La competenza del giudice fallimentare a conoscere la prescrizione dei crediti tributari

Redazione 21/04/20
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di Maria Laura Guarnieri*

* Docente a contratto di Diritto dell’arbitrato interno ed internazionale presso l’Università Magna Græcia di Catanzaro

Sommario

Sommario

Corte di Cassazione, Sezioni unite, sentenza del 24 dicembre 2019, n. 34447

1. Vicenda e contenuto della decisione

2. Le criticità del precedente orientamento

3. Ampiezza e limiti della cognizione del giudice fallimentare

4. Riflessioni conclusive: conseguenze sull’esecuzione individuale

Corte di Cassazione, Sezioni unite, sentenza del 24 dicembre 2019, n. 34447

Qualora, in sede di ammissione al passivo fallimentare, il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notificazione della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo, viene in essere un fatto estintivo dell’obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato in sede di verifica dei crediti ed il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non il giudice tributario.

1. Vicenda e contenuto della decisione

La pronuncia in commento risolve una delicata questione di giurisdizione sorta nel corso di un procedimento di verifica dello stato passivo incardinato davanti alla sezione fallimentare del Tribunale di Palermo. Nella fattispecie si discute se siano riservate al giudice delegato o alla Commissione Tributaria le controversie riguardanti i fatti estintivi dell’obbligazione tributaria maturati successivamente alla notifica della cartella di pagamento.

Sulla questione si è espresso per la prima volta il giudice delegato il quale, su eccezione del curatore, ha ammesso parzialmente al passivo la domanda del locale Agente di Riscossione. Il Concessionario della provincia di Palermo si era insinuato nel fallimento in forza di una pluralità di cartelle di pagamento, alcune delle quali riferibili a crediti prescritti, non più esigibili.

La questione è giunta all’attenzione delle Sezioni unite a seguito del ricorso in Cassazione promosso dall’Agente della Riscossione contro il decreto del Tribunale fallimentare che aveva confermato le statuizioni del giudice delegato in sede di opposizione ex art. 98 l. fall.

Il Concessionario ha denunciato la violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, per avere il giudice fallimentare esorbitato dai limiti della giurisdizione ed essere sconfinato in un ambito (quello attinente al merito del rapporto tributario), di competenza della Commissione Tributaria Provinciale.

Il Supremo collegio ha disatteso le doglianze del Concessionario, sul presupposto che l’eccezione di prescrizione, pur attenendo al merito del rapporto tributario, non sempre configura una controversia di competenza delle Commissioni Tributarie, poiché dopo la notifica della cartella non viene più in discussione l’esistenza dell’obbligazione tributaria secondo lo schema “potesta-soggezione” proprio del rapporto tributario.

Nella prospettiva delle Sezioni unite l’eccezione di prescrizione sollevata dal curatore contro la domanda di insinuazione al passivo, si colloca a monte della notifica della cartella di pagamento e configura una controversia di spettanza del giudice ordinario, alla stregua delle opposizioni all’esecuzione promosse nel corso dell’esecuzione individuale, quando il debitore reagisce all’atto di pignoramento per contestare l’inesistenza del diritto di agire esecutivamente a causa di fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo.

La fattispecie, pertanto, esulando dallo schema “potestà-soggezione” proprio della cognizione tributaria, ad avviso delle Sezioni unite ben può essere esaminata e decisa nel procedimento di verifica dello stato passivo, senza che abbia luogo alcuno sconfinamento della giurisdizione ordinaria.

2. Le criticità del precedente orientamento

La prescrizione dei crediti tributari nel fallimento è un tema che presenta criticità sotto una pluralità di profili, primo fra tutti quello della individuazione dell’autorità chiamata a pronunciarsi sulla relativa eccezione[1]. Sul punto la giurisprudenza e la dottrina sono divise.

I giudici di legittimità sono da tempo solidamente orientati ad affermare la sussistenza della giurisdizione speciale[2]. Alla stregua di tale indirizzo la questione relativa alla prescrizione viene inquadrata come una controversia sull’an del tributo, in quanto tale soggetta alla cognizione del giudice naturale dell’obbligazione tributaria[3], con la conseguenza che il giudice delegato può solo ammettere il credito con riserva[4].

Questa impostazione non sembra condivisa dalla dottrina che da sempre ne mette in luce le asperità. La soluzione pretoria, innanzitutto, pone il problema di stabilire quale atto il curatore possa formalmente impugnare in Commissione tributaria. Alcuni autori rilevano come l’atto da impugnare non possa essere costituito dal titolo posto alla base della domanda di ammissione al passivo (l’avviso di accertamento o la cartella esattoriale, per intenderci), in quanto trattasi di atto ritualmente notificato, immune da vizi e per il quale sarebbe ormai decorso il termine per impugnare[5]. Altri addirittura escludono che il curatore possa accedere alla Commissione tributaria impugnando l’estratto di ruolo, dal momento che tale impugnativa è concessa dalla giurisprudenza a condizione che il credito contestato sia incorporato in una cartella mai notificata al contribuente[6].

In questa prospettiva, inoltre, risulta incerta pure l’individuazione del dies a quo per la proposizione del ricorso[7]. La dottrina osserva in proposito che quand’anche lo si possa riferire al deposito dell’istanza di ammissione al passivo, il ricorso in Commissione tributaria sarebbe poco compatibile con tempi del procedimento di verifica dei crediti[8].

Una simile ricostruzione, è evidente, imbriglia la dinamica del fallimento. Il rischio è che le somme destinate a soddisfare il Concessionario, spesso accompagnate da privilegio, vengano accantonate senza poter essere distribuite agli altri creditori nell’attesa che la riserva venga sciolta, con gravi ripercussioni sulla durata e sull’efficacia della procedura concorsuale[9].

Le Sezioni unite con la sentenza in commento ribaltano il precedente orientamento e scardinano il giogo creatosi tra le due giurisdizioni.

Il riconoscimento della giurisdizione ordinaria in materia di prescrizione dei crediti tributari, infatti, rimuove il limite derivante dalla difficoltà di individuare un atto impugnabile e, più in generale, quella dipendenza processuale che si era venuta ad instaurare tra la procedura concorsuale ed il rito tributario, potendo oggi il g.d. decidere sull’eccezione di prescrizione nell’ambito della stessa sede fallimentare, senza più differire l’ammissione del credito.

La decisione è coerente con quella corrente giurisprudenziale che devolve alla giurisdizione ordinaria talune controversie fiscalmente connotate, ritenendole estranee alla competenza delle Commissioni Tributarie. Si tratterebbe delle controversie in cui, sebbene sia in discussione l’applicazione di una norma tributaria, non viene in rilievo lo schema potestà-soggezione tipico del rapporto tributario[10].

La prescrizione della pretesa erariale rientra tra queste: la contestazione del curatore, nella specie, non investe la sussistenza del potere impositivo, poiché il potere impositivo ha trovato valida espressione, a suo tempo, nel titolo su cui si fonda l’insinuazione al passivo. Egli piuttosto rivolge la censura al diritto di riscuotere il credito tributario nella procedura concorsuale, poiché quel credito, pur trovando valida espressione nell’esercizio del potere impositivo, si è estinto.

Per questa via riprende vigore la tesi sostenuta da quanti, distinguendo fra decadenza dal potere impositivo e prescrizione dell’obbligazione tributaria, affermano che le controversie relative alla decadenza rientrano nella competenza esclusiva delle Commissioni tributarie, poiché si collocano a monte dell’atto impositivo (avviso di accertamento, avviso di addebito o cartella di pagamento), mentre le controversie attinenti alla prescrizione appartengono alla competenza del giudice fallimentare in quanto situate a valle del titolo esattoriale[11].

La ricostruzione si allinea perfettamente all’insegnamento sintetizzato nella sentenza n. 114/2018 dalla Corte Costituzionale la quale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 57, d.p.r. n. 602/1973, ha individuato nella cartella di pagamento “la linea di demarcazione” fra le due giurisdizioni, ordinaria e speciale, assegnando alle Commissioni Tributarie le controversie sorte a monte della notifica della cartella di pagamento, al giudice ordinario, (sub specie di giudice dell’esecuzione), le liti sorte a valle di tale notificazione.

[1] Sul tema si v. i contributi di G. Glendi, Eccezione di prescrizione in sede fallimentare tra giurisdizione tributaria e ordinaria. [Nota a Cass. SS. UU. 24 dicembre 2019, n. 34447], in Corr. Trib., 3, 2020, 280 e ss.; L. Di Nosse, La competenza del giudice in tema di prescrizione di crediti tributari, in Ilfallimentarista.it, fasc., 2 novembre 2017; E. Stasi, L’accertamento dei crediti tributari nell’ambito del fallimento nella giurisprudenza di legittimità, in Il Fallimento, 5, 2018, 579 ss.; S. Capolupo, Prescrizione dei crediti tributari nel fallimento, in Il Fisco, 28, 2019, 2741 ss.

[2] Cass. civ. ss. uu. n. 14648 del 2017, in Giustizia Civile Massimario, 2017. Ma si v. pure: Cass. civ., sez. lav., n. 15717/2019 in Guida al diritto, 2019, 35-36, 36; Cass. civ., sez. 6, n. 21483/2015, in Giustizia Civile Massimario, 2015.

[3] In questi termini Cass. civ. SS. UU, n. 23832/2007, in Giustizia Civile Massimario, 2007, 11, laddove si afferma che l’attribuzione alla giurisdizione speciale delle controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie “si estende ad ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo, arrestandosi unicamente di fronti agli atti dell’esecuzione tributaria; ne consegue che anche l’eccezione di prescrizione, quale fatto estintivo dell’obbligazione tributaria, rientra nella giurisdizione del giudice che abbia giurisdizione in merito alla predetta obbligazione”.

[4] La cognizione del giudice delegato è circoscritta all’accertamento della concorsualità del credito tributario, alla verifica della prova documentale allegata e della sussistenza dei privilegi invocati dal Concessionario (così E. Stasi, op. cit., 581).

[5] L. Di Nosse, op. cit.

[6] G. Glendi, op. cit., 283. Taluni invece ritengono di poter far leva sulla stessa domanda di insinuazione al passivo la quale produce effetti come la domanda giudiziale (L. Di Nosse, op. cit), ma come osserva G. Glendi, op. cit., 283, ciò significherebbe devolvere alla giurisdizione tributaria un accertamento negativo del credito contrario alla struttura impugnatoria del rito tributario.

[7] Rilevano tali criticità E. Stasi, op. cit., 581; G. Glendi, op. cit., 282; L. Di Nosse, op. cit.

[8] G. Glendi, op. cit., 283. Secondo l’autrice la verifica della prescrizione si sovrapporrebbe ai poteri di gestione del curatore, il quale dovrebbe attivarsi a tutela della massa davanti alla Commissione Tributaria prima di avere l’esito dell’udienza di discussione.

[9] L. Di Nosse, op. cit., paventa lo stesso rischio.

[10] Si v. per tute Cass. sez. un. n. 7526/2013, in Giustizia Civile Massimario, 2013.

[11] L. Del Federico, Profili di specialità ed evoluzione giurisprudenziale nella verifica fallimentare dei crediti tributari, in Il Fallimento, 2009, 1369; A Guiotto, Vecchi orientamenti e nuove criticità nell’accertamento fallimentare dei crediti tributary, in Il Fallimento, 2011, 1420.

3. Ampiezza e limiti della cognizione del giudice fallimentare

Il riconoscimento da parte della Cassazione della potestà giurisdizionale in capo al giudice delegato ha il pregio di rimuovere ad ampio raggio il condizionamento che si era venuto a creare tra fallimento e rito tributario. La sentenza sgombra il campo da ogni incertezza, non solo quando è in contestazione la prescrizione, ma ogniqualvolta il tributo (con le sue vicende estintive) intercetta la competenza del giudice delegato e del Tribunale fallimentare.

Ciò che si vuole dire, cioè, è che quando il curatore contesta la sussistenza del diritto di credito insinuato al passivo dall’Agente della Riscossione, il giudice fallimentare ha sempre il potere di dichiararne l’estinzione, qualsiasi sia il fatto che rende il tributo non più attuale nella sua consistenza oggettiva.

Il discorso, è ovvio, va circoscritto alle cause di estinzione che siano venute in rilievo successivamente alla notifica della cartella di pagamento, non potendo l’accertamento del giudice fallimentare vertere su fatti che precedono la formazione del titolo esattoriale, tanto meno su aspetti formali della sequela di riscossione.

In questa prospettiva tra i fatti estintivi che il giudice delegato potrebbe conoscere figurano, innanzitutto, gli effetti delle misure volte a favorire l’eliminazione del contenzioso tributario, come la rottamazione o lo stralcio delle cartelle di cui il contribuente (poi fallito) si sia avvalso; ma anche l’adempimento, una transazione fiscale o la compensazione con un controcredito del fallito, parimenti idonee ad incidere sull’esistenza del rapporto tributario[12].

A rigore il giudice delegato dovrebbe poter accertare nella sede concorsuale anche la sopravvenuta carenza del titolo su cui si fondano i crediti tributari insinuati al passivo, vuoi per l’annullamento della cartella, ad opera del Concessionario in via di autotutela o da parte dei giudici tributari a seguito di impugnazione, vuoi per lo sgravio dei ruoli disposto dall’ente impositore[13].

La ricostruzione che si propone è in linea con la sentenza n. 114/2018 della Corte Costituzionale che, come si è avuto modo di vedere, individua nella notifica della cartella di pagamento la linea di demarcazione tra le due giurisdizioni (ordinaria e tributaria), senza porre limiti alla difesa del contribuente (fallito o in bonis) nell’una o nell’altra sede.

La lettura che si fornisce, inoltre, si conforma a quella dottrina che all’indomani della sentenza n. 114/2018 ha contribuito alla individuazione di un catalogo di cause estintive da far valere davanti all’AGO, tutte riferibili al merito del rapporto tributario[14].

Quanto sostenuto, infine, si sposa con l’essenza stessa del procedimento di verifica dello stato passivo e del successivo giudizio di opposizione, sedi entro le quali devono concentrarsi tutte le controversie relative ai diritti di credito vantati nei confronti del fallito, incluse quelle fiscalmente connotate.

In questa prospettiva non può verificarsi alcuno sconfinamento di giurisdizione. La ragione di questo assunto risiede nel comma 5 dell’art. 96 l. fall., che dispone espressamente l’efficacia soltanto endoprocedimentale del decreto di esecutività dello stato passivo e del decreto reso all’esito del giudizio di opposizione. Tale efficacia riposa sulla limitata funzione dell’accertamento del passivo, che non ha la pretesa di formare il giudicato sostanziale sul rapporto tra il fallito e il creditore, bensì la valenza di incidente di accertamento finalizzato all’esclusivo soddisfacimento del ceto creditorio[15].

A parere di chi scrive, l’unico limite alla cognizione del giudice delegato e del Tribunale potrebbe porsi quando il curatore, oltre ad eccepire la prescrizione di alcuni crediti tributari si trovi a dover contestare anche il vizio di notifica di altre cartelle di pagamento. Qualche precisazione è utile per meglio chiarire quanto appena affermato.

Quando il Concessionario si insinua al passivo in forza di una pluralità di cartelle di pagamento non è inusuale che le eccezioni del curatore siano eterogenee e puntino a scardinare la domanda di ammissione sotto più profili, anche di natura formale. È molto probabile, cioè, che per talune cartelle egli rilevi la prescrizione del credito, per altre eccepisca fatti estintivi diversi dalla prescrizione, per altre ancora è possibile che contesti l’esistenza stessa del titolo, lamentando un vizio nella notifica della cartella di pagamento. Ebbene, in questa ipotesi viene in rilievo un profilo dell’attività di riscossione rispetto al quale non sussiste la competenza del giudice fallimentare. Si tratta di una censura attratta alla competenza delle Commissioni Tributarie Provinciali le quali, per giurisprudenza ormai consolidata, hanno cognizione esclusiva sulle contestazioni relative alla regolarità formale del titolo della riscossione.

I segnali per una delimitazione in questi termini della giurisdizione tributaria provengono dalla sentenza resa a sezioni unite il 5 giugno 2017, n. 13913, in materia di espropriazione esattoriale dove si afferma che “le cause concernenti il titolo esecutivo, in relazione al diritto di procedere ad esecuzione forzata tributaria, si propongono davanti al giudice tributario”. Il trend è stato consolidato dalla citata pronuncia della Corte Costituzionale che, si ribadisce, ha individuato nella notifica della cartella di pagamento la linea di demarcazione tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione tributaria.

Coerentemente, ed in applicazione di tali principi alla procedura concorsuale, si deve concludere che se il curatore in sede di verifica del passivo contesta la notifica di una o più cartelle di pagamento, il G.D. dovrà comunque ammettere al passivo con riserva il credito incorporato nelle cartelle oggetto di contestazione, perché non può pronunciarsi su di esse. Il curatore, pertanto, dovrà agire dinnanzi alla Commissione Tributaria per far accertare il vizio di notifica del titolo e far valere l’eccezione di decadenza della pretesa impositiva. Solo a chiusura del giudizio dinanzi alla CTP sarà possibile distribuire le somme accantonate[16].

È evidente che un sistema così congegnato mette in discussione le appaganti conclusioni cui sono giunte le Sezioni unite in tema di prescrizione. Siamo di fronte ad uno scenario in cui la giurisprudenza sposta la reazione del curatore ora davanti alla giurisdizione ordinaria (sub specie di Tribunale fallimentare), ora davanti alla giurisdizione tributaria a seconda del motivo di contestazione[17].

Il risultato è chiaro: quando il curatore si trova a dover formulare contro la domanda del Concessionario una pluralità di censure, talune formali, altre di merito, alcune di pertinenza della giurisdizione tributaria, altre accertabili direttamente nella sede fallimentare, il successo della procedura concorsuale sarà nuovamente condizionato dai tempi della giustizia tributaria.

[12] All’indomani delle Sezioni unite del 2017 la dottrina più attenta aveva messo in evidenza la difficoltà legata alla necessità di trasferire nella sede speciale anche le questioni attinenti al merito del rapporto tributario diverse dalla prescrizione, paventando il rischio di un aumento del contenzioso e di una dilatazione dei tempi della procedura concorsuale, a detrimento della difesa del fallito e degli interessi del ceto creditorio (si v. in proposito L. Di Nosse, op. cit.).

[13] Non v’è dubbio che la sopravvenuta caducazione del titolo, qualunque ne sia la ragione, costituisca un fatto rilevabile dal curatore a norma dell’art. 95, comma 1 l. fall., sindacabile in prima battuta dal giudice delegato e in sede di opposizione ex art. 98 l. fall. dal Tribunale. Anche ad avviso di G. Rocco, La prescrizione dei crediti tributari nell’ambito dl fallimento: ancora incerta la giurisdizione, in Diritto e pratica tributaria, 2, 2019, 847, e l’oggetto della controversia è la definitività del titolo la giurisdizione compete al giudice fallimentare. Secondo l’autore, infatti, il riscontro della sussistenza della definitività del titolo non è una pronuncia che verte sul rapporto tributario.

[14] D. Longo, La Corte Costituzionale ridisegna il confine tra ricorso al giudice tributario e opposizione all’esecuzione, in Il giusto processo civile, 4, 2018, 1089 e ss.; G. Melis, F. Rasi, Giurisdizione e processo esecutivo in materia tributaria: finalmente tutto risolto?, in Riv. es. forz., 4, 2018, 684.

[15] I. Pagni, Commento sub art. 96, in Codice commentato del fallimento, a cura di Lo Cascio, 2008, 880.

[16] Secondo G. Glendi, op. cit., 280, lo stesso trattamento processuale deve applicarsi nel caso in cui la domanda di insinuazione al passivo interviene quando non è ancora decorso il termine per la notifica della cartella. In questa ipotesi, il curatore può immediatamente contestare la pretesa, impugnando il ruolo davanti al giudice tributario, con conseguente ammissione del credito con riserva. In giurisprudenza si v. Cass. sez. VI, n. 4631/2015; Cass. sez. I, n. 23576/2017.

[17] S. Chiarloni, Il discutibile ampliamento dell’opposizione all’esecuzione in materia tributaria conseguente all’intervento della Corte Costituzionale, in Giurisprudenza it., dicembre 2018, 2666, aveva manifestato le medesime perplessità con riferimento all’esecuzione individuale, dove il riparto di giurisdizione cui si perviene con la sentenza n. 114/2018 è fonte di preoccupazione per le conseguenze in termini di effettività della tutela giurisdizionale.

4. Riflessioni conclusive: conseguenze sull’esecuzione individuale

La pronuncia in commento, pur interessando da vicino il settore concorsuale, ridonda favorevolmente nel campo dell’esecuzione individuale e, più precisamente in quello della espropriazione esattoriale dove non di rado il debitore che invoca la prescrizione dei crediti tributari si è trovato disarmato, senza mezzi processuali idonei a paralizzare il pignoramento del concessionario.

Ricordiamo che fino alla pronuncia della Corte costituzionale dell’1giugno 2018 il quadro normativo non offriva all’esecutato alcun rimedio per contestare la prescrizione maturata dopo la notifica della cartella di pagamento[18]. Da un lato, la giurisdizione tributaria era indifferente ai fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esattoriale, dall’altro la giurisdizione ordinaria era inaccessibile al debitore. Quest’ultimo poteva adire il tribunale solo per contestare l’impignorabilità dei beni a norma dell’art. 615, comma 2 c.p.c. o per far valere le irregolarità del pignoramento esattoriale facendo leva sull’art. 617 comma 2, c.p.c. Per bilanciare la compressione dei diritti dell’esecutato il d.p.r. 602/1973 contemplava unicamente la possibilità di chiedere il risarcimento del danno subito in conseguenza di un’espropriazione illegittima[19].

La dottrina più attenta non ha esitato a segnalare la stortura presente nel sistema esattoriale, ora evidenziando la necessità di un intervento della Consulta[20], ora formulando soluzioni processuali in grado di garantire al debitore una congrua difesa. Vi era chi proponeva una lettura adeguatrice dell’art. 57 d.p.r. 602/1973 e suggeriva di proporre l’opposizione all’esecuzione dinanzi al giudice ordinario al fine di ottenere una immediata sospensione dell’espropriazione, per poi riservare il merito della controversia al giudice tributario, dinanzi al quale il giudizio avrebbe dovuto proseguire attraverso il meccanismo della traslatio iudici[21]. Altri invece consigliavano di adire entrambi i giudici, quello speciale e quello ordinario, confidando nella pronuncia definitiva del giudice si ritenesse munito di giurisdizione[22].

Per colmare il vuoto di tutela qualche giudice di merito ha arditamente ammesso l’opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c., cominciando a tratteggiare uno spazio processuale entro il quale far valere i fatti estintivi del credito tributario maturati successivamente alla notifica della cartella di pagamento[23]. Tali decisioni hanno legittimato in via di fatto l’esercizio della giurisdizione ordinaria in materia tributaria, muovendosi in evidente controtendenza rispetto all’orientamento che conferiva in via esclusiva alla giurisdizione speciale la competenza a conoscere di tutte le vicende relative al rapporto col fisco, inclusa la prescrizione della pretesa erariale[24].

La svolta si è avuta con la citata sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l’art. 57 d.p.r. 602/1973 “nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del D.P.R: n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile”.

La censura costituzionale ha formalmente legittimato la reazione del debitore per fatti sopravvenuti alla notifica della cartella di pagamento, rendendo concretamente possibile che l’autorità giudiziaria ordinaria (ora nelle vesti del giudice dell’esecuzione, ora nelle vesti del giudice fallimentare) dichiarasse estinto il credito tributario.

Le Sezioni unite, con la sentenza in commento, sanciscono per la prima volta l’applicazione del principio alla sede concorsuale, ma vanno ben oltre questo risultato, perché preparano l’assetto al quale dovrebbe adeguarsi la giurisprudenza successiva, e non solo in materia fallimentare.

La pronuncia dovrebbe fare da apripista ai giudici ordinari che si troveranno davanti alla medesima questione nel corso di un’esecuzione individuale: in questa diversa sede, il G.E. investito dell’opposizione all’esecuzione dovrebbe sospendere il pignoramento a norma dell’art. 60 d.p.r. 602/1973 (in combinato disposto con l’art. 624 c.p.c.), e concedere un termine per l’iscrizione a ruolo del giudizio di merito. Il Tribunale, investito del merito, facendo propria la nuova regola in punto di giurisdizione, sarà così nella condizione di accertare la prescrizione dei crediti tributari contestati e di dichiarare l’inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata (rectius: a riscossione coattiva).

Il quadro che ne deriva è di chiaro impatto: il debitore erariale avrà dalla sua non già un rimedio risarcitorio postumo ed eventuale, ma uno strumento di tutela immediato e sicuro. Egli non sarà costretto a duplicare l’azione per il timore di una dichiarazione di inammissibilità, né rischierà che il giudice dell’esecuzione, ritenendosi privo di giurisdizione, rimetta le parti dinanzi al giudice speciale: l’opposizione sarà avviata ed esaurirà il suo corso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria[25].

[18] cfr. art. 57 d.p.r. 603/1972.

[19] Tale dovendosi qualificare l’espropriazione eseguita sulla base di crediti prescritti. Cfr. art. 59 d.p.r. 602/1973. Nella giurisprudenza si v. Cass. civ., sez. III, sentenza del 20 marzo 2014, n. 6521.

[20] A. Scala, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, in Rass. Trib., 5, 2008, 1299 e ss.

[21] D. Longo, La nuova disciplina delle opposizioni esecutive nella riscossione coattiva in base a ruolo (o avviso di accertamento o di addebito), in www.cosmag.it.

[22] E. Belli Contarini, Opposizione all’esecuzione esattoriale illegittima per eventi sopravvenuti, in Corr. Trib., 6, 2015, 454 e ss.

[23] Paradigmatica a riguardo è la pronuncia del Trib. Salerno, 11 febbraio 2013, che ha ritenuto “sempre proponibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c. ove si intenda contestare l’inesistenza del diritto dell’ente impositore e, per esso, del concessionario a procedere ad esecutivamente … per fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo o per assoluta carenza del titolo legittimante”.

[24] Si v. per tutte Cass. civ., n. 23832/2007, cit.

[25] In questa direzione si è orientato di recente il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Catania. Con ordinanza del 26 febbraio 2020 ha dichiarato inammissibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c. promossa dal debitore per contestare la prescrizione dei crediti tributari sottesi al pignoramento esattoriale. La dichiarazione di inammissibilità si regge sulla contemporanea pendenza di un ricorso in Commissione Tributaria promosso avverso un avviso di mora e fondato sulle medesime ragioni che avevano indotto il debitore ad apporsi all’atto di pignoramento (la prescrizione dei crediti tributari). Si legge nell’ordinanza del Tribunale di Catania che “se nessun avviso di mora fosse mai stato notificato, [il debitore] avrebbe potuto far valere la fattispecie estintiva innanzi al Giudice ordinario, in mancanza di una tutela residua innanzi al Giudice Tributario”. Nella specie, in definitiva, poiché l’atto da impugnare esisteva e andava rintracciato nell’avviso di mora (notificato prima del pignoramento ed opposto nella sede speciale), la via dell’opposizione all’esecuzione nella sede ordinaria è stata preclusa. Viceversa sarebbe stata possibile, in linea con le indicazioni delle Sezioni unite, laddove il pignoramento non fosse stato preceduto dall’avviso di mora ed avesse costituito il primo atto contro il quale sollevare l’eccezione di prescrizione.

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