Premessa
I casi di Eluana Englaro[1] ,Welby[2] e più recentemente quelli di Alfie Evans[3] e Noa Pothoven[4] evidenziano il vuoto normativo in materia di scelte di fine vita. Il Parlamento italiano, in particolare, volutamente decide di non legiferare al proposito perché nella società pluralista fondata su valori tanti sono gli interrogativi etici e religiosi che il fine vita pone.
Le scelte di fine vita hanno un raggio d’azione che opta tra l’eutanasia, omicidio del consenziente e suicidio assistito.
Eutanasia deriva dal greco “eu” (buono) e “thànatos” (morte), dunque buona morte . L’eutanasia può essere messa in pratica attraverso la somministrazione di farmaci letali o semplicemente non apprestando l’assistenza medica[5]; il suicidio non è considerato una forma di eutanasia, ma in presenza della richiesta fatta da colui che intende giungere a morte, ogni forma di aiuto o cooperazione al suicidio sono considerati forme di eutanasia[6].
Non vi è una definizione univoca di buona morte, mentre per i cattolici è buona quella morte che sopravviene spontaneamente e ci porta al cospetto del Creatore e, morire è un semplice addormentarsi per svegliarsi nella gloria di Dio; per gli atei la morte segna la fine della esistenza.
Sotto il profilo letterale- filosofico per Leopardi la morte è una liberazione[7], per San Francesco D’Assisi è una sorella[8], per Heidegger, filosofo tedesco, la morte è “come fine dell’Esserci, la possibilità dell’Esserci più propria, incondizionata, certa … indeterminata e insuperabile”.[9]
Parimenti fino al 1968 quando Harvard avanzò i criteri per l’accertamento della morte celebrale, non vi era un significato inequivocabile di morte. Prima di questa data, cadavere era colui che non rispondesse alle sollecitazioni, non respirasse e il cui battito cardiaco fosse assente.
Gli studi di Harvard hanno trovato fondamento dal momento che intorno agli anni 50 è avvenuta la diffusione della ventilazione meccanica, grazie alla quale viene garantita sia pure artificialmente la respirazione nei pazienti destinati al decesso[10].
Superata l’opinione secondo cui lo status di morte sopraggiunge con la cessazione delle funzioni circolatorie e respiratorie, l’Accademia Scientifica convenne nel definire la morte come cessazione irreversibile delle funzioni celebrali, o morte encefalica.
Shumway ha concordato con i criteri di Harvard e ha aggiunto che il corpo non muore tutto insieme, ma gli organi si spengono uno alla volta fino a giungere al punto di irreversibilità.[11]
Franche ha invece voluto distinguere la morte in: a) relativa, quando le funzioni nervose, cardiocircolatorie e respiratorie sono in grado di riprendere; b) intermedia, quando le funzioni cessate sono irrecuperabili; c) assoluta, quando tutte le cellule sono morte.
Attualmente il dibattito etico in materia di eutanasia si snoda in :
- Se esiste una differenza tra uccidere per pietà o lasciare morire;
- Se sia lecito l’eutanasia involontaria sul neonato deforme;
- Se sia lecito l’eutanasia volontaria su un soggetto agonizzante.
La risposta al primo punto dipende dalla distinzione di quel comportamento attivo o passivo (omissione) che ha come unico fine quello di cagionare la morte e il rinnego dell’accadimento terapeutico per evitare ulteriori sofferenze.
Circa gli altri due punti invece si possono distinguere tre posizioni : la posizione di chi considera la datità della vita, all’estremità opposta la posizione stoica che non è contraria alla vita, ma non reputa un male il non vivere. In una posizione intermedia, infine, è stato posto il concetto di qualità della vita, che aprirebbe la strada alla pratica eutasanica.
Il diritto alla salute: un’analisi costituzionale
L’articolo 32 della Costituzione recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
L’articolo in questione riveste una duplice veste,quella dell’esercizio di una libertà – di curarsi e di scegliere tra diverse cure alternative- e quella di un diritto sociale per cui ciascuno ha diritto a pretendere dallo Stato strutture e mezzi per potersi curare e di conseguenza lo Stato ha il dovere di apprestare garanzia[12].
Se si considera il breve intervallo di tempo tra la fine della Seconda Guerra mondiale e l’entrata in vigore della Carta Costituzionale non stupisce che per molto tempo il diritto alla salute sia stato inteso esclusivamente come benessere fisico, le esigenze dell’immediato dopoguerra infatti richiedevano alla Nazione di ricostruirsi , pertanto lavorare per produrre garantiva la solidarietà economica e sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione, e rispondeva positivamente allo sviluppo materiale e spirituale della società (articolo 4 Costituzione).
L’interpretazione evolutiva del diritto alla salute ha compreso in esso anche la salute psichica, pertanto il costituzionalismo moderno ha accolto la definizione di salute elaborata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per cui la salute è “lo stato completo di benessere fisico,mentale e sociale e non soltanto come l’assenza di malattia”[13] , tuttavia chi scrive ne ravvisa un riconoscimento già nell’art.13 Cost al 4° comma” E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Nondimeno la giurisprudenza riconosce meritevole di attenzione e di tutela giuridica il danno morale, inteso come scompiglio emotivo causato da un illecito svilendo la dignità personale di chi lo subisce. Giurisprudenza e dottrina sono,invece, divisi sul riconoscimento del c.d “danno esistenziale”decifrato come alterazione peggiorativa della psicologia emotiva e relazionale di un individuo, in breve la persona non si riconosce nel suo essere e nel modo di vivere le relazioni affettive[14].
La legge ordinaria si è confrontata e adeguata alla nuova interpretazione del concetto di salute, tante sono state infatti le leggi varate al fine di tutelare il benessere mentale e non solo fisico, si pensi alla L.194/1978 recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, ha disposto che è possibile interrompere la gravidanza qualora la donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute,o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (articolo 4). La stessa legge riconoscendo all’art.1 il “diritto alla procreazione cosciente e responsabile ” ha difatti legittimato le pratiche di sterilizzazione, pertanto oggi possono ricorrere alla sterilizzazione volontaria tutti coloro che sono capaci di intendere e volere, previo consenso informato, qualora tale pratica, anche se provoca una modifica irreversibile del proprio corpo, sia utile per evitare di procreare al fine di non trasmettere malattie ereditarie, o semplicemente per vivere liberamente una situazione di coppia, intendendo la coppia come formazione sociale in cui svolgere la propria personalità, o semplicemente per assicurare l’armonia tra corpo e mente. Non si rileva una lesione della disposizione dell’articolo 5 del CC[15] che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo che comportano una diminuzione permanente dell’integrità fisica, poiché il limite è superato dal bilanciamento costituzionale degli interessi, che vede come prioritario la salute della donna, anche se trattasi di solo equilibrio psicologico, che vuole vivere liberamente la sessualità[16].
Si annoverano anche la L.71/2017 recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyber bullismo; la L.898/1970 che ha introdotto il reato di mobbing al fine di tutelare la salute psicofisica del lavoratore da condotte “stressogene” da parte del datore di lavoro.
Ugualmente il Codice penale contempla la condizione di salute mentale nelle condizioni di esclusione della punibilità ( art.88 c.p.) e come motivo di sospensione o differimento della pena ( art.148 cp).
Il costituente del 1948 con il 2° comma dell’art.32 della Costituzione ha voluto perseguire non solo fini individuali, ma soprattutto fini solidaristici, infatti la salute sociale prevale su quella individuale, ma ciò è consentito solo nella misura in cui il benessere dei consociati è minacciato e solo se i trattamenti sanitari obbligatori non possono peggiorare lo stato di salute di colui che vi è assoggettato. Dunque ogni limitazione di cura deve rispondere al criterio di adeguatezza rispetto alla difesa di interessi della collettività di pari natura e il sacrificio sofferto dell’assoggettato deve essere proporzionale all’interesse generale[17].
Sinteticamente si può asseverare che l’art.32 della Cost. è un dispositivo legale attraverso cui ricerca, malattia, sperimentazione e corpo vengono dapprima democratizzati e poi improntati al valore della dignità, evitando ingerenze etiche da parte dello Stato[18]
L’attuale conflitto tra il diritto alla vita e il diritto all’autodeterminazione
L’eutanasia ( la dolce morte)[19] è un argomento che ha sempre diviso il Parlamento italiano, motivo per cui la legiferazione è stata sempre differita e mai considerata come necessaria.
La difficoltà incontrata dal Parlamento attiene alla coesistenza di due teorie: l’una che vorrebbe la legalizzazione dell’eutanasia ( teoria disponibilista della vita) e l’altra che vorrebbe mantenere il divieto vigente in materia di pratiche eutasaniche ( teoria indisponibilista della vita)[20].
Occorre sottolineare che la Costituzione non prevede esplicitamente il diritto alla vita, ma è considerazione comune che esso è un diritto implicito a cui l’intera Carta Costituzionale si ispira, e costituisce il diritto presupposto per poter esercitare l’insieme dei diritti costituzionali[21] e la cui tutela ha ad oggetto il codice penale.
Opinione condivisa dagli indisponibilisti è che il diritto alla vita è da ascrivere all’art.2 della Cost. quale categoria aperta dei diritti inviolabili dell’individuo, è per di più il diritto umano per eccellenza, assoluto e non sacrificabile. Al contrario la teoria dei disponibilisti si può riassumere con il pensiero di Jeahne Hersch, secondo cui il valore supremo è la libertà nel senso ampio del termine fino a comprendere l’autodeterminazione , perché nella libertà si radica la dignità[22]. Pertanto l’eutanasia sarebbe legittima in forza del bilanciamento costituzionale di beni di uguale natura, quale quello alla vita e quello all’autodeterminazione.
La deduzione dei disponibilisti della vita troverebbe consenso nell’art. 2 CEDU a norma del quale “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge” (protetto e non imposto); nell’art. 3 CEDU “ nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti” ( gli strumenti di sostegno artificiali o l’alimentazione artificiale potrebbero essere considerati degradanti e inumani in quanto non naturali ) ; nell’art. 8 CEDU “ ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”; infine nell’art. 6 del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici nella parte in cui afferma “ Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita”, che implicitamente ammette che si può essere privato della vita con il proprio consenso.
La dignità compare poco nel testo costituzionale e trattasi il più delle volte di dignità sociale, ossia che l’individuo (cittadino e straniero) venga rispettato nelle relazioni interpersonali e istituzionali, e che gli venga assicurata uguaglianza e parità di trattamento. Tuttavia il carattere personalistico e oggettivo della dignità è stato sancito a livello giurisprudenziale, si pensi al diritto all’abitazione o all’assistenza e previdenza sociale, ma si guardi soprattutto a sentenze costituzionali che hanno sancito la drammaticità della violenza carnale che si serve della fisicità di un corpo ma che svilisce in modo irreversibile la dignità della persona ( sent.561/1987)[23].
La dignità, dunque, è un concetto complesso e di portata variabile,ma nel tentativo di costituzionalizzare la nozione la giurisprudenza ha distinto due forme di dignità: “dignità soggettiva” la quale poggia sulla autodeterminazione della persona e “dignità oggettiva” la quale, al contrario, si rimette al legislatore, che in quanto espressione della volontà popolare è in grado di cogliere i valori in un determinato periodo storico misurandoli in termini di aderenza al buon costume e alla morale pubblica[24]. Se si accetta la soggettività della dignità l’eutanasia troverebbe legittimazione, se invece si accoglie l’oggettività della dignità l’eutanasia è esclusa perché il diritto allo stato attuale è influenzato da valori etici e da diverse filosofie di vita.
Pur seguendo il ragionamento di cui sopra e considerando esclusivamente la dignità oggettiva, rimangono questioni irrisolte. Infatti il codice penale punendo l’uccisione di un uomo tutela la vita da aggressioni da parte di terzi, ma non prevede come reato l’uccisione di se stesso (suicidio). Il suicidio è moralmente non accettato, è scoraggiato ma non impedito[25], ugualmente a quanto accade per la prostituzione per cui è punito penalmente il reclutamento e il favoreggiamento, ma non l’atto di prostituirsi in sé poiché rientrerebbe nella libertà di vivere la sessualità, sia pure moralmente la prostituzione, anche se volontaria, è considerata avvilente[26].
Se si abbandonasse la distinzione tradizionale di dignità e si percorresse quella Kantiana, che distingue tra “dignità innata” – ognuno agisce in base alla consapevolezza dei propri doveri, e “dignità inalienabile” – ognuno è legislatore universale di se stesso in base alla propria etica[27], forse vi sarebbe posto per una concezione soggettiva di vita secondo cui la vita è buona fino a quando può dare qualcosa di buono[28].
Diverse visioni dottrinali hanno enfatizzato la supremazia della dignità che non solo non sarebbe bilanciabile con nessun diritto, ma non è oltremodo passibile di relativizzazione. La dignità è suprema perché implica l’identità, intesa come concezione di un progetto di vita, di credenze religiose, di un’etica personale e dei valori percepiti e assimilati. La dignità presuppone la libertà ma non si identifica in essa, infatti si pensi agli immigrati, ai quali è riconosciuta la mobilità nel territorio nazionale e il diritto a professare il proprio culto, sono certamente liberi, ma godono di dignità ogni volta che in quanto musulmani vengono additati automaticamente come terroristi?[29] Può dirsi lo stesso negli ambienti carcerari in cui la disposizione di cui all’art.27 Cost. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, resta del tutto in attuata poiché ambienti stretti e privi di condizioni igieniche, assenza totale di privacy e scarsa possibilità di socializzazione ledono la parte più intima del detenuto[30], e di questo avviso è la Corte Costituzionale che con sent.349/1993 ha stabilito che la condizione di detenzione a cui è soggetto il detenuto priva lo stesso di molte libertà, ma la privazione è legittima solo per la misura in cui è compatibile con il sistema carcerario stesso, ma non se la privazione si estende fino ad annullare la sua personalità individuale[31].
È molto forte la connessione tra libertà e dignità, perché la prima è negata ogni volta che viene compromessa la seconda, per riprendere l’antico ma attualissimo pensiero di Beccaria[32]. La dignità andrebbe sempre preservata perché se l’individuo viene calpestato nella sua sfera di valori personali potrebbe facilmente preferire la morte piuttosto che agire in un modo che non ritiene consono al suo sentire. Tuttavia riconoscere la dignità individuale significa anche addomesticare l’uomo al rispetto e alla tolleranza perché presupporrebbe in capo a ciascuno il riconoscimento dell’altro come io e a non violare la dignità altrui[33].
LEGGE 22 DICEMBRE 2017, n. 219: ANALISI E PROBLEMATICHE
La legge 22 dicembre 2017, n.219, concernente le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, ha sintetizzato due diritti costituzionali, quello all’autodeterminazione e quello alla salute[34], infatti all’art.1 comma 1 stabilisce “ La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli art. 2, 13, 32 cost. e degli art. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.Tuttavia la legge 219/17 non disciplina le scelte di fine vita, almeno non quelle in forma attiva, ma si presenta come attuazione pratica del diritto alla salute nella sua dimensione positiva e negativa, valorizzando il concetto di qualità della vita, poiché pone al centro di interesse il paziente e la sua autodeterminazione, che si esplica nella valutazione personale di scelte terapeutiche alternative, di cui al comma 3 dell’art. 1 “ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo,aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati,nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.
La legge sul consenso informato ha mutato la relazione medico-paziente valorizzandola, rendendola più umana e meno documentalista, superando oltremodo l’antico paternalismo medico. Il rapporto di cura diventa una relazione di fiducia, che si basa sul consenso informato, e in cui si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza,autonomia professionale e responsabilità del medico. Il rapporto di cura include, se il paziente lo richiede, anche i familiari, il convivente o la parte a cui lo stesso è unito attraverso l’unione civile, i quali avranno il diritto di chiedere e ottenere dal medico tutte le informazioni circa lo stato di salute del malato ( art.1 comma 2).I pochi articoli di cui è composta tale legge sono in parte in armonia con il Codice di deontologia medica, nello specifico con il dovere del medico di salvaguardare la vita e la salute,non solo fisica, ma nel rispetto della libertà e dignità dell’assistito ( art. 3 codice deontologico medico), e con il divieto di ostinarsi in trattamenti da cui non possa derivare alcun beneficio, il c.d “accanimento terapeutico” ( art.14 codice deontologico medico). D’altra parte è possibile scorgere una serie di contrasti normativi tra legge 219/17 e Codice deontologico medico.Procediamo con ordine.La legge 219/17 legalizzando di fatto l’eutanasia passiva, intendendo con essa la sospensione di trattamenti anche se salvavita , si pone in contrasto con le disposizioni del Codice deontologico medico di cui all’art. 36 “Il medico,anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti diretti a provocarne la morte”, nonché art.37 “ In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o pervenuta alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all’assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita. In caso di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finchè ritenuta ragionevolmente utile”. L’art 36 è in perfetta antitesi con il comma 4 dell’art.1 della legge 219, finendo quest’ultima per derogare completamente il codice, poiché ogni condotta tenuta dal medico direttamente o indirettamente favorisce l’evento morte, infatti l’espressione “non deve effettuare né favorire” và interpretata considerando che un evento può essere dovuto tanto ad una condotta commissiva che ad una omissiva, si facciano due esempi: a) il paziente x chiede l’interruzione della ventilazione artificiale, x muore ;b) il paziente y necessita di una trasfusione di sangue ma la rifiuta, y muore. In entrambi i casi non si ha una partecipazione diretta o indiretta del medico all’evento morte del paziente? Se si considera una risposta negativa, allora si dovrebbe considerare possibile che il medico effettui la trasfusione nonostante la volontà negativa del malato, ledendo l’art 34 comma 2 dello stesso codice, ma soprattutto integrerebbe il reato di violenza privata di cui all’art. 610 cp, e anche se per effetto del trattamento il paziente ne gioverebbe, questi potrebbe chiamare il medico a rispondere di lesione dolosa o colposa[35]. Anche l’art.37 non è esente da problematiche interpretative, poiché i dubbi irrisolti attengono a chi spetta definire la qualità della vita? Su quali criteri? E se venisse considerato solo il parametro di dolore percepito dal paziente , non si lederebbe in parte il diritto alla salute in quanto non comprensivo anche della salute psichica? Inoltre “ in caso di compromissione dello stato di coscienza proseguire nella terapia di sostegno vitale finché ritenuta ragionevolmente utile” potrebbe essere interpretato come apertura alla pratica eutasanica? Ma la ragionevolezza della cura è decisa solo da un rigoroso tecnicismo medico? Peggio ancora, la volontà del paziente ( in quanto incosciente) non sarà considerata e non si avrebbe cosi un’ eutanasia non voluta? A creare maggiore imbarazzo è l’assenza nella legge 219/17 di una clausola di riconoscimento dell’obiezione di coscienza per il personale medico sanitario che non vuole dare esecuzione alla pretesa di fine vita del paziente. L’obiezione di coscienza non è un diritto autonomo, ma è riconosciuto dalla legge nel rispetto della propria identità[36], e costituisce un diritto umano inalienabile[37]. In questi termini si coglie la frattura tra la legge sulle DAT e l’art. 19 codice deontologico “Il medico al quale vengono richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute dell’assistito”. Tuttavia la mancanza della previsione dell’obiezione di coscienza appare voluta, poiché in questo modo si ha un’efficacia piena della legge e si evita che l’autodeterminazione del paziente sia frenata dalla coscienza del medico. In verità la legge 219/17 prevede due ipotesi in cui il medico potrebbe sottrarsi alla prestazione voluta dal paziente, e nello specifico con l’art.1 comma 6 “ il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali, a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”; e con l’art.4 comma 5 “ il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”. Tuttavia la ratio dei due articoli è diversa, perché mentre con il comma 5 dell’art. 4 l’astensione del medico è solo nell’interesse del paziente, che potrebbe giovare del progresso medico scientifico; invece il 6 comma dell’art. 1 prevede l’astensione del personale sanitario nell’interesse proprio per non ledere la legge e quindi non risponderne attraverso la responsabilità civile e penale, ma anche per non contraddire la deontologia professionale, e in ciò molti hanno ravvisato un riferimento implicito all’obiezione di coscienza. Soffermandoci sulla disposizione però già appare abbastanza chiaro che per “buone pratiche clinico- assistenziali”il legislatore abbia voluto riferirsi a tutte quelle pratiche dell’ars medica che hanno come obiettivo la beneficialità dell’assistenza con il consenso del paziente, beneficialità da intendersi come ciò che sembra buono all’esclusivo parere del paziente e non secondo le convinzioni personali o etiche del medico[38], parimenti il medico spagnolo Pedro Laìn Entralgo sosteneva che non sempre ad una corretta diagnosi e ad una buona terapia corrisponde una cura efficace[39], poiché la relazione di cura necessita di una interpretazione, cioè la sofferenza del malato deve essere afferrata al fine di rielaborarla in una soluzione operativa[40].Inoltre non può desumersi un riconoscimento implicito dell’obiezione di coscienza nella legge 219 per il normale assetto delle fonti normative perché mai un codice deontologico potrebbe avere la forza di derogare la legge, bensì il contrario.Non meno importante è d’altra parte una mancanza nella legge della presa in considerazione piena della condizione dei più deboli, infatti nonostante i progressi legislativi volti a tutelare i soggetti fragili, tra questi si ricordi in particolare e non lontana L.112/2016 conosciuta come Legge sul “Dopo di noi”, varata al fine di migliorare la partecipazione sociale e l’autonomia di chi è affetto da disabilità grave[41], non si è ancora in grado di affermare che ci sia una tutela piena.Gli incapaci,infatti, non sono a sufficienza tutelati dalla Legge 219/17, e se il fine teorizzato è quello di evitare loro l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, di fatto è quello che potrebbe venir praticato.I problemi si riscontrano sul piano applicativo circa l’art. 3, che ha previsto che il consenso informato venga espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale , tutore o amministratore di sostegno, ma la legge ha voluto valorizzare la determinazione dell’incapace in quanto soggetto di diritto e deve divenire parte integrante della relazione di cura ove possibile. Non poche perplessità si hanno sulle modalità di acquisizione e interpretazione della volontà dell’incapace, dal momento che la legge non prevede un’audizione con modalità particolari, e la condizione cambierebbe a seconda che si consideri un’incapace totale (non è in grado in alcun modo di esprimere la volontà) o parziale ( può in qualche modo esprimersi) e se si è in presenza di DAT( disposizioni anticipate di trattamento) o meno[42]. Nella pratica se l’incapace totale in precedente abbia redatto le DAT queste sono da considerarsi vincolanti e pertanto il rappresentante legale non sarebbe altro che il nuncius di una volontà del rappresentato ricostruibile fedelmente e risultante da atto legale; nel caso invece dell’incapace parziale le eventuali DAT predisposte in precedenza non sono vincolanti, perché il paziente conserva sempre il diritto a mutare idea e a revocare il consenso o il diniego, in questo caso allora la funzione del rappresentante legale è quello di affiancare l’incapace al fine di manifestare la volontà. Al contrario la giurisprudenza di merito ha previsto che se l’incapace totale è un soggetto abbastanza grande da aver avuto un vissuto e non ha predisposto le DAT, il compito del rappresentante legale è quello di ricostruire la sua volontà basandosi sulle vicende etiche, morali e religiose dello stesso[43].È evidente che l’intento del legislatore fosse quello intendere la figura del rappresentante legale come assistente dell’incapace e non come suo sostituto, ma non pochi dettagli sono stati tralasciati e coloro che sarebbero maggiormente danneggiati sono soprattutto i minori, per la cui categoria un ruolo centrale è occupato dai genitori o dal tutore. Se da un lato è opportuno che i genitori diventino insieme al minore i protagonisti del rapporto di cura, perché è sancito prima a livello costituzionale e poi a livello civilistico che è dovere dei genitori assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni[44]; non appare similmente adeguato che i genitori o il tutore si sostituiscano al minore nelle decisioni di fine vita perché si avrebbe un passaggio inverso da soggetto di cura a oggetto di cura. Detta sostituzione è sempre evitabile? Non sembra! Si guardi all’art.4 del decreto ministeriale 1995, che autorizza il medico a tenere una trasfusione di sangue anche senza il consenso del paziente o di chi per loro solo in presenza di un pericolo imminente, ma non in presenza di un chiaro dissenso; parimenti l’art.12 della L.194/1978 secondo cui in presenza di un pericolo di vita per la gestante minore, l’urgenza giustifica l’interruzione della gravidanza indipendentemente dall’assenso dei genitori o del tutore.L’art. 315 bis CC prevede che il minore che abbia compiuto 12 anni, o anche se di età inferiore con capacità di discernimento, ha diritto a essere coinvolto in tutte le questioni che lo riguardano; le lacune dell’art.3 della l.219 si ravvisano in rapporto agli articoli del codice civile cui la stessa legge rinvia, poiché nulla è detto a chi compete accertare la capacità di discernimento del minore, ma soprattutto nessun controllo giudiziario è previsto per accertare il sul coinvolgimento effettivo dello stesso, infatti per le stesse disposizioni contenute nell’art. 3 il ricorso al giudice tutelare non è previsto per il disaccordo tra minore e rappresentante legale. Ammesso che il minore abbia la capacità di esprimere la volontà in merito a trattamenti terapeutici , si può ritenere con certezza che si tratti di volontà autentica? Si può evitare che l’opinione dei genitori non influenzi quella del figlio in una età in cui i genitori sono considerati come giusti in assoluto? Eppure influenzare i figli per certi aspetti è un dovere giuridico, i genitori sono tenuti a correggere gli errori dei figli , insegnare loro le buone maniere e perché no dirigerli anche verso il loro credo religioso, tanto che la casistica giurisprudenziale ha considerato che il genitore Testimone di Geova che rifiuta una trasfusione di sangue per il figlio per motivi religiosi non sia da considerare come atteggiamento di incuria da dar luogo alla sospensione della responsabilità genitoriale[45]. Il tenore letterale dell’art.3 della l.219 non lascia equivoci sul fatto che al rappresentante legale spetta identico diritto previsto dall’art.1 per il maggiorenne capace, pertanto può in luogo del rappresentato acconsentire o rifiutare trattamenti terapeutici anche se salvavita, con il coinvolgimento dell’interessato, ove possibile; fin qui la correttezza della disposizione è tangibile se non ci si soffermasse sul rappresentante legale del minore (privo di discernimento) che potrebbe priori rifiutare che si eseguano sul paziente interventi di diagnostica e far progredire una malattia che forse avrebbe potuto avere esiti diversi. La lacuna normativa che se ne ravvisa è che nessuna disposizione include un intervento giudiziario automatico, ma è eventuale ad un disaccordo tra rappresentante legale e medico, ma siamo ben lontani da una clausola di salvaguardia per il minore, poiché a nominare il medico sono i genitori o il tutore, e questi potranno sempre nominarne un altro in caso di disaccordo, pertanto il ricorso al giudice tutelare non è scontato e potrebbe non avvenire mai[46]. La legge 6/2004 ha introdotto nell’art.404 cc la figura dell’amministratore di sostegno, che non è la più corretta ma la più indicata per rispettare l’autonomia del beneficiario considerato che il giudice gli attribuisce il potere nell’attualità dell’incapacità del beneficiario e la giustificazione della sostituzione dell’amministratore è da rintracciare nella predisposizione delle DAT[47].Si rammenta che per fondati motivi il giudice tutelare potrebbe discostarsi dalla designazione e dalle scelte contenute nell’atto di designazione[48], occorre però sottolineare che il giudice tutelare sia nel sostituire l’amministratore di sostegno designato dal beneficiario sia nel discostarsi da alcune scelte contenute nelle DAT,agirebbe nell’esclusivo migliore interesse del beneficiario, però chi scrive nota che mentre il disattendere ad alcune scelte del beneficiario possa essere giustificato da nuovi progressi scientifici che potrebbero aprire nuovi scenari di miglioramento per il paziente, non vede nella sostituzione dell’amministratore sempre una giustificazione oggettiva, perché si rischia che del tipo di legame che unisce amministratore e beneficiario se ne tenga conto in via residuale, nonostante sia il tipo di rapporto alla base della designazione.
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Le scelte di fine vita alla luce delle recenti proposte legislative e dell’ordinanza costituzionale 2019, n.242
Nel tempo si sono succeduti importanti novità legislative, che tuttavia sono rimaste indiscusse nelle Camere, si segnalano in particolare il D.L. 30 ottobre 2018, n.912, recante “disposizioni in materia di eutanasia”, e il D.L. 17 settembre 2019, n.1494, recante modifiche all’art.580 cp e alla l. 219/17 in materia di aiuto medico a morire e tutela della dignità nella fase finale della vita. Il D.L. 2018, n.912 vorrebbe il riconoscimento del diritto all’eutanasia, ma all’art. 3 fissa le condizioni al fine di rendere accessibile tale pratica, sintetizzabili nel modo seguente:- Maggiore età del paziente- Presenza di sofferenze fisiche o psichiche intollerabili, costanti e irreversibili- Presenza di una patologia con evoluzione inarrestabile e prognosi infaustale ultime condizioni devono essere valutate da un medico esterno e pertanto non sono rimesse all’ esclusiva valutazione del paziente.Il D.L. 2019,n.1494 si pone in risposta alla recente e storica ordinanza della Corte Costituzionale del 25 settembre 2019, n.242, con la quale si è espressa attorno al caso Cappato e ha invitato il Parlamento a legiferare in materia di fine vita.Marco Cappato è imputato a rispondere a norma dell’art.580 cp, per la morte di Dj Fabo, rimasto tetraplegico a seguito di un incidente stradale nel 2014, privo di autonomia a respirare, ad alimentarsi e ad evacuare, colpito da cecità irreversibile e da spasmi muscolari causa di atroci sofferenze, tanto da spingerlo a cercare la morte tramite suicidio assistito in Svizzera, dove è stato accompagnato da Cappato. La Corte Costituzionale si è espressa sulla legittimità costituzionale dell’art. 580cp sollevato dalla Corte d’Assise di Milano, che ne lamenta la incostituzionalità della norma dal momento in cui considera uguali, anche dal punto di vista della pena, le condotte di istigazione al suicidio e quella di agevolazione al suicidio, in particolare la Corte ravvisa:A) La lesione dell’art. 3 della Cost., perché considera opportuno distinguere tra una partecipazione morale e una partecipazione esclusivamente materiale senza incidere in alcun modo sul processo deliberativo e volitivo.B) La lesione degli art. 13, 25 comma 2, e 27 Cost. in materia di libertà individuale e proporzionalità della pena[49].La Corte Costituzionale con ordinanza ha stabilito che chi aiuta qualcuno a morire non deve essere punito, al ricorrere delle seguenti condizioni:- Se la persona è mantenuta in vita con sostegni artificiali – Se la persona è affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psichiche che ella reputa intollerabili- Se la persona è nella capacità di intendere e di volere- Le condizioni e le modalità devono essere verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale- Previo parere del comitato etico territorialmente competente[50].La Corte Cost. non ha depenalizzato l’aiuto al suicidio, altrimenti le condizioni fissate con l’ordinanza non avrebbero ragione di esistere, ma ha voluto fare in modo che la decisione libera e consapevole dell’interessato costituisse una scriminante per il soggetto terzo coinvolto[51].Il ragionamento della Corte Cost. è stato cauto perché non ha sovvertito l’ordine dei valori costituzionali, il bene vita è sempre da tutelare, ma ha implicitamente riconosciuto che la vita può essere oggetto di bilanciamento costituzionale con valori quali la libertà e la dignità. Chi scrive considera che si dovrebbe distinguere tra il suicidio ( considerato atto illecito) e il suicidio terapeutico, poiché considera che la ratio dell’art. 580 cp di impedire a ognuno di fare male a se stesso sia rimasta immutata, anche se la norma punisce solo il coinvolgimento del terzo e solo per lesioni gravi o gravissime nel caso di suicidio tentato, si pensi alla sentenza della Cassazione Penale Sez V del 23 novembre 2017, n. 57503 sul caso “Blue whale Challenge”, secondo cui non è configurabile il reato di cui all’art.580 cp nell’ipotesi in cui all’istigazione non segua un suicidio consumato o tentato con lesioni gravi o gravissimi. D’altra parte ognuno resta libero di gettarsi da una finestra, di annegare, di impiccarsi o semplicemente di tentare il suicidio in quanto istigato purchè le lesioni provocate non siano gravi , pertanto la Corte Cost. ha voluto che la strada del suicidio fosse aperta anche a chi non può gettarsi da una finestra, a chi non può tagliarsi le vene, perché difetta nelle possibilità ma non nella volontà del gesto. La deliberazione del suicido assistito si porrebbe in conformità anche con la legge 219/17 nella parte in cui riconosce il diritto di rinunciare ai trattamenti salvavita, agli strumenti di sostegno artificiale e all’alimentazione e idratazione artificiale, ma soprattutto è aderente al principio di dignità di provvedere alla propria morte, che è il fulcro della questione, perché non vi è differenza tra staccare un respiratore o agevolare la somministrazione di un farmaco letale, in entrambi i casi si è voluto partecipare materialmente al processo di morte, ma forse consentendo all’ interessato di scegliere la modalità attraverso cui congedarsi dal mondo, consentendo lui di appropriarsi quanto meno della morte, si riconoscerebbe allo stesso di morire con dignità.La Corte Cost. ha approvato la possibilità di darsi la morte, da intendere come libertà e mai come diritto perché un diritto può esistere solo se correlativamente viene imposto un dovere in capo a qualcun altro[52].L’art.580 cp alla luce dell’ordinanza 242/2019 suscita non pochi problemi che il potere legislativo dovrà in qualche modo risolvere, problemi che attengono al concetto di “agevolazione” al suicidio, perché ci si chiede quali tipi di condotte può mettere in atto il terzo che voglia attenuare le sofferenze di un malato facilitandone la fine: accompagnare in auto un soggetto fino alla clinica presso la quale si consumerà il suicidio assistito può considerarsi lecito? Contattare le cliniche per conto del malato al fine di praticare il suicidio assistito può dirsi lecito? Preparare la soluzione “velenosa” e indicare al paziente come ingerirla è lecito? Chi può aiutare un altro a morire?Sembra chiaro che l’ordinanza costituzionale voglia rendere lecito tutti i tipi di atteggiamenti di cui sopra, ma si rende necessario modificare nella disposizione l’art.580 cp dal momento che dalla disposizione letterale ogni tipo di condotta finalizzata a facilitare il suicidio costituisce reato, tuttavia chi scrive percepisce l’urgenza di modificare l’art.580 cp ma ne rileva anche la grande difficoltà, poiché è inconfutabile che non sarà sufficiente eliminare la locuzione “ ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione” , anzi sarebbe disastroso e si svuoterebbe la portata del reato di omissione di soccorso, ma sarebbe opportuno fissare dei limiti affinchè un’azione di altruismo non si trasformi in un’opportunità per il terzo, chi scrive ad esempio vedrebbe convenevole limitare il ricorso al suicidio medicalizzato solo a quanti sono affetti da malattia fonte di sofferenza fisica, al fine di non deresponsabilizzare le istituzioni dal garantire le cure per le sofferenze psichiche e di non spogliare il diritto alla salute inteso come diritto alla cura, nonché di disincentivare la sperimentazione scientifica.L’ordinanza della Consulta ha superato le argomentazioni della sentenza della Cassazione Penale Sez. I del 12 marzo 1998, n. 3147 secondo cui le condotte di agevolazione devono essere punibili a prescindere dalle loro ricadute sul processo deliberativo del suicida, mentre si trova in sintonia con il dispositivo del Tribunale di Vicenza del 2 marzo 2016 secondo cui chi si limita ad accompagnare in auto l’aspirante suicida presso la clinica in cui si consumerà il suicidio assistito ma non influisce sul suo proposito non integra il reato di cui all’art.580 cp.Sarebbe, dunque, auspicabile che il suicidio assistito sia circoscritto solo a motivi medici e giustificati, a differenza di quanto ha recentemente statuito la Corte Costituzionale tedesca con sentenza del 26 febbraio 2020, secondo cui ognuno è libero di disporre della propria morte e tale diritto non può essere circoscritto a determinate situazioni di salute[53].Con le modifiche opportune al codice penale si superebbe la frattura tra la concezione statalistica della vita e quella individualistica, ma soprattutto si sconfiggerebbe l’ipocrisia di tutte quelle visioni marcatamente collettivistiche e si sarebbe orientati a guardare verso la libertà di coscienza, e seguendo la riflessione canguilhemiana rispondere ad una richiesta di aiuto a morire ridisegnerebbe un nuovo rapporto tra medico e paziente[54], un rapporto più umano e meno medicalizzato in cui la medicina farebbe un passo indietro e si mostrerebbe meno onnipotente. È doveroso legiferare sul fine vita perché è inaccettabile che si debba rintracciare nel singolo caso la singola regola, occorre una regola stabile che tuteli la vita e la dignità perché proteggendo solo la prima significa considerarla per metà.
Il fine vita nelle confessioni religiose
È opportuno trattare il fine vita anche in chiave teologica poiché i valori religiosi influenzano la coscienza di ciascuno, infatti le religioni Abramitiche con la Dichiarazione congiunta del 2019 concordano nel considerare:
- L’eutanasia e il suicidio assistito sono atti moralmente inaccettabili e sono da vietare senza eccezione alcuna;
- Le opinioni sulla vita e sulla morte sono personali e rientrano necessariamente nell’obiezione di coscienza e questa va riconosciuta a tutti;
- Le cure palliative sono vantaggiose e tutelano la dignità del malato diminuendo l’intensità del dolore;
- L’assistenza spirituale è un’alleata della medicina;
- L’accanimento terapeutico è da rigettare.
Dietro le ragioni della Dichiarazione congiunta delle religioni Abramitiche vi è un obbligo religioso di salvaguardare la salute e la vita in generale[55], in quanto la vita è sacra e la vita quanto la morte sono sottratti al controllo umano, inoltre “si dovrebbe uccidere la sofferenza e non chi soffre”[56].
Una posizione più ragionevole è quella occupata dalla Chiesa Valdese,anche se storicamente l’orientamento protestante si scinde in due linee di pensiero circa le questioni che attengono al fine vita. La prima parte, quella maggioritaria, si oppone alla possibile legalizzazione dell’eutanasia e suicidio medicalmente assistito; la seconda parte invece non nega un riconoscimento sul piano morale a tali pratiche, anche solo per casi particolari e limitati.
Le due linee di pensiero condividono le seguenti argomentazioni:
a) ogni uomo ha una sua dignità, che rimane intatta anche in circostanze particolarmente sofferenti;
b) la libertà che ci è concessa non si identifica nell’autodeterminazione assoluta;
c) la vita deve essere considerata sempre come un dono e bisogna averne cura.
Le Chiese Protestanti considerano moralmente lecito sospendere o non iniziare trattamenti medici se il loro unico fine sia quello di allungare la vita biologica senza alcun margine di miglioramento della situazione concreta. E’ ammessa anche l’interruzione dell’alimentazione e idratazione nei pazienti in stato vegetativo persistente, purché abbiano anticipatamente espresso il consenso a tal proposito[57].
Complessivamente il giudizio protestante accorda un accompagnamento alla morte,ma le Chiese attribuiscono un significato diverso circa la definizione morale di eutanasia e suicidio medicalmente assistito e la loro possibile legalizzazione.
La Chiesa Anglicana d’Inghilterra assume lo stesso atteggiamento della Chiesa Cattolica, negando la legalizzazione delle pratiche eutasaniche, infatti Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury, durante un dibattito ha definito l’eventuale legalizzazione delle scelte di fine vita come “disastro”, perchè significherebbe ammettere che la vita non è sempre degna di essere vissuta.
Parimenti la Chiesa Anglicana statunitense ( Chiesa Episcopaliana) disapprova ogni atto che possa cagionare volontariamente la morte, nel contempo assevera l’importanza delle cure palliative, anche se queste possono anticipare la morte, purchè ciò avvenga come effetto indiretto e non volontario[58].
Il rifiuto da parte di chi non vuole che le pratiche eutasaniche vengano legalizzate si deve al fatto che è molto avvertita la distinzione tra uccidere e lasciar morire, sia dal punto di vista etico che da quello morale e giuridico. Inoltre si presuppone che il ricorso alle cure palliative possa scoraggiare la richiesta di essere aiutato a morire e, infine si ha timore che quello che dovrebbe essere inteso come “diritto a morire ” potrebbe condurre ad un abuso.
Tuttavia si assiste ad un’ apertura non tanto verso l’accettazione vera e propria della legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio medicalmente assistito, piuttosto si incoraggia un confronto e si induce la politica a prendere una posizione.
La Commissione Bioetica delle Chiese Battiste Metodiste e Valdesi ha adottato un’impostazione vicina a quella olandese ed è così riassumibile:
– eutanasia e suicidio medicalmente assistito non devono necessariamente essere confinati nell’arbitrio e nell’egoismo.
– La distinzione tra uccidere e lasciar morire non è mai assoluta.
– La vita è un bene ricevuto, ma non per questo indisponibile. Ciò non toglie che di ogni azione o omissione che incide sulla vita và reso conto a dio e agli uomini.
– Bisogna sempre considerare con precedenza la volontà del paziente, poi quella del medico e infine quella della società.
– Bisogna altresì considerare che le cure palliative alleviano quasi sempre il dolore fisico, ma questo non sempre è sufficiente per alleviare l’angoscia morale[59].
Tenendo presenti soprattutto questi ultimi due punti, per i protestanti non esistono norme etiche vincolanti e assolute, pertanto la politica non deve considerare come sovraordinato ciò che è semplicemente un principio etico. Ciò malgrado non significa scontro di posizioni tra religione e politica, si è consapevoli del fatto che esistono scelte che per quanto moralmente possano essere scorrette non sono tuttavia proibite dalla legge (si pensi al divorzio), e altre invece sono legalmente proibite ma moralmente corrette.
Dunque anche quella del fine vita è una decisione che coinvolge la fede, però il pensiero protestante è convinto che Dio non considera il sofferente, che per mettere a tacere le ferite chiede che venga data lui la morte, come un disobbediente della legge divina, ma come un debole che più che mai ha bisogno del Suo perdono.
Di fatto desiderare la morte e ottenerla, dal punto di vista etico e morale, non potrà divenire espressione superlativa della libertà di autodeterminazione, però la legalizzazione del diritto di morire potrebbe rendere concreto, secondo i protestanti, l’idea di beneficienza e di giustizia[60].
La considerazione della vita della Chiesa Valdese non è inferiore rispetto a quella delle altre chiese, ma a parere di chi scrive è una valutazione moderna che contempera libertà di coscienza, dignità e autodeterminazione.
La libertà di morire con dignità, tuttavia non può trovare impedimenti dettati da motivi religiosi, ma occorrerebbe ricorrere al concetto di laicità, laicità intesa come neutralità perché nessuna Chiesa può imporre la propria fede[61], e in questa direzione sembra orientarsi l’ordinanza costituzionale perché considera meritevole di tutela la decisione in coscienza del paziente e non intende invaderla con il diritto[62].
Ordinamenti giuridici a confronto: sistemi permissivi e proibitivi
La realtà internazionale attuale riconosce la validità delle disposizioni anticipate di trattamento poichè sono dirette a valorizzare l’autonomia decisionale del paziente, grazie alla quale questi può sottoporsi o rifiutarsi di sottoporsi alle cure mediche e allo stesso modo diviene parte attiva nel rapporto medico-paziente.
I sistemi normativi si possono distinguere in due grandi categorie: a) sistemi permissivi; b) sistemi proibitivi.
Il principale Paese permissivo è il Lussemburgo, che con legge del 16 marzo 2009, n.46 ha aperto al suicidio assistito e all’eutanasia attiva volontaria, fornendone la definizione all’articolo 1, cosicché l’eutanasia è quell’atto medico diretto a procurare la morte della persona che ne ha fatto richiesta espressa e volontaria; il suicidio assistito invece è l’atto medico con cui si fornisce una sostanza letale a chi ne ha fatto richiesta in modo espresso e volontario .
Le condizioni che devono ricorrere al fine di praticare l’eutanasia o il suicidio assistito sono :
– il richiedente deve essere maggiorenne;
– deve esserci la capacità di discernimento del richiedente;
deve persistere una sofferenza fisica o mentale senza prospettiva di miglioramento.
La pratica del medico che provoca l’eutanasia volontaria consensuale o il suicidio assistito è considerato atto medico purchè si attenga alle condizioni fissate dalla legge, pertanto non sarà perseguito nè penalmente nè civilmente. Il medico, tuttavia deve inserire per iscritto nella cartella clinica del paziente tutte le modalità e le condizioni in cui ha agito, al fine di agevolare le operazioni di controllo tenute da una apposita commissione, che è chiamata a scongiurare ogni forma di abuso o deviazione delle condizioni fissate[63].
Si potrebbe annoverare anche l’esempio belga, che considerando il corpo separato dal soggetto titolare e appoggiando la tesi disponibilista del corpo, dal 2002 il Belgio si è dato una legge all’avanguardia sul fine vita e dal 2014 ha acconsentito a praticare l’eutanasia anche sul minore, al ricorrere di dette condizioni:
– patologia o condizione fisica che conduce alla morte;
– capacità di discernimento accertata da uno psichiatra infantile:
– consenso di entrambi i genitori.
La sola sofferenza mentale in Belgio non viene considerata al fine dell’atto eutasanico.
La legge belga consente di praticare l’eutanasia solo al medico, lasciando questi nella piena discrezionalità nel decidere le modalità con cui far giungere il paziente a morte, con consenso di questi.
La valutazione della sofferenza fisica o mentale è rimessa al solo paziente e non necessariamente i due tipi di sofferenza devono coesistere, pertanto possono accedere all’eutanasia chi ha subito la perdita della dignità, chi ha timore di perdere l’autonomia fisica, mentre è esclusa per i depressi.
La richiesta di eutanasia deve essere seria e persistente, per tale ragione viene sentito un altro medico, che deve valutare se esiste un’alternativa per alleviare la sofferenza, e in ogni caso tra la richiesta e la pratica eutasanica deve intercorrere almeno un mese per permettere un eventuale pentimento. La morte avvenuta attraverso eutanasia è considerata quale morte naturale per gli effetti civili[64].
In Canada il 17 giugno 2016 è entrato in vigore il “Medical Assistance in Dying Act”, che ha introdotto alcune sezioni nel codice penale canadese con cui si è legalizzato a certe condizioni il suicidio medicalmente assistito[65].Già nel 2015 la Corte Suprema canadese pronunciandosi sul caso Carter.C. Canada, aveva rilevato che non vi è alcuna distinzione tra la sospensione delle cure salvavita e il suicidio assistito, includendo quest’ultimo tra i diritti fondamentali della persona[66].
Nel 2016 con la legge Bill C14, il Canada ha stabilito che “Nessuna persona commette reato se pone in atto una qualsiasi condotta, su richiesta esplicita di un’altra persona, per lo scopo di aiutare questa persona ad auto-amministrarsi sostanze che sono state prescritte come parte del processo di assistenza alla morte”[67].
Tuttavia il suicidio assistito è ammesso solo in presenza di una richiesta seria e al ricorrere dei seguenti requisiti :
– il richiedente deve essere maggiorenne;
– la richiesta deve essere sottoscritta da due testimoni che non abbiano alcun interesse materiale alla morte del richiedente;
– due medici esterni sono chiamati a controllare il rispetto delle condizioni ed eventualmente redigere parere favorevole.
Per consentire al richiedente di riflettere ed eventualmente di revocare la richiesta, il suicidio assistito deve avvenire almeno dieci giorni dopo la richiesta[68].
Nei sistemi proibitivi, ma solo per alcuni versi, vi rientra la Svizzera, che proibisce l’eutanasia attiva diretta, mentre ammette l’eutanasia passiva intesa come la rinuncia ad avviare o a continuare le terapie salvavita.
Il codice penale svizzero con l’articolo 115 non punisce espressamente chi aiuta un terzo a suicidarsi in assenza di fini egoistici. In sostanza in Svizzera è ammesso il suicidio assistito, che consiste nel recuperare la sostanza letale, che il malato prenderà da solo e senza aiuto alcuno[69].
Secondo le direttive medico-etiche elaborate nel maggio 2018, il suicidio assistito è ammasso alle seguenti condizioni:
– il paziente deve essere capace di discernimento;
– il desiderio di morire deve essere persistente, meditato, spontaneo e personale;
– vi deve essere una sofferenza insopportabile;
– sono state tentate delle alternative ma sono fallite;
– il medico sulla base di vari colloqui con il paziente ritiene comprensibile il desiderio di morire.
Le direttive svizzere del 2018 sono molto vaghe, infatti si limitano a prevedere la capacità di discernimento, ma nulla dicono circa la maggiore età del paziente; allo stesso modo non indicano in modo chiaro quale tipo di sofferenza si prende in considerazione, se quella fisica, quella mentale o se debbano coesistere[70].
Merita segnalare come la Svizzera acconsente a concedere il suicidio “altruistico” anche ai non cittadini, avviando cosi una migrazione di chi desidera la morte verso quelle cliniche come “Dignitas” adibite a praticare il suicidio assistito.
In Germania sono ammesse due forme di aiuto a morire ( sterbehilfe): un aiuto a morire passivo, che si estrinseca nel rifiuto da parte del paziente di sottoporsi ai trattamenti sanitari; un aiuto a morire indiretto, consentito nei confronti del malato terminale e la giustificazione andrebbe ricercata nel fatto che è molto meglio vivere un giorno in meno che un giorno in più se le sofferenze sono troppe[71].
In verità prima del 2015 il codice penale tedesco non prevedeva la disciplina del suicidio assistito, anno in cui è entrato in vigore l’art. 217 STGB che prevede “ Chiunque, con l’intenzione di favorire l’altrui suicidio, offre, procura o trasmette l’opportunità in forma commerciale, anche in forma di intermediazione, è punito con pena detentiva fino a tre anni o con pena pecuniaria. In qualità di compartecipe è esente da pena chi agisca in modo non commerciale e sia o parente della persona favorita di cui al comma 1, oppure legata ad essa da stretti rapporti”.
È evidente che l’intento del legislatore del 2015 non era quello di criminalizzare l’aiuto al suicidio in tutte le sue forme, ma solo quell’aiuto che presentasse il carattere della commercialità intesa come condotta esercitata in modo continuativo e professionale.
La Corte Costituzionale tedesca nel febbraio 2020 ha pronunciato la incostituzionalità dell’art. 217 STGB, perché anche se la portata della disposizione mira a punire solo la condotta del terzo agevolatore, difatti impedisce all’interessato di giungere a morte, e in questo la Corte ne ha ravvisato la lesione del diritto all’autodeterminazione considerato come diritto cardine. La sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito il principio secondo cui l’accesso al suicidio assistito costituisce diritto della personalità che non può essere sacrificato, e non può essere circoscritto a determinati motivi di salute. Tuttavia la Corte Cost. ha solo pronunciato il principio, ma ha rimesso la questione al legislatore, che dovrà legiferare considerando che mai il terzo potrà essere obbligato ad agevolare il suicidio assistito [72].
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Note
[1] Eluana Englaro inseguito ad un incidente stradale ha vissuto in coma vegetativo per ben 17 anni, inseguito a una travagliata vicenda giudiziaria si è provveduto alla interruzione della nutrizione artificiale, causa di morte naturale.
[2] Piergiorgio Welby era affetto da distrofia fascioscapolomerale, che lo costrinse per molto tempo a respirare con il respiratore artificiale. Le atroci sofferenze lo spinsero a chiedere la sospensione della respirazione artificiale e la sedazione profonda per non soffrire ulteriormente; la sospensione fu effettuata dal dott. Riccio, a carico del quale si svolse una lunghissima vicenda giudiziaria.
[3] Alfie era un bambino affetto da una rara encefalopatia epilettica pediatrica, definita dai medici incompatibile con la vita e per tanto i giudici di Liverpool autorizzarono il distacco della ventilazione artificiale nonostante il diniego dei genitori.
[4] Noa era una diciassettenne olandese affetta da disturbi psichici, nella qualità di anoressia e autolesionismo, causati da due stupri. Poiché la sua richiesta di essere aiutata a morire non è stata mai esaudita, si è lasciata morire di fame e di sete.
[5] Gian Maria Comolli, Bioetica e fine vita,pp.281 consultabile in www.gianmariacomolli.it>PDF
[6] P. Antonio Riccio, Bioetica: eutanasia-Filosofico.net, rinvenibile in www.filosofico.net
[7] v. il “Dialogo di Tristano e di un amico” di Giacomo Verri in giaco verri.wordpress.com
[8] M. Bollati, Come può la morte essere sorella? Consultabile in www.sanfrancescopatronoditalia.it
[9] I. Cianciosi, La morte nella letteratura contemporanea- da Kundera a Delillo, 2017 in www.ilcartello.eu
[10] S. Valesini, Come è cambiata la definizione di morte?- Wired, 2019 in www.wired.it
[11] G. Giusti, L’eutanasia. Diritto di vivere,diritto di morire. Edizioni Cedam, Padova,1982, pp.62ss
[12] M. Olivetti, Appunti per una mappa concettuale sul diritto alla salute nel sistema costituzionale italiano, in Metodologia Didattica e Innovazione Clinica – Nuova Serie, 2004, 3, § 5 in fine.
[13] F. Viola, Società Multietnica,Bioetica e Diritto, in “Per la Filosofia”, 15, 1998, n.42, pp.94.
[14] Linee guida per l’accertamento del danno psichico e da pregiudizio esistenziale, in www.Altalex.com
[15] Art. 5 CC “ Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”.
[16] D. Corea, Sterilizzazione Tubarica, in www.aogoi.it
[17] F. G. Pizzetti, Alle frontiere della vita: il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione della persona, Giuffrè Editore, 2008, pp.78ss.
[18] A. Venanzoni, Il corpo come conflitto: fine vita e diritto costituzionale verso un orizzonte biopolitico, in Riv. Giurisprudenza penale in www.giurisprudenzapenale.comPDF
[19] G. M. Comolli, Bioetica e fine vita, p. 281 consultabile in www.gianmariacomolli.it>PDF
[20] Comitato Nazionale per la Bioetica, Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico, 24 ottobre, p.9, in bioetica.governo.it
[21] Renato Balduzzi, Diritto alla vita e diritto alla salute: convergenze parallele?, p.1, in www.meic.net
[22] M. Meccarelli, P. Palchetti, C. Satis, Il lato oscuro dei Diritti Umani.esigenze emancipatorie e logiche di dominio nella tutela giuridica dell’individuo, Univeridad Carlos III De Madrid, 2014, p.31, in e-archivio.uc3m.es
[23] La dignità dell’uomo quale Principio Costituzionale. Quaderno predisposto in occasione dell’incontro trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, spagnola e portoghese. Roma, Palazzo della Consulta, 30 settembre-1 ottobre 2007, a cura di M. Bellocci e P. Passaglia.
[24] Roberto Bin, La libertà sessuale e prostituzione (in margine alla sent.141/2019). Forum di Quaderni Costituzionali in Rassegna in www.forumcostituzionale.it
[25] A.Massaro, L’omicidio del consenziente e l’istigazione o aiuto al suicidio. La rilevanza penale delle pratiche di fine vita. Riv. Giurisprudenza Penale.
[26] Roberto Bin , op.cit
[27] Cristina Levorato, Aspetti giuridici della dignità umana nell’orizzonte della disabilità. In
www.giurcost.org
[28] Tommaso Scandroglio, Diritto a morire: tesi giuridiche a confronto, p.8 consultabile in
www.legislazionepenale.eu
[29] Nicola Colaianni, L’Europa e i migranti:per una dignitosa libertà (non solo religiosa) .
StatoeChiese.it
[30] La dignità della persona in carcere. Dispense ISSPn.4 (settembre2013), in Ministerodella Giustizia
[31] Marco Ruotolo, Dignità e carcere. In Dirittopenitenziarioecostituzione.it
[32] La dignità della persona in carcere. Dispense ISSPn.4 (settembre2013), in Ministerodella Giustizia
[33] Barbara Malvestiti, Criteri di non bilanciabilità della dignità umana,pp.125-132
Docplayer.it
[34] L. E. Perriello, L’autonomia negoziale nel fine vita, Corte Costituzionale stage2015, gennaio 2016, p.7-8,in www.cortecostituzionale.it
[35] M. E. Florio, L’obiezione di coscienza: diritto garantito o irragionevole ostinazione? Riflessioni a margine del recente intervento normativo in materia di “disposizioni anticipate di trattamento” , p.26-34 e ss, in www.giurisprudenzapenale.com
[36] E. Canale, I. Del Vecchio, La (mancanza di una ) clausola di coscienza nella legge italiana sul fine vita, pp. 1ss, nella Riv. Giurisprudenza Penale in www.giurisprudenzapenale.com
[37] Così lo ha definito la Corte Costituzionale con la sentenza n.467 del 1991
[38] V. Nardi, Consenso informato e responsabilità medica, in Salvis Juribus www.salvisjuribus.it
[39] M. Foglia, Consenso e cura. La solidarietà nel rapporto terapeutico. G. Giappichelli Editore-Torino 2018,p.19
[40] D. Bilotti, Resistere al contagio, p.85, in www.windogem.it
[41] “Dopo di noi”, amministratore di sostegno, gli strumenti per sostenere le fragilità sociali. Consiglio Nazionale del Notariato, in www.notariato.it
[42] C. Di Costanzo, “Rifiuto delle cure “salvavita” e amministrazione di sostegno. Osservazioni alla sentenza della Corte Costituzionale n. 144/2019,p.13 in www.dirittoesalute.org
[43] Sentenza sul caso Englaro n.21748 del 2007, con la quale la Cassazione ha stabilito che “ove il malato giaccia da moltissimi anni in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino naso gastrico che provvede alla sua nutrizione e idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario, solo in presenza di tali presupposti:
- La condizione di stato vegetativo è irreversibile e non vi sia alcuna possibilità di ripresa della coscienza
- L’istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincimenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vitae dai suoi convincimenti, corrispondenti al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona.
[44] Art. 147 CC
[45] C. Di Costanzo, Il dissenso alle emotrasfusioni a benefici odi una minore. Considerazioni in calce a un provvedimento del giudice tutelare del Tribunale di Firenze, p.21, in www.dirittoesalute.org
[46] G. Rocchi, Licenza di uccidere. La legalizzazione dell’eutanasia in Italia. Edizioni Studio Domenicano, Bologna, p.72-74
[47] M. Noccelli, La cura dell’incapace tra volontà del paziente, istituti di tutela ed organizzazione del servizio sanitario, p.6 in www.federalismi.it
[48] M. Di Masi, Il fine vita, Ediesse, 2015, Roma,p.149
[49] C. Tripodina, Quale morte per gli “immersi in una notte senza fine”? Sulla legittimità costituzionale dell’aiuto al suicidio e sul “diritto a morire per mano d’altri”.p.4-7, in www.biodiritto.org
[50] Corte Costituzionale 25 settembre 2019 n.242, in www.giurcost.org
[51] N. Colaianni, “Incostituzionalità prospettata e causa di giustificazione dell’aiuto al suicidio: novità nella continuità”, p.9, in www.statoechiese.it
[52] C. Tripodina, Non possedere più le chiavi della propria prigione. Aiuto al suicidio e Costituzione tra libertà, diritti e doveri,p. 2, in www.biodiritto.org
[53] N. Colaianni, L’aiuto al suicidio tra Corte Costituzionale 242/19 e BundesVerfassungsGericht 26 febbraio 2020, in www.statoechiese.it
[54] G. Brindisi, Il diritto di morire in George Canguilhem. Analisi e critica di un caso problematico, p.15, in www.dirittoequestionipubbliche.org
[55] Dichiarazione Congiunta delle Religioni monoteiste Abramitiche sulle problematiche del fine vita, città del Vaticano, ottobre 2019.
[56] Espressione utilizzata da Rav Steinberg durante una conferenza tenutasi in Vaticano.
- Stato e Chiesa nell’età dei diritti di Nicola Colaianni/2017 in www.questionegiustizia.it
[57] La riflessione delle Chiese Protestanti europee sull’eutanasia. Ragusa, maggio 2017 in media.aiom.it
[58] A. Speciale,L’eutanasia nelle Chiese Cristiane, Micromega n.4, maggio 2013 in www.italialaica.it>news>rassegnastampa
[59] La riflessione delle Chiese Protestanti europee sull’eutanasia. op. cit.
[60] Scuola medica Salernitana come punto di incontro tra culture: passato e presente. Pp.21ss In www.synergicomunicazione.it>
[61] C. Del Bò, Il rapporto tra laicità e neutralità: una questione concettuale? In www.statoechiese.it
[62] N.Colaianni, op.cit p.25
[63] M. Di Masi, La giuridificazione della relazione di cura e del fine vita. Riflessioni a margine della legge 22 dicembre 2017,n.219. Riv.di Diritti Comparati in www.diritticomparati.it
[64] B.Dentamaro, “Il Belgio: caso più unico che raro”, Riv. Giurisprudenza Penale Web in www.giurisprudenzapenale.com
[65] O.Polipo, La legalizzazione del suicidio assistito in Canada: quando i poteri costituzionali sono complementari.Riv. Diritto Penale Contemporaneo in www.penalecontemporano.it
[66] S. Apa, Scelte di fine vita. Il caso Lambert, Key Editore, 2017, Vicalvi (FR), pp.53
[67] Il senato canadese approva la legge sull’eutanasia in tempo per le vacanze estive. 18 giugno 2016, www.prolife.it
[68] O.Polipo, op cit, pp17
[69] P.Passaglia, Decisioni di fine vita ed ausilio al suicidio. ( con i contributi di C.Guerrero Picò, S. Pasetto, M.T.Rorig,C.Torrisi), settembre 2018, pp.177 ss. in www.cortecostituzionale.it>PDF
[70] Direttive medico-etiche. Come confrontarsi con il fine vita e il decesso approvate dal Senato dell’ASSM il 17 maggio 2018.
[71] F. Camplani, Diritto penale e fine vita in Germani. I reati di omicidio su richiesta e di sostegno professionale al suicidio nello Strafgesetzbuch., p.17, Riv. Giurisprudenza Penale Web in www.giurisprudenzapenale.com
[72] N. Fiano, Il diritto alla dignità nel “fine vita” : la storica e recentissima pronuncia del BVerfG in tema di suicidio assistito, in www.diritticomparati.it
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