Interessi moratori e disciplina antiusura – Questione rimessa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite

Redazione 03/03/20
Scarica PDF Stampa

di Alessio Antonelli*

* Avvocato

Sommario

1. Introduzione

2. Evoluzione del quadro normativo

3. Il caso che ha dato impulso all’ordinanza interlocutoria n. 26946 del 22 ottobre 2019 resa dalla Corte di Cassazione

4. Le motivazioni contenute nell’ordinanza n. 26946 del 22 ottobre 2019

5. Conclusioni

1. Introduzione

La Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 26946 del 22 ottobre scorso, ha rimesso al Primo Presidente, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, questioni di particolare importanza, relative agli interessi di mora ed al loro eventuale assoggettamento alla disciplina antiusura.

2. Evoluzione del quadro normativo

La Legge 7 marzo 1996, n. 108, recante “Disposizioni in materia di usura” ha introdotto la questione inerente all’assoggettabilità degli interessi c.d. moratori alla disciplina in materia di usura.

Detta legge è entrata in vigore in un periodo di forte abbassamento dei tassi d’interesse a livello mondiale.

La prima pubblicazione dei tassi medi trimestrali (TEGM), secondo le disposizioni della predetta legge, effettuata nel periodo ottobre – dicembre 1996[1], ha rilevato per i mutui un’applicazione media di mercato pari al 10,60% d’interesse.

Nella successiva rilevazione, effettuata nel periodo ottobre – dicembre 1998[2], il tasso medio di mercato per il mutuo è risultato essere il 5,09%.

L’Associazione Bancaria Italiana, in data 20 marzo 1997, ha emanato una circolare con cui ha raccomandato alle consociate di non adeguarsi alle nuove disposizioni sull’usura per ciò che riguarda i contratti di credito stipulati a tasso fisso o per relationem in epoca anteriore all’entrata in vigore della Legge 7 marzo 1996, n. 108.

Quest’ultima indicazione ha individuato la fattispecie della c.d. usura sopravvenuta.

Nella direzione opposta si muove, con il Decreto del 24 marzo 2000 n. 110, il Ministero del Tesoro il quale ha aperto le porte alla rinegoziazione dei mutui a tasso agevolato nei casi in cui quest’ultimo avesse superato il tasso soglia, divenendo così usuraio.

Il tasso di sostituzione, si è previsto nella disposizione appena citata, deve essere il tasso medio di mercato, comunicato trimestralmente dal Ministero del Tesoro.

Sempre nel corso dell’anno 2000 la Suprema Corte di Cassazione ha emanato tre sentenze, il cui orientamento muove verso l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c.nova facie: nessun interesse è dovuto in caso di superamento dei tassi soglia, anche nel caso dell’usura sopravvenuta.

Si tratta delle pronunce del 2 febbraio 2000, n. 1126, del 2 aprile 2000, n. 5286 e del 17 novembre 2000, n. 14899[3].

Il 4 dicembre 2000 il Ministro del Tesoro ha pubblicato sul sito web del Ministero una prima lettera del Governatore della Banca d’Italia[4] il quale ha invitato il Governo ad intervenire al fine di neutralizzare l’impatto della Legge 7 marzo 1996, n. 108, così come applicata dalla Cassazione con i predetti arresti, sull’economia delle banche.

Il 14 dicembre 2000 il Ministro del Tesoro ha diffuso sul sito web del Ministero una seconda lettera del Governatore della Banca d’Italia nella quale sono precisate le stime catastrofiche per il sistema bancario italiano nell’ipotesi si applicasse la Legge 7 marzo 1996, n. 108 secondo i canoni interpretativi stabiliti dalla Suprema Corte[5].

Nello stesso periodo l’Associazione Bancaria Italiana ha richiesto al Governo di intervenire con un provvedimento legislativo atto a neutralizzare le citate sentenze della Cassazione, annunciando che si sarebbe rivolto alla Commissione Europea per presunte violazioni delle norme comunitarie.

Il Governo, nel rispondere al sollecito dell’ABI, ha emanato il D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito nella Legge 28 febbraio 2001, n. 24, avente ad oggetto l’interpretazione autentica della Legge 7 marzo 1996, n. 108.

Con l’emanazione del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 il Governo è intervenuto al dichiarato fine di risolvere l’incertezza venutasi a creare a seguito dell’entrata in vigore della predetta Legge 7 marzo 1996, n. 108, soprattutto alla luce della citata pronuncia della Suprema Corte n. 14899/2000.

Così si evince, infatti, non solo dalle circostanze straordinarie di necessità e d’urgenza specificamente indicate nel preambolo a giustificazione dell’adozione del Decreto Legge, ma anche dalla Relazione governativa di accompagnamento del progetto di conversione, ove si legge che l’orientamento espresso dalla suddetta pronuncia “determina un’indubbia incertezza giuridica in ordine alla legittimità delle pattuizioni di interessi nei mutui a tasso fisso“, in quanto”l’interpretazione della Corte prefigura la possibilità di una «usurarietà sopravvenuta» per quei tassi che, successivamente al momento in cui furono pattuiti, divengano superiori al tasso soglia di volta in volta rilevato. Questo può accadere sia per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, sia per quelli perfezionati successivamente. Una simile interpretazione vanifica la rilevanza del tasso liberamente concordato fra le parti, lo rende incerto nel tempo, finisce per mettere in crisi l’operatività a tasso fisso“.

Al primo comma dell’articolo 1 della Legge 28 febbraio 2001, n. 24, il Legislatore – senza peraltro apportare alcuna modifica alla corrispondente disposizione contenuta nel D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 – ha stabilito che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del Codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del Codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento“.

All’esito dell’emanazione della citata Legge 28 febbraio 2001, n. 24, sia la giurisprudenza di legittimità[6] che quella di merito adottano un’interpretazione secondo la quale la legge di interpretazione autentica abroga, di fatto, la Legge 7 marzo 1996, n. 108 per i rapporti sorti prima del 1996 o la abroga tout court.

Tanto ciò è vero che moltissimi giudici di merito[7] non ammettono più il quesito per la determinazione del TEG ai sensi della Legge 7 marzo 1996, n. 108.

Il D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (e la conseguente legge di conversione) è stato sottoposto al giudizio della Consulta (Corte Costituzionale, 25 febbraio 2002 n. 29), che ne ha dichiarato la costituzionalità rispetto alle eccezioni sollevate nelle rimessioni degli atti disposte dalle corti di merito.

Un passaggio di detto arresto merita sicuramente di essere menzionato “Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori“, rappresentando un valido sostegno sia alla ratio della Legge 7 marzo 1996, n. 108, sia all’interpretazione costituzionale della Legge 28 febbraio 2001, n. 24.

Con il successivo Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 25 marzo 2003 – pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 2003 – si è provveduto a rilevare il tasso effettivo globale medio ai fini dell’usura relativamente al trimestre aprile – giugno 2003, in ossequio a quanto disposto dall’art. 2, comma 1, Legge 7 marzo 1996, n. 108.

Tale decreto ministeriale, rispetto ai precedenti, stabilisce un importante principio precisando espressamente che il tasso effettivo globale medio così come rilevato per le diverse operazioni indicate non si applica agli interessi moratori e cioè a quelli dovuti in caso di ritardato pagamento[8].

Meritano di essere menzionate – in quanto citate dalle disposizioni sin qui illustrate – le norme sull’usura contenute nel Codice Civile e nel Codice Penale, in particolare agli art. 1815 c.c. e 644 c.p.

A norma del primo “salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell’articolo 1284.

Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.

Secondo quanto stabilito dall’art. 644 c.p., invece “chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000.

Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.

La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.

Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito“.

1 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 72 del 2 aprile 1997.

2 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 74 del 29 marzo 2000.

3 Particolare rilievo assume la sentenza Cassazione Civile, Sezione 1^, del 17 novembre 2000, n. 14899, citata anche nell’epigrafe del D.L. 29 dicembre 2000 n. 394, laddove si legge “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni in materia di tassi d’interesse usurari, anche in considerazione degli effetti che la sentenza della Corte di cassazione n. 14899/2000 può determinare in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale“.

4 http://www.tm1.it/adusbef/documenti/documenti_vari/ Fazio_4_dic_00.htm.

5 http://www.tm1.it/adusbef/documenti/documenti_vari/ FAZIO%2014%20DICEMBRE%2000.htm.

6 Ex multis, Cass. Civ. n. 13477/2010; Cass. Civ. n. 15621/2007; Cass. Civ. n. 15497/2005.

7 Gianni Colangelo, Un giudice a Lussemburgo, nota a Tribunale di Milano, 3 gennaio 2011, G.U. Cozzi,in questa Rivista, 2012, 314.

8 Art. 3, comma 4, D.M. 25 marzo 2003 “I tassi effettivi globali medi di cui all’art. 1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali“.

3. Il caso che ha dato impulso all’ordinanza interlocutoria n. 26946 del 22 ottobre 2019 resa dalla Corte di Cassazione

P.A. conveniva in giudizio un istituto di credito, proponendo opposizione ad un decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Genova le aveva intimato il pagamento della somma di Euro 18.500,94, oltre interessi al 17,57%, dovuta a titolo di rate insolute, capitale residuo, interessi moratori e penale, relativi ad un finanziamento concesso con contratto di credito al consumo stipulato il 23 aprile 2002.

A sostegno della domanda l’attrice deduceva la nullità del contratto, l’errata determinazione della somma dovuta, l’inefficacia delle relative clausole ai sensi dell’art. 1469-bis c.c., nn. 6 e 17, artt. 1469 ter, 1469 quater e 1469 quinquies c.c., e la nullità della clausola che prevedeva la misura degl’interessi moratori, per violazione dell’art. 1815 c.c., nonché di quella che prevedeva la capitalizzazione degl’interessi.

Si costituiva l’istituto di credito, resistendo alla domanda e chiedendone, pertanto, il rigetto.

Con sentenza del 12 giugno 2008, il Tribunale di Genova accoglieva parzialmente l’opposizione revocando il decreto ingiuntivo.

L’impugnazione proposta dall’istituto di credito veniva rigettata dalla Corte d’Appello di Genova che, con sentenza del 30 luglio 2014, rigettava anche il gravame incidentale proposto dalla P.A.

Valutate e decise, in primis, le questioni di natura preliminare (inammissibilità dell’impugnazione per violazione dell’art. 163, nn. 2 e 6, c.p.c., ammissibilità dell’intervento spiegato in appello da altro istituto di credito in qualità di cessionario del credito controverso e specificità delle censure proposte dall’appellante), la Corte di Appello ha confermato che il carattere oneroso del mutuo escludeva l’applicabilità dell’art. 1186 c.c., il quale presuppone che il termine sia stato fissato soltanto a favore del debitore, ritenendo pertanto che alla comunicazione della decadenza dal beneficio del termine fosse stato correttamente attribuito un effetto risolutivo, anch’esso espressamente previsto dal contratto e non avente portata alternativa rispetto alla predetta decadenza.

La Corte ha confermato, poi, il carattere vessatorio delle clausole contrattuali che imponevano al debitore inadempiente l’immediato pagamento di tutte le rate scadute e da scadere, comprensive d’interessi, nonché di un ulteriore interesse di mora al tasso dell’1,5 % mensile, di una penale pari al 30% degl’importi insoluti e di un’ulteriore penale di Euro 250,00, dichiarandone l’inefficacia ai sensi dell’art. 1469 bis c.c., in quanto la società creditrice non aveva fornito la prova richiesta dall’art. 1469 ter, ultimo comma, c.c. e concludendo pertanto che la debitrice era tenuta soltanto al pagamento del capitale residuo.

In ordine agl’interessi, la Corte ha confermato l’applicabilità della Legge 7 marzo 1996, n. 108, ritenendola riferibile sia agl’interessi corrispettivi che a quelli moratori, ed escludendone l’operatività soltanto in riferimento ai contratti stipulati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore e produttivi di rapporti ormai esauriti.

La Corte di Appello ha precisato al riguardo che, sebbene il contratto di finanziamento fosse stato sottoscritto in data anteriore all’emanazione del D.M. 25 marzo 2003, che aveva provveduto per la prima volta alla rilevazione del tasso di mora, già il precedente D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 aveva fatto riferimento agl’interessi a qualunque titolo convenuti, individuando il limite oltre il quale gl’interessi dovevano considerarsi comunque usurari nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito era compreso, aumentato della metà.

Ritenuto che tale criterio fosse utilizzabile anche per l’accertamento del carattere usurario di interessi moratori pattuiti in data anteriore all’entrata in vigore del D.M. 25 marzo 2003, la Corte di Appello ha rilevato che nella specie il tasso del 18% annuo, previsto dal contratto di mutuo, risultava superiore al tasso soglia e ne ha quindi affermato la nullità ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c., oltre all’inefficacia ai sensi dell’art. 1469 bis c.c.

I Giudici di seconde cure hanno ritenuto invece infondate le censure proposte dall’appellante incidentale in ordine alla quantificazione della somma dovuta a titolo di capitale residuo, reputando ininfluente l’avvenuta predisposizione da parte della P. di un piano di ammortamento finanziario alternativo, in quanto non accompagnata dall’indicazione degli errori in cui era incorso il Giudice di primo grado.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’istituto di credito.

Le censure sollevate dalla ricorrente riguardavano, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1815 c.c., 644 c.p., 1 del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 e 1 della Legge 7 marzo 1996, n. 108, nella parte in cui la Corte di merito aveva applicato estensivamente la normativa antiusura agli interessi moratori, con conseguente rilevanza dell’avvenuto superamento del tasso soglia.

4. Le motivazioni contenute nell’ordinanza n. 26946 del 22 ottobre 2019

Su tale ultima questione gli Ermellini hanno evidenziato l’esistenza di orientamenti di legittimità contrastanti.

Un indirizzo che ha risolto tale problematica in senso affermativo si fonda sul richiamo dell’art. 644 c.p., comma 1, e dell’art. 1815 c.c., che non distinguono tra interessi corrispettivi e moratori, nonché dell’art. 1224 c.c., comma 1, in virtù del quale se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori saranno dovuti nella stessa misura.

Tale orientamento è stato condiviso anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità che ha fatto riferimento alle norme in esame, alla loro ratio nonché all’evoluzione storica della disciplina degli interessi.

In particolare, è stato osservato che l’art. 644 c.p. e l’art. 2 della Legge 7 marzo 1996, n. 108 non indicano una distinzione tra interessi corrispettivi e moratori, essendo menzionati genericamente gli “interessi”, mentre il D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, all’art. 1 suggerisce di valutare il carattere usurario al momento della pattuizione “a qualsiasi titolo”.

Conseguentemente, occorrerà fare riferimento a quanto espresso nella relazione di accompagnamento della Legge 28 febbraio 2001, n. 24, di conversione del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, nella quale era stato precisato che detta espressione si riferiva a qualsiasi tipo di interesse “sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio”.

Inoltre, l’omogeneità della funzione economica degli interessi fa sì che tanto gli interessi corrispettivi che quelli moratori costituiscano la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto, nel primo caso volontariamente, e nel secondo involontariamente.

In ragione di ciò la funzione giuridica degli interessi moratori consiste nel risarcire il danno patito dal creditore per il ritardo nel pagamento di un debito pecuniario, atteso che tale pregiudizio comporta la necessità di ricorrere al credito remunerando chi lo conceda o, in alternativa, nella rinuncia ad impiegare la somma dovuta in proficui investimenti.

Anche la disciplina antiusura risponde alle esigenze di tutela del debitore, per cui l’esclusione dell’applicabilità della stessa agli interessi moratori determinerebbe, paradossalmente, che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento.

Oltre a ciò, l’art. 2-bis del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, introdotto dalla Legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2, ha stabilito che gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti da clausole che stabilivano in favore della banca una remunerazione collegata all’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente erano rilevanti per l’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e della Legge 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3.

Si è quindi presentato il problema di decidere se tale disposizione si applicasse o meno anche ai rapporti svoltisi anteriormente.

La questione, essendo stata risolta difformemente dalla Seconda Sezione Penale[9] e dalla Prima Sezione Civile[10], è stata sottoposta alle Sezioni Unite Civili che, con la sentenza n. 16303 del 20 giugno 2018, hanno chiarito che per verificare il superamento del tasso soglia, in riferimento ai predetti rapporti, è necessario comparare separatamente il tasso effettivo globale d’interesse applicato in concreto e la commissione di massimo scoperto eventualmente applicata rispettivamente con il tasso-soglia e con la “commissione soglia”.

Oltre a ciò, le Sezioni Unite hanno escluso la retroattività del predetto articolo 2-bis del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ritenendola contrastante sia con il tenore letterale della disposizione, recante anche il riferimento ad una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa, che con il principio di simmetria della Legge 7 marzo 1996, n. 108 che indica gli elementi alla base del calcolo del tasso effettivo globale concretamente applicato e quelli da considerare per individuare il tasso effettivo globale medio, ovvero per determinare il tasso soglia.

Rilevato, tuttavia, che la commissione di massimo scoperto rientra pur sempre tra le commissioni o remunerazioni menzionate dall’art. 644 c.p., comma 4, e dall’art. 2, comma 1, della Legge 7 marzo 1996, n. 108, gli Ermellini hanno ritenuto che la predetta esigenza di simmetria non consente di escludere la commissione di massimo scoperto dal calcolo del tasso effettivo globale per il solo fatto che la stessa non è inclusa tra gli elementi in base ai quali si determina il tasso effettivo globale medio, ma può assumere rilievo soltanto ai fini della valutazione della conformità della disciplina amministrativa rispetto alla legge di cui costituisce attuazione.

La rilevazione separata della commissione di massimo scoperto anche per il periodo anteriore all’entrata in vigore del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 è di per sé sufficiente ad escludere l’illegittimità di tale disciplina, in quanto consente la comparazione tra il corrispettivo della prestazione creditizia concretamente praticato ed il tasso soglia cui sono preordinati i decreti ministeriali.

Le Sezioni Unite hanno quindi richiamato le modalità di comparazione indicate dalla Banca d’Italia nel bollettino di vigilanza n. 12 risalente al mese di dicembre 2005, reputandole rispettose del dettato normativo in quanto rispondenti all’esigenza di realizzare una comparazione piena, sotto tutti gli aspetti rilevanti secondo la legge, tra le condizioni praticate in concreto e quelle previste quale soglia dell’usura[11].

Tali considerazioni hanno imposto alla Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione un ulteriore approfondimento della questione riguardante la riferibilità della disciplina antiusura anche agli interessi moratori essendo opportuno esaminare, anche alla stregua del tenore letterale dell’art. 644 c.p. e dell’art. 2 della Legge 7 marzo 1996, n. 108 e delle indicazioni emergenti dai lavori preparatori di quest’ultima legge, nonché delle critiche mosse alla soluzione affermativa, se il principio di simmetria comporti l’esclusione o meno dell’assoggettamento degli interessi di mora alla disciplina antiusura.

Essendo questioni di massima di particolare importanza, anche sul piano economico, che hanno dato luogo a diverse soluzioni, con l’ordinanza in esame la Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., affinché stabilisca la sussistenza dei presupposti per l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite.

9 Cassazione Penale, Sezione Seconda, sentenze 19 febbraio 2010, n. 12028; 14 maggio 2010, n. 28743; 23 novembre 2011, n. 46669; 3 luglio 2014, n. 28928.

10 Cassazione Civile, Sezione Prima, sentenze 22 giugno 2016, n. 12965; 3 novembre 2016, n. 22270.

11 Cassazione Civile, Sezioni Unite, 20 giugno 2018, n. 16303.

5. Conclusioni

Nel panorama normativo e giurisprudenziale così delineato – molto “denso” e non univoco – si auspica che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, qualora effettivamente interpellate, chiariscano (a questo punto, in via definitiva) la questione riguardante la riferibilità della disciplina antiusura anche agli interessi moratori.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento