Il part-time nelle pubbliche amministrazioni e secondo lavoro pubblico

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Analizziamo oggi la situazione del dipendente pubblico che presta il proprio servizio con orario di lavoro inferiore o uguale al 50% dell’orario ordinario e che intende svolgere un secondo lavoro part-time con un’altra pubblica amministrazione.

Come è noto la disciplina delle incompatibilità, art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001, nel caso di dipendente part-time con orario inferiore o uguale al 50%, subisce delle deroghe (.

Difatti un dipendente pubblico con part-time con orario inferiore o pari al 50% può svolgere un’altra attività di lavoro subordinato con un datore di lavoro privato senza alcun vincolo: ossia potrebbe in teoria svolgere ad esempio 30 ore presso un datore di lavoro privato e 18 ore presso una PA (tenuto conto del limite settimanale di 48 ore stabilito nel D.Lgs. 66/2003).

Tuttavia dobbiamo rilevare quella che sembra un’anomalia vera e propria tra il settore pubblico e quello privato: il dipendente pubblico part-time non può stipulare un contratto di lavoro subordinato con un’altra pubblica amministrazione (seppure fosse un contratto part-time al 50%).

Quindi addirittura il dipendente pubblico, in questa situazione, si troverebbe in posizione di svantaggio rispetto al dipendente privato.

Per citare un esempio il part-time per il comparto Funzioni centrali, è regolamentato contrattualmente dal CCNL 2016-2018 all’art. 57. In particolare l’art. 57 comma 6 statuisce che “I dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale possono svolgere un’altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, nel rispetto delle vigenti norme in materia di incompatibilità e di conflitto di interessi. I suddetti dipendenti sono tenuti a comunicare, entro quindici giorni, all’amministrazione nella quale prestano servizio l’eventuale successivo inizio o la variazione dell’attività lavorativa esterna.

Nel suddetto art. 57 non viene esplicitata la natura dell’”altra attività lavorativa e professionale”.

Orbene il limite descritto sopra è contenuto nella legge 23 dicembre 1996, n. 662, “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica“, che all’art. 58 recita “La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene automaticamente entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l’eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L’amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l’attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione stessa, può con provvedimento motivato differire la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo non superiore a sei mesi. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l’attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un’amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all’amministrazione nella quale presta servizio, l’eventuale successivo inizio o la variazione dell’attività lavorativa

Considerata la privatizzazione avviata nel settore pubblico a partire dal 1993 e considerato che dal 1996 il mondo del lavoro (così come le attività delle Pubbliche Amministrazioni) è completamente cambiato si dovrebbero rendere compatibili due impieghi part-time (con percentuale inferiore o uguale al 50%) con due pubbliche amministrazioni o con la stessa.

Non verrebbe ridotto il numero dei posti, ma si renderebbe più flessibile il lavoro e ci sarebbe un arricchimento per l’amministrazione vista la doppia professionalità.

Infatti è già compatibile un impiego part-time presso una pubblica amministrazione con un impiego subordinato presso un datore di lavoro privato. L’istituto del part-time, poiché di recente introduzione nel pubblico impiego, presenta molti aspetti dubbi e non viene adeguatamente tenuto in considerazione.

D’altronde per gli Enti Locali ed anche per il Comparto Sanità sono già compatibili 2 impieghi part-time con orario al 50%. Quindi si tratterebbe di estendere questa regola anche agli altri comparti del pubblico impiego.

E qui emerge una seconda anomalia.

Riassumendo si hanno due situazioni diverse per i dipendenti pubblici riguardo alla possibilità di un secondo impiego con un’altra amministrazione pubblica:

  • per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche diverse dagli enti locali è ancora attivo il divieto generale stabilito dall’art.1, comma 58 della L.n.662/96;
  • per i soli dipendenti degli enti locali tale divieto è stato superato dall’art.92, comma 1 del D.Lgs.n.267/2000 e dal citato art.1, comma 557 della L.n.311/2004.
    Pertanto, un ente locale può procedere alla assunzione a tempo parziale del dipendente di un altro ente locale purché siano rispettate le previsioni dell’art.92, comma 1 del D.Lgs.n.267/2000 o dell’art.1, comma 557 della L.n.311/2004.

Inoltre a dare una risposta definitiva e “super partes” al quesito sull’avere due part-time in contemporanea è stata la Corte di cassazione, che in una sentenza del maggio 2017 (n. 13196/2017) ha chiarito che nessun datore di lavoro può impedire a un dipendente assunto a tempo parziale di svolgere un secondo lavoro part-time.

Citando la sentenza: “sarebbe nulla una previsione regolamentare che riconoscesse al datore di lavoro un potere incondizionato di incidere unilateralmente sul diritto del lavoratore in regime di part-time di svolgere un’altra attività lavorativa”.

Di conseguenza l’unica interpretazione che rende legittima la previsione regolamentare è quella che esige, anche per l’esercizio di un’attività lavorativa al di fuori dell’orario di lavoro, al pari delle altre occupazioni o attività, una verifica di incompatibilità in concreto tra l’esercizio della diversa attività e l’osservanza dei doveri d’ufficio o la conciliabilità con il decoro dell’ente.

Inoltre, asserisce la cassazione, ammettere che il datore di lavoro abbia una facoltà incondizionata di negare l’autorizzazione o di sanzionare in sede disciplinare il fatto in sé dell’esercizio di un’altra attività lavorativa al di fuori dell’orario di lavoro sarebbe in contrasto con il principio del controllo giudiziale di tutti i poteri che il contratto di lavoro attribuisce al datore di lavoro, e proprio con riferimento ad aspetti incidenti sul diritto al lavoro.

L’incompatibilità, dunque, deve essere verificata caso per caso dalle Pubbliche Amministrazioni, restando tale valutazione suscettibile di controllo, anche giudiziale, secondo i parametri di cui agli artt. 2106 e 2119 c.c.

Dall’analisi fin qui fatta è chiaro che serve una pronuncia definitiva sulla questione così da uniformare il trattamento giuridico dei dipendenti pubblici ed allinearsi alla pronuncia della Corte di cassazione.

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