Il riparto di giurisdizione nelle espropriazioni

Redazione 15/02/19
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La questione relativa al riparto di giurisdizione ha inizio con legge 5992/1889, con la quale la IV Sezione del Consiglio di Stato, dotata di funzioni giurisdizionali e non più solo consultive. Con l’avvento della IV Sezione e l’affidamento al Consiglio di Stato di funzioni giurisdizionali, si verifica il passaggio all’attuale sistema della cd. doppia giurisdizione tra giudici ordinari e amministrativi, nascendo così il problema del riparto di giurisdizione.

Il criterio impiegato per stabilire il riparto è quello della causa petendi che fonda la ripartizione sull’intrinseca natura della posizione vantata dal ricorrente, come qualificata dall’ordinamento e non come da egli prospettata. Questo criterio fu il risultato del concordato giurisdizionale del 1929 tra Cassazione e Consiglio di Stato, poi recepito dalla Costituzione repubblicana all’art. 113. Tale norma ripartisce, appunto, la tutela giurisdizionale avverso gli atti della Pubblica amministrazione tra giudice ordinario e giudice amministrativo per la tutela, rispettivamente, di diritti e interessi legittimi. Alcuni spunti a riguardo sono stati offerti dall’art. 24 Cost. e art. 103 Cost. che individuano nel giudice amministrativo il giudice naturale per la tutela degli interessi legittimi nei confronti del potere pubblico. A livello di legge ordinaria, la norma di riferimento per la giurisdizione è l’art. 7 c.p.a., che devolve al giudice amministrativo le controversie relative agli interessi legittimi e, nelle materie previste dalla legge, anche ai diritti soggettivi, purché collegate all’esercizio di un potere autoritativo da parte della P.A.

Il criterio per distinguere tra diritti soggettivi e interessi legittimi

Una volta assodato, alla luce dei citati riferimenti normativi, che la regola di riparto si fonda sulla natura della posizione giuridica azionata, diventa necessario individuare un criterio in base al quale distinguere tra diritti e interessi, che sia il più possibile certo o almeno condiviso. Diverse sono le formule che sono state, a tal fine, proposte nel tempo da dottrina e giurisprudenza.

Le tesi a confronto.

Una prima ipotesi distingueva tra attività d’imperio (in cui la P.A. agisce in posizione di supremazia, degradando il diritto in interesse e radicando la giurisdizione del g.a.) e attività di gestione (in cui la P.A. è in posizione paritaria rispetto ai privato, agendo all’interno del paradigma diritto – obbligo, così radicando la giurisdizione del g.o.).

Una seconda tesi guardava alla natura della norma giuridica violata: e infatti se la P.A. agiva in violazione di una cd. norma di azione, che disciplinava il potere ad essa comunque attribuito dalla legge, incideva su un interesse legittimo, per la cui tutela sarebbe stato necessario adire il g.a.; viceversa se ad essere violata era una cd. norma di relazione, relativa al rapporto paritetico con il privato, egli avrebbe dovuto trovare tutela per il proprio diritto violato innanzi al g.o.

Una terza impostazione proponeva di distinguere tra attività vincolata – diritto soggettivo – g.o. e attività discrezionale – interesse legittimo – g.a.

Nello specifico nessuno dei criteri impiegato è stato ritenuto soddisfacente da dottrina e giurisprudenza, i quali hanno viceversa optato per il binomio carenza di potere – cattivo uso del potere. In base a questo criterio si ritiene che la mancanza di una norma attributiva del potere impedisce che il diritto venga affievolito in interesse legittimo: il diritto resta tale e fonda la giurisdizione del g.o. Diversamente, nel caso in cui l’Amministrazione sia effettivamente titolare del potere autoritativo, ma lo abbia male esercitato perché abbia agito al di fuori dei presupposti e dei limiti prescritti dalla norma attributiva, il privato sarà titolare di un interesse legittimo azionabile dinanzi al g.a.

L’art. 7 c.p.a. distingue tra giurisdizione generale di legittimità, di merito ed esclusiva. Peraltro, la giurisdizione esclusiva, è altresì contemplata dal legislatore costituzionale, accanto a quella generale di legittimità, all’art. 103 Cost.

Il riparto di giurisdizione in materia espropriativa

Nell’espropriazione per pubblica utilità la materia è devoluta alla giurisdizione esclusiva del g.a. a norma dell’art. 133 lett. g) c.p.a., ad eccezione fatta per le controversie sull’indennità di esproprio devolute alla giurisdizione del g.o.

Un caso riguarda la situazione in cui il ricorrente contesti simultaneamente l’illegittimità dell’esproprio chiedendo il risarcimento del danno e, in subordine, nel caso in cui l’esproprio sia ritenuto legittimo, chieda la determinazione dell’indennizzo. Sul punto, la giurisprudenza ha affermato che sulla base del principio di effettività, ex art. 1 c.p.a., debba essere realizzato il simultaneus processus davanti a un unico giudice dinanzi al quale concentrare ogni forma di tutela delle posizioni azionate (cfr. art. 7, comma 7, c.p.a.). Siffatto principio, così come posto a fondamento delle deroghe ai criteri di competenza anche nel processo amministrativo ai sensi dell’art. 12, comma 4 bis, c.p.a., si è ritenuto estensibile anche alla giurisdizione per cui sarebbe possibile derogare agli ordinari criteri di riparto “per ragioni di connessione”. Nello specifico l’azione dovrà essere proposta avanti al g.a.

Un’ulteriore questione riguarda le controversie instaurate dal proprietario del bene a seguito di occupazione illegittima da parte della P.A.  Si deve distinguere tra comportamenti materiali e comportamenti amministrativi.  Qualora l’Amministrazione pone in essere un comportamento senza un potere pubblico, si tratterà di occupazione usurpativa, in cui la P.A. occupa il terreno privato in assenza di una dichiarazione di pubblica utilità, si avrà carenza di potere e la giurisdizione è del g.o. Nel secondo caso, invece, vi è stata da parte della P.A. l’emissione di una dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di occupazione d’urgenza ex art. 22 bis T.U., in forza dei quali essa ha lecitamente occupato l’area, anche se la procedura non si è conclusa con il decreto di esproprio. Qui, il collegamento con l’esercizio, almeno ab origine, di un potere amministrativo è sufficiente a radicare la giurisdizione esclusiva del g.a

Da ultimo, la giurisprudenza si è concentrata sulla natura dell’indennizzo da acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis T.U. espropriazioni.

Le Sezioni Unite con sentenza n. 15283/2016 hanno stabilito che sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario e alla competenza in un unico grado della Corte d’Appello le controversie relative la determinazione di indennizzi previsti in caso di di adozioni di provvedimento di “acquisizione sanate”, incluse le somme dovute a titolo di danno per il periodo di occupazione del bene senza titolo.

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