Il servizio pubblico locale: evoluzione e prospettive tra principio di sussidiarietà e regime di concorrenza.

Redazione 01/10/00
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LAURA CESARINI
(Dottore di ricerca in diritto pubblico, Università di Perugia)

SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il servizio pubblico locale nella legislazione antecedente la legge 142/90: teorie soggettive ed oggettive; 3. Alla ricerca di una definizione attuale di servizio pubblico: a) Il servizio pubblico nel nuovo ordinamento degli enti locali; 5. b) Riforme amministrative, principio di sussidiarietà e ruolo degli enti locali nella definizione del servizio pubblico; 6. Il servizio nel diritto comunitario: principio di concorrenza e interessi generali; 7. Verso la riforma del sistema: servizio pubblico locale e mercato; 8. Il superamento della contrapposizione pubblico/privato e il nuovo ruolo dell’ente locale.

Introduzione

La tematica dei servizi pubblici locali ha costituito da sempre oggetto di impegnati dibattiti dottrinali e legislativi in quanto su tale terreno si incrociano, spesso “scontrandosi”, interessi eterogenei e contrapposti: esigenze di governo pubblico del mercato e di sviluppo dell’iniziativa privata, istanze sociali ed economicità della gestione. In tale contesto la stessa definizione di servizio pubblico appare “tra quelle più tormentate”[1] rappresentando una variabile socioeconomica più che un assioma indiscusso.
Le prime teorie del diritto amministrativo distinguevano tra “funzione” e “servizio” di un pubblico potere intendendosi per “funzione” l’attività giuridica autoritativa posta in essere nell’esercizio di una potestà giuridica e per “servizio” il risultato dell’ingerenza dello Stato in settori a prevalente carattere economico e produttivo, senza estrinsecazione di un potere sovrano[2]. Oggi tale distinzione può dirsi superata e ricercare l’essenza del pubblico servizio significa porre un problema di carattere storico e istituzionale oltre che giuridico[3]. Infatti, come è stato giustamente evidenziato, la questione investe, da un lato, le motivazioni dell’intervento pubblico nell’economia e, dall’altro, le trasformazioni dello Stato e dell’Amministrazione nei rapporti con la società civile[4]. In un contesto in cui si assiste al “ritiro dello Stato dal settore dei servizi pubblici”[5], con vicende non sempre conformi al modello recepito nella nostra Costituzione che ha accolto un sistema di economia misto, diventa, pertanto, opportuna una riflessione che affronti la trasformazione del significato di servizio pubblico e il nuovo rapporto tra quest’ultimo e l’ente locale anche alla luce processo di cd. “privatizzazione” della pubblica amministrazione[6].
Sul piano più strettamente giuridico, poi, la necessità di una riflessione sulla tematica si impone sia per l’incertezza che pesa sulla nozione, utilizzata in modo nuovo e non sempre univoco dal legislatore più recente sia per i riflessi che il diritto comunitario e il principio di sussidiarietà producono sui concetti tradizionali. D’altro canto, l’individuazione dei confini del pubblico servizio costituisce un problema di indubbio interesse ed attualità per gli enti locali, che sono chiamati a svolgere un ruolo di primo piano proprio nell’individuazione e nell’assunzione del servizio pubblico[7].
Nell’ambito delle numerose e complesse tematiche che l’argomento offre, queste brevi notazioni, lungi dal ripercorrere le teorie che si sono succedute nel tempo in ordine al significato da attribuire all’espressione servizio pubblico, si propongono di fornire un back-ground conoscitivo utile allo svolgimento dei compiti e delle funzioni che spettano agli enti locali in tale materia, anche in considerazione del fatto che proprio a questi ultimi compete la concreta individuazione delle attività che costituiscono pubblico servizio. Tale profilo risulta confermato ed anzi valorizzato, come vedremo, proprio alla luce del principio di sussidiarietà e del diritto comunitario che impongono di rivedere le concezioni tradizionali al fine procedere ad una trattazione congiunta che leghi definizione astratta e individuazione concreta del servizio.

2. Il servizio pubblico locale prima della legge di riforma delle autonomie locali: teorie soggettive ed oggettive.

Poiché manca una definizione legislativa generale di servizio pubblico che valga per l’intero ordinamento giuridico, e in particolare per il diritto amministrativo, le nozione in questione è stata essenzialmente il frutto dell’opera interpretativa di dottrina e giurisprudenza che hanno elaborato concezioni teoriche differenziate in relazione al quadro normativo e istituzionale di riferimento.
Storicamente, la nozione di servizio pubblico diventa un problema di carattere giuridico con l’inizio di questo secolo, in corrispondenza dei processi di nazionalizzazione e municipalizzazione di attività che fino a quel momento erano state svolte dai soggetti privati in forma di impresa. Il fenomeno della municipalizzazione, intesa come esigenza ed espressione dello Stato moderno di intervenire nella sfera dell’impresa privata, stante la necessità di soddisfare attraverso i pubblici servizi i bisogni collettivi, affonda le sue radici nel cd. socialismo municipale e si afferma come manifestazione dell’autonomia comunale che vuole gestiti i servizi pubblici di maggior rilievo economico sociale attraverso attività di natura economica, ma sottratte all’economia di mercato[8].
In adesione a tale orientamento, dopo un travagliato iter legislativo, fu emanata la legge 29 marzo 1903, n. 103 (cd. legge Giolitti) istitutiva delle aziende municipalizzate: è questo il primo provvedimento legislativo di carattere generale in materia di servizi pubblici locali, le cui norme furono integrate con le disposizioni contenute nel regolamento approvato con R.d. 10.3.1904, n. 108. Detta normativa nacque sotto il segno dell’ambiguità; infatti nelle sue somme linee fu animata soprattutto dalla propaganda ideologica del partito socialista, che ravvisava nelle municipalizzazioni il primo avvio delle collettivizzazioni, ma ben presto trovò un alleato nell’ala più aperta dei liberali che non erano favorevoli ai monopoli esercitati di fatto nei singoli Comuni dalle imprese private assuntrici di servizi di generale necessità, ritenendo preferibile che questi ultimi fossero in mano ai pubblici poteri[9]. Come è stato giustamente osservato[10], sarebbe peraltro vano cercare, nella legge del 1903, un criterio ispiratore: tant’è che essa fu commentata come legge socialista dagli uni, come legge che aveva imbrigliato la spinta socialista dagli altri, e in realtà ambedue le tesi contenevano la verità”.
La legge del 1903, sottoposta ad una speciale riforma attuata con il r.d. del 4.2.1923, n. 253, sfociò nel T.U. 15 ottobre 1925, n. 2578 che conteneva l’elencazione dei servizi pubblici riuniti in ben 19 categorie (cui non fece seguito il regolamento di esecuzione fino al 1986, quando venne emanato il d.P.R. 4.10.1986, n. 902) la cui elencazione fu ritenuta meramente esemplificativa e non tassativa sia in dottrina che in giurisprudenza.
Da tali norme emergeva l’idea del servizio come attività esercitata direttamente dal soggetto pubblico, in virtù di uno “specifico atto di assunzione secondo modalità indicate dalla legge”; servizio gestito essenzialmente nelle forme dirette dell’azienda speciale e della gestione in economia o attraverso la forma della concessione. Per alcuni specifici servizi (trasporti urbani, trasporti funebri, mattatoi) veniva, poi, riconosciuto uno specifico diritto di privativa intesa come la specifica possibilità per il Comune di escludere le imprese private dalla gestione di tali servizi (nel senso che la gestione dei servizi da parte dei privati sarebbe potuta avvenire soltanto previa “concessione” dell’Amministrazione interessata).
In tale prima fase caratterizzata dall’assunzione da parte degli enti locali della gestione di determinate attività (cui si è affiancata l’esperienza dei servizi pubblici carattere nazionale assunti dallo Stato) il problema della nozione di servizio pubblico ha trovato una’adeguata soluzione nella cd. concezione soggettiva. Le elaborazioni teoriche hanno infatti focalizzato l’attenzione sull’aspetto soggettivo dell’imputazione del servizio all’amministrazione, ritenendo elemento qualificante della nozione l’assunzione e la gestione, da parte di un pubblico potere, di una determinata attività produttiva(servizio pubblico in senso soggettivo)[11]. Tale impostazione, che costruisce il servizio pubblico come categoria essenzialmente descrittiva di una realtà contingente, ha subito prestato il fianco a numerose critiche. Infatti, a contraddire la nozione soggettiva ci sono, da un lato, le attività d’impresa che l’amministrazione pone in essere nei settori più vari, ma che spesso non hanno alcuna connessione con le finalità proprie dei pubblici servizi, e, dall’altro, le attività che hanno caratteristiche materiali perfettamente simili ai servizi pubblici, ma che sono gestite dai privati e non da un’amministrazione. E’ emersa dunque sempre più l’esigenza di una definizione oggettiva di servizio pubblico che comprendesse le attività economiche in senso lato, caratterizzate dalla soggezione ad un particolare regime per la rilevanza sociale degli interessi perseguiti, prescindendo dall’imputazione soggettiva ai pubblici poteri. All’impostazione originaria si è venuta quindi a contrapporre una ricostruzione oggettiva della nozione di pubblico servizio con l’intento di qualificare un’attività in base alla sua rispondenza alla pubblica utilità ed al pubblico interesse, a prescindere dal soggetto al quale è istituzionalmente collegata. In questo senso sembra potersi individuare nel pubblico servizio l’attività che si riferisce ai fini assunti dallo Stato e dagli enti locali territoriali come propri, in quanto rispondenti a esigenze di pubblica utilità (servizio pubblico in senso oggettivo).
Secondo l’interpretazione più accreditata[12], tale concezione sembra trovare conferma anche nella Carta costituzionale che ha chiarito come esistano attività qualificabili oggettivamente come servizi pubblici essenziali e che proprio in ragione della loro natura possono essere riservate o trasferite allo Stato o ad enti pubblici. Dal combinato disposto degli artt. 41 e 43 della Costituzione emergerebbe poi che per servizio pubblico deve intendersi, indipendentemente dal soggetto che la pone in essere, ogni attività economica, pubblica o privata, sottoposta ai programmi e ai controlli ritenuti dalla legge opportuni per indirizzarla e coordinarla a fini sociali[13]. Ciò che rileva è dunque l’attività e la sua attitudine a soddisfare un interesse di carattere generale, indipendentemente dalla natura pubblica o meno del soggetto titolare della stessa.
Tale impostazione, che ha trovato conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione[14] , sembra essere stata accolta anche dal moderno legislatore che, in sede penale ha qualificato come incaricato di pubblico servizio anche il soggetto estraneo all’amministrazione (ad esempio il concessionario) e nella legge di riforma delle autonomie ha definito servizio pubblico locale “la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.
Nonostante il tenore delle disposizioni normative e il richiamato fondamento costituzionale, anche la teoria oggettiva non è peraltro esente da critiche sia per la sua eccessiva ampiezza, sia per la sua ambiguità. Infatti, l’indeterminatezza delle fattispecie che possono essere ricomprese nella definizione finiscono per ricondurre nella nozione del pubblico servizio situazioni non omogenee, riducendo alquanto l’utilità e la giuridicità della categoria stessa.
In una nuova prospettiva l’aspetto soggettivo è stato dunque individuato da alcuni autori non tanto nel momento della gestione, che come detto può essere affidata ai soggetti privati, quanto nel dato finalistico che caratterizza i servizi pubblici. Secondo questa impostazione,[15] la nozione soggettiva risulta inadeguata se intesa nel senso tradizionale con riferimento alla gestione, mentre diviene attuale se si ricomprende l’assunzione del servizio tra i compiti dell’ente pubblico. In tale ottica, il servizio pubblico viene pertanto definito come attività che l’ente assume e considera propria nell’ambito dei compiti istituzionali, perché connessa all’esigenza di benessere e sviluppo della collettività, potendo, nel successivo momento della gestione, essere svolta da un soggetto terzo sulla base di un apposito titolo giuridico di conferimento da parte dell’amministrazione. In conclusione, questa ricostruzione ritiene che il rilievo soggettivo del servizio pubblico non derivi dalla natura del gestore, ma dalla necessaria concorrenza, non in alternativa,delle seguenti circostanze:
a) imputabilità o titolarità del servizio all’amministrazione pubblica che ha istituito il servizio o alla quale lo stesso è stato assegnato dal legislatore;
b) finalità alle quali il servizio risponde perché è riferito alle esigenze della collettività;
c) presenza di un determinato tipo di organizzazione del servizio mirata ad assicurare determinate modalità di gestione.

3. Alla ricerca di una definizione attuale di servizio pubblico: a) Il servizio pubblico nel nuovo ordinamento degli enti locali.

Come accennato, la concezione cd. oggettiva del pubblico servizio è da tempo prevalsa nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale, tant’è che il Consiglio di Stato, anche di recente, ha statuito che la nozione di questo non può essere definita in astratto, in relazione al tipo di attività cui esso si riferisce ed a prescindere da un contesto normativo qualificante: deve invece ritenersi sufficiente l’elemento teleologico della sua capacità di rispondere ad una utilità generale e collettiva[16].
In linea con questa ricostruzione, l’art. 22 della legge 8 giugno 1990 n. 142, recepito dall’art. 112 della legge 267/2000 (testo unico sulle autonomie locali), ha ribadito che “gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo delle comunità locali”.
Si evidenzia in tal modo la stretta connessione tra quello che è stato definito il “Comune economico” e cioè l’insieme delle organizzazioni, dei servizi e comunque delle attività imprenditoriali degli enti locali con il “Comune amministrativo o politico” e cioè l’insieme delle funzioni amministrative ordinariamente esercitate. Viene così definitivamente superata la concezione secondo cui erano da ritenersi pubblici solo quei servizi locali che erano correlati ad attività economiche, sì che nell’ottica della nuova legge assumono dignità e rilievo anche un insieme di servizi che vanno rapportati alle nuove esigenze espresse dalle collettività locali.
Rispetto al testo unico del 1925 numerosi sono gli aspetti di differenziazione e novità[17]. Anzitutto viene superata la vecchia logica dell’elencazione delle attività municipalizzabili, in quanto la normativa sulle autonomie locali descrive in termini generali il contenuto dell’attività che può essere considerata come servizio pubblico.
Inoltre, viene ampliata la categoria dei servizi pubblici fino a ricomprendervi anche quelle attività tese a realizzare fini sociali o a promuovere lo sviluppo civile, che invece fino al 90 si ritenevano estranee alla nozione di pubblico servizio. In altri termini la normativa richiamata consente di ricondurre alla nozione di servizio pubblico attività non soltanto imprenditoriali, ma che abbracciano tutti i campi in cui può anche solo potenzialmente estrinsecarsi l’attività della pubblica amministrazione. In proposito, è stato osservato che la legge sulle autonomie, accanto alla dilatazione della nozione di pubblico servizio, “ha eliminato la marcata distinzione tra questo e la pubblica funzione, rilevando invece una sorta di compenetrazione tra i due istituti”: sotto il nome di “servizio pubblico” la legge definisce infatti anche ciò che in realtà costituisce funzione amministrativa, in modo tale che le funzioni, inglobando l’intero arco dell’attività amministrativa nei vari settori, possano tradursi in servizi pubblici, in un rapporto di genus a species[18]. Un’ulteriore novità della legge del 90 rispetto al precedente testo unico è costituita dall’enfasi assegnata al momento organizzativo, al punto che potrebbe sostenersi che è servizio pubblico solamente quello gestito secondo le forme previste dalla legge: 1) in economia; 2) in concessione a terzi; 3) a mezzo di azienda speciale, 4) a mezzo di istituzione, 5) a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale.; 6) a mezzo di società per azioni per azioni a partecipazione minoritaria[19]. Tali moduli non solo sono tassativi, ma sono tra loro reciprocamente alternativi, per cui l’Ente, ed in particolare il Consiglio comunale, cui spetta la competenza in materia, dovrà scegliere la forma di gestione ritenuta più adeguata allo svolgimento del servizio non potendo poi la scelta essere contraddetta nel corso degli eventi successivi [20], salva la possibilità di trasformazione della gestione consentita dallo stesso legislatore.
Già da tali brevi cenni emerge con chiarezza l’importanza del rapporto che intercorre tra l’individuazione del servizio e la sua organizzazione, tant’è che secondo taluni si è in presenza di un pubblico servizio locale ogni qualvolta le attività economiche assunte siano la necessaria risultante di un procedimento normativamente disciplinato, avente per finalità di garantire i cittadini attraverso modalità di organizzazione e di gestione tipizzate, volte a perseguire un interesse pubblico che non può essere garantito dall’impresa privata.
Dalla ricostruzione normativa effettuata discendono alcune importanti conseguenze sul versante della nozione di servizio pubblico:
1) ciò che caratterizza il servizio sotto il profilo oggettivo, non è solo il carattere imprenditoriale della gestione, ma anche il soddisfacimento di bisogni di carattere sociale, senza rilevanza imprenditoriale, ritenuti dalla collettività meritevoli di tutela; ne consegue che il concetto in esame è per sua natura relativo e modificabile a seconda dei singoli contesti e del livello di maturità delle comunità locali[21].
b) poiché sussiste uno stretto collegamento tra il concetto di servizio pubblico e le competenze assegnate a comuni e province, per individuare le attività che possono rientrare in tale categoria occorre rifarsi alla individuazione delle funzioni e dei compiti attribuiti agli enti locali, nel quadro del principio di sussidiarietà.

5. b) Riforme amministrative, principio di sussidiarietà e ruolo degli enti locali nella definizione del servizio pubblico.

Dal combinato disposto degli artt. 3, 4, 13 e 112 del testo unico sull’ordinamento delle autonomie locali è lecito concludere che il legislatore, conscio dell’impossibilità di poter elencare le innumerevoli attività che l’ente locale è chiamato a svolgere, ha individuato solo i precipui, ma non esclusivi, settori organici di intervento (servizi sociali, assetto ed utilizzazione del territorio, sviluppo economico) riconoscendo al Comune la possibilità di assumere altre funzioni. Infatti, ai sensi dell’art. 3, comma 5 del testo unico citato “I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà” e più specificatamente, ai sensi dell’art 13, comma 1, spettano al Comune tutte le “funzioni amministrative che riguardino la popolazione ed il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, assetto e utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
In altri termini, nel quadro autonomistico delineato dalla Costituzione e recepito dalla legge emerge chiaramente che il Comune esercita le funzioni che lo stesso qualifica come di interesse locale salvo che per espressa previsione legislativa non rientrino nella competenza di altri soggetti. Questo principio risulta ribadito dall’art. 4 della legge Bassanini I (59/97), in base al quale il conferimento di compiti e funzioni agli enti locali deve avvenire nel rispetto del principio di sussidiarietà secondo cui restano attribuite ai Comuni la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative con esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni dell’Ente e quindi da conferire –solo in tale caso- al livello superiore (cd. sussidiarietà verticale).
Si può dunque concludere che nei settori organici individuati (servizi sociali, assetto e utilizzazione del territorio, sviluppo economico) al Comune è attribuita una competenza amministrativa generale e residuale nel senso che tutto ciò che la legge non assegna ad altri soggetti è funzione esclusiva del Comune che rappresenta l’istituzione più vicina al cittadino, mentre in altri settori, non individuati, l’ente locale conserva un potere di autoassunzione che trova i propri limiti, nella popolazione, nel territorio e nell’adeguato svolgimento a livello comunale. Tale scelta è conforme all’art. 4 della Carta europea dell’autonomia locale, secondo la quale “l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere sulle autorità più vicine ai cittadini”. L’esigenza di attivare la competenza di livello istituzionale più vicino al cittadino si coniuga necessariamente con una valutazione di efficienza e con una valutazione di compatibilità delle funzioni affidate con le dimensioni territoriali ed organizzative dell’Ente[22].
La medesima impostazione si rinviene a livello comunitario, ove l’art. 3B del Trattato di Mastricht dispone che “Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri e possono, dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario”.
L’applicazione del principio di sussidiarietà verticale comporta necessariamente degli effetti anche sulla definizione ed assunzione del servizio pubblico locale. Alla luce di tale principio, infatti, non è percorribile la scelta per cui il legislatore individua, attraverso la loro enumerazione, le singole categorie di attività che possono costituire servizi pubblici. Piuttosto compete alla legislazione nazionale fornire una generale indicazione della nozione di servizio pubblico[23], mentre spetta agli enti locali individuare, nell’ambito delle proprie competenze, i servizi da assumere per la cura e lo sviluppo della comunità locale.
L’attuale quadro normativo di riferimento presenta ulteriori novità utili a precisare la nozione di servizio pubblico e a giustificare l’assunzione e la gestione dell’attività da parte dell’ente locale. Infatti, in base alla nuova formulazione dell’art. 3, comma 5, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, non solo “I Comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà”, ma …”svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”. In altri termini, secondo una logica opposta a quella che sottende le origini della pubblica funzione e del pubblico servizio, nel sistema vigente gli obiettivi della pubblica amministrazione possono essere efficacemente perseguiti anche senza intervenire direttamente sul mercato, attraverso lo svolgimento di un’azione regolatrice che renda l’esercizio dell’impresa privata compatibile con gli interessi della collettività. Ne consegue, dunque, che a fronte del normale esplicarsi delle regole di mercato, l’ente locale deve intervenire soltanto laddove l’autonomia privata non consenta di soddisfare “adeguatamente” gli interessi della collettività e gli obiettivi che l’amministrazione intende perseguire (cd. principio di sussidiarietà orizzontale).
In tale nuova ottica, in cui pubblico e privato appaiono complementari, più che antagonisti, l’assunzione e la gestione di un servizio da parte dell’ente locale non può pertanto giustificarsi soltanto con il perseguimento di finalità di interesse generale, ma deve piuttosto trovare il suo fondamento in un giudizio di inadeguatezza del mercato e delle regole della libera concorrenza a fornire una determinata prestazione con le caratteristiche richieste dall’Amministrazione. Più precisamente, l’ente locale dovrà provvedere a organizzare il servizio, solo nel caso in cui lo svolgimento dello stesso in regime di concorrenza non garantisse la regolarità, la continuità, l’accessibilità, l’economicità e la qualità dell’erogazione in condizioni di uguaglianza.
Sotto il profilo più strettamente operativo, ciò significa che in fase di qualificazione e assunzione del servizio, l’ente locale non solo dovrà tener conto delle esigenze della collettività e dei pubblici interessi, ma dovrà altresì rilevare l’insufficienza o l’inefficienza di certi servizi erogati dai privati ovvero la necessità di garantire tariffe o finalità sociali che l’impresa non potrebbe assicurare, motivando sulle ragioni che giustificano la gestione dell’attività da parte dell’Ente[24].

6. Il servizio nel diritto comunitario: principio di concorrenza e interessi generali

Una moderna nozione di servizio pubblico locale deve oggi confrontarsi anche con i principi che si evincono in materia dal diritto comunitario: in primis perché l’ente locale, in quanto parte integrante dello Stato, è tenuto al rispetto degli obblighi comunitari (dei quali può essere ad esso direttamente contestata l’inadempienza) e in secondo luogo poiché in ambito comunitario trova spazio l’affermazione della libertà di concorrenza che costituisce l’aspetto che maggiormente rischia di essere compromesso dall’assunzione di un pubblico servizio[25]. In proposito due aspetti meritano di essere evidenziati: la nozione di servizio affermatasi nel diritto comunitario, in parte diversa da quella degli stati membri; i rapporti tra concorrenza e controllo pubblico.
Va anzitutto precisato che la regolamentazione comunitaria non conosce la figura del servizio pubblico o di interesse pubblico o comunque a rilevanza pubblica, ma quella del “servizio”, ove con tale termine si intende una realtà concettualmente diversa da quella utilizzata dagli stati membri. Infatti, in base alla direttiva 92/50/Cee del 18 giugno 1992 i servizi sono intesi come attività a contenuto economico svolte dalla p.a. e, più precisamente, ai sensi dell’art. 60 del Trattato CEE “sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. I servizi comprendono in particolare: attività di carattere industriale, attività di carattere commerciale, attività artigiane e le attività delle libere professioni”.
Se dunque con il termine “servizio”, secondo la comunità europea, può essere astrattamente definita “l’attività economica fornita in modo imprenditoriale nel settore dell’artigianato, del commercio, dell’industria, delle libere professioni dietro il pagamento di una retribuzione che trae di norma fondamento in un negozio giuridico bilaterale redatto in forma scritta”, ciò significa che le relative attività non sono soggette a formule organizzatorie tipizzate e possono essere prestate sia in concorrenza che in monopolio, sia da imprese private che pubbliche.
Contrariamente all’opinione più diffusa, pertanto, il Trattato sembra mantenere una sorta di posizione “neutrale” in ordine al modello di organizzazione del servizio, fermi restando gli obiettivi della competitività del mercato e della qualità della vita dei cittadini che in ogni caso devono essere perseguiti.
B) Occorre poi evidenziare che il Trattato, pur non prevedendo specificamente la figura del servizio pubblico, ammette che per specifiche finalità di interesse generale assegnate ai servizi possono essere riconosciuti diritti e prerogative speciali, in grado di influenzare le condizioni di fornitura delle prestazioni da essi offerte sul mercato (art.90). L’elemento rilevante, che giustifica la deroga al regime concorrenziale risulta dunque la finalità del servizio, la cd. mission[26], consistente nel perseguimento di quegli obiettivi di interesse generale che negli stati membri caratterizzano i servizi pubblici.
Rispetto a dette attività, che il trattato qualifica come “servizi d’interesse economico generale”, l’azione dell’Unione appare sicuramente ispirata ad una progressiva, ma costante, opera di demolizione dei condizionamenti pubblicistici per favorire la più ampia concorrenza. In tale ottica si possono ricordare i principi: di non discriminazione, di liberalizzazione, il divieto agli stati membri di emanare o mantenere condizioni di privilegio nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui essi stessi riconoscono diritti speciali ed esclusivi (art. 90). Non si tratta peraltro, di ostilità comunitaria a qualsiasi forma di limitazione del mercato; come è stato giustamente sottolineato, infatti, la tradizionale lettura dell’’art. 90 del Trattato potrebbe essere rovesciata, potendosi trovare in esso non tanto, o meglio, non solo il divieto a qualsiasi tipo di limitazione della concorrenza, ma anche la legittimazione per un intervento pubblico alla luce del più generale principio di sussidiarietà: più precisamente l’azione pubblica deve intervenire con propri strumenti solamente laddove le regole della concorrenza e del mercato non sono sufficienti al perseguimento degli obiettivi di interesse generale che esso si propone[27].
In altri termini l’Unione non nega il concetto di pubblico servizio negli stati membri, ma, come ha recentemente riconosciuto la Commissione, lo sviluppo dei servizi di interesse generale e il mantenimento di aree di attività economica in forma di pubblici servizi “sono essenziali al progresso della competitività europea, della solidarietà sociale e della qualità della vita dei cittadini”[28]. Dal tenore di detta comunicazione emerge la convinzione che gli obiettivi perseguiti dagli Stati membri attraverso lo sviluppo e il mantenimento di aree di attività economica in forma di servizi pubblici “sono al centro del modello europeo di società” i cui valori non incontrano ostacoli nell’eterogeneità dei modelli di organizzazione dei servizi di interesse generale nei diversi paesi membri. Le attività possono pertanto essere prestate in concorrenza o in monopolio, sia da imprese private che pubbliche ed essere controllate da autorità nazionali, regionali, locali. In tale ottica, la commissione non esita ad ammettere che dalle specifiche finalità di interesse generale assegnate ai servizi possano derivare diritti e prerogative speciali, in grado di influenzare le condizioni di fornitura delle prestazioni da esse offerte sul mercato[29].La deroga al regime della concorrenza si giustifica tuttavia solamente per le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale e quando tale deroga sia effettivamente indispensabile ad assicurare il funzionamento del servizio e le sue finalità: la cd. specifica missione. In proposito è opportuno precisare che l’ordinamento comunitario assume un atteggiamento di non ingerenza sui contenuti delle missioni affidate ai servizi, lasciando le amministrazioni pubbliche libere nella individuazione degli obiettivi da assicurare ai cittadini e quindi nella definizione del pubblico servizio.
Last but non least, si deve evidenziare che in sede comunitaria è stata elaborata la figura de cd. servizio universale la cui definizione risulta ancora abbastanza controversa ma che appare identificabile in quelle prestazioni che devono essere rese a tutti, in qualsiasi parte del territorio e a prezzi abbordabili. Sembra pertanto emergere un concetto minimale di servizio pubblico, un “nocciolo duro dell’interesse generale” che deve tener conto delle diverse realtà nazionali e che costituisce una sorta di limite di tolleranza alle deroghe alla concorrenza introdotte a garanzia di una specifica missione di pubblico servizio.
In definitiva il diritto comunitario non nega il concetto di servizio pubblico, ma lo supera distinguendo una componente di base o minimale (servizio universale) che legittima eventuali deroghe al regime della concorrenza e una componente ulteriore (servizio a valore aggiunto) cui si applica la disciplina generale e quindi le regole di mercato[30]. Peraltro, la stessa commissione ha espressamente ammesso che gli stati membri restano comunque liberi di definire delle “missioni di interesse generale supplementari” rispetto al servizio universale, definendo in senso più esteso l’obiettivo che intendono perseguire e di conseguenza la loro nozione di pubblico servizio[31].

7. Verso la riforma del sistema: servizi pubblici locali e mercato.

In tale quadro le proposte di riforma dei servizi pubblici locali sono volte a recepire gli indirizzi manifestatesi sia a livello nazionale che europeo.
Il disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento(cd. disegno di legge Vigneri), infatti, si inserisce nel trend descritto, allineandosi ai principi comunitari e valorizzando il processo di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici già avviato dalle legge sulle autonomie locali. L’obiettivo è infatti quello di coniugare liberalizzazione, regolamentazione e industrializzazione dei servizi pubblici, recependo le indicazioni espresse in proposito dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha sottolineato come il settore dei servizi pubblici locali sia caratterizzato da limitazioni legali all’accesso e da un’ampia diffusione di diritti speciali ed esclusivi. In particolare la riforma si propone di realizzare:
a) il miglioramento dell’offerta di servizi pubblici locali e la precostituzione delle condizioni che assicurino servizi efficienti, una quantità e una qualità adeguate alla domanda, a costi il più possibile contenuti, garantendo l’universalità e la continuità della prestazione; servizi insomma che meglio assolvano la funzione sociale e di supporto allo sviluppo che deve essere loro propria.
b) la valorizzazione delle funzioni di indirizzo, di programmazione, di vigilanza e di controllo di comuni e province; a questo scopo il disegno di legge, separando queste funzioni da quelle di gestione del servizio, rafforza la capacità di regolazione degli enti locali fornendo loro un quadro di regole e di strumenti con cui governare lo sviluppo dei servizi pubblici locali.
c) la creazione di un mercato aperto alla concorrenza, nel rispetto dei principi di trasparenza, economicità e parità tra soggetti pubblici e privati, nel quale possano esprimersi appieno le migliori capacità imprenditoriali.
d) il rafforzamento strutturale del sistema dei servizi pubblici locali, attraverso il raggiungimento di dimensioni ottimali di impresa e il coinvolgimento di capitali privati per la realizzazione degli investimenti infrastrutturali di cui il settore ha particolare necessità.
Poiché tali obiettivi implicano precise scelte di diritto positivo il progetto di riforma procede ad una preliminare individuazione dei “confini” del pubblico servizio e ad una contestuale precisazione dei rapporti tra pubblico e privato.
Sotto il primo profilo il progetto di riforma prevede una nozione ampia di servizio pubblico locale che da un lato sottolinea il fondamentale ruolo degli enti locali nell’interpretazione dei bisogni delle relative comunità e dall’altro esprime una dichiarata preferenza per il mercato.
L’art. 1 del testo del disegno di legge presentato, infatti, dopo aver riprodotto la formulazione contenuta nel testo unico sulle autonomie locali (“I servizi pubblici locali, individuati dagli enti locali tra le attività non riservate allo stato, alle regioni o ad altre amministrazioni pubbliche, hanno ad oggetto la produzione di beni e di attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”) precisa che “Gli enti locali, nell’esercizio delle funzioni di loro competenza, provvedono ad organizzare i servizi pubblici, o segmenti di essi…… ove il relativo svolgimento in regime di concorrenza non assicuri la regolarità, la continuità, l’accessibilità, l’economicità e la qualità dell’erogazione in condizioni di uguaglianza. Il gestore di un servizio pubblico locale o di una infrastruttura strumentale a detto servizio è tenuto ad ammettervi utenti ed imprese che ne hanno titolo, sulla base di condizioni oggettive, trasparenti e non discriminatorie”.
E’ dunque ictu oculi evidente la netta inversione di rotta che la nuova disciplina vuole attuare, ponendo al centro del processo riformatore una “dichiarata preferenza per il mercato”. Come è stato recentemente evidenziato, questa preferenza si basa sui due pilastri “della concorrenza nel mercato” e della “concorrenza per il mercato”[32]. In sostanza quando non è possibile la concorrenza nel mercato, perché il servizio non può essere svolto da una pluralità di operatori in competizione tra loro, deve subentrare la competizione per il mercato, nella quale più operatori si contendono la gestione di un unico servizio. La concorrenza nel mercato è sancita nel comma 3 dell’art. 22 del testo di riforma che subordina l’individuazione di ulteriori servizi pubblici locali da affidare in gestione da parte degli enti locali, alla previa verifica che “le relative attività non possano essere svolte in regime di concorrenza”. La norma non sembra richiedere la necessaria presenza di un effettivo pluralismo imprenditoriale; è infatti sufficiente ad escludere l’assunzione da parte dell’ente locale il fatto che l’attività economica presenti condizioni di produzione e distribuzione tali da consentire, anche potenzialmente, l’attivazione dell’iniziativa privata. Viene in altri termini codificato il principio di sussidiarietà orizzontale in base al quale ogni qualvolta l’iniziativa economica privata sia in grado di intervenire nel settore, rimane automaticamente preclusa l’assunzione del servizio da parte dell’ente locale. L’inversione di rotta si fonda, ma non si limita, al restringimento delle possibilità di azione degli enti locali conseguente alla priorità riconosciuta al mercato. Infatti il legislatore ha previsto l’innesto di ulteriori meccanismi competitivi nel precedente assetto istituzionale prevedendo accanto alla concorrenza nel mercato una concorrenza per il mercato. Tale secondo principio si applica a quei servizi la cui erogazione deve essere affidata ad un solo gestore: per energia acqua rifiuti e trasporto pubblico viene infatti introdotto la regola della “contendibilità” mercato attraverso una riformulazione del meccanismo di gara. Questa apertura alla concorrenza in settori caratterizzati da un naturale monopolio si realizza promuovendo il pluralismo imprenditoriale con la riduzione della durata degli affidamenti, con la possibilità di suddividere la gestione integrata per fasi o tipologie produttive distinguendo altresì le attività complementari da quelle strettamente connesse alla erogazione del servizio ed assicurando infine l’accesso non discriminato alla rete agli altri operatori abilitati.

8. Il superamento della contrapposizione pubblico-privato e il nuovo ruolo dell’ente locale.

Un ulteriore punto di rottura nei confronti dell’attuale concezione dei servizi pubblici è rappresentato dall’ “abbandono della vigente dicotomia tra riserva/mercato e conseguentemente dal superamento del dualismo gestione diretta e gestione indiretta come modalità di affidamento del servizio con il conseguente venire meno della contrapposizione tra pubblico e privato”[33]. Nella nuova concezione il servizio pubblico non è più considerato una attività economica sottratta al regime di mercato e retta da una disciplina speciale fondata su una riserva di legge. Il testo è abbastanza chiaro sul punto sopprimendo l’attuale disposizione dell’art. 22 che afferma che “i servizi riservati in via esclusiva ali comuni e alle province sono stabiliti dalla legge” e precisando che i comuni e le province “non provvedono più alla gestione” ma disciplinano l’assunzione dei servizi pubblici”. Si è parlato in proposito di una delegittimazione di quelle attività, in precedenza riservate, da monopolio legale a monopolio di fatto, con la conseguenza che lo stesso va possibilmente intaccato e ridimensionato per far prevalere la concorrenza. Il dissolversi della riserva comporta anche il superamento della distinzione tra gestione diretta e indiretta che si collocava al suo interno, determinando altresì il superamento del diritto speciale derogatorio rispetto alle regole della concorrenza.
In tale prospettiva sono infatti destinate a scomparire alcune delle forme di gestione diretta dei servizi: le aziende speciali, anche consortili, devono essere trasformate in società di capitali o cooperative a responsabilità limitata, mentre la gestione in economia sarà consentita solo in casi eccezionali. In particolare dall’articolato normativo sembra emergere una distinzione organizzativa tra due tipologie di servizi:
a) servizi in esclusiva: (erogazione di energia – con esclusione di quella elettrica – erogazione del gas, gestione del ciclo dell’acqua, gestione dei rifiuti solidi urbani e trasporto collettivo) per i quali si stabiliscono una serie di principi non derogabili, finalizzati ad attivare i meccanismi di concorrenza per il mercato: obbligatorio affidamento tramite gara, cui possono partecipare solo società di capitali, senza vincoli territoriali con limiti predefiniti di durata massima per gli affidamenti. Si afferma così tramite l’obbligatorietà della gara il principio generale del ricorso alla contendibilità del mercato per l’affidamento dei servizi in esclusiva. Si tratta di servizi a rete il cui svolgimento comporta spesso una intrinseca esigenza di perequazione finanziaria dei costi tra gli utenti per assicurare quello che il legislatore comunitario ha definito il servizio universale, cioè la disponibilità di servizi uniformi a tariffe abbordabili da qualsiasi utente
b) altri servizi: per i quali viene lasciata all’ente locale la scelta tra l’affidamento tramite gara e l’affidamento diretto ad una società controllata. Si consente inoltre la gestione a mezzo di istituzione per servizi a contenuto sociale nonché, eccezionalmente, la gestione in economia.
Dal punto di vista dei soggetto gestori, inoltre, non ha più senso la distinzione tra pubblico e privato, in quanto detta terminologia non indica più alcuna differenziazione di regime giuridico. Anzi, il disegno di legge vieta ogni forma di discriminazione tra i gestori di pubblico servizio in ordine al trattamento tributario, all’accesso al credito, alla concessione di contributi o di agevolazioni. Se infatti, l’affidamento del servizio consegue esclusivamente alla gara, quale sistema generale, non c’è più differenza anche dal punto di vista dell’ente locale affidante, tra imprese private e pubbliche, anche eventualmente di proprietà dell’ente. Nel nuovo assetto concorrenziale i gestori sono imprese che operano secondo il diritto comune senza discriminazioni o privilegi. Questa indifferenza del regime giuridico della proprietà delle imprese che gestiscono servizi è sembra confermare l’interpretazione secondo cui il servizio pubblico nella prospettiva attuale e futura trova fondamento e disciplina non più nell’ambito dell’art. 43 della Cost., ma nell’ambito dell’art. 41 in base al quale “l’attività economica pubblica e privata è sottoposta ad un identico regime conformativo”. Al contempo, il superamento della dicotomia pubblico privato colloca la disciplina in itinere dei servizi pubblici nella visione comunitaria delle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale previste dall’art. 87 del Trattato U.E: che non discrimina nell’applicazione o nelle deroghe alla concorrenza tra natura pubblica o privata dell’impresa.
In altri termini l’ente locale dismette i panni dell’imprenditore puro e si prepara a svolgere unicamente attività di indirizzo programmazione e controlllo. Più precisamente l’ente “nell’ambito delle rispettive competenze” ha il compito di individuare i servizi pubblici locali suscettibili di affidamento e di disciplinarne l’assunzione da parte di terzi. La prima è una competenza che rientra nel processo di individuazione della domanda ed in tale momento emergono profili di discrezionalità amministrativa e tecnica nella valutazione delle condizioni del mercato (regolarità, continuità, economicità, qualità, fruibilità della prestazione in regime di concorrenza) che legittimano o meno l’assunzione del servizio e che dovranno emergere dalla motivazione dell’atto adottato dall’amministrazione; la seconda (la disciplina dell’assunzione) riguarda i rapporti con i gestori i cui contenuti sono predeterminati in genere da fonti normative esterne all’ente locale, che tuttavia è tenuto a rispettarle alla stregua delle società private.
In una fase successiva a quella dell’assunzione del servizio, all’ente locale spetta “un’attività di vigilanza, di programmazione e di indirizzo ed eventualmente di regolazione ove non sia previsto dalla legge altro soggetto competente in materia”.
In questa prospettiva, la programmazione appare una modalità di individuazione e aggregazione della domanda di prestazioni, mentre la vigilanza e il controllo rappresentano lo strumento di verifica della qualità della erogazione dei servizi. In altri termini la programmazione e il controllo non costituiscono espressione della funzione amministrativa, ma in una prospettiva di diritto comune si tratta di procedure di tipo essenzialmente aziendale. In un sistema di mercato, infatti, lo spazio per l’indirizzo politico amministrativo e per l’esercizio della funzione tradizionalmente intesa non può che essere recessivo ed esplicarsi soltanto a monte e a valle del processo, nel momento delle scelte e delle verifiche. Siamo dunque in presenza di una “valorizzazione del profilo comunitario dell’ente locale a spese del profilo autoritario” e in una logica di sussidiarietà delle funzioni ( intesa in senso verticale e orizzontale) che spinge i servizi pubblici verso il definitivo superamento delle proprie origini.
[1] M.S. GIANNINI, Il pubblico potere, Bologna, 1986, 69 ss.
[2] Sull’elaborazione della nozione di pubblico servizio si veda: U. POTOTSCHNIG, I servizi pubblici, Padova, 1964; R. ALESSI, Le prestazioni amministrative rese ai privati, Milano, 1956, 37 ss.; F. MERUSI, voce Servizio pubblico, in Nov.ssimo Digesto Italiano, XVII, Torino, 1976, 217 S. CATTANEO, voce Servizi Pubblici, in Enc. Dir., XLII, 1990, 372.
[3] A. PIOGGIA, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico servizio, in Quaderni del pluralismo, 1998, 175 ss.
[4] A. PAJNO, Servizi pubblici e tutela giurisdizionale, in Dir. amm., 1995, 554. Parla di giudizio di valore G. ROSSI, Pubblico e privato nell’economia di fine secolo, in AA. VV. Le trasformazioni del diritto amministrativo, Milano, 1995, 223.
[5] G. CORSO, La gestione dei servizi locali tra pubblico e privato, in AA.VV. Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione, Milano, 1997, 24 ss.
[6] S. CASSESE, Le privatizzazioni in Italia, in Stato e mercato, 1996, 323; G. AMORELLI, Le privatizzazioni nella prospettiva del trattato istitutivo della Comunità economica europea, Padova, 1992; CLARICH, Privatizzazioni e trasformazioni in atto nell’amministrazione italiana, in Dir. amm., 1995, 519 ss.; C. PINELLI, Privatizzazione dei servizi pubblici locali in Italia e in Francia, in Mercati, amministrazioni e autonomie territoriali, Torino, 1999, 141.
[7] Per una attenta e completa disamina della tematica si vedano gli atti del XXXXI convegno di Varenna del 1995 ed in particolare la relazione introduttiva di G. PASTORI, Servivi pubblici e nuove forme di amministrazione, G: CORSO, La gestione dei servizi pubblici locali tra pubblico e privato, M. CAMMELLI, Le società per azioni a partecipazione pubblica locale, Milano, 1996.
[8] L. CASTELLANI, Il servizio pubblico locale in Italia e in Europa, in Rivista Anci, 1996, 25 ss.
[9] G. BOZZI, Municipalizzazione dei servizi pubblici, in Enc. Dir., XXVIII, Milano, 1977, 368.
[10] M.S. GIANNINI, Profili giuridici della municipalizzazione con particolare riguardo alle aziende, cit.
[11] Per servizio pubblico si intendeva pertanto l’esercizio da parte di un soggetto pubblico, in modo diretto o attraverso specifiche articolazioni quali le aziende autonome o ancora mediante affidamento in concessione, di un’attività imprenditoriale offerta in modo indifferenziato al pubblico.
[12] POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova, 1964.
[13] DE VALLES, I servizi pubblici, in Trattato di V.E. Orlando, Milano, 1930, 379.
[14] Cass. Sez. V, 6 giugno 1991; Cass. Sez. Un. 24 luglio 1989.
[15] G. CAIA, op. cit.
[16] Cons. Stato, Sez. V, 3 aprile 1990, n. 319.
[17] Cfr. in tal senso L. CASTELLANI, op. cit., 39 ss.
[18]U. POTOTSCHNIG, I servizi pubblici, cit.
[19] Sulle forme di gestione dei servizi pubblici esiste copiosa dottrina. Tra i molti scritti si veda G. CAIA, La municipalizzazione dei servizi pubblici locali, cit.; M. CAMMELLI, I servizi pubblici nell’amministrazione locale, in Le regioni, 1992, 3; G. ROSSI, I servizi pubblici locali. Tipologia delle formule organizzative e analisi delle problematiche, cit.; LUCIANI, la gestione dei servizi pubblici locali, mediante società per azioni, Dir. amm., 1995; CIRIELLO, Servizi pubblici, in Enc. giur., Roma, 1992; CANNADA BARTOLI, Servizi pubblici locali mediante società per azioni, in Giur. it., 1996, 483.
[20] Ad esempio se un Comune ha deciso di gestire un servizio pubblico tramite Azienda speciale sarà a questa inibito spendere la sua capacità di diritto privato per contravvenire a siffatta scelta. In caso contrario, infatti, si violerebbe la volontà espressa dall’unico organo legittimato alla scelta.
[21] L. CASTELLANI, op. cit.
[22] F. ROVERSI MONACO (a cura di) Sussidiarietà e pubbliche amministrazioni, Rimini, 1997; F. MERLONI, Privatizzazioni e sussidiarietà: quale amministrazione locale? ivi, 235.
[23] Un chiaro contributo normativo per una definizione aggiornata ed attuale di servizio pubblico è scaturita, dalla direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 27 gennaio 1994 che ha dettato i principi sull’erogazione dei servizi pubblici. Con riguardo a tale direttiva sono considerati servizi pubblici, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli tesi a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla salute, all’assistenza e previdenza sociale, alla istruzione e alla libertà di comunicazione, alla libertà e alla sicurezza della persona, alla libertà di circolazione, e quelli di erogazione di energia elettrica, acqua e gas.
Successivamente con l. 11 luglio 1995 n. 273 all’art. 2, comma 1, sono stati individuati i seguenti servizi pubblici: sanità, assistenza, istruzione, comunicazioni e trasporti, energia elettrica, acqua e gas. Il D.P.C.M. 19 maggio 1995 ha così individuato i settori di servizi pubblici ai fini della emanazione degli schemi di riferimento delle Carte dei servizi pubblici: Sanità, Assistenza, previdenza sociale, Istruzione, Comunicazioni, Trasporti, energia elettrica, acqua, gas. Successivamente il DPCM 2 dicembre 1997 ha individuato, come ulteriore settore: il fisco.
[24] Sulla proporzionalità e sussidiarietà nella motivazione dell’assunzione del pubblico servizio da parte dell’ente locale, si veda A. PIOGGIA, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico servizio, cit., 25
[25] D. SORACE, L’ente pubblico tra diritto comunitario e diritto nazionale, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1992, 357.
[26] Le missioni assegnate ai servizi di interesse generale e i diritti speciali che ne possono derivare, discendono da considerazioni di interesse generale, quali, segnatamente, la sicurezza dell’ approvigionamento, la tutela dell’ambiente, la solidarietà economica e sociale, la sistemazione generale del territorio, la promozione degli interessi dei consumatori (punto 7 della comunicazione).
[27] Per tale interpretazione cfr. M. CAMMELLI, Comunità europea e servizi pubblici, in L.VANDELLI, C. BOTTARI, D.DONATI (a cura di); A. PIOGGIA, op. cit.
[28] Comunicazione della Commissione dell’11 settembre 1996, in G.U.C.E., n. C. 281 del 26 settembre 1996, 3. Per un’illustrazione dei contenuti v. il commento di N. RANGONE, in Giornale di dir. amm., 1997, 4, 386.
[29] A. PIOGGIA, op. cit.
[30] Cfr. sul punto BOITEAU, Il concetto comunitario di servizio pubblico e i servizi pubblici locali, in Probl. amm. pubbl., 1997, 347.
[31] A. PIOGGIA, op. cit..
[32] G. DI GASPARE, I servizi pubblici verso il mercato, in Dir. pubbl., 1999, 3, 799.
[33] G. DI GASPARE, op. cit., 801

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