n. 172 sancisce che: “ferme le competenze dell’autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli artt. 366 e 372 del codice penale.

Per i segreti di Stato, d’ufficio, professionale e bancario si applicano le norme in vigore.

E’ sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell’ambito del mandato.

Gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria non sono tenuti a rivelare alla commissione i nomi di chi ha loro fornito informazioni.”

[5]
[5] Pizzi F., I delitti contro l’amministrazione della giustizia, 2009, Experta, Forlì, pag. 121 e ss.

[6]
[6] Fiandaca G., Musco E., Diritto penale, Parte speciale I, 2002, Zanichelli, Bologna, pag. 371.

[7]
[7] Cass. Pen., Sez. VI, 27 luglio 1995, n. 8639, in dirittopenale.it.

[8]
[8] Fiandaca G., Musco E., op.cit., pag. 372.

[9]
[9] Antolisei F., op.cit., pag. 624.

[10]
[10] Cass. Pen., 8 maggio 2013, n. 41572, in dirittopenale.it.

[11]
[11] Cass. Pen., 9 ottobre 2002, n. 1254, in dirittopenale.it.

[12]
[12] Fiandaca E., Musco G., op.cit., pag. 377.

[13]
[13] Cass. Pen., Sez. un, 14 giugno 1985, n. 5783, in dirittopenale.it.

[14]
[14] Antolisei F., op.cit., pag. 621 e ss.

[15]
[15] Cass. Pen., Sez. VI, 2 luglio 2008, n. 26559 in dirittopenale.it. con cui è stato sancito che ciò che rileva ai fini dell’integrazione del delitto di falsa testimonianza è che il testimone affermi il falso o neghi il vero.

[16]
[16] Marsich P., op.cit., pag. 157.

[17]
[17] Cass. Pen., Sez. VI, 8 febbraio 2005, n. 4421, in dirittopenale.it.

[18]
[18] Ai sensi dell’art. 70 c.p. si prevede che: “si ritengono circostanze oggettive e soggettive:

1) sono circostanze oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso;

2) sono circostanze soggettive quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole”

[19]
[19] Fiandaca G., Musco E., op.cit., pag. 387.

[20]
[20] La L. 11/7/2016 n. 133 ha così modificato l’art. 375 c.p.: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a otto anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale:

  1. a) immuta artificiosamente il corpo del reato ovvero lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato;
  2. b) richiesto dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni in un procedimento penale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito.

Se il fatto è commesso mediante distruzione, soppressione, occultamento, danneggiamento, in tutto o in parte, ovvero formazione o artificiosa alterazione, in tutto o in parte, di un documento o di un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

Se il fatto è commesso in relazione a procedimenti concernenti i delitti di cui agli artt. 270, 270-bis, 276, 280, 280-bis, 283, 284, 285, 289-bis, 304, 305, 306, 416-bis, 416-ter e 422 o i reati previsti dall’articolo 2 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, ovvero i reati concernenti il traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico e comunque tutti i reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.

La pena è diminuita dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per ripristinare lo stato originario dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove, nonché per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell’individuazione degli autori.

Le circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 e dal quarto comma, concorrenti con le aggravanti di cui al secondo e al terzo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste ultime e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.

La condanna alla reclusione superiore a tre anni comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

La pena di cui ai commi precedenti si applica anche quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio siano cessati dal loro ufficio o servizio.

La punibilità è esclusa se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle indagini e ai processi della Corte penale internazionale in ordine ai crimini definiti dallo Statuto della Corte medesima.”

[21]
[21] Redazione giurisprudenza penale, Introdotto il reato di depistaggio (art. 375 c.p.), 2016, in giurisprudenzapenale.com., pag. 1.

[22]
[22] Redazione giurisprudenza penale, op.cit., pag. 1.

Alessio Tartaglini

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