Il riconoscimento dello status filiationis del minore nato mediante pratica di maternità surrogata al vaglio delle sezioni unite

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1.Il divieto di surrogazione in maternità nell’ordinamento italiano. 2. La comparazione tra le legislazioni estere ed il problema concernente lo status filiationis nella giurisprudenza europea. 3. Le pronunce della giurisprudenza italiana tra favor veritatis e favor minoris. 4. Il nuovo orientamento della Corte Edu e la decisione delle Sezioni Unite: contraddizioni e limiti.

  1.  Il divieto di surrogazione in maternità nell’ordinamento italiano

Le nuove tecnologie di riproduzione consentono alle coppie sterili o infertili[1] che non hanno la possibilità di concepire un figlio naturalmente, di diventare ugualmente genitori, realizzando, in tal modo, un desiderio che, molto spesso, costituisce una delle aspirazioni più intime e profonde dell’essere umano.

La Legge nr. 40/2004 interviene, dopo lunghi anni di incertezza, ad ordinare la materia procreativa, ponendo, tuttavia, una serie di divieti corredati da incisive sanzioni penali che hanno fortemente limitato in Italia l’applicazione delle pratiche di fecondazione artificiale.

Il Giudice delle Leggi è intervenuto più volte per cercare di ridimensionare l’impronta sanzionatoria imposta dal legislatore italiano, con una serie di interventi demolitivi dei divieti di fecondazione eterologa, di diagnosi genetica pre-impianto e di divieto di produzione e di impianto del numero massimo di tre embrioni per ogni ciclo procreativo[2].

Permane intatto, tuttavia, il divieto di maternità surrogata, sancito dall’articolo 12 co. 6 della legge de qua.

L’espressione surrogazione in maternità indica quella pratica di Procreazione Medicalmente Assistita mediante la quale si realizza una dissociazione tra la donna partoriente ( anche detta madre uterina) e la donna che desidera mettere al mondo un figlio ( anche detta madre sociale)[3].

La madre uterina si impegna, dunque, a provvedere alla gestazione e al parto, su commissione della coppia richiedente.

Occorre distinguere, al proposito, due diversi tipi di surrogazione in maternità: la cd. locazione d’utero, che consiste nell’accordo attraverso cui la madre committente si limita a prestare il proprio utero mettendo al mondo un bambino il cui corredo biologico le è completamente estraneo, in quanto appartenente totalmente o parzialmente alla coppia committente e la maternità surrogata vera e propria, che ricorre allorquando la donna porta a compimento la gravidanza per conto di terzi prestando, tuttavia, anche parte del proprio materiale biologico.

La ragione del disvalore attribuito dal legislatore italiano a tale pratica procreativa risiede nell’esigenza di tutelare la dignità umana: la degradazione della donna al ruolo di mero organismo di riproduzione, porterebbe allo svilimento sia  del ruolo della gestazione, sia del ruolo della maternità.

Tali valutazioni spingevano i giudici di merito, già prima dell’intervento della Legge nr. 40/2004, a negare l’ammissibilità delle pratiche di surrogazione materna[4].

Emblematica è la pronuncia del Tribunale di Monza[5], con cui i giudici lombardi respingevano la domanda dei coniugi committenti ad ottenere l’affidamento della figlia, nata attraverso la pratica di surrogazione in maternità in quanto, al momento della nascita, la donna gestante si era rifiutata di consegnare la bambina da lei partorita ai genitori sociali.

Il Collegio si esprimeva pronunciando la nullità assoluta del contratto de quo per l’assenza dei requisiti di possibilità e liceità dell’oggetto, nonché per illiceità della causa, stabilendo, altresì, la non ripetibilità delle somme anticipate dai committenti, in quanto costituenti prestazioni contrarie al buon costume ex art 2035 c.c[6].

Rispetto all’orientamento giurisprudenziale cristallizzatosi ante legem,  si pronunciava in senso contrario il Tribunale di Roma[7] il quale, adito per dirimere una controversia intercorrente tra una coppia di coniugi commettenti e il sanitario che si rifiutava- in quanto dichiaratosi vincolato al codice di deontologia medica- di procedere all’impianto degli embrioni ottenuti mediante fecondazione in provetta nell’utero della donna gestante, accoglieva la domanda attorea, dichiarando valido il contratto atipico di maternità surrogata.

In particolare, il collegio Capitolino riteneva meritevole di tutela l’accordo di surrogazione, in quanto espressivo del diritto all’autorealizzazione genitoriale e, pertanto, doveva considerarsi valido il contratto allorquando la madre uterina non eseguisse la prestazione per ragioni di lucro, ma per spirito solidale nei confronti della coppia committente, purchè la stessa si impegnasse a mantenere un rapporto col nascituro, per salvaguardarne la crescita e lo sviluppo della sua personalità[8].

Con l’avvento della legge del 2004, cessò la situazione di incertezza applicativa e vennero radicalmente proibiti tutti gli accordi di gestazione in maternità.

Ciò comportò, prevedibilmente, l’avvento del fenomeno del cd. turismo procreativo, inteso come il fenomeno migratorio coinvolgente tutte le coppie di aspiranti genitori che, frenati dal severo impianto sanzionatorio della legge italiana, decidevano di recarsi all’estero per soddisfare la loro esigenza di genitorialità.

  1. La comparazione tra le legislazioni estere ed il problema concernente lo status filiationis nella giurisprudenza europea

E’ noto come, in materia di Procreazione Medicalmente Assistita, la legislazione italiana tenda a distanziarsi dall’esperienza internazionale degli altri Stati[9].

Difatti, la maggior parte delle legislazioni straniere  disciplina in modo organico il ricorso alle pratiche di della surrogazione in maternità, ammettendole in presenza di determinate condizioni.

La legislazione inglese[10] nel 1985 ha regolarmente disciplinato il ricorso alla pratica di surrogazione in maternità mediante l’approvazione del Surrogancy Arrangements Act, che vieta il solo sfruttamento commerciale della pratica in questione.

In Ucraina, polo di attrazione principale per le coppie che scelgono di recarsi all’estero a fini procreativi,  la surrogazione è ammessa qualora la madre uterina si impegni a portare a termine una gravidanza il cui materiale biologico le sia totalmente estraneo, dovendo provenire almeno il 50% dal patrimonio genetico dei genitori committenti[11].

Anche la legislazione degli Stati Uniti e quella Canadese reputano pienamente valido il contratto di surrogazione in maternità, arrivando a disciplinare un apposito contratto di mandato intercorrente tra la coppia committente e la madre uterina[12].

Viceversa, in Francia la surrogazione di maternità viene espressamente vietata, allineandosi, per tale aspetto, la disciplina francese a quella italiana[13].

Le differenze normative sussistenti tra i diversi Stati, spalancano le porte ai problemi di riconoscimento del legame di filiazione intercorrente tra la coppia committente e il figlio nato in diversa nazione.

Il turismo procreativo, in costante aumento negli Stati che vietano il ricorso alle tecniche di surrogazione in maternità, ha comportato la nascita di controversie inerenti il problema dell’annotazione, nei registri dello Stato Civile di appartenenza, dell’atto di nascita del bambino nato dalla madre uterina, anziché da quella sociale.

Su tale profilo è stata chiamata a pronunziarsi, già nel 2011, la Corte Edu. I casi portati all’attenzione della Corte, riguardavano gli accordi di gestazione in maternità stipulati da due coppie francesi negli Stati Uniti e il conseguente problema della trascrizione dei relativi certificati di nascita nei registri di Stato Civile francesi[14].

Il rifiuto da parte delle autorità francesi di trascrivere l’atto di nascita dei rispettivi bambini nati all’estero, relativamente al rapporto di filiazione intercorrente tra i nati e le madri committenti ( posto che trascrizione era ammessa nella parte in cui si indicava quale unico genitore il padre biologico, ossia quello il cui materiale genetico era stato utilizzato nella tecnica di P.M.A. di cui era destinataria la madre uterina) spingeva entrambe le coppie a presentare ricorso innanzi alla Corte Edu per lesione del loro diritto al rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani.

La Corte, applicando in maniera del tutto innovativa il parametro del best interest of child nell’interpretazione dell’art. 8 Cedu, affermava la necessità di rispettare il diritto all’identità personale del minore nato da pratica di maternità surrogata, e confermava che la mancata trascrizione del legame di filiazione tra il figlio nato mediante surrogazione e la madre volontaria, costituisse una violazione del summenzionato articolo 8.

Ad analoghe considerazioni era altresì giunta la medesima Corte nel noto caso Paradiso e Campanelli contro Italia[15].

I coniugi Paradiso e Campanelli decidevano di recarsi in Russia per procedere alla pratica di surrogazione in maternità e, una volta tornati in Italia, riscontavano il rifiuto, da parte delle autorità italiane, di riconoscere il rapporto di filiazione.

Pertanto, veniva dichiarato lo stato di abbandono e di conseguente adottabilità del minore.

La Seconda Sezione della Corte Edu, ravvisò una violazione dell’articolo 8 Cedu sotto il profilo del mancato rispetto  della vita privata e familiare, tenendo in particolare considerazione la circostanza che i signori Paradiso e Campanelli avevano trascorso un considerevole periodo di convivenza con il bambino, rappresentandosi ai suoi occhi come genitori.

Dunque, secondo la Corte, la misura dell’allontanamento del minore da quello che era stato per svariati mesi il suo nucleo familiare, doveva esser considerata estrema e contraria al superiore interesse del minore.

Il 27 aprile del 2015, il Governo italiano chiedeva, ai sensi dell’art. 43 CEDU, il riesame del caso alla Grande Chambre.

La Grande Chambre, con pronuncia del 24 gennaio 2017,  sovvertiva la decisione espressa dalla Camera,  affermando che la scelta dei tribunali nazionali di applicare il diritto italiano,  con conseguente dichiarazione di abbandono del minore ed applicabilità della legge sull’adozione, fosse compatibile con la Convenzione dell’Aja del 1961 e, pertanto, assolutamente legittima, nonché prevedibile.

Pertanto, l’intervento delle autorità italiane, veniva considerato proporzionato rispetto al perseguimento dell’interesse del minore e alla difesa dell’ordine pubblico.

Consentire alla coppia di ricorrenti di conservare un legame affettivo con il minore, con eventuale riconoscimento legale, avrebbe significato legittimare una pratica contraria ai valori dell’ordinamento nazionale.

Tenendo in debita considerazione le circostanze del caso di specie – l’età del bambino, il lasso di tempo relativamente breve trascorso con i genitori sociali, l’assenza di un qualsivoglia legame biologico e l’assenza, in capo ai riccorenti, dei requisiti di adozione previsti dalla legge italiana- la GC riteneva che l’allontanamento del minore da quello che era stato il suo nucleo familiare, non comportasse un pregiudizio irreparabile, ma che, al contrario, fosse stato operato un corretto bilanciamento tra i delicati interessi venuti in rilievo[16].

Si assiste ad un totale sovvertimento della decisione della Camera a dimostrazione che la complessità della materia, coinvolgente importanti questioni etiche, oltre che giuridiche, spinge a valutazioni e decisioni diverse, talvolta contrastanti tra loro.

  1. Le pronunce della giurisprudenza italiana tra favor veritatis e favor minoris

La legge italiana, come sopra accennato, vieta il ricorso alle tecniche di surrogazione in maternità, consentendo la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico solo mediante il ricorso all’istituto dell’adozione[17].

Nel 2014 si pose per la prima volta all’attenzione della Cassazione Italiana il problema del riconoscimento dello status filiationis del minore nato attraverso tecnica surrogata all’estero[18].

Occorre evidenziare preliminarmente che, se l’articolo 12 co. 6 della L. n. 40/2004, afferma a chiari caratteri il divieto di surrogazione in maternità, nulla è detto dal legislatore del 2004 in materia di trascrizione dei certificati di nascita straniera nei registri dello stato italiano.

Il primo caso portato all’attenzione della Corte riguardava il riconoscimento di un minore, nato mediante maternità surrogata in Ucraina, da parte della coppia di coniugi ricorrenti, i quali non condividevano con lo stesso nessun legame biologico[19].

All’esito del giudizio, la Suprema Corte dichiarò che al certificato di nascita ucraino non può riconoscersi efficacia, in quanto contrario all’ordine pubblico internazionale, inteso come quell’insieme di principi, regole ed obblighi fondamentali che caratterizzano l’ordinamento internazionale in un determinato momento storico, e che per tal motivo, sono invalicabili.

Secondo quanto statuito nella sentenza, il superiore interesse del minore – da erigersi quale parametro in tutte le decisione relative ai fanciulli, siano esse provenienti da istituzioni pubbliche o private- verrebbe tutelato proprio mediante il rispetto della regola sancita all’art. 12 co. 6, in ragione del fatto che il legislatore italiano ha voluto attribuire la maternità solo a colei che partorisce, attribuendo solo all’istituto dell’adozione istanze di genitorialità disgiunte dai legami biologici.

Il bambino, dunque, veniva dichiarato in stato di abbandono e di conseguenza adottabile, ai sensi della normativa italiana.

A distanza di pochi anni dalla pronuncia della Cassazione, veniva interrogato il Giudice delle Leggi sulla diversa questione del se l’impugnazione per difetto di veridicità, prevista dall’art. 263 del codice civile ed esperibile ai sensi di detta norma da parte di chiunque ne abbia interesse, possa esser rigettata qualora l’interesse alla verità, sostenuto dall’attore, non prevalga nel bilanciamento con l’interesse del minore alla conservazione del rapporto.

La Corte d’Appello di Milano, aveva sostenuto, nell’ordinanza di rimessione che l’articolo 263 del c.c. violasse i parametri costituzionali sanciti dagli artt. 2,3, 30,31 e 117 co. 1 Cost., in relazione all’articolo 8 Cedu, ritenendo altresì ingiustificato il diverso trattamento attribuito al nato da fecondazione eterologa e il minore nato a seguito di surrogazione in maternità[20].

La Corte Costituzionale, con sentenza interpretativa di rigetto[21], ha dichiarato infondata  la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo, sottolineando che, essendo la maternità surrogata una pratica “ vietata dalle legge, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” , il favor veritatis debba prevalere sul concreto interesse del minore in ossequio ai principi costituzionali che ispirano l’ordinamento italiano.

La giurisprudenza italiana tende, dunque, nelle sue pronunce, a ribadire e a rafforzare la cogenza del divieto della maternità surrogata, preferendo, nell’inevitabile bilanciamento di interessi che pongono i dilemmi etici, la tutela dell’interesse pubblico alla dignità della gestante rispetto al diritto di autodeterminazione dei singoli, bilanciamento che, alla luce della nuova giurisprudenza europea, appare non più adeguato.

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  1. Il nuovo orientamento della Corte Edu e la decisione delle Sezioni Unite: contraddizioni e limiti

Alla luce dei casi Menesson c. Francia e Labassee c. Francia, a seguito dei quali, in prima istanza, la Francia era stata condannata per  lesione  diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti ex art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, la Corte di Cassazione francese, mediante la procedura disciplinata dal protocollo nr. 16 addizionale alla Convenzione Edu, ha richiesto un parere consultivo alla Corte Europea dei diritti dell’uomo circa l’interpretazione dell’articolo 8 Cedu relativamente alla trascrizione dei figli nati all’estero tramite tecnica di surrogazione in maternità[22].

In particolare, veniva richiesta alla Corte se fosse conforme al summenzionato articolo della Convenzione la possibilità “di trascrivere sui registri dello stato civile l’atto di nascita di un figlio nato all’estero a seguito di una GPA nella parte in cui esso indica come madre legale la madre intenzionale, laddove la trascrizione è invece ammessa nella parte in cui indica quale padre il padre biologico” .

La Corte Edu, in maniera innovativa rispetto al passato, il 10 aprile 2019, si pronunciava su tale questione affermando che il mancato riconoscimento del legame di filiazione tra genitore intenzionale e il bambino nato mediante surrogazione in maternità, risulta incompatibile con l’interesse superiore del minore, qualora, tale procedura, venga negata in maniera generale ed assoluta.

Secondo la Corte, sussisterebbe, dunque, un vero e proprio obbligo, in capo alle autorità nazionali, di consentire il riconoscimento del legame di filiazione tra il genitore intenzionale e il figlio nato tramite gestazione surrogata.

A detto obbligo non possono sottrarsi gli Stati membri, ai quali residua un margine di apprezzamento solo in relazione alle modalità di adempimento del dovere.

Difatti, viene riconosciuta la possibilità di tutelare l’interesse del minore, in tal senso, o mediante la trascrizione dell’atto di nascita con l’indicazione di entrambi i genitori o mediante l’adozione del figlio da parte del genitore intenzionale non biologico.

Tale parere, se da un lato appare apprezzabile in quanto sancisce l’obbligo di subordinare le esigenze stataliste ad un interesse da considerasi prioritario, quale quello del minore ad una serena prosecuzione dell’infanzia nell’ambito di un nucleo familiare composito e ben definito, non risolve alcun problema in punto di diritto, soprattutto se si considera che non tutte le coppie che ricorrono a pratiche di maternità surrogata all’estero, sono in possesso dei requisiti di adozione e che, quindi, laddove uno Stato come la Francia o l’Italia non consenta la trascrizione dell’atto di nascita per contrasto della pratica con norme imperative, e il genitore volontario non possa neppure avvalersi dell’istituto dell’adozione, si creerebbe una disparità di trattamento in violazione del principio di uguaglianza tra figli nati mediante surrogata che possono essere legalmente riconosciuti legalmente mediante trascrizione, figli che possono essere adottati dal genitore intenzionale e figli per cui nessuna delle due opzioni risulta praticabile.

Il mutato orientamento giurisprudenziale europeo, sembra non esser stato recepito dalla Cassazione italiana, la quale, chiamata nuovamente a pronunziarsi sulla domanda di trascrizione nei registri di stato civile di un bambino nato mediante surrogazione in maternità all’estero, si allinea con il precedente orientamento espresso nel 2014.

La domanda attorea origina, stavolta, da una coppia omosessuale composta da due uomini che, dopo aver contratto matrimonio in Canada nel dicembre 2008, ricorreva a tecnica di surrogazione in maternità avvalendosi degli ovociti di una donatrice e di una madre surrogata che portasse avanti la gravidanza.

Le SSUU[23], partendo dall’inquadramento della legge nr. 40/2004 come “legge costituzionalmente necessaria”, in quanto coinvolgente una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti, nonché temi eticamente sensibili, ribadisce che il divieto di surrogazione in maternità sancito dall’art. 12 co. 6 della predetta legge,  incarna un principio di ordine pubblico internazionale, inteso dalla Corte come “il complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico- sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico e il complesso dei principi inderogabili immanenti ai più importanti istituti giuridici[24]”.

Ed è proprio il necessario ed imprescindibile controllo di liceità sull’ordine pubblico a costituire un limite all’ingresso delle sentenze straniere attestanti la doppia paternità .

Alla luce di tali considerazioni, si impone, a detta della Corte, l’esigenza di far prevalere nettamente il favor veritatis rispetto al favor filiationis, non dovendo, quest’ultimo, ritenersi frustrato dall’esistenza nell’ordinamento italiano del divieto di surrogazione in maternità.

La Corte, in più passaggi, sottolinea che il legislatore italiano ha espresso favore per il modello di genitorialità non fondato esclusivamente sul legame biologico tra i genitori ed il nato, ma che tale favor si possa e si debba esprimere unicamente attraverso il ricorso all’istituto giuridico dell’adozione.

Le Sezioni Unite, dunque, affermano che il favor filiationis, nei casi di minori partoriti all’estero mediante surrogata, viene tutelato e riconosciuto, nell’ordinamento italiano, mediante la possibilità di ricorso all’adozione non legittimante (definita dalla Corte “adozione in casi particolari”).

Tale istituto, non fondandosi sui presupposti ordinari previsti dalla l. 183/1983, consentirebbe, a giudizio della Corte, di soddisfare le esigenze di genitorialità sottese ai casi di riconoscimento legale in esame, essendo, tale pratica adottiva, aperta non solo alle coppie unite in matrimonio, ma anche ai singles, qualora ricorrano gli ulteriori presupposti sanciti dall’art. 44 della legge su citata.

Sebbene la soluzione del ricorso all’adozione non legittimante suggerita dalla Corte possa definirsi inappropriata al caso di specie -ed invero, la pratica dell’adozione in casi particolari è sì consentita ai single, ma è preclusa alle coppie omosessuale-, a ben vedere, il problema che pongono tali fattispecie, di volta in volta sottoposte all’attenzione delle autorità nazionali e sovranazionali è un altro: la mancata armonizzazione delle legislazioni europee su temi di rilevanza etica.

L’impossibilità di ottenere pronunce coerenti alle recenti interpretazioni del diritto convenzionale è probabilmente dettata da motivi di politica legislativa.

In Italia ci son voluti circa dieci anni affinchè si riuscisse a scardinare il rigidissimo impianto sanzionatorio dell’originaria legge nr. 40/2004 e, tale compito, è interamente gravato sul Giudice delle Leggi che, spinto di volta in volta, da necessarie ed improrogabili esigenze del caso concreto, ha dovuto provvedere con plurime sentenze dichiarative di incostituzionalità.

Nonostante i numerosi richiami operati dalla giurisprudenza, il legislatore continua a rimanere silente dinanzi a tutte le questioni problematiche sottese alla legge del 2004, ponendo l’Italia in una posizione di notevole arretratezza giuridica rispetto agli altri paesi ed ignorando totalmente il mutato contesto sociale a cui , purtroppo, ne consegue uno giuridico sempre più frammentato e dispersivo.

Note

[1] Laddove per “sterilità” si intende generalmente l’incapacità di una coppia di concepire dopo che sia trascorso un certo periodo di tempo avendo rapporti di normale frequenza e senza usare alcun tipo di  contraccezione; mentre per “infertilità”, nel linguaggio medico, si intende l’incapacità di concepire figli “sani” per la ripetizione di fenomeni abortivi o per la reiterazione di malformazioni fetali incompatibili con la vita. Cfr. M. De Villa, L. Militerni, U. Veronesi,  fecondazione eterologa, UTET, 2005.

[2] Il riferimento è alle sentenze Corte Cost.,sent. n. 151/2009; Corte Cost.,sent. 10 giugno 2014, Corte Costituzionale, con sentenza 96/2015, consultabili in www.giurcost.org

[3] Cfr. al riguardo F.Scia, Procreazione medicalmente assistita e status del generato, Jovene editore, 2010.

[4] Si tenga, altresì, conto che il legislatore italiano, ispirandosi al principio di matrice romanistica “mater semper certa est” , pone, all’articolo 269 comma 3 del codice civile, una presunzione di maternità in capo alla gestante.

Tale presunzione, esistente nell’ordinamento italiano, sembra evincibile anche dall’analisi dell’articolo 567 c.p., incriminante come reato di alterazione di status il fatto di far risultare madre diversa da colei che ha partorito.

Cfr. al riguardo N. Lipari, la maternità e la sua tutela nell’ordinamento giuridico italiano: bilancio e prospettive, in Rass. Dir. Civ.,1986,II,575, nonché M. De Tilla, L. Militerni, U. Veronesi, Fecondazione Eterologa, UTET, 2005

[5]  Tribunale di Monza, sentenza n. 162 del 27 ottobre 1989, in Giur. Civ.,1990, I,483

[6] Cfr. diffusamente F. Scia, Procreazione medicalmente assistita e status giuridico del generato, Jovene,2010; Baldini, Volontà e procreazione ricognizione delle principali questioni in tema di surrogazione di maternità, in Dir. Fam.pers., 1998. 759;  Calogero, la filiazione da procreazione assistita in LIPARI e RESCIGNO (diretto da), Diritto civile, I,2, Giuffrè,2009, 525

[7] Trib. Roma 17 febbraio 2000, ord. In Corriere Giuridico, 2000, 483

[8]  Per una critica all’ordinanza in esame cfr.  Giacobbe, Maternità assistita e rapporti familiari, in G. Giacobbe (a cura di) Annali 2001, Giappichelli, 2002,I, nonché Sesta, La maternità surrogata tra deontologia, regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. Giur. 2000, 489.

[9] Cfr. Casonato e Frosini, La fecondazione assistita nel diritto comparato, Giappichelli,2006

[10] Cfr. A. Gentilomo, A. Piga, S. Nigrotti,  La procreazione medicalmente assistita nell’Europa dei quindici. Uno studio comparatistico, Milano, 2005

[11] Sui profili comparatistici si v. anche Coordinate ermeneutiche di diritto civile, Maurizio Santise, Giappichelli 2018

[12] Una delle più importanti pronunce in tema di maternità surrogata riguardante la legislazione estera ha ad oggetto  il noto caso Baby Melissa, su cui è intervenuta la pronuncia del 31.3.1987  da parte della Corte Superiore del New Jersey, consultabile in Foro.it, 1988,IV,97, con nota di Ponzanelli, il caso Baby M., la “surrogate mother” e il diritto italiano.

[13] Cfr. Ballestra, La legge sulla procreazione medicalmente assistita alla luce dell’esperienza francese, in Familia, 2004,1097 ss.

[14] Si tratta dei casi Menesson c. Francia e Labassee c. Francia, Cedu, Sez. 5, 26 giugno 2014, n. 6594/2011 e n. 65942/2011, consultabili in Nuova giur. civ. comm., 2014,1,1122-1132.

[15] Cedu, Sez.III, 27 gennaio 2015, n. 25358/2012, consultabile su www.altalexcom

[16] Su tali aspetti cfr. Ilaria Anro, La Grande Chambre si pronuncia sul Caso Paradiso e Campanelli: niente condanna per l’Italia, ma ancora dubbi in tema di maternità surrogata, in rivista eurojus.it

[17] Cfr.  Baldini, tecnologie riproduttive e problemi giuridici, Giappichelli, 1999, 55

[18]  Cass. , Sez. I, sentenza n. 24001 dell’11 novembre 2014 consultabile in www. altalex.com

[19] Si ricorda che ai sensi della legge ucraina, il contratto di surrogazione in maternità è valido solo se il 50% del patrimonio genetico del nascituro provenga dalla coppia committente, v. supra

[20] Cfr. Ugo Salantiro, Favor minoris, impugnazione del riconoscimento e maternità surrogata. Per un’interpretazione costituzionalmente orientata, in Giustiziacivile.com

[21] Corte cost. sent. n. 272 del 28.12.2017, consultabile su www.giurcost.com

[22] Cfr. Anna Maria Lecis, prima applicazione della procedura consultiva prevista dal protocollo nr. 16 CEDU, chiarimenti in chiaroscuro sull’obbligo di trascrizione dei figli nati da GPA, in www.diritticomparati.it

[23] Cass, SSUU civili, sent. n. 12193 dell’ 8.5. 2019, consultabile in www.cortedicassazione,it

[24]  Per considerazioni sui rapporti tra ordine interno ed internazionale cfr. Giovanni Perlingieri, Giovanni Zarra, Ordine pubblico interno ed internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale,Edizione scientifiche italiane, 2019

Cristina Iacone

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