Il principio dispositivo nel processo amministrativo

Redazione 30/01/19
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Ci si è chiesti se il principio dispositivo che oggi ispira il processo amministrativo impedisca sempre al giudice di convertire la domanda, nonché se il giudice sia tenuto a seguire la graduazione dei motivi scelta dalla parte.

Principio dispositivo e declinazioni

In base al principio dispositivo la scelta di chiedere (o meno) la tutela giurisdizionale di una propria posizione sostanziale violata è interamente rimessa alla scelta della parte.

Accompagnano il principio dispositivo alcuni noti e importanti corollari, come il principio della domanda, il principio dispositivo istruttorio e il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato

In base al principio della domanda il processo amministrativo può ricevere impulso solo grazie all’istanza di una parte, non potendo invece essere iniziato officiosamente.

In base al principio dispositivo istruttorio, la parte è libera di articolare i motivi a sostegno delle proprie ragioni, nonché di selezionare gli elementi probatori da introdurre nel giudizio (fermo l’eccezionale e limitato potere acquisitivo che residua in capo al giudice amministrativo, ex artt. 63 ss. c.p.a.).

In base al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice deve necessariamente pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti della stessa.

Si segnala che nell’ambito del codice del processo amministrativo il principio dispositivo non riceve un’espressa enunciazione tra i principi generali. D’altra parte, esso è ricavabile sulla scorta dell’art. 34, comma 1, c.p.a. nella parte in cui stabilisce che il giudice deve pronunciarsi “nei limiti della domanda”, nonché dell’art. 39 c.p.a., nella parte in cui rinvia ai principi applicabili secondo il codice di procedura civile.

Il principio dispositivo impedisce sempre la conversione d’ufficio della domanda?

Ci si è chiesti se sia possibile per il giudice convertire una domanda di annullamento in una domanda risarcitoria nel caso in cui risulti che la pronuncia di annullamento provocherebbe un grave pregiudizio in capo ai controinteressati o se ciò si ponga in contrasto con il principio dispositivo.

A tale quesito ha risposto l’Adunanza Plenaria con sentenza n. 4 del 2015, con riferimento ad un caso in cui l’accertamento dell’illegittimità di un concorso pubblico a distanza di quindici anni dallo svolgimento della procedura avrebbe effettivamente provocato un grave pregiudizio ai vincitori ormai nel ruolo da tempo.

L’Adunanza Plenaria, con la sentenza in discorso, ha ritenuto che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, neppure nel caso in cui la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati. È noto, infatti, che l’azione di annullamento si distingue dalla domanda di risarcimento tanto per la causa petendi, quanto per il petitum.

In quella stessa occasione l’Adunanza Plenaria ha però affermato che il giudice amministrativo può modulare la portata dell’annullamento (disponendo, ad esempio, un annullamento parziale o con effetti retroattivi limitati).       
Qualora invece il giudice si spingesse fino a trasformarne il petitum o la causa petendi della domanda di parte incorrerebbe nel vizio di extrapetizione. A evitare questo esito non può neppure valere il richiamo al c.d. principio di continenza, in quanto, se è vero che l’accertamento è compreso nell’annullamento (giacché il più comprende il meno), l’accertamento a fini risarcitori è qualcosa di più o comunque di diverso dalla domanda di annullamento.

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La graduazione dei motivi vincola il giudice amministrativo?

La risposta affermativa a tale quesito è stata offerta dalla Adunanza Plenaria con sentenza n. 5/2015, sulla base del seguente percorso argomentativo.

L’Adunanza Plenaria ha innanzitutto rilevato che l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi. Non vi è pluralità di domande a fronte della semplice deduzione di una pluralità di vizi in relazione al medesimo provvedimento: in tal caso vi è solo una pluralità di motivi.

Il principio dispositivo consente alla parte di graduare, esplicitamente e in modo vincolante per il giudice, i motivi e le domande di annullamento.

L’Adunanza Plenaria ha però individuato un’eccezione a tale regola nel vizio di incompetenza. Esso va sempre esaminato per primo perché in base all’art. 34, co. 2, c.p.a. “in nessun caso il giudice può pronunciarsi con riferimento a poteri non ancora esercitati” L’Adunanza Plenaria ha infatti ritenuto assimilabile a un potere “non ancora esercitato” l’emanazione di un provvedimento da parte di autorità diversa da quella legalmente competente. Per questa via, si ritiene che la sussistenza del vizio di incompetenza precluda al G.A. la possibilità di pronunciarsi sul provvedimento con riferimento ad altri vizi.

Ciò posto, non vale a graduare i motivi di ricorso il mero ordine di prospettazione degli stessi: la volontà di graduare i motivi deve essere espressa dalla parte.

In mancanza di una graduazione vincolante dei motivi effettuata dalla parte, l’Adunanza Plenaria ha poi precisato che non è generalmente ammissibile la prassi dell’assorbimento. Tale inammissibile prassi ha in passato portato a configurare in capo al giudice il potere di selezionare un solo motivo di ricorso ritenuto fondato e di limitarsi ad accogliere il ricorso sulla base di tale unico motivo, ritenendo assorbiti (e quindi non trattando) gli altri.

In mancanza di rituale graduazione dei motivi e delle domande di annullamento, il giudice amministrativo è dunque obbligato a esaminare tutti i motivi proposti dalla parte.

L’assorbimento dei motivi può però essere ammesso eccezionalmente in tre ipotesi: (i) nell’ipotesi di assorbimento per legge (ad esempio ex art. 34, comma 2, c.p.a.); (ii) nell’ipotesi di assorbimento per pregiudizialità necessaria (così è, ad esempio, nel caso di reiezione del ricorso per motivi attinenti al rito, che porta a ritenere assorbiti i motivi di merito); (iii) nell’ipotesi in cui l’assorbimento debba avvenire per ragioni di economia processuale e  sempre che ciò non vada a discapito dell’esigenza di effettività della tutela (così è in presenza della c.d. ragione più liquida).

 

Sul tema:L’annullamento con rinvio al giudice di primo grado: nuova Adunanza Plenaria

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