Irrilevanza delle sopravvenienze in tema di giurisdizione e residenza abituale della minore (Nota a Cass. civ. Sez. I, ordinanza 16 maggio-11 giugno 2019, n. 15728)

Redazione 24/07/19
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di Caterina Pasini

Sommario

Riferimenti

Fatti di causa

La ratio del provvedimento

Cass. civ. Sez. I, ordinanza 16 maggio-11 giugno 2019, n. 15728

Il tribunale di Brescia, pronunciata sentenza non definitiva di scioglimento del matrimonio tra le parti, ritenuta la giurisdizione del giudice italiano, prevedeva con sentenza definitiva l’affido esclusivo della figlia nata dal matrimonio al padre; prevedeva altresì incontri protetti tra madre e figlia e poneva a carico della madre un assegno di mantenimento per la figlia. La decisione veniva confermata dalla corte d’appello di Brescia.

La madre ricorreva per la Cassazione della sentenza con quattro motivi, i primi tre dei quali riguardanti il tema della giurisdizione ed in particolare l’omesso esame di fatti decisivi a proposito (i) della residenza abituale della minore nel principato di Monaco a far data dal 2013, (ii) della ritenuta illiceità del mancato rientro di essa in Italia a seguito di provvedimento del giudice istruttore della causa di divorzio, (iii) della violazione o falsa applicazione delle convenzioni dell’Aja del 1996 e del 1961 a proposito della competenza ad adottare misure urgenti per la protezione del minore e dei suoi beni.

La madre sosteneva che la residenza abituale della minore fosse da individuare in quella fissata nel principato di Monaco a partire dal mese di settembre 2013, quando la madre era stata autorizzata dal giudice istruttore della causa di divorzio a trasferirsi con la figlia.

La corte riteneva i tre motivi inammissibili e per alcuni tratti manifestamente di infondati correggendo la motivazione del provvedimento d’appello ex art. 384 c.p.c.

A parere della corte d’appello infatti il trasferimento della madre era stato autorizzato provvisoriamente e in via sperimentale ma, con provvedimento di pochi mesi successivo, la autorizzazione stessa era stata revocata, poiché la minore era stata affidata al padre con ordine alla madre di consegnarla al genitore affidatario.

Nessun rilievo è stato dato dunque all’autorizzazione a un trasferimento solo provvisorio e sperimentale, stante che la minore non aveva mai assunto una residenza abituale nel principato di Monaco. Ai fini della giurisdizione dunque si sarebbe dovuto far riferimento, alla residenza in Brescia, esistente al momento della domanda introduttiva del giudizio di divorzio. Ha aggiunto che il mancato rientro della minore da Monaco era da considerare illecito, e dunque lo stato monegasco non poteva essere individuato quale residenza abituale della minore

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Ciò che interessa è che – come d’altronde la sentenza riferisce – la causa di scioglimento del matrimonio, nell’ambito della quale erano da assumere le statuizioni accessorie concernenti l’affidamento e la collocazione della minore, era già pendente al momento del trasferimento (della madre e) della minore all’estero.

Secondo l’art. 5 c.p.c., “la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”. Poiché la domanda relativa all’affidamento e alla collocazione della figlia minore era stata proposta nel contesto del giudizio di divorzio instaurato in data 8 agosto 2012, lo stato di fatto rilevante onde determinare la giurisdizione non poteva che essere quello anteriore alla ripetuta ordinanza del giudice istruttore, che (seppur provvisoriamente), aveva autorizzato la madre a trasferire la residenza propria e della minore nel principato di Monaco.

È principio già affermato, anche a sezioni unite, quello dell’irrilevanza delle sopravvenienze in tema di giurisdizione.

La madre, nel sostenere le proprie ragioni, aveva richiamato anche una sentenza[1], pronunciata tra le medesime parti nell’ambito del giudizio de potestate introdotto dal padre contro la madre nell’anno 2017, ai sensi dell’art. 330 c.c.

In quell’ambito, e limitatamente a quel contesto, le sezioni unite avevano affermato il principio per cui, in materia di decadenza dalla potestà genitoriale, qualora i genitori risiedano in Stati diversi, la competenza giurisdizionale deve essere individuata con riferimento al criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, il cui accertamento si risolve in una quaestio facti, con valutazione da svolgersi anche in chiave prognostica, che può essere effettuata direttamente dalla Suprema Corte sulla base dei dati emergenti dagli atti processuali, valorizzando circostanze quali la frequenza della scuola e il conseguimento di un ottimo rendimento scolastico in un determinato Stato, l’apprendimento della lingua, l’inserimento nel contesto sociale e anche la entusiasta volontà del minore di rimanere in un certo luogo, accertata mediante l’ascolto del minore medesimo.

La Corte, però, non ha ritenuto ammissibile il tentativo della ricorrente di trasporre le argomentazioni contenute nella sopraccitata pronuncia di legittimità alla diversa questione della giurisdizione sulle domande di responsabilità genitoriale accessorie a quella di scioglimento del matrimonio.

Il trasferimento a Monaco, infatti, è avvenuto in base ad un’autorizzazione successiva rispetto alla proposizione delle domande di responsabilità genitoriale momento in cui madre e figlia avevano residenza in Italia. In tale paese va individuata la giurisdizione e ciò tanto ai sensi dell’art. 3, c. 1, l. 218 del 1995, quanto ex art. 8 Reg. 2201 del 2003 secondo cui, per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, sono competenti i giudici dello Stato membro ove il minore risiede abitualmente[2].

Ebbene le sezioni unite,[3] richiamando la norma regolamentare di cui sopra, con specifico riferimento alle domande proposte nel contesto del giudizio di separazione, confermano che la giurisdizione sulle domande relative all’affidamento dei figli e al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente. Un principio che va esteso anche all’ipotesi di divorzio, nello specifico senso che, ove nel giudizio introdotto innanzi al giudice italiano siano avanzate domande inerenti alla responsabilità genitoriale e al mantenimento di figli minori, solo se i detti figli non siano al momento residenti abitualmente in Italia soccorre il criterio della residenza abituale dei minori, col fine di salvaguardare l’interesse superiore e preminente dei medesimi a che i provvedimenti che li riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo di residenza effettiva degli stessi, nonché di realizzare, così, la tendenziale concentrazione di tutte le azioni li riguardano.

Poiché le allegazioni di parte ricorrente sono sempre state nel senso opposto – che cioè la residenza del minore all’estero era sopravvenuta rispetto alla formulazione della domanda, la Corte ha dichiarato i motivi di ricorso sopraccitati inammissibili.

1) Cass. civ. Sez. un. 13 dicembre 2018, n. 32359, in Ilfamiliarista.it 15.3.2019.

2) Il concetto di residenza abituale del minore, secondo la Corte di Giustizia, va interpretato in modo autonomo alla luce di tutte le circostanze di fatto rilevanti per localizzare il luogo in cui un soggetto dimori in modo stabile e continuativo ().Con riferimento specifico ai minori, la Corte ritiene che debbano essere tenuti in considerazione indici quali la durata, la regolarità delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato Corte giust., 22 dicembre 2010, c. n. 497/10, Mercredi c. Chaffe, in curiaeuropa.eu; cfr Lupoi, La sottrazione internazionale di minori, gli aspetti processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 1, 111.

3) Cass. civ. Sez. un. 30 dicembre 2011, 30646, in Giust. civ. Mass. 2011, 12, p. 1925.

Il provvedimento in esame permette di affrontare almeno due tematiche assai interessanti dal punto di vista processuale ossia la determinazione della giurisdizione in materia di collocamento del minore e il tema del diritto del minore ad essere sentito in relazione a questioni che lo riguardano, di cui a breve.

Quanto al primo aspetto, al quadro sopra descritto si inserisce, nel caso di specie, un ulteriore elemento.

Nell’ambito del procedimento di divorzio la madre era stata autorizzata dal giudice istruttore, provvisoriamente e in via sperimentale, a trasferirsi nel Principato di Monaco. Tale autorizzazione era stata pochi mesi dopo, in uno con ogni anteriore provvedimento in tema di affido, giacchè la minore era stata affidata al padre con ordine alla madre di riconsegnarla al genitore affidatario.

La madre non aveva ottemperato all’ordine di rientro della minore, comportamento considerato illecito che ha escluso in radice la possibilità di sostenere che lo stato monegasco fosse individuabile quale residenza abituale del minore.

La madre, infatti, è permasta all’estero anche dopo la revoca del provvedimento autorizzativo da parte del giudice italiano sostenendo che tale inottemperanza non costituisse alcun illecito, tenuto conto che la condanna a suo carico per i delitti di sottrazione di minorenni e violazione dell’ordine impartito dal giudice neppure era definitiva.

Nel ricorso sono proposti altri motivi di interesse processuale tra cui il mancato ascolto delle volontà della figlia ultradodicenne.

La figlia, minore era stata sentita solo dall’autorità giudiziaria del principato di Monaco, nel contesto del procedimento de potestate. e le dichiarazioni di questa erano state recepite criticamente dalla Corte d’appello, poichè in quel momento la bimba aveva appena dieci anni e le dichiarazioni erano state fatte in un ambito peculiare di esclusione del padre.

La Corte ha osservato però che non si era provveduto a riascoltarla, onde avere conferme o smentite di quanto a suo tempo dichiarato, anche al fine di poter stabilire fino a che punto la volontà manifestata dalla minore fosse decisa e costante sulla base di una visione non alterata della realtà.

Si rammenta che nell’ambito del procedimento divorzile il figlio è portatore di interessi che si separano e si differenziano rispetto a quelli dei genitori. Ciò significa che l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario, nelle procedure giudiziarie che li riguardino, ed in particolare in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la l. n. 77 del 2003, e dell’art. 155 sexies c.c., introdotto dalla l. n. 54 del 2006, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con gli interessi superiori del minore. Costituisce, pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto che non sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne può giustificare l’omissione, in quanto il minore, portatore d’interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, in sede di affidamento e diritto di visita e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale[4].

In generale, però, l’ascolto del minore configura una forma di riconoscimento del diritto di ogni minore di esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano. Tale opinione è ormai radicata a livello interno[5] così come internazionale[6]. La corte di Giustizia[7], infatti, valorizza il diritto all’ascolto del minore quale strumento funzionale alla determinazione dei best interests e sottolinea la necessità di tenere adeguatamente conto dei punti di vista espressi dal minore quando capace di discernimento, in linea con il disposto dell’art. 12 della convenzione e con le indicazioni che promanano dal comitato dei diritti del fanciullo,

Sulla specifica prospettiva la Corte ha dunque cassato la sentenza della Corte di appello dovendo il giudice del rinvio provvedere ad ascoltare la bambina al fine più ampio e decisivo di valutarne libera volontà e verificare, nel merito, se fosse ancora attuale la già resa opzione per il suo collocamento.

4) Cass. civ., sez. un. 21 ottobre 2009, n. 22238, in Giust. civ. Mass. 2009, 10, 1471.

5) Di recente Cass. civ., 27 marzo 2017, n. 7762, in dottrina di veda Sonelli, L’interesse superiore del minore. Ulteriori « tessere » per la ricostruzione di una nozione poliedrica , in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2018, 4, 1373 ss.

6) Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori adottata nel 1996, ratificata e resa esecutiva con l. 20 marzo 2003, n. 77, nonché le linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sulla giustizia minorile adottate il 17 novembre 2010.

7) Corte di giustizia, Plaza c. Polonia, 25 gennaio 2011: « as children mature and become […] able to formulate their own opinion on their contact with the parents, the courts should give due weight also to their views and feelings as well as to their right to respect for their private life » (§ 71); M. and M. c. Croazia, 3 settembre 2015, §§ 180-181; N.Ts. e altri c. Georgia, sentenza 2 febbraio 2016, § 78 ss., in curia.europa.eu.

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