L’attività negoziale della P.A. all’alba del nuovo Codice dei Contratti

Paola Romito 27/07/16
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La complessa opera di rinnovazione e modernizzazione che da qualche decennio sta investendo la P.A. a tutto tondo, trova una delle sue manifestazioni più esponenziali nella caduta di quella storica barriera che rigidamente separava l’attività pubblicistica da quella privatistica. Si assiste, infatti sempre più di frequente all’apertura da parte del diritto amministrativo all’utilizzo di strumenti di diritto privato nell’ordinaria regolamentazione pubblicistica, tesa al perseguimento dei fini istituzionali.

Tale evoluzione è plasticamente stigmatizzata dall’art. 1 co. 1 bis della L. n 241/90 che, superando le precedenti impostazioni che ravvisavano una sorta di capacità di diritto speciale privato solo se facoltativizzate da specifiche disposizioni, la erigono a principio generale, come tale svincolato da una necessaria e puntuale previsione normativa.

Si assiste, pertanto, al riconoscimento di un’autonomia negoziale anche in capo al soggetto pubblico ed alla conseguente possibilità  di porre in essere contratti atipici ex art. 1322 co.2 c.c.

In tale prospettiva si viene, altresì, a delineare la cd. negoziazione della funzione amministrativa, alternativa all’utilizzo dello strumento procedimentale e del provvedimento unilaterale, di cui costituiscono l’esito di un percorso gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento ex art. 11 L. n. 241/90 nonché gli accordi tra pubbliche amministrazioni previsti dall’art. 15 della stessa legge.

L’autonomia privata della P.A., però, deve in ogni caso ispirarsi a quei canoni di legalità, imparzialità, e tutela del terzo che connotano l’azione pubblica, da cui consegue un potere di autonomia privata limitato e funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico secondo i principi di doverosità e continuità ad esso sottesi.

Nel settore degli appalti pubblici la centralità ed il coinvolgimento di plurime istanze pubblicistiche ha indotto il legislatore nazionale a prevedere delle regole uniformi e generalizzate che consentissero una più rapida e semplificata procedura di contrattazione. A tal fine era stato introdotto l’art. 3 del R.D. n. 2440/1923 in base al quale si prevedeva una diversa procedura a seconda che derivasse un’entrata ovvero una spesa per lo Stato.

La necessità di operare all’interno di un  mercato libero e concorrenziale ha, in seguito, indotto il legislatore comunitario a pretendere una regolamentazione uniforme delle procedure ad evidenza pubblica attraverso le direttive 2004/17 e CE 2004/18 CE, recepite nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 163/06, oggi sostituito dal d.lgs. n. 50/2016 di attuazione delle direttive 2014/23, UE 2014/24 e UE 2014/25 UE.

Nello specifico, il vecchio codice così come il nuovo, disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere. Viene, in sostanza, procedimentalizzata l’attività di contrattazione pubblicistica, finalizzata alla stipula di un contratto privatistico di appalto o di concessione. Il nuovo codice, a dir il vero, si preoccupa in modo più significativo del precedente della concessione, dedicandovi l’intera parte terza, ferma restando per tutti i contratti esclusi dal codice, l’applicazione dei principi di rango costituzionale e comunitario in esso richiamati dall’art. 4 (vecchio art. 2).

Concessione e appalto si caratterizzano per la diversa allocazione del rischio, integralmente ricadente sul concessionario nel primo caso e indifferente invece nell’appalto; per il corrispettivo corrisposto dalla P.A., concretizzantesi nella facoltà di erogare il servizio all’utenza e conseguentemente di trarre da quest’ultima un ristoro economico nella concessione, diversamente dall’appalto in cui il corrispettivo predisposto dalla P.A. è di tipo economico e non giuridico; per l’essere, infine, la concessione un rapporto trilaterale tra P.A., concessionario e utenza, mentre l’appalto un rapporto bilaterale.

Il legislatore, in sostanza, si preoccupa di prevedere una disciplina tanto più specifica e puntuale proporzionalmente alla maggiore o minore rilevanza economica dell’attività sul mercato, consentendo il mero rispetto dei principi generali per i contratti gratuiti, passivi, nonché in base alle nuove disposizioni per i cd. appalti sottosoglia.

L’entrata in vigore del vecchio codice dei contratti pubblici ha segnato il definitivo mutamento di prospettiva e funzione sotteso alle procedure ad evidenza pubblica, in cui perde centralità l’esigenza della P.A. di contrattare ottenendo l’offerta migliore e la conseguente rilevanza solo in via indiretta e mediata degli interessi dei privati, destinata a cedere il passo al valore supremo della libera concorrenza e del mercato. Si tutela l’interesse degli operatori economici a presiedere il mercato comune, avulso da pratiche scorrette ed antieconomiche in cui, però, anche la P.A. persegue le sue finalità. Un mercato libero e funzionale consente di trarre ancora più benefici nell’espletamento dei fini istituzionali, in pieno rispetto dei principi comunitari e costituzionali, in primis con riferimento all’art. 41 e 97 Cost.

Tale radicale mutamento di scopo si riflette anche nel sistema dell’aggiudicazione, che supera il precedente e principale criterio del minor prezzo, in virtù del diverso parametro dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità prezzo, così come confermato dal nuovo art. 95.  

Nel nuovo codice dei contratti emerge ancora più nitidamente l’attenzione da parte del legislatore al rispetto dei principi di trasparenza, parità di trattamento, non discriminazione e proporzionalità ed allo stesso tempo una maggiore sensibilità ed attitudine alla selezione delle offerte, nel rispetto della legalità ed in prevenzione e repressione della criminalità.

Ciò che emerge dalle prime interpretazioni rese tanto dal Consiglio di Stato quanto da autorevoli commentatori, alla luce del recente codice degli appalti approvato con d.lgs. n. 50/2016, è una maggior attenzione nei criteri di selezione soggettiva.

Si evidenzia il passaggio da un sistema statico, in cui i requisiti soggettivi cd. morali ed etici venivano valutati al momento della presentazione della domanda, ad un modello elastico, flessibile e dinamico in cui si opta per una valutazione di requisiti di legalità e di eticità ulteriori.

A tal fine il Consiglio di Stato ha precisato non sussistere il divieto del gold plating, che impedisce al legislatore nazionale di disporre e mantenere livelli di regolazione superiore a quelli imposti dalle direttive, nella nuova formulazione dell’art. 83, in cui si introduce lo strumento flessibile del rating di impresa,  in base al quale l’impresa viene qualificata sulla base di atti formali ed elementi ulteriori, la cui determinazione è rimessa all’ANAC in collaborazione con l’AGCM.

Trattasi, in sostanza, di una sorta di certificato di attendibilità in cui si tiene conto anche dei precedenti comportamentali genericamente intesi e dell’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione, sia in fase di esecuzione del contratto.   

Si segnala, poi, la previsione del nuovo documento di gara unico europeo redatto in conformità al modello approvato dalla Commissione europea e consistente in un’autodichiarazione aggiornata come prova documentale preliminare in sostituzione dei certificati rilasciati da pubbliche autorità o terzi, in cui si conferma che l’operatore economico soddisfa determinate condizioni.

Merita, infine, un approfondimento la nuova disciplina del soccorso istruttorio.

Inizialmente visto con sfavore, quale forma surrettizia di disapplicazione della lex specialis di gara, non era consentita la sua applicazione nelle procedure ad evidenza pubblica nel rispetto dei principi della par condicio e dell’autoresponsabilità, predicando inoltre la necessità del possesso dei requisiti dal momento della presentazione della domanda.

Tale istituto, che trova un suo corrispondente generico nell’art. 6 co. 1 lett. b) della L. n. 241/90, dal quale si discosta per talune peculiarità giustificate dal settore di competenza, è stato poi recepito nel codice dei contratti pubblici all’art. 46, modificato dall’introduzione del co. 1 ter e dall’introduzione dell’art. 38 co. 2 bis ed oggi confluito nel nuovo art. 83 co. 9 del codice appalti.

Il nuovo soccorso istruttorio, mediante una regolamentazione per il vero non cristallina, prevede la sanabilità di qualsiasi elemento formale della domanda e, nello specifico, la mancanza, l’incompletezza ed ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo con esclusione di quelle afferenti all’offerta tecnica ed economica.

In quest’ipotesi è prevista l’assegnazione di un termine non superiore a 10 giorni per tale regolamentazione, previa corresponsione di una sanzione pecuniaria predeterminata, non dovuta invece per le irregolarità formali ovvero per mancanza o incompletezza di dichiarazioni non essenziali, per le quali permane, però, l’obbligo di regolarizzazione.

È poi previsto che in caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione o in caso di irregolarità  essenziali  non sanabili, il concorrente è escluso dalla gara; nonché in caso di carenze di elementi sostanziali, come di recente affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in tema di preavviso di rigetto del DURC negativo.

A ben vedere, il soccorso istruttorio si può annoverare tra quegli strumenti di semplificazione e partecipazione procedimentale che, anche in un’ottica di deflazione del contenzioso, mirano a realizzare quel disegno unitario di buona amministrazione a cui si ispirano le plurime e recenti riforme legislative.

Concludendo è possibile affermare che, in disparte i benefici derivanti dalle plurime innovazioni disposte nell’ottica di un’armonizzazione del diritto amministrativo nazionale con i principi comunitari, l’ipertrofia normativa che deriva da queste radicali riforme rischia di creare confusione e difficoltà pratico-applicative principalmente nelle ipotesi in cui si assista, seppur transitoriamente, alla permanenza di una doppia normativa, come nel caso delle procedure ad evidenza pubblica.

A tal fine risulterà necessaria una rapida ed efficiente opera di coordinamento ad opera del legislatore e della giurisprudenza, così da riordinare i vari tasselli sparsi e ricondurre ad unitarietà l’intera disciplina.

Paola Romito

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