Il  reato  di  falso  nella  fotocopia

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Il primo orientamento interpretativo giurisprudenziale.

Il quesito di Diritto affrontato in Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 è il seguente: “ se la formazione di una fotocopia di un atto inesistente integri o meno il reato di falsità materiale “. Secondo Cass., sez. pen. V, 10 novembre 2017, n. 2297, “ la mera utilizzazione della fotocopia contraffatta non [ dicesi: non ] integra il reato di falsità materiale in assenza di determinate condizioni, ossia di requisiti di forma e di sostanza tali da farla apparire come il documento originale o come la copia autentica dello stesso “. Analogo è pure il parere espresso, negli Anni Duemila, da molti Precedenti, anch’ essi della Sezione Quinta della Corte di Cassazione ( Cass., sez. pen. V, 9 ottobre 2014, n. 8870, Cass., sez. pen. V, 12 dicembre 2012, n. 10959, Cass., sez. pen. V, 3 novembre 2010, n. 42065 nonché Cass., sez. pen. V, 14 dicembre 2007, n. 7385 ). In buona sostanza, come rimarcato da Cass., sez. pen. V,  10 novembre 2017, n. 2297, la fotocopia è materialmente falsa, nel senso stretto, qualora un Pubblico Ufficiale dichiari che una determinata copia fotostatica è “ copia autentica “. Viceversa, a parere di Cass., sez. pen. V,  9 ottobre 2014, n. 8870 nonché di Cass., sez. pen. V, 12 dicembre 2012, n. 10959, non è reato utilizzare la fotocopia di un Atto Pubblico falso, a condizione che tale copia fotostatica non sia “ autenticata “ con le debite attestazioni formali che caratterizzano i documenti “ autenticati “ in copia. Quindi, v’ è differenza tra la fotocopia “ semplice “ e quella “ autenticata “, giacché, come precisato da Cass., sez. pen. V, 5 maggio 1998, n. 11185, “ la copia di un atto assume il carattere di documento [ che fa pubblica fede, ndr ] solo in seguito alla pubblica autenticazione del contenuto dell’ atto, con il logico corollario secondo cui [ … ] la falsificazione di una copia priva di attestazione di autenticità non dà luogo ad un illecito penale, in quanto la contraffazione viene, in tal caso, effettuata ex novo su un oggetto cui sono attribuite le sembianze di ciò che lo stesso non è nella realtà “. Quindi, come asserito pure da Cass., sez. pen. V, 4 marzo 1999, n. 4406, un conto è la fotocopia priva di autenticazione da parte di un Pubblico Ufficiale, un altro conto è la copia fotostatica munita di valore di “ copia conforme autentica “. D’ altra parte, anche sotto il profilo dell’ anti-socialità criminologica, una copia autentica falsa reca un impatto socio-lesivo superiore all’ anti-giuridicità di una comune fotocopia non autenticata. In effetti, Cass., sez. pen. V, 14 dicembre 2007, n. 7385 commenta che la formazione di una fotocopia semplice “ non è idonea e sufficiente per documentare l’ esistenza di un originale conforme [ opponibile a terzi, ndr ] “. Del resto, anche a livello colloquiale, è comunemente pacifico, nella prassi quotidiana, che la copia fotostatica non conforme “ non fa fede “, in tanto in quanto, come precisato da Cass., sez. pen. V, 14 dicembre 2007, n. 7385, “ è comunque richiesta [ perché subentri la pubblica fede ] la presenza di connotazioni ulteriori rispetto all’ esibizione della sola fotocopia di un atto inesistente, in sé ritenuta non idonea per la configurabilità del reato di falso “. Questo orientamento ermeneutico della Sezione Quinta della Suprema Corte è confermato pure da Cass., SS.UU.,  28 marzo 2019, n. 35814, in tanto in quanto l’ esibizione di una fotocopia non autenticata può integrare gli estremi del reato di truffa e non di falso. Diverso è il panorama qualora il reo tragga in inganno la parte lesa ostendendo la fotocopia autenticata di un originale inesistente. In tal caso, sotto il profilo penalistico e costituzionale, il bene leso è la pubblica fede dovuta, da parte dei consociati, verso una copia autentica. Pure in Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 si precisa che il reato di falso “ ricorre soltanto nell’ ipotesi in cui la falsificazione riguardi un documento provvisto di contenuto giuridicamente rilevante [ autenticato ], dotato cioè della specifica funzione probatoria assegnatagli dall’ Ordinamento [ … ] e la riproduzione sia fatta passare come prova di un atto originale che non esiste “. A parere di chi commenta, d’ altronde, non è casuale l’ inserimento degli Artt. dal 476 al 498 CP all’ interno del Titolo VII, riservato ai “ delitti contro la fede pubblica “. Pertanto, anche a livello sanzionatorio, si tratta di fattispecie ben più gravi della fotocopia non autenticata utilizzata per le finalità di cui all’ Art. 640 CP ( truffa ). Oppure ancora, basti pensare a Cass., sez. pen. V, 26 ottobre 2018, n. 3273, per la quale “ la copia fotostatica, se presentata come tale e priva di qualsiasi attestazione che ne confermi l’ autenticità, non può mai integrare il reato di falso, anche nel caso di inesistenza dell’ originale, essendo [ la fotocopia semplice ] per sua natura priva di valenza probatoria “.

Il secondo orientamento interpretativo. L’ (iper-)tutela sociale della fede pubblica. Verso un formalismo rigido e rigoroso.

Secondo l’ orientamento di Cass., sez. pen. V, 16 ottobre 2017, n. 4651, “ il reato di falso è integrato [ dicesi: è integrato, ndr ] dalla formazione di un atto presentato come riproduzione fotostatica di un documento, in realtà, inesistente, del quale si intendano, viceversa, attestare l’ esistenza e gli effetti probatori “. Tale, di nuovo, nella Sezione Quinta della Corte Suprema, è pure il parere di Cass., sez. pen. V, 17 maggio 2012, n. 40415 nonché di Cass., sez. pen. V, 24 aprile 2018, n. 33858. In primo luogo, questo secondo orientamento, decisamente più severo, si fonda sul fatto che allestire la fotocopia di un Atto pubblico inesistente equivale a “ formare “ tale Atto, per quanto esso si riveli, successivamente, falso. Dunque, sotto il profilo materiale, la fotocopia, autenticata o meno, crea, in sé e per sé, un documento falso. In secondo luogo, la fotocopia materialmente falsa  cagiona, pur sempre, un’ apparenza di verità che incide negativamente sul bene ordinamentale della pubblica fede. La fotocopia di un Atto pubblico inesistente, sebbene non autenticata, disturba i normali e delicati equilibri della pubblica fede, in tanto in quanto il documento formato con la fotocopia sembra esistente, a prescindere dal quid pluris di essere o non essere autenticato. Quindi, come sostenuto da Cass., sez. pen. V, 16 ottobre 2017, n. 4651, ed indipendentemente dall’ autenticazione, “ la falsità [ … ] non è integrata tanto dalla modificazione di una realtà probatoria preesistente, che, in concreto, può anche difettare [ … ], quanto, piuttosto, dalla mendace rappresentazione di tale realtà ( la fotocopia ), che risulta intrinsecamente idonea a ledere il bene giuridico tutelato, costituito dalla pubblica affidabilità di un Atto proveniente dalla pubblica amministrazione “. Siffatto secondo orientamento, pertanto, si fonda sul principio basilare tale per cui il reato di falso è integrato anche dal mero disturbo della pubblica fede, il cui meccanismo viene intralciato, leso, messo in pericolo da una fotocopia che, anche qualora non autenticata, può comunque provocare seri dubbi nonché gravi conseguenze. Tale secondo orientamento interpretativo, a differenza del primo, condanna, in maniera assai intransigente, anche il solo dubbio o pericolo di una falsa attestazione, dubbio o pericolo provocati da una fotocopia, la quale genera, presso la collettività, un disturbo, una disarmonia, una possibilità pratica di far cadere in inganno l’ interlocutore, anche nell’ ipotesi, meno grave, in cui la fotocopia ostesa non sia stata autenticata da un Pubblico Ufficiale; ossia Cass., sez. pen. V, 16 ottobre 2017, n. 4651 condanna non soltanto la lesione della pubblica fede, ma pure il solo pericolo di lesione della pubblica fede. Altrettanto severa e socialmente tutelante è pure Cass., sez. pen. V, 19 marzo 2008, n. 14308, la quale rimarca che “ una fotocopia presentata come prova di un originale inesistente, del quale intenda artificiosamente attestare l’ esistenza ed i connessi effetti probatori, integra una falsità penalmente rilevante ai sensi dell’ Art. 476 CP “. Analogo è pure il parere di Cass., sez. pen. V, 12 maggio 2010, n. 24012. Si noti, in Cass., sez. pen. V, 19 marzo 2008, n.  14308 che il comma 2 Art. 476 CP è connesso ai lemmi “ del quale intenda artificiosamente attestare l’ esistenza “.

Quindi, la fotocopia autenticata, ma anche quella non autenticata, sono percepite alla stregua di un attentato alla pubblica fede, che è messa in pericolo, alterata, disturbata dalla sola eventualità che la fotocopia sia in grado di generare la verosimiglianza di un Atto pubblico inesistente, poiché anche la semplice fotocopia non autenticata potrebbe creare confusione, turbamento, inganno, fraudolenza. Cass., sez. pen. V, 19 marzo 2008, n. 14308 massimizza la severità ordinamentale nel nome di un formalismo rigido e rigoroso improntato alla tolleranza zero in tema di falso. Molto pertinente, alla luce del secondo orientamento ermeneutico giurisprudenziale, è pure Cass., sez. pen. V, 12 maggio 2010, n. 24012, ai sensi della quale “ per la sussitenza del delitto di falsità materiale [ … ] non è necessario che vi sia un intervento materiale su un Atto pubblico, ma è sufficiente che, attraverso la falsa rappresentazione della realtà veicolata dalla fotocopia [ anche non autenticata, ndr ], tale Atto appaia sussistente, con la conseguente lesione recata al bene della fede pubblica, mentre nessun rilievo assume la mancata attestazione di autenticità, allorché la fotocopia falsificata abbia l’ apparenza di un originale e sia utilizzata come tale “. Naturalmente, come specificato da Cass., sez. pen. V, 12 maggio 2010, n. 24012, il delitto di falso materiale è maggiormente aggravato, o meno, a seconda degli elementi materialmente falsificati nella fotocopia ostesa come vera ( firma, data, identità usurpata, contenuto, titoli, sigilli, contesto mendacemente dichiarato ). Anche Cass., sez. pen. V, 17 maggio 2012, n. 40415 afferma che “ le concrete circostanze dell’ utilizzo “ aggravano, o meno, la responsabilità del soggetto agente e/o utilizzante la falsificazione.

Primo orientamento vs. secondo orientamento; e relativa terminologia ( Artt. 476 e sgg. )

Senza dubbio, il primo orientamento ermeneutico si differenzia dal secondo in tanto in quanto esso è meno severo, tranne nella fattispecie dell’ ostensione di una copia autenticata, la quale, in caso di mancanza dell’ originale, integra senz’ altro gli estremi del delitto di falso. All’ opposto, il secondo orientamento manifesta una “ tolleranza zero “ sia nei confronti della copia autenticata falsa, sia nei confronti della fotocopia semplice, che, in ogni caso, potrebbe generare confusione, agevolando così condotte fraudolente conformi al paradigma normativo p. e p. ex Art. 640 CP ( truffa ). Pertanto, sia nel primo sia nel secondo orientamento, l’ essenziale, a prescindere dalle ulteriori sfumature tecniche, è impedire l’ ostensione, per vera, della copia autenticata di una fotocopia falsa ( Cass., sez. pen. V, 9 ottobre 2014, n. 8870 ). Ovverosia, nel primo orientamento, è condannata l’ esibizione della copia autenticata di una fotocopia falsa, perché, in tal caso, l’ autenticazione ufficiale implica “ una particolare attestazione [ … ], che rende il documento specificamente [ nonché delittuosamente ] dimostrativo dell’ esistenza dell’ atto “ ( Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 ). Invece, il secondo orientamento criminalizza anche la semplice fotocopia non autenticata, poiché essa lede o, comunque, altera o potrebbe alterare gli equilibri della pubblica fede.

In Dottrina, si distingue tra la “ contraffazione “ e l’ “ alterazione “, mentre, sotto il profilo codicistico, si tratta di lemmi semanticamente equipollenti. Sempre a livello codicistico, all’ interno del comma 1 Art. 476 CP, il concetto giurisprudenziale di “ atto non genuino “ è tradotto nelle due distinte ipotesi delittuose della “ formazione “ di un atto falso e della “ alterazione “ di un atto vero. La “ formazione “ di un atto falso si sostanzia, nella maggior parte dei casi, nella “contraffazione della provenienza “, che consiste, in pratica, nell’ apporre, sul documento falso, la firma di un soggetto, esistente od inesistente, dal quale l’ atto non proviene. Un altro epifenomeno del comma 1 Art. 476 CP consta nella “ contraffazione di data e luogo “; in tal caso, è alterata la c.d. “ provenienza topica e cronologica del documento “ ( Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 ). Penalmente rilevante è pure la “ documentazione di un atto / fatto inesistente “, nella quale il Pubblico Ufficiale firmatario è autentico, ma egli attesta, delittuosamente, atti / fatti non veritieri o mai avvenuti. In Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814, interessante, sempre nell’ ottica del comma 1 Art. 476 CP, è pure la distinzione interpretativa tra “ formazione “ e “ alterazione “. “ Formare “ un falso consiste nel creare materialmente, anche a mezzo fotocopia, un atto falso, mentre “ alterare “ significa manipolare, modificare un documento originariamente vero, con aggiunte, sostituzioni o soppressioni. Sempre Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 definisce assai pertinentemente pure la “ contraffazione “, che consiste nel “ porre fisicamente in essere un atto o parte di un atto che non pre-esisteva, laddove l’ alterazione si verifica quando il documento subisce una modificazione di qualsiasi specie ( aggiunte, cancellature o sostituzioni ), apportata dopo la sua definitiva formazione “. Nel comma 1 Art. 476 CP, i lemmi “ formare, in tutto o in parte, un atto falso “ stanno ad indicare un falso materiale, che si sostanzia nella creazione cartacea del documento o della fotocopia, mentre, sempre nel comma 1 Art. 476 CP, “ alterare, in tutto o in parte, un atto “ consiste nel modificare, totalmente o parzialmente, un documento o una fotocopia già esistente sotto il riguardo cartaceo-materiale. Da menzionare è pure Cass., sez. pen. V, 1 giugno 1984, n. 6754, che definisce la “ contraffazione “ come la creazione ex novo di un intero documento che prima non esiteva, quindi, nella fattispecie della contraffazione, “ la falsità investe l’ atto intero nella sua realtà fenomenologica “ ( Cass., sez. pen. V, 1 giugno 1984, n. 6754 ).

La pericolosità sociale giammai astratta della fotocopia falsa ( le truffe a disabili ed anziani )

Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 si è occupata pure del problema della inesistenza giuridica del documento. A parere di Cass., sez. pen. VI, 21 aprile 1978, n. 2453, la tipica inesistenza giuridica del documento si manifesta nell’ atto privo di firma, nel senso che “ l’ ineistenza si verifica quando non è possibile identificare alcuna fattispecie negoziale, mancando, addirittura, gli elementi necessari perché si possa avere una figura esteriore di negozio giuridico “. In effetti, come ben specificato dal Precedente storico di Cassazione 2453/1978, non ha senso parlare di falso, falso documentale o fotocopia documentalmente falsa se manca la firma sul documento falsificato a mezzo fotocopia o scanner. Ossia, una copia, autenticata o meno che sia, genera pubblica fede soltanto se il negozio giuridico, sebbeno esso non sia mai avvenuto, possiede, come normale, un firma. Viceversa, come specificato da Cassazione 2453/1978, un atto non firmato nemmeno in forma di copia fotostatica “ non è riconoscibile [ … ] [ perché ] è escluso l’ affidamento, sia pure provvisorio, della pubblica fede [ a prescindere dal quid pluris della fotocopia autenticata oppure non autenticata ] “. Anche molti Precedenti degli Anni Ottanta e Novanta del Novecento reputano che, nei casi evidenti e macroscopici di nullità, non ha assolutamente senso parlare di una copia falsa, in tanto in quanto tale falso non è nemmeno minimamente utilizzabile. P.e., si pensi all’ Atto Pubblico falso firmato da un Pubblico Ufficiale non competente per materia. Oppure ancora, di nuovo torna utile l’ esempio della nullità radicale della fotocopia non firmata. In tutti questi casi, manca, secondo la Suprema Corte, l’ utilizzabilità della fotocopia falsa, poiché la falsificazione è talmente grossolana da non poter suscitare per nulla la fede pubblica ( Cass., sez. pen. V, 22 giugno 1982, n. 7911, Cass., sez. pen. V, 20 novembre 1991, n. 1474, Cass., sez. pen. V, 10 ottobre 1997, n. 11714 ).

All’ opposto, nella Dottrina penalistica, le suesposte considerazioni sulla non usabilità fraudolenta dei documenti evidentemente nulli sono state respinte, giacché anche la fotocopia clamorosamente, evidentemente, macroscopicamente nulla reca, pur sempre, “ una pericolosità [ … ] sotto il profilo della tutela dell’ affidamento “  ( Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 ). Ovvero, si pensi alla nullità radicale di un Atto Pubblico con la firma falsa di un Pubblico Ufficiale teoricamente, potenzialmente ed astrattamente competente per materia e per territorio. In questo caso, è sì vero che l’ atto falso, magari fotocopiato o scannerizzato, è nullo, ma esiste pur sempre il pericolo che qualche reo in malafede lo possa utilizzare per finalità di truffa ex Art. 640 CP. Quindi, è penalmente rilevante e perseguibile ogni ipotesi di falso, a mezzo fotocopia o scanner, anche qualora la falsità sia evidente e rechi ad una profonda, radicale ed evidente nullità. Qualunque fotocopia falsa porta in sé, sotto il profilo ontologico, delle potenzialità lesive fraudolente che mettono pur sempre in pericolo il bene ordinamentale della pubblica fede. Anche la più grossolana e nulla delle falsificazioni turba quello che viene comunemente chiamato, nella Giurisprudenza di legittimità, “ il pubblico affidamento “. La fotocopai falsa, specialmente alla luce dell’ Art. 640 CP, non è mai astrattamente pericolosa, come dimostra la frequente fattispecie della truffa e della circonvenzione d’ incapace in danno di soggetti anziani o disabili. La nullità, benché palese ed evidente, non toglie, sempre e comunque, l’ eventuale utilizzabilità del falso scannerizzato o fotocopiato. Anche Cass., sez. pen. V, 6 luglio 1994, n. 9777 condivide le summenzionate riflessioni, in tanto in quanto “ ciò che rileva non è l’ effettiva validità del rapporto giuridico documentato, bensì l’ apparenza di tale validità [ … ] Non occorre, ai fini della punibilità penale [ … ] che l’ atto, al momento della falsificazione, possa ritenersi valido per istituire o provare un rapporto, bensì che, dopo la falsificazione, l’ atto risulti valido a provare la sussistenza, sia pure apparente, nei confronti dei terzi [ truffati ] della situazione documentata “. Dunque, come rimarcato da Cass., sez. pen. V, 6 luglio 1994, n. 9777, la pericolosità criminologica e sociale di una fotocopia falsa, autenticata o meno che sia, rimane intatta anche in presenza di una nullità evidente, che evidente, per il vero, potrebbe non essere agli occhi di una parte lesa anziana o invalida, incapace di rilevare la nullità del documento a colpo d’ occhio. D’ altronde, il concetto di nullità totale del documento falso consta in una serie di osservazioni tecniche non operabili da tutti i consociati con la debita avvertenza giuridico-operativa. Analoghe sono pure le osservazioni di Cass., sez. pen. V, 20 giugno 1979, n. 8203, la quale asserisce che ciò che importa è “ l’ apparenza [ ingannatrice ] dell’ atto dopo l’ avvenuta falsificazione “. Dunque, anche una fotocopia falsa, completamente nulla, può costituire un grave artifizio e raggiro nei confronti di soggetti fragili incapaci di acclarare, nel breve periodo, la nullità dello scritto. Altrettanto interessante è pure Cass., sez. pen. V, 1 aprile 1987, n. 12091, la quale ribadisce che la formazione di un documento talmente falso da reputarsi “ inesistente “ non toglie la pericolosità sociale di tale falso, che potrebbe comunque recare a condotte fraudolente ex Art. 640 CP. Cass., sez. pen. V, 1 aprile 1987, n. 12091 esclude, in maniera assoluta, la pericolosità meramente astratta di una fotocopia contenente un falso, poiché la nullità radicale non esclude l’ utilizzabilità artificiosa e raggirante p. e p. dall’ Art. 640 CP. Come ribadito pure da Cass., sez. pen. V, 5 luglio 1990, n. 13588, un falso ha sempre la “ possibilità [ … ] di ledere la pubblica fede “, anche se questa possibilità si traduce in un mero disturbo occasionale o temporaneo del “ pubblico affidamento “.

Conclusioni

Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 reputa che, sempre e comunque, il falso a mezzo fotocopia è “ formato “, ex comma 1 Art. 476 CP, per finalità di truffa o, comunque, per il raggiungimento di finalità illecite, a prescindere dal fatto ulteriore dell’ autenticazione, o meno, del documento falso contenuto nella fotocopia. Formare o alterare documenti con lo strumento della fotocopia è, in ogni caso, un elemento di “ disturbo della pubblica fede “, perseguibile a norma degli Artt. 476 e sgg. CP. Altro ulteriore elemento, per la rilevanza penale del falso, è che l’ Atto pubblico ( Artt. dal 476 al 482 CP ) o il certificato amministrativo ( Artt. dal 477 al 482 CP ) siano “effettivamente utilizzati [ … ] dal soggetto attivo che ha prodotto [ o si è fatto produrre ] il falso “ (Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 ). Senza dubbio, è perentoriamente esclusa la pericolosità astratta della fotocopia falsa, perlomeno a partire dall’ istante in cui il falso viene fraudolentemente osteso a terzi per fini artificiosi e raggiranti. Ognimmodo, in maniera assai garantistica, Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814 richiede la consumazione fattuale del reato, in tanto in quanto “qualora il reo avesse alterato una fotocopia che non ha poi materialmente prodotto [ in copia autentica ], egli dovrebbe invece rispondere di un diverso reato, ossia del falso in scrittura privata ex Art. 485 CP, che è stato però abrogato dall’ Art. 1 comma 1 lett. a) del DLVO 15 gennaio 2016, n. 7“. Quindi, tale asserto di Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814, almeno prima dell’ abrogazione, nel 2016, dell’ Art. 485 CP, lascia intendere che il falso in copia autenticata reca(va) un profilo di gravità maggiore rispetto al falso privo dell’ aggravante della copia autenticata. Parimenti, una scrittura privata falsa è meno grave di un Atto pubblico falso. Anche Cass., sez. pen. V, 17 giugno 1996, n. 7717 afferma che “ la fotocopia falsa, se autenticata, mette in serio e grave pericolo il bene giuridico della fede pubblica “, giacché, ex Art. 2719 CC, “ le copie fotografiche [ e fotostatiche o scannerizzate ] di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’ originale è attestata da Pubblico Ufficiale competente, ovvero non è espressamente disconosciuta “. L’ Art. 2719 CC non è negato da Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 35814, bensì integrato, con la precisazione dell’ acuta pericolosità sociale e criminologica anche delle fotocopie false non autenticate e strumentalizzate nell’ ottica dell’ Art. 640 CP.

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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