LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI: I SUOI PRIMI 50 ANNI

Redazione 08/12/00
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Cinquant’anni fa è stata scritta una delle pagine più belle del secolo: opera dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che ha formulato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, testo che nel corso degli anni ha rappresentato ben più di un normale riferimento normativo, caposaldo di umanità e civiltà.
Mai come quest’anno il tema dell’universalità dei diritti umani è stata al centro della scena internazionale, come dottrina che improvvisamente va arricchendosi di precedenti concreti: dall’arresto dell’ex dittatore cileno Pinochet a quello dei criminali di guerra nella ex Jugoslavia, la cronaca è scandita da notizie che testimoniano la lotta per la loro affermazione nel mondo.
Nelle intenzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in quel 10 Dicembre 1948, si voleva raggiungere una svolta effettiva sia nel senso dell’estensione dei diritti che in quello di rendere progressivamente vincolante per tutti l’impegno per le libertà fondamentali: la Dichiarazione Universale è stato un atto “internazionale” primo nel suo genere. Questo però non inganni, i diritti umani sono ed erano anche allora diritti innati, inerenti alla persona, universali per definizione e preesistenti, non sono privilegi che i Governi possono accordare o togliere a loro piacimento: si può impedire di viverli, se si è tra i più forti, proibire a un debole di essere uomo, non regalare o creare ciò che già appartiene a ciascuno.
Si ricordi l’Art. 1 della Carta che recita “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”: nei successivi ventinove si specifica dettagliatamente che nessuno dovrebbe subire discriminazioni a causa della propria unicità. Senza dubbio non si può contestare che ogni uomo o donna abbia diritto all’integrità fisica, morale e culturale, e alla propria identità qualunque sia la razza, la religione o la nazione d’appartenenza.
Poche settimane fa l’Assemblea Generale è tornata a riunirsi a Parigi per celebrare il mezzo secolo della Dichiarazione: lo scarto tra l’affermazione solenne dei suoi principi e i limiti della loro attuazione deve stare al centro delle riflessioni su questo anniversario, ed il modo migliore di ricordare quella data è trarne un bilancio obiettivo.
Il fatto che la Dichiarazione non sia oggi formalmente ripudiata da nessuno Stato e da nessuna comunità politica e culturale è la sua forza più grande, ma con il passare degli anni sono emersi almeno tre punti critici.
Innanzitutto la Carta, sin dalla sua realizzazione, ha coesistito con regimi politici che di fatto calpestano i diritti dell’uomo sotto altre forme politiche e ideologiche: si pensi all’Unione Sovietica di ieri e alla Cina di oggi o a taluni Paesi arabi.
Una seconda riflessione ci spinge a considerare che la Dichiarazione del 1948 dava credito all’Organizzazione delle Nazioni Unite di poter diventare il nuovo soggetto politico, che doveva dare attuazione pratica ai diritti proclamati, ma l’ONU ha spesso disatteso questo ruolo.
Ancora la Dichiarazione dev’essere continuamente aggiornata, ampliata, precisata. Il risultato è ambivalente: da un lato ci sono state Conferenze internazionali importanti, dall’altro proprio queste manifestazioni hanno dato luogo a manipolazioni dei temi trattati per evitare conflitti laceranti tra i Paesi partecipanti.
Nel corso dei cinquant’anni l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha progressivamente arricchito il corpus di strumenti internazionali relativi ai diritti dell’uomo, aggiungendovi testi importanti come la Convenzione sui diritti del bambino e quella sull’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne, ma è inevitabile constatare che non ha saputo prevenire le troppo numerose atrocità che hanno segnato la nostra storia recente: per troppo tempo i diritti dell’uomo sono stati considerati uno degli aspetti delle attività dell’ONU mentre ne devono rappresentare la trama, così come per la nostra stessa esistenza.
La tutela dei diritti umani dipende anche dalla qualità dell’informazione: ciascuno deve sapere quali sono i suoi diritti e poter protestare quando essi vengono violati. Ciò è in larga misura il compito di organizzazioni non governative (ONG) quali Amnesty International e Human Rights Watch che da decenni lottano a volte in condizioni avverse per la tutela degli indifesi in tutto il mondo e riferiscono alla Commissione dell’ONU sui Diritti Umani informazioni in materia.
I Diritti dell’Uomo hanno inizio nei luoghi più piccoli, vicino casa, poiché indissociabili dal valore che noi tributiamo alla dignità umana: il rispetto dei diritti fondamentali è infatti indispensabile allo sviluppo e al progresso delle società, “fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” (Preambolo della Dichiarazione).
Spetta dunque a ciascuno di noi farli propri, impregnarsene, realizzarli giorno per giorno, a titolo individuale non meno che collettivo, un dovere di coscienza e di vigilanza: “il diritto alla denuncia” è il primo passo indispensabile nella difesa dei diritti umani.
Sono proprio i luoghi dove respira il mondo del singolo individuo come il quartiere in cui vive, la scuola e l’ufficio dove ogni uomo, donna e bambino cerca eguale giustizia, opportunità, dignità in cui questi diritti devono avere piena effettività per avere un valore altrettanto notevole anche altrove: senza la tolleranza, tutti i diritti umani che ci siamo preoccupati di definire e consacrare sono destinati a rimanere lettera morta. La tolleranza ci permette di vedere nella diversità delle culture non già una giustificazione delle violazioni che vengono commesse, ma al contrario una fonte di ricchezza alla quale possiamo attingere tutti: il discorso ritorna alla capacità di intervento delle Nazioni Unite dalle quali ci si è atteso troppo.
Il 10 Dicembre 1998, per l’occasione, l’evento più significativo dell’Assemblea straordinaria è stato l’approvazione di una nuova Dichiarazione a favore dei difensori dei diritti umani, un documento che fissa i diritti di individui e di organizzazioni non governative di lottare contro gli abusi senza dover temere intimidazioni o violenza: è vero che le risoluzioni sono spesso documenti contorti, velleitari, elusivi, ma sono anche l’unico lasciapassare che consente di usare non solo la parola, ma anche la forza, contro i casi più gravi di delitti contro l’uomo.
Certo, la strada da percorrere è lunghissima, sia sul piano della difesa attiva dei diritti sia sul piano della loro ridefinizione ed estensione: questo problema non va sottovalutato. Insomma la questione dei diritti è tutt’altro che chiusa e le stragi in Ruanda, la “pulizia etnica” in Bosnia sono gli esempi macroscopici di una violenza tuttora non sradicata e colma di tanti altri casi meno clamorosi.
Trascorse dunque cinquanta primavere bisogna essere umili, molto rimane ancora da fare, ma una cosa deve ridarci coraggio: i popoli del mondo sembrano avere un senso sempre più acuto delle responsabilità.
L’emergere di una coscienza universale, di cui la recente creazione di una Corte Penale Internazionale è solo una delle manifestazioni, ci fa sperare che una vera cultura dei diritti dell’uomo si stia facendo strada, che non sia più affidata a poche persone ma a ognuno di noi: solo allora la Dichiarazione Universale non sarà più solo un ideale comune da raggiungere, ma il fondamento di tutte le società.
C’è oggi chi ritiene che la Dichiarazione universale dei diritti umani abbia fatto il suo tempo: non si dimentichi però che le crisi umanitarie sono dovute a una sistematica e massiccia violazione dei diritti umani, regola delle guerre contemporanee, e che la Dichiarazione, malgrado i suoi 50 anni, vista la difficoltà che si trova nel farla applicare, può persino apparire in anticipo sui tempi che corrono, indi tutt’altro che superata.
La Dichiarazione resta dunque la visione di “come il mondo dovrebbe essere”, da conservare come indicazione di marcia: indicazione che, nel 1999, sembra più netta che nel 1948. O almeno vogliamo crederlo: che la lunga marcia necessaria alla realizzazione integrale dei valori umani possa concludersi il più velocemente possibile.
Walter Giacardi
Segretario MSOI Torino

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