Il Nuovo Regolamento sul Whistleblowing

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È entrato in vigore il Regolamento Anac sul Whistleblowing, delibera 1 luglio 2020 “Regolamento per la gestione delle segnalazioni e per l’esercizio del potere sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di illeciti o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro di cui all’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165/2001”.

Con tale regolamento si è provveduto a modificare la struttura del precedente per consentire all’Autorità Nazionale Anticorruzione di esercitare il potere sanzionatorio in modo più efficiente e celere e per svolgere un ruolo attivo nell’opera di emersione di fatti illeciti commessi nelle amministrazioni pubbliche.

Il nuovo Regolamento è in vigore dal 3 settembre scorso a seguito della avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Le tipologie di procedimento

Sono previste quattro tipologie differenti di procedimento. In primo luogo il procedimento di gestione delle segnalazioni di illeciti presentate ai sensi del comma 1 dell’art. 54-bis; inoltre, il procedimento sanzionatorio per l’accertamento dell’avvenuta adozione di misure ritorsive, avviato ai sensi del comma 6 primo periodo dell’art. 54-bis; il procedimento sanzionatorio per l’accertamento dell’inerzia del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (RPCT) nello svolgimento di attività di verifica e analisi delle segnalazioni di illeciti di cui al comma 6 terzo periodo dell’art. 54-bis ed, infine, il procedimento sanzionatorio per l’accertamento dell’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni, comma 6 secondo periodo dell’art. 54-bis.

L’impianto del regolamento

Il Regolamento Anac sul Whistleblowing, delibera 1 luglio 2020 prevede 5 capi. Il primo capo elenca una serie di definizioni, dove la principale novità introdotta riguarda l’art. 1 lett. k) , dove è stata fornita una nozione di misura ritorsiva più ampia rispetto a quella prevista dal Regolamento previgente più in linea sia con le Linee Guida sia con la nuova Direttiva europea in materia di whistleblowing.

Il secondo capo contiene il procedimento di gestione delle segnalazioni di illeciti o di irregolarità trasmesse ad Anac ai sensi dell’art. 54-bis, comma 1: le principali novità proposte riguardano l’introduzione di una analitica indicazione degli elementi essenziali della segnalazione di illeciti;

Inoltre, è disciplinato il procedimento sanzionatorio avviato sulla base delle comunicazioni di misure ritorsive, dove è stata introdotta una analitica indicazione degli elementi essenziali delle comunicazioni delle misure ritorsive. Inoltre, sono state introdotte modifiche nella disciplina relativa alla fase istruttoria, disciplinando la partecipazione del whistleblower al procedimento sanzionatorio avviato dall’Autorità e snellendo l’articolazione del procedimento stesso.

Inoltre, è contemplato un procedimento sanzionatorio semplificato, il quale è stato regolamentato in maniera puntuale il procedimento che l’Autorità può avviare ai sensi dell’art. 54-bis co. 6 secondo periodo.

Infine, contiene le disposizioni finali prevedendo il tempo dell’entrate in vigore, dichiarando espressamente che il “Regolamento troverà applicazione ai procedimenti sanzionatori avviati successivamente alla sua entrata in vigore”.

Le misure di prevenzione della corruzione nelle Pubbliche Amministrazioni

 

In attuazione delle Convenzioni internazionali in materia, la finalità di contrasto alla corruzione viene, in particolare, perseguita dalla Legge 190/2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

principali strumenti di prevenzione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione sono il piano nazionale anticorruzione; la trasparenza; i codici di comportamento; la rotazione del personale; l’obbligo di astensione nel caso di conflitto di interessi; Il Pantouflage; la disciplina delle incompatibilità nelle commissioni di gara; la disciplina sulla tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (Whistleblower)

Il piano nazionale anticorruzione

Il Piano Nazionale Anticorruzione è un atto di indirizzo per le P.A. e, ai sensi dell’art.1 comma 2 bis della legge 190/2012, viene adottato sentiti il Comitato interministeriale e la Conferenza unificata.

Il Piano Nazionale Anticorruzione individua le attività, i settori e gli uffici esposti al rischio di corruzione, prevede obblighi di informazione nei confronti del responsabile della prevenzione della corruzione, definisce le modalità di monitoraggio del rispetto delle prescrizioni e definisce le modalità di aggiornamento dello stesso.

Il Piano rappresenta lo strumento attraverso il quale l’amministrazione organizza e regola un processo destinato a formulare una strategia di prevenzione del fenomeno.

Il processo di gestione del rischio di corruzione prevede, in ogni singola amministrazione tre macro-fasi, ovvero l’analisi del contesto di riferimento, la valutazione del rischio ed il conseguente trattamento del rischio.

La trasparenza

La trasparenza rappresenta una delle misure di maggior impatto in materia di anticorruzione.

La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

La trasparenza concorre a attuare i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse. Questo integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione al servizio del cittadino.

Il diritto alla trasparenza amministrativa si è definito ed ampliato nel suo significato nel corso degli anni, dapprima con il Codice della Trasparenza del 2013 poi con il Decreto legislativo n.97/2016 con cui si è recepito il FOIA, istituto già diffuso in molti ordinamenti europei. L’esigenza di trasparenza risponde da un lato alle esigenze di consentire la partecipazione democratica dell’azione amministrativa, dall’altro rappresenta una delle misure di maggior impatto in materia di anticorruzione.

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I codici di comportamento

Anche i Codici di comportamento adottati dalle Pubbliche amministrazioni costituiscono una misura di prevenzione dei fenomeni di corruzione.

Tale strumento assume peculiare importanza in quanto le norme in questo contenute regolano il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità, individuano quale comportamento sono tenuti ad avere i dipendenti ed indirizzano l’azione amministrativa.

La rotazione del personale

La rotazione del personale all’interno delle Pubbliche Amministrazioni è stata introdotta come misura di prevenzione dall’articolo 1 comma 4 lettera e) della legge 190/2012.

In particolare, le Pubbliche Amministrazioni devono definire e trasmettere all’Anac procedure per selezionare e formare i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo in tali settori la rotazione dei dirigenti e dei funzionari.

L’obbligo di astensione nel caso di conflitto di interessi

Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche ed il provvedimento devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

Occorre, pertanto, che tali soggetti segnalino tali situazioni di potenziale conflitto.

La disciplina delle incompatibilità nelle commissioni di gara

Al momento dell’accettazione dell’incarico o in una fase antecedente, i commissari di gara devono dichiarare l’inesistenza delle cause di incompatibilità o di astensione.

In particolare, occorre che non sussistano cause di incompatibilità di cui all’articolo 77, comma 4, Codice dei contratti ed altre cause di incompatibilità previste dalle Linee guida ANAC.

Sussiste, inoltre, incompatibilità tra il RUP ed i membri della Commissione.

Il pantouflage

La legge n. 190/2012, ha, inoltre, inserito all’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 il comma 16 ter.

Si tratta di un vincolo per tutti i dipendenti che negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle P.A., di non poter svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.

Alla base di tale divieto si ravvisa il principio costituzionale di trasparenza, imparzialità, buon andamento e di quello che impone ai pubblici impiegati esclusività del servizio a favore dell’Amministrazione.

Il divieto di pantouflage o revolving doors intende prevenire uno scorretto esercizio dell’attività istituzionale da parte del dipendente pubblico.

Il divieto si pone l’obiettivo di evitare situazioni di conflitto d’interessi.

In particolare, l’intenzione del legislatore, come chiarito dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione è quella di contenere il rischio di situazioni di corruzione connesse all’impiego del dipendente successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.

L’art. 1, comma 42, lett. l) della legge anticorruzione ha aggiunto all’articolo 53 del D.lgs. n. 165/2001 il comma 16 ter, il quale prevede che I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri”.

Trattasi di un divieto finalizzato ad evitare che il “dipendente pubblico” possa sfruttare la conoscenza delle dinamiche organizzative che connotano gli uffici interni della pubblica amministrazione al fine di trarre vantaggi di natura patrimoniale o non patrimoniale.

La norma mira a scongiurare il prodursi degli effetti contra ius che potrebbero derivare da una situazione di “conflitto di interesse.

Il Responsabile per la prevenzione della corruzione ed il Responsabile della trasparenza del Ministero dello Sviluppo Economico hanno sottoposto richiesta di parere all’ANAC circa l’ambito di applicazione del comma 16 ter dell’art. 53 del D.lgs.n.165/2001.

L’ANAC, mediante delibera n.99 del 8 febbraio 2017 richiama, in primo luogo, l’art. 21 del D.lgs. 39/2013 chiarendo che “sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell’incarico”. Pertanto, anche in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico si applica l’articolo 53 comma 16 ter del d. Lgs.n. 165/2001.

Viene, inoltre affermato che, con riferimento ai dipendenti con poteri autoritativi e negoziali, tale definizione è riferita sia a coloro che sono titolari del potere (soggetti apicali nell’organizzazione) sia ai dipendenti che pur non essendo titolari di tali poteri, collaborano al loro esercizio svolgendo istruttorie (pareri, certificazioni, perizie) che incidono in maniera determinante sul contenuto del provvedimento finale, ancorché redatto e sottoscritto dal funzionario competente.

E’ stata altresì evidenziata la necessità di dare un’interpretazione ampia della definizione dei soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri (autoritativi e negoziali), presso i quali i dipendenti, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, non possono svolgere attività lavorativa o professionale. A tal riguardo è stato chiarito che occorre ricomprendere in tale novero anche i soggetti formalmente privati ma partecipati o in controllo pubblico, nonché i soggetti che potenzialmente avrebbero potuto essere destinatari dei predetti poteri e che avrebbero realizzato il proprio interesse nell’omesso esercizio degli stessi.

Inoltre, il divieto deve trovare applicazione anche in relazione al personale che nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione si costituisca nuovo operatore economico e rivesta il ruolo di Presidente del consiglio di amministrazione partecipando alle gare indette dall’amministrazione presso la quale abbia svolto attività lavorativa.

La norma chiarisce che la conseguenza della violazione del divieto di pantouflage ricade su contratti conclusi e su incarichi conferiti con la sanzione di carattere civilistico della nullità.

L’articolo 53 del D.lgs. n. 165/2001 il comma 16 ter, prevede che “I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi conferiti”.

In sede di gara o affidamento incarichi, in particolare, deve essere richiesta dalla Pubblica Amministrazione al soggetto con cui entra in contatto una dichiarazione per garantire l’applicazione dell’art. 53, comma 16-ter, del D. Lgs. N. 165/2001, introdotto dalla legge n. 190/2012. Attraverso tale dichiarazione il destinatario del provvedimento afferma in primo luogo di non aver concluso contratti di lavoro subordinato o autonomo e, comunque, di non aver attribuito incarichi ad ex dipendenti, che hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni nei confronti dell’Associazione di cui sopra, nel triennio successivo alla cessazione del rapporto.

Il destinatario del provvedimento dichiara, inoltre, di essere consapevole che, ai sensi del predetto art. 53, comma 16-ter, i contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di tali prescrizioni sono nulli e che è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni, con l’obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.

Tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (Whistleblower)

Ed infine, le norme a tutela della persona che segnala condotte illecite, oggetto della trattazione.

Il whistleblowing, fu introdotto, limitatamente all’ambito della pubblica amministrazione nell’anno 2012, quando fu approvata la legge 6 novembre 2012, n. 190, (c.d. Legge Severino), intitolata “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” e fu aggiunto l’articolo 54-bis nel d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in base al quale “il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”.

Le condotte illecite, di cui il dipendente sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, possono essere inviate: al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) ove si è verificata la condotta illecita; all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC); all’Autorità giudiziaria ordinaria o contabile (sotto forma di denuncia).

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Dott.ssa Laura Facondini

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