L’avvento della Sussidiarietà orizzontale comporta la revisione del contratto sociale

Greco Massimo 15/01/09
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Nel secolo scorso lo Stato sociale si è sviluppato sulla base di una progressiva internalizzazione di intere parti del mercato produttivo nazionale, attraverso un’estensione dilatata delle attività caratterizzate come pubblico servizio; la pubblica amministrazione ha, inoltre, provveduto ad acquisire direttamente tutta una serie di attività economiche in perdita ed unità produttive in dismissione. “Al contrario dello Stato liberale, lo Stato sociale, nato sostanzialmente con l’avvento al potere di Benito Mussolini e proseguito con la Repubblica fino agli anni ’90, tende ad occuparsi di tutto e a creare condizioni di benessere in modo uniforme a partire dagli strati più bassi della popolazione limitandone però l’autonoma iniziativa”.[1]
Per questa strada, le attività svolte direttamente dallo Stato hanno raggiunto dimensioni eccessivamente complesse, conducendo a risultati di globale inefficienza ed inadeguatezza rispetto alle attese di servizio da parte del cittadino. Nella constatazione della complessiva ingovernabilità di questa struttura statale elefantiaca, pone le proprie radici la tendenza ad assegnare alla pubblica amministrazione una funzione specifica di regolazione del mercato, mantenendo per sé il ruolo di programmazione e governo di quelle attività che trovano immediato riscontro nei bisogni sociali dei cittadini, abbandonando a soggetti terzi la gestione di servizi e di funzioni.
Pregnante è stato il contributo della Chiesa arrivato con l’enciclica del ’91, Centesisum annus, in cui il Papa, diluendo la sostanziale condanna di capitalismo e comunismo emessa quattro anni prima con la Sollicitudo rei socialis, apre a una forma di capitalismo temperato, salutata anche dal Wall strett journal. “E’ un percorso che porta alla seconda metà degli anni ’90, quando il Ruini-pensiero in economia prende forma e sostanza in un contesto in cui prende piede l’idea di dare forza ai corpi sociali intermedi, applicando il concetto <<meno Stato, più società>>”.[2] Ma il principio era già stato configurato dalla Dottrina Sociale della Chiesa nel 1931 con la lettera Enciclica “Quadragesimo Anno” di Papa Pio XI la quale, tra l’altro affermava: “Come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che nelle minori e inferiori comunità di può fare”.
Le società moderne soddisfano il loro bisogno di governabilità attingendo a tre risorse: denaro, potere, solidarietà…Il potere della solidarietà, con la sua capacità di integrazione sociale, deve potersi affermare, attraverso le istituzioni e l’ampio ventaglio di una sfera pubblica democratica, nei confronti degli altri due poteri, il denaro e il potere amministrativo”.[3]
La sussidiarietà orizzontale è un rimando orizzontale alla società civile e allo stesso modo è un impiego della stessa come risorsa per l’utilità sociale e generale. Infatti, qualunque discorso sul nuovo ruolo della società civile, o sul riemergere del suo ruolo[4], trova oggi il suo ancoraggio nell’art. 118, u.c. della Costituzione, il quale dispone che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. “Allargando lo sguardo oltre i limiti dell’art. 118, si scopre che gli enti chiamati a <<favorire>> l’autonoma iniziativa dei cittadini sono gli stessi che, ai sensi dell’art. 114 costituiscono la Repubblica, sicchè si può senz’altro dire che è la Repubblica nel suo insieme ad essere tenuta a questo compito ed anzi che tale obbligo costituisce un limite negativo di carattere generale per l’azione dei poteri pubblici, di tutti i poteri, visto che il quarto comma non si riferisce alla sola amministrazione e che lo stesso dettato del primo comma è stato interpretato – dalla dottrina prima (tra i primi ad affermare l’influenza del principio di sussidiarietà sull’esercizio della funzione legislativa, De Carli, Sussidiarietà e governo economico, Milano 2002) e dalla giurisprudenza costituzionale poi -, in senso non strettamente letterale. Il che è quanto dire che non è più il privato a doversi ritagliare spazi di azione ma è il pubblico (potere e servizio) a dover giustificare, in relazione all’an e al quantum, il proprio intervento per la realizzazione di fini di interesse generale”.[5]
Una definizione unitaria del principio di sussidiarietà appare molto ardua, per la densità del contesto culturale, per la stratificazione del dato storico e per il sovraccarico ideologico del quale risultano segnate le ricostruzioni teoriche che ne sono state proposte; tanto più quando la sussidiarietà venga considerata in senso <<orizzontale>>, coinvolgendo l’impervia questione del rapporto tra pubblici poteri e autonomia dei privati”.[6]
L’applicazione del principio di sussidiarietà nella sua configurazione orizzontale si manifesta, oltre che con riferimento al terzo settore, anche con riferimento ai privati che si collocano fuori delle categorie non profit: accade così che, in taluni casi, enti pubblici, enti non profit e privati sono posti sullo stesso piano. “Il principio di sussidiarietà orizzontale, di per sé, non giustifica una discriminazione tra organizzazioni no-profit e quelle con fini di lucro”.[7]
In un quadro che si fondi sull’applicazione integrale del principio di sussidiarietà correttamente inteso, può ragionevolmente supporsi il venir meno della distinzione tra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale: infatti, la sussidiarietà non è per un verso un principio di ripartizione di competenze fra soggetti pubblici e per un altro un principio di ripartizione di compiti e competenze fra i soggetti pubblici e l’autonomia dei privati; esso è sempre e soltanto il principio ordinatore di un sistema che, ponendo al centro il cittadino nella sua dimensione singola e associata, organizza la distribuzione dei poteri, delle competenze e delle risorse in modo che la soddisfazione delle necessità e dei bisogni di quest’ultimo possa avvenire nel modo che gli risulti più vicino. Tuttavia, volendo accettare la diffusa distinzione tra le due modalità in cui si esprime l’attuazione della sussidiarietà, va rilevata, nella sussidiarietà orizzontale, la necessità di due fattori: uno soggettivo, riguardante la natura del soggetto che deve essere entità della società civile, diversa dal soggetto pubblico; ed uno oggettivo, riguardante l’attività che deve considerarsi di utilità pubblica o sociale. L’attività, inoltre, deve essere attività il cui esercizio, il potere pubblico ritenga di dover obbligatoriamente assicurare senza che sia espressamente escluso un intervento diretto dello stesso potere in quel campo. Non deve trattarsi di un’attività di utilità pubblica o sociale in senso vago e generico, occorre che il potere pubblico ritenga di doverla assicurare in un preciso e determinato ambito personale o locale; vi sono, infatti, attività ritenute di utilità pubblica o sociale che non rientrano in fenomeni di sussidiarietà, anche se gestite da soggetti privati: si tratta delle attività di pura esplicazione di diritti di libertà, quali quelle relative al settore culturale. La quantità della presenza pubblica o privata appare sostanzialmente indifferente: la presenza pubblica può essere prevalente o meno, solo potenziale e non attuale, ma non deve essere esclusa; dunque, l’attività autonoma di cittadini e gruppi non sostituisce l’attività amministrativa pubblica con un’attività privata deregolamentata, piuttosto può dar luogo ad una modalità alternativa di esercizio dell’attività amministrativa stessa. Viene così a configurarsi un approccio di tipo federalista che si proietta in una duplice dimensione: per un verso, realizzare forme di incentivazione idonee a favorire l’associazione tra enti locali, allo scopo di razionalizzare la funzionalità e l’economicità dei servizi e per altro verso, valorizzare, quali soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione dell’offerta dei servizi, i vari organismi privati, nell’ambito del modello di servizi a rete, promovendo le risorse della collettività attraverso forme innovative di collaborazione per la creazione e la gestione di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità della vita comunitaria.
Da qui, come già osservato, la transizione della forma di Stato sociale verso un sistema di welfare comunitario, dove, almeno tendenzialmente, federalismo, sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, s’intersecano a vantaggio di un’effettiva solidarietà sociale in chiave partecipativa.
Accettare il principio di sussidiarietà nel suo significato integrale, significa anche accettare il superamento di alcuni fondamenti essenziali della nostra tradizione statuale e giuridica: in primo luogo, si ha l’acquisizione di un’organizzazione sussidiaria della Repubblica, da intendersi come Stato-comunità, con conseguente coinvolgimento sia delle articolazioni istituzionali, sia delle autonomie sociali; in secondo luogo, si realizza il ribaltamento della concezione di ciò che è pubblico ed il ridimensionamento del ruolo del potere pubblico in campo sociale, giungendo alla sostanziale quasi indifferenza di una gestione dei servizi pubblici da parte di strutture pubbliche o private, a fronte di un’effettiva erogazione delle prestazioni, nonché al progressivo distacco dei suddetti servizi dall’ambito del potere pubblico ed al collegamento degli stessi con la società. Diviene, allora, possibile comprendere che nel nuovo sistema la titolarità delle funzioni pubbliche non comporta necessariamente la gestione delle stesse in capo ai poteri pubblici; nel nuovo sistema è rilevabile una conversione della titolarità pubblica in titolarità prevalentemente di governo che si esplicita, in primo luogo, nell’esercizio di funzioni di regolazione, quindi, nel riconoscimento ai singoli fruitori di un diritto di scelta fra le pluralità dei servizi offerti.
Il principio di sussidiarietà, isolato dal contesto normativo in cui si colloca, è ancora suscettibile di molteplici significati ed ha un grande livello di ambiguità. Utile appare dunque, calarlo nel contesto normativo in cui opera. Nel 1992, l’art. 1 del Trattato di Maastricht ha introdotto il principio di sussidiarietà, divenuto patrimonio ideale delle nazioni. Nel nostro Paese, comincia a farsi strada con una serie di interventi legislativi che, scavando un primo solco nel nostro ordinamento giuridico, hanno portato al suo riconoscimento anche a livello costituzionale, lasciando al legislatore attuale non più il compito di tracciare nuove strade, ma quello di percorrere strade già segnate.
 Il significato più immediato da attribuirgli va ricercato nella lettura dell’art. 4, comma 3, lett. A) della L. n. 59/97 di delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa, nel decreto legislativo 112 del 1998, attuativo del Capo I della l. 59/1997 e nella legge 265 del 1999 sulle autonomie locali, quale: “attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province ed alle Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative ed organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche” congiunto all’obiettivo politico di favorire “l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, all’autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”.
Si arriva quindi, come già detto, all’ancoraggio costituzionale attraverso la legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del titolo V° della Carta Costituzionale, che riformula l’art. 118 di quest’ultima, riconoscendo il principio di sussidiarietà, sia verticale che orizzontale, che di fatto aveva trovato spazio già nella legge 142 del 1990 di riforma delle autonomie locali (oggi confluita nel Testo Unico 267/2000).
Il graduale espresso riconoscimento del principio di sussidiarietà non vale solo in sé, per le potenzialità che reca di sviluppo e partecipazione del corpo sociale, bensì anche per quanto rappresenta, sancendo la valenza costituzionale delle ragioni prima inutilmente invocate a sostegno di un’effettiva affermazione dell’art. 2 Cost. Il pieno recupero di tali ragioni, in definitiva, pone le condizioni per uno sviluppo dell’autocoscienza delle amministrazioni locali, tale da sollecitarne la responsabilità nell’applicazione delle novità introdotte, secondo un apporto originale e capace di integrare sul piano della prassi le eventuali carenze ed incongruenze riscontrabili nelle riforme stesse”.[8]
Illuminante, per comprendere il novello principio costituzionalizzato, è l’argomentazione contenuta in una sentenza del Consiglio di Stato[9] Il C.d.S., dopo aver mutuato da Pierpaolo Donati il concetto di cittadinanza societaria[10] in forza della quale “accanto alle note categorie del pubblico e del privato, occorrerebbe distinguere la categoria del privato sociale, originaria e autonoma rispetto allo Stato e al mercato”, così si è espresso: “Il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 comma 4 cost., costituisce il criterio propulsivo in coerenza al quale deve da ora svilupparsi, nell’ambito della società civile, il rapporto tra pubblico e privato anche nella realizzazione delle finalità di carattere collettivo. Ciò trova riscontro in una visione secondo cui lo Stato e ogni altra Autorità pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale e si impegnano direttamente per la realizzazione di quelle che sono avvertite come utilità collettive, come esigenze proprie della comunità di cui fanno parte. Sotto il profilo economico, ciò si traduce nel senso che appare meno necessario impiegare risorse pubbliche là dove operano, o sono in grado di operare, i privati, mediante il ricorso a forme di autofinanziamento e/o incremento delle risorse che provengono dall’apporto disinteressato dei singoli”.
Cambiando la prospettiva del ragionamento cambia, quindi, anche l’approccio alla funzione del principio di sussidiarietà. Funzionale appare in questa sede operare almeno una distinzione tra sussidiarietà economica, quella cioè del rapporto tra i pubblici poteri e il mercato, e sussidiarietà sociale tra funzioni dei pubblici poteri ed autoorganizzazione della società civile per svolgere attività di interesse generale. “Il luogo giuridico, o il centro di gravità, nel quale i due fili si intrecciano è costituito dalla rilevanza anche economica che hanno assunto molte attività svolte o svolgibili anche dalla società civile nelle sue forme di autoorganizzazione”.[11]  
La giurisprudenza ha avuto modo di approfondire la questione osservando che l’ultimo comma dell’art. 118 Cost., con particolare riferimento al principio di sussidiarietà orizzontale, sancisce e conclude un percorso di autonomia non più collegato al fenomeno della entificazione, ma correlato più semplicemente alla società civile e al suo sviluppo democratico a livello quasi sempre volontario.[12]
Quindi, sia pure indirettamente, come rilevato dal Consiglio di Stato[13], il principio di sussidiarietà, inteso come agevolazione dei privati, determina una situazione in cui appare meno necessario impiegare risorse pubbliche. “In altri termini, la valorizzazione delle forze emergenti dalla società nelle attività di interesse generale non esclude aprioristicamente il riconoscimento di un ruolo attivo di primario rilievo anche per le amministrazioni pubbliche, essendo anzi auspicabile una collaborazione reciproca”.[14]
La nozione di sussidiarietà orizzontale è infine suscettibile di assumere due distinte significazioni: una negativa, che si sostanzia nel dovere di astensione dei pubblici poteri laddove le forze individuali e della società siano in grado di soddisfare i propri bisogni autonomamente; una positiva che implica l’affermazione di un dovere di intervento dei pubblici poteri ove gli individui e le forze sociali non abbiano la capacità di provvedere da sé alle proprie necessità. Mentre nel primo senso il principio opera come criterio di delimitazione di competenza dei soggetti pubblici a vantaggio di quelli privati, nella seconda accezione implica un’azione della pubblica autorità preordinata al sostegno e allo sviluppo delle attitudini degli individui, singoli o associati; comporta, quindi, un’attribuzione di competenza e, ad un tempo, ne definisce le modalità di esercizio. “L’art. 118, comma 4, cost. – così come, peraltro, avviene nelle norme di legge ordinaria in cui il principio di sussidiarietà orizzontale trova applicazione (articolo esemplificativo, artt. L. 15/03/1997 n. 59, 3 del D.Lgs. 18/1172000 n. 238) – valorizza soltanto il profilo positivo del detto principio, ossia quello che afferma la necessità di un intervento della pubblica amministrazione a sostegno e promozione dell’attività dei privati. De resto, il principio di sussidiarietà orizzontale non può essere letto ed applicato che in coerenza con l’ordinamento giuridico-costituzionale inteso nella sua complessità: in particolare, esso non può essere disgiunto dagli altri principi costituzionali che regolano l’attività della pubblica amministrazione, ed in particolare dal principio di <<buon andamento>> previsto dall’art. 97 cost.”.[15]
La sussidiarietà, che è percepita positivamente da una gran parte dei cittadini meridionali, può rappresentare il nuovo strumento su cui impegnare la politica in una prospettiva che, superate le divisioni di parte e l’autoreferenzialità, tenga conto di chi ogni giorno nelle mille difficoltà, costruisce e crea benessere per il Mezzogiorno”. Ne è convinto il Responsabile del Dipartimento Ricerca di Fondazione per la Sussidiarietà Carlo Lauro. Tuttavia non si può non prendere atto delle diverse correnti di pensiero ancora esistenti sull’argomento. L’orientamento della giurisprudenza citata è infatti sintomatico di un modo non maturo di concepire la sussidiarietà. Ne è convinto lo stesso Pierpaolo Donati secondo cui “In Italia il principio di sussidiarietà è completamente stravolto, interpretato alla rovescia: non è lo Stato che aiuta la società civile a fare quelle che deve fare, ma è lo Stato che si fa aiutare dalla società civile a fare quello che deve fare. Nel caso delle famiglie, ad esempio, l’attivo della cassa degli assegni familiari viene speso per colmare il disavanzo dell’Inps, dunque lo Stato preleva dalle famiglie più di quanto dà”.[16]
Insomma, per Donati, la sussidiarietà è correttamente applicata solo se Stato e società fanno la propria parte e non per colmarsi reciprocamente le rispettive lacune. Da qui la necessità di finanziare non l’offerta di servizi, ma la domanda di servizi. Per Donati bisogna cioè finanziare chi chiede i servizi, non le organizzazioni che li erogano.  
Peraltro, “Il principio della sussidiarietà, per un verso, non attribuisce al singolo la possibilità di fare quello che vuole, non è cioè il riconoscimento della signoria della volontà individuale; per altro, non è un mero espediente con cui le amministrazioni si disfano di funzioni che non hanno più interesse o la possibilità di esercitare, né, tanto meno, un modo surrettizio di favorire un singolo consentendogli l’esercizio di un’attività senza dover rendere conto dell’attribuzione”.[17]
Per Francesco Crippa Floriani, presidente della Federazione “Cure palliative” che raccoglie 56 organizzazioni non profit italiane, “so bene che andiamo verso la welfare community e non il welfare state, ma credo che per una buona applicazione della sussidiarietà orizzontale, il pubblico debba garantire i fondamentali, lasciando ai privati il compito di colmare, in via transitoria, le lacune più gravi e offrire servizi aggiuntivi”.[18]
Stato e società civile devono quindi revisionare il contratto sociale rivedendo l’entità e le rispettive responsabilità degli impegni fin qui assunti. “Importante, a tal fine, è trasformare il principio di sussidiarietà da obiettivo a strumento per la realizzazione del nuovo contratto sociale”.[19]
 I governi devono dimostrare non solo di avere recepito il principio, ma di praticarlo nel quotidiano agire istituzionale. “E’ compito della politica, quindi, occuparsi anche di questo, attraverso quotidiane azione pedagogiche finalizzate a valorizzare la sussidiarietà orizzontale, ad incentivare la partecipazione tra e nei corpi intermedi, abituando il cittadino, fin dall’età scolare, ad autogovernarsi ed a autocontrollarsi”.[20]
 
 
Massimo Greco
 

[1] Massimiliano Mancini, “La sussidiarietà nel rapporto stato-centrale-autonomie locali autonomia e federalismo, un dibattito da riaprire”, Diritto.it. 14/12/2006.
[2] Carlo Marroni, “Ruini e la sussidiarietà:<<Meno stato, più società>>”, Il Sole 24 Ore, 08/03/2007.
[3] J. Habermas, “L’ottantanove e il futuro del socialismo occidentale”, Micromega, 1990.
[4] La panoramica storica disegnata da Antonio Padoa Schioppa porta ad utilizzare il termine riemersione piuttosto che emersione della società civile, se si va a indagare cos’era la società civile nel Duecento e nel Trecento.
[5] Maria Agostina Cabiddu, contributo alla presentazione del libro di Paolo Carli “L’emersione giuridica della società civile” pubblicato su Amministrazione in Cammino, novembre 2008.
 [6] Sandro Staino, “La sussidiarietà orizzontale: profili teorici”, Federalismi.it, 09/03/2006.
[7] G.U. Rescigno, “Lo Stato sussidiario?”, incontro organizzato dall’Associazione S. Martino, ottobre 2001, Lecce.
[8] Vincenzo Tondi della Mura, “Sussidiarietà ed enti locali: le ragioni di un percorso innovativo”, Federalismi.it, n. 20/2007.
[9] Cons. di Stato Atti norm., 6/03/2002, n. 1354.
[10] Pierpaolo Donati, “La cittadinanza societaria”, Laterza, Roma-Bari, 1993.
[11] Sandro Amorosino, contributo alla presentazione del libro di Paolo Carli “L’emersione giuridica della società civile” pubblicato su Amministrazione in Cammino, novembre 2008.
 [12] Cons. di St., Sez. Cons. per gli atti normativi, 25/08/2003, n. 1440/2003.
[13] Cons. di Stato, sez. cons. atti normativi 1354/2002.
[14] Renato Cameli, “Cerulli Irelli e la sussidiarietà”, recensione della Voce “sussidiarietà” della Treccani. 12/02/2007.
[15] Tar Sardegna, Sez. I°, Sent. n. 2407/2007.
[16] Pierpaolo Donati in Orazio Vecchio, “Capovolgere la sussidiarietà all’italiana aiutando chi chiede servizi non chi li eroga”, La Sicilia, 09/04/2008.
[17] Lucio Franzese, contributo alla presentazione del libro di Paolo Carli “L’emersione giuridica della società civile” pubblicato su Amministrazione in Cammino, novembre 2008.
[18] Cristiano dell’Oste, “Stanziati ma da spendere”, Il Sole 24 Ore, 21/08/2006.
[19] Sebastiano Bavetta, “Riforme, si parta dal merito”, Il Sole 24 Ore, 22/10/2005.
[20] In tal senso, sia consentito il rinvio a Massimo Greco, “Un Impegno Pubblico Vol. II°”, NovaGraf, dicembre 2006.

Greco Massimo

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