Inventario notarile dell’asse ereditario ha valore di prova sulla consistenza effettiva

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Decisione: Sentenza n. 6551/2018 Cassazione Civile – Sezione II
L’inventario redatto dal Notaio nella sua qualità di pubblico ufficiale è idoneo ad attestare l’effettiva consistenza patrimoniale del de cuius, e non è degradabile a mero atto riproduttivo delle dichiarazioni degli eredi perché scaturisce tanto dalla completezza delle dichiarazioni rese dagli stessi, quanto dalla pubblica attestazione effettuata dal Notaio.

Il caso

In una successione, la massa – formata da numerosi immobili e dalla quota di un’impresa – era stata detenuta, senza rendere il conto dell’amministrazione, da uno solo degli eredi legittimi.
Uno degli eredi proponeva domanda al Tribunale, con la quale chiedeva lo scioglimento della comunione e la resa dei conti tra gli eredi.
Il tribunale dichiarava come era composta la massa, e respingeva le altre domande delle parti, ordinando inoltre la cancellazione della trascrizione della domanda di scioglimento della comunione.
In sede di appello, ed esperito supplemento di consulenza tecnica d’ufficio, la Corte territoriale riformava parzialmente la sentenza del Tribunale e dichiarava sciolta la comunione ereditaria su alcuni beni.
Un’erede proponeva ricorso fondato su nove motivi, tra i quali la errata valutazione del valore probatorio dell’inventario redatto dal notaio, valore probatorio che la Corte di Appello riteneva nullo.

La decisione

Il Collegio ha ritenuto fondato il secondo motivo, laddove la Corte di Appello ha sottolineato testualmente che «quanto all’inventario del notaio A., va osservato che è stato redatto sulla base delle sole dichiarazioni delle parti, cosicché da detto documento non può ricavarsi alcun elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni in capo al de cuius e, quindi, in ordine alla loro appartenenza all’asse ereditario da dividere».
Sul punto, la Suprema Corte, invece, osserva: «va rilevato che, nel degradare l’inventario a documento privo di rilevanza probatoria, la Corte territoriale ha errato nel non considerare che, ai sensi dell’art. 775 cod. proc. civ., il notaio è in quella sede tenuto ad accertarsi della reale consistenza dell’asse, sicché l’inventario da lui rogato acquisisce valore di vera e propria prova sulla consistenza effettiva del patrimonio relitto»
A sostegno del rilievo, la Cassazione richiama precedenti decisioni: «Questa Corte (in materia di responsabilità disciplinare) ha affermato la natura pubblica dell’ufficio ricoperto dal notaio e la pubblica fede attribuita dalla legge agli atti dal medesimo rogati nell’esercizio della sua funzione (Cass. n. 17266 del 2015). Ed ha sottolineato che il notaio, nell’assolvimento dei compiti inerenti ad accettazione di eredità con il beneficio di inventario, opera quale ausiliario del giudice che lo ha nominato, sicché la sua eventuale designazione da parte dell’erede accettante con beneficio si configura come semplice indicazione e non come vero e proprio conferimento di incarico professionale (Cass. n. 9648 del 2000)».
Poi, ricorda che il codice di procedura civile disciplina, all’art. 775, quale debba essere il contenuto dell’inventario.
Tale disposizione va letta e coordinata con l’art. 192 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, e il Collegio osserva che «l’interpello agli eredi presenti al momento dell’inventario sull’esistenza di altri beni da ricomprendere nell’inventario non può logicamente essere svolto, da parte di chi proceda alla redazione dell’inventario, se non dopo una personale ricognizione sui beni da inventariare, risultando, altrimenti, priva di utilità la previsione di procedere all’interpello».
Da ultimo, osserva che «non può essere condivisa la tesi circa la natura di atto unilaterale a contenuto dichiarativo dell’inventario, nel quale è la parte, e non il pubblico ufficiale, a dover rendere le dichiarazioni prescritte dalla legge, giacché, quel che l’ordinamento pretende dal notaio rogante, infatti, non è la completezza delle dichiarazioni, requisito al quale deve ottemperare l’erede dichiarante, ma è la possibilità di attribuire pubblica fede alla attività da lui espletata. Sicché il notaio deve operare affinché l’atto finale risulti esente da omissioni che potrebbero minare la pubblica fiducia sulla osservanza delle procedure previste per la redazione dell’atto».
In conclusione, la Cassazione ribadisce che «l’inventario redatto dal notaio ex art. 775 cod. proc. civ. non poteva essere svalutato a mero atto riproduttivo delle dichiarazioni provenienti dai privati, e pertanto, come tale, ritenuto inidoneo a fornire alcun elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni ivi elencati in capo al de cuius, dovendo essere considerato (almeno fino a prova contraria) quale fonte privilegiata di convincimento in ordine alla ricostruzione ed all’ammontare dell’asse ereditario, al momento della apertura della successione».
Il Collegio accoglie quindi il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello per una nuova decisione.

Osservazioni

La pronuncia della Suprema Corte ribadisce che l’Inventario redatto dal Notaio, nella sua qualità di pubblico ufficiale dal quale ci si attende un elevato grado di perizia, è idoneo ad attestare l’effettiva consistenza patrimoniale del de cuius, proprio perché scaturisce tanto dalla completezza delle dichiarazioni rese dagli eredi, quanto dalla sua pubblica attestazione.
Come tale, non è quindi degradabile a mero atto riproduttivo delle dichiarazioni degli eredi.

Giurisprudenza rilevante: Cass. 17266/2015

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