Il lavoro carcerario in svizzera

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  1. Profili storico-giuridico-criminologici

La maggior parte degli Autori ( DAGA 1990 ; DUBBINI 1986 ; MANCA 1973; NEPPI MODONA 1976 ) concorda sul fatto che i Protestanti Quaccheri furono determinanti, nell’ America del Settecento, nel riformare l’ idea di << Penitenziario >>. L’ ozio non si dimostrava idoneo. I condannati vennero percepiti come potenziali lavoratori, che potevano redimersi lavorando e , dunque, espiando attivamente. In tal modo, nacquero due nuovi Sistemi Penitenziari .Il Sistema philadelphiano o quacchero esisteva già in Belgio a Gand e a Gloucester in Inghilterra. Il recluso era in isolamento sia diurno sia notturno nella sua cella, ove lavorava e, proprio lavorando, si preparava al reinserimento sociale. Invece, nel Sistema Auburniano, applicato a New York, il detenuto pregava e lavorava in gruppo con altri condannati e nel più rigoroso silenzio. Nella loro Opera più importante, RUSCHE & KIRCHHEIMER ( 1968 ) sostengono che le Rivoluzioni Industriali di Inghilterra, Olanda e USA recarono a nuove Prassi Penitenziarie e ad un nuovo concetto di Pena rieducativa. Ovvero, si assimilava il Carcere ad una grande Fabbrica in cui il Lavoro e al Disciplina contrastavano la disoccupazione, inutile e meramente repressiva. Anzi, verso la fine dell’Ottocento, il Lavoro, nelle galere inglesi, era talmente ben organizzato da suscitare le proteste di Operai e Sindacati, giacché si era creato, nei Penitenziari, un vero e proprio Mercato concorrente a basso costo. Tuttavia, nemmeno oggi, a prescindere dagli eccessi ideologici, l’Occidente, specialmente negli USA, non ha abbandonato l’ interessante sovrapposizione concettuale fra Carcere, Fabbrica e Disciplina. Tali rationes dell’Ubbidienza e della Laboriosità, tra il Settecento e l’ Ottocento, si erano consolidate nelle Workhouses inglesi ( dette anche Bridewells ), nelle Rasp huis olandesi e nelle Galere di Francia e Germania. La Rivoluzione industriale recò ad una netta mutazione nella nozione antropologica di << criminale >>. Ovvero, il deviante era ( rectius : sarebbe stato ) come uno dei tanti Operai che avevano perso il Lavoro o che non accettavano la disciplina della Fabbrica. A parere di chi redige, quest’ ultima Teoria non merita fiducia . Si tratta di un’ esasperazione politicizzata e completamente fuori luogo .In effetti, IGNATIEFF ( 1978 ) conferma che il modello quacchero ed auburniano divennero eccessivi ed oltremodo estremizzati verso gli inizi del Novecento. Siffatto Autore osservò e monitorò, dal punto di vista criminologico, il Penitenziario di Pentonville, vicino a Birmingham. Ormai, dopo gli Anni Settanta dell’ Ottocento, il Carcere ad ispirazione protestante era divenuto troppo intransigente ed austero. La solitudine ed il silenzio obbligatorio erano eccessivi. Si era persino diffuso l’ uso barbarico della camicia di forza. I detenuti manifestavano allucinazioni e altre malattie mentali assenti quando erano a piede libero. Con moderato ottimismo storico, FOUCAULT ( 1975 ) esprimeva un giudizio sufficientemente positivo sulla Riforma Carceraria in epoca industriale. Tuttavia, mancavano Psicologi che studiassero il passato familiare del detenuto. Secondo FOUCAULT ( ibidem ), il Carcere ottimale è quello << panoptico >>, ovvero circolare, con vetrate e grate sottili e nel quale gli Agenti di Custodia, riuniti al centro dell’ edificio, possono facilmente sorvegliare le celle, pressoché trasparenti, nelle quali nemmeno un minuto della vita del carcerato è lasciato al caso. Al contrario, SPITZER ( 1975 ) nonché CHIRICOS & DELONE ( 1992 ) contestano il Carcere-Fabbrica ottocentesco. Il Lavoro manuale non costituisce la soluzione automatica a tutti i problemi dell’ Ordinamento Penitenziario. Né, tantomeno, esiste l’ << empirical plausibility >> [ la certezza scientifica ] che il deviante coincida matematicamente con il disoccupato straniero, poco istruito, maleodorante e dedito all’ alcool. Quest’ ultimo è un teorema assoluto dittatoriale e fortunatamente cessato dopo i Regimi nazi-fascisti e sovietici. Anche BOSELLI & VITALI ( 2002 ) affermano che, in Svizzera ed in Europa, esistono rigurgiti neo-retribuzionistici. P.e., come nota PITCH ( 1989 ), negli USA contemporanei, il << controllo sociale >> coincide con la << giustizia penale >>, sino al punto di voler militarizzare gli spazi collettivi. Viceversa, la pena detentiva non è idonea nei confronti delle infrazioni bagatellari. Il Carcere non dev’ essere il luogo normale per riappacificare i contrasti sociali. Tant’ è che OLGIATI ( 1991 ) parla di << divisione del lavoro di controllo >>, nel senso che il Diritto Penale non garantisce esso solo la general-preventività. Esistono altri ulteriori strumenti normativi, ma anche meta-normativi, come la Mediazione processuale ( www.diritto.it/docs/32944 ), la Pedagogia, la Psichiatria e le Scienze Sociali. Anche BAUMAN ( 2007 ) e ROMANO ( 2000 ) utilizzano , e non assolutizzano lemmi come << lavoro >>, << carcere >>, << controllo dei comportamenti >>, << misure assistenziali >>. In buona sostanza, l’ argomento del Lavoro carcerario necessita di moderazione e senso della misura.

 

2. Il Lavoro penitenziario nel Codice Penale svizzero

La Normativa afferente al Lavoro penitenziario in Svizzera è quantitativamente scarsa. Infatti, tale giuridificazione viene abbondantemente delegata ai singoli Penitenziari, distinti in Stabilimenti chiusi ( 7 ), Stabilimenti aperti ( 19 ) e Stabilimenti per l’ esecuzione delle Misure di Sicurezza. In totale, la Confederazione dispone di 34 strutture per l’ Esecuzione Penitenziaria.

Il detenuto, in Svizzera, è obbligato al Lavoro ( Art. 81 comma 1 cpv. 1 StGB ). L’ attività svolta deve tener conto, nella misura massima possibile, delle capacità, della formazione e delle inclinazioni del reo ( Art. 81 comma 1 cpv. 2 StGB ). Dunque, nel Diritto Penitenziario federale elvetico, non manca la ratio della personalizzazione del Programma rieducativo.

Altrettanto sinteticamente, il comma 2 Art.81 StGB statuisce che il detenuto, se vi acconsente, può essere occupato presso un datore di Lavoro privato. Il recluso riceve, per il suo Lavoro, una retribuzione corrispondente alle sue prestazioni e adeguata alle circostanze ( Art. 83 comma 1 StGB ). Mentre sconta la pena, il carcerato può disporre liberamente soltanto di una parte della retribuzione. La parte restante è accantonata quale somma destinata a far fronte ai primi tempi dopo la liberazione. La retribuzione non può essere né pignorata né sequestrata né inclusa in una massa fallimentare . E’ nulla ogni sua cessione o costituzione in pegno ( Art. 83 comma 2 StGB ).

Dopo aver scontato almeno metà della pena detentiva, il resto della reclusione è eseguito in forma di Lavoro esterno, sempreché non sussista un concreto pericolo di fuga o di recidiva. ( Art. 77a comma 1 StGB ). Durante questo regime di Lavoro esterno, il condannato lavora fuori dal Penitenziario, ma vi ritorna per le ore del tempo libero e del riposo. Solitamente, la testé descritta attenuazione custodialistica ha luogo nelle Sezioni di Fine Pena o nel reparto aperto di un Penitenziario chiuso. L’ ultimo cpv. del comma 2 Art.77a StGB precisa che << sono considerati lavori fuori del penitenziario anche i lavori domestici e la cura dei figli >>.

Esiste pure una terza fase conclusiva della fine pena. Ovvero, se il detenuto si comporta correttamente nel Lavoro esterno, la rimanente esecuzione avviene in forma di alloggio e Lavoro completamente all’ esterno. Tuttavia, l’ Amministrazione Penitenziaria effettua periodici sopralluoghi per accertarsi che la serietà del Lavoro e della condotta esterna sia effettiva ( comma 3 Art. 77a StGB ).

Il Lavoro ( tanto extra-murario quanto intra-murario ) costituisce il fondamento anche del trattamento del minore degli anni 25 ( Art. 61 StGB ) e del semi-libero, il quale, però, dev’ essere stato condannato ad una pena detentiva superiore ai 6 mesi ancorché inferiore ad 1 anno ( Art. 77 b StGB ).

Le qui esposte Norme non possiedono la completezza e la raffinatezza giuridica del vigente Ordinamento Penitenziario italiano. Pertanto, l’ efficienza concreta del Diritto Penitenziario svizzero è lasciata alla prudente eppur necessaria valutazione delle singole Direzioni Carcerarie. Dal 2006 esiste pure, ormai in tutti i Cantoni, ilGiudice per l’ Esecuzione della Pena. In buona sostanza, nel caso della Svizzera, la Prassi sostanziale colma le lacune formali del dettato normativo.

3. Le tre tipologie di Stabilimento penitenziario nel Diritto svizzero

Tra gli Anni Settanta e gli Anni Novanta dell’Ottocento, furono costruiti il Penitenziario di Hindelbank ( 1896 ), di Thorberg ( 1893 ), di Plaine de l’Orbe ( 1898 ) e di Lenzburg ( 1880 ). Trattavasi di Galere per i lavori forzati. Oggi, in tali località, gli edifici originari nonché la Normativa sono totalmente e fortunatamente mutati, anche se detti Stabilimenti sono tutt’ oggi <<chiusi >>, ovvero destinati all’ espiazione intra-muraria. Pure il Penitenziario Intercantonale di Bostadel, La Stampa di Lugano e Pöschwies sono attrezzati tanto per la custodia chiusa quanto per forme di detenzione semi-murarie, di fine pena o, comunque, attenuate. Plaine de l’ Orbe detiene una capacità massima di 265 detenuti, 160 dei quali lavoratori a tempo pieno. Bostadel ospita circa 120 reclusi. Pöschwies reca il primato nazionale di 436 posti, costituiti da ben 314 celle singole. In tutti i casi, il vigente OP elvetico, specialmente dopo la Riforma del 2006, prevede molti benefici e molte attenuazioni. In buona sostanza, le singole Autorità cantonali hanno saputo mettere a frutto i concetti di Lavoro esterno ( Art. 77 a StGB ) e di benefici per il giovane adulto ( Art. 61 StGB ). P.e., a Plaine de l’Orbe e a Pöschwies, il condannato può svolgere un Lavoro remunerato in Tipografia, in Falegnameria, in Serigrafia, in Forneria. Sono presenti, sempre all’interno del Perimetro di sicurezza, pure Corsi di Studio e di Apprendistato. La Colonia agricola di Plaine de l’ Orbe raggiunge elevati livelli di tecnica agricola ( un allevamento di suini, corsi per l’ uso di trattori, coltivazioni biocompatibili, una macina e alcune vigne ). Senz’ altro non v’ è da dubitare circa il rigore e la disciplina imposti. Tuttavia, i sette Penitenziari svizzeri cc.dd. <<chiusi >> offrono, a differenza del Sistema italiano, un percorso lavorativo non meramente simbolico od afflittivo ( si pensi ai detestabili ed inutili tirocini in decoro di tazzine o assemblaggio di ridicole bambole di pezza ).

I regimi del Lavoro esterno e della semi-prigionia raggiungono pieno compimento nei 19 Penitenziari << aperti >> della Confederazione. A Witzwil ( 182 posti ), Realta ( 100 posti ) e Wauwilermoos ( 65 posti ) domina il Lavoro nell’ Agricoltura. Importante è pure la Maison d’ arrets pour femmes sita a Riant-Parc. Nel biennio 1995/1996, il Penitenziario aperto di Schöngrün Solothurn si è specializzato nella terapia metadonica degli eroinomani. L’ Art. 77 a StGB costituisce il fondamento anche di altre strutture a custodia attenuata, tra cui la Colonia penitenziaria di Cretelongue, lo Stabilimento di Tulipier, quello di Bellechasse e lo Halbgefangenschaft di Winterthur. Molte altre cittadine ospitano Carceri aperte di modeste dimensioni. Il dubbio è se il neo-retribuzionismo occidentale consentirà alla Svizzera di mantenere l’ attuale distacco dai regimi trattamentali << a tolleranza zero >>.

In terzo ed ultimo luogo, l’ OP elvetico ha recato all’apertura di 8 Stabilimenti per l’ applicazione delle Misure di Sicurezza. Ad Arxhof ( 1971 ), Pramont ( 1978 ), Kalchrain ( 1985 ) e Chur ( 1996 ) esistono Case di Riabilitazione e Case di Educazione al Lavoro. Nel Massnahmezentrum St. Johannsen, sin dal 1911, si trattano i rei affetti da alcoolismo cronico. La corretta applicazione delle Misure di Sicurezza ( internamenti e trattamenti ambulatoriali ) è garantita in sinergia con Enti Sanitari, Cliniche e Associazioni di recupero 

4. Il Lavoro carcerario nell’Ordinamento Penitenziario italiano

Nell’ OP del 1862, nel Codice Penale Zanardelli del 1889 e nell’ OP riformato del 1931, il Regio Diritto Penitenziario statuiva l’obbligo del Lavoro, sempreché tale imposizione non confliggesse con la pena accessoria dell’isolamento o con altre sanzioni aggiuntive. Il Lavoro, qualora concesso, consisteva in frustranti opere di valore simbolico. Esso vedeva impegnati, come normale, i detenuti condannati con Sentenza passata in Giudicato, ma anche gli imputati in Custodia Cautelare. La Costituzione Repubblicana del 1948 e la Revisione dell’ OP del 1975 abrogò l’orrore processualistico dell’obbligo tassativo di lavorare ante judicatum, ossia allorquando il recluso è ancora presunto innocente.

La vera Riforma si ebbe con il nuovo OP contenuto nella L. 354/1975 e nel Reg. Att. DPR 431/1976. Infatti, anche ai sensi dell’ Art. 27 Cost., il Lavoro carcerario, in Italia, si deve sostanziare in un mezzo rieducativo e non punitivo. Anzi, almeno in teoria, a partire dal 1975, si cercò di statuire l’ equipollenza tra il Lavoro del carcerato e quello di un comune individuo a piede libero. Purtroppo e senza dubbio, la realtà fattuale rimane molto diversa. Molto importante fu pure il DPR 230/2000, in virtù del quale le aziende private italiane possono ora assumere detenuti che vivono in regimi espiativi semi-murari. Fondamentale risultò anche la Legge Smuraglia del 2000. Essa prevede sgravi fiscali per le imprese privatistiche che assumono detenuti. Inoltre, la Legge Smuraglia ha agevolato l’ ingresso in Carcere di Cooperative Onlus, le quali organizzano seri e validi Corsi di Studio, ma anche di Lavoro manuale. Dal 2000 al 2010,il Parlamento italiano ha manifestato scarsa attenzione alle tematiche del Diritto Penitenziario, tranne due Decreti ( uno del 2001 e il successivo del 2002 ) finalizzati allo sgravio fiscale verso le Cooperative Onlus ed Aziende commerciali che assumano reclusi a titolo di dipendenti.

Nel (pluri-)novellato Testo dell’ OP del 1975, il Lavoro carcerario è distinto in due grandi sotto-categorie. La prima contempla i Lavori domestici alle dipendenze della PA carceraria ( pulizie, cucine, giardinaggio ). La seconda tipologia è quella dei Lavori alle dipendenze di terzi soggetti privati ( Art. 21 OP – rubricato Lavoro all’ esterno ). L’ Art. 21 OP, sin dalla Riforma Margara del 1975, si è rivelato tanto prezioso quanto difficile da applicare in concreto. Pertanto, gli attuali cinque commi della testé citata Norma hanno subito novellazioni continue e tutt’ altro che semplici. Il primo comma dell’ Art. 21 OP concede la possibilità di un Lavoro all’ esterno sia ai condannati sia agli internati, purché non venga meno la ratio suprema della rieducazione ex Art. 15 OP. Tuttavia, i condannati per reati di stampo mafioso o sequestro di persona a scopo di estorsione sono ammessi al beneficio in questione soltanto qualora abbiano già scontato un terzo della pena o, perlomeno, 5 anni. Similmente, i condannati all’ ergastolo debbono prima aver espiato almeno 10 anni di reclusione. I reclusi in regime di Art. 21 OP ( comma 2 ) lavorano senza scorta e, come ovvio, previa autorizzazione del Magistrato di Sorveglianza. Il comma 3 Art. 21 OP predispone che il Personale del Carcere ed il Sevizio Sociale effettuano una costante osservazione dei progressi o, viceversa, dei regressi pedagogici del detenuto-lavoratore. In ogni caso, la prosecuzione, l’ interruzione o la sospensione del Lavoro all’ esterno necessitano sempre e comunque del parere, favorevole o contrario, del Magistrato di Sorveglianza, che provvede a mezzo Decreto motivato. Secondo Cassaz. Sent. 23/06/1993, ogni Provvedimento del Tribunale di Sorveglianza in merito all’ Art. 21 OP costituisce un Atto Giurisdizionale non impugnabile. All’opposto, il TAR del Piemonte ( Sent. 16/03/1990 ) considera il Decreto in esame alla stregua di un parere di rango Amministrativo e perfettamente contestabile in Giudizio. Tutt’ oggi, rimane irrisolto tale dubbio esegetico. Infine, il comma 4 bis dell’ Art. 21 OP estende la disciplina dei quattro commi precedenti anche alla frequentazione extra-muraria di Corsi di Formazione Professionale.

Una seconda possibilità di Lavoro extra-murario, nell’ OP italiano, è contenuta nell’ Art. 48 OP ed è connessa allo stato della Semilibertà ( la detenzione di fine pena nella terminologia penalistica elvetica ). Anche ex comma 1 Art. 48 OP, il beneficio è concesso non soltanto al recluso condannato, ma anche all’ internato e persino al detenuto straniero che si trovava in stato di clandestinità prima della restrizione carceraria ( Corte Cost. 16/03/2007 n. 78 ). Inoltre, il medesimo comma 1 Art. 48 OP concede l’ uscita, nelle ore diurne, dal Penitenziario non solo per lo svolgimento di Lavori manuali, ma anche di Professioni culturali e di ogni altra attività utile al reinserimento sociale. Assai importante è stata la Sent. Corte Cost. 1087/1988, grazie alla quale il semilibero beneficia del Lavoro esterno anche se tale Contratto di Lavoro è a tempo determinato o part-time. Viceversa, prima del Pronunciamento giurisdizionale suddetto, il comma 1 Art. 48 OP era applicato nel solo caso di Lavoro a tempo indeterminato. Il secondo comma Art. 48 OP asserisce la necessità di alloggiare i semiliberi in apposite Sezioni di fine Pena, come nel caso della Svizzera. Purtroppo, l’ edilizia Penitenziaria italiana, per ora, non è stata in grado di attuare Stabilimenti a custodia attenuata ove collocare i beneficiari della Semilibertà.

Il vecchio Art. 37 StGB, prima della Riforma del 2006, definiva << obbligatorio >> il Lavoro carcerario. Il lemma << obbligatorio >> compare anche nel comma 3 Art. 20 Ordinamento Penitenziario. PERA ( 1971 ) afferma che tale comma 3 Art. 20 OP configura il Lavoro in Carcere come una fattispecie duplice, nel senso che si tratta di un << diritto e dovere >>, contestualmente e senza antinomia. GREVI ( 1981 ) sostiene che il Lavoro del carcerato rappresenta non un diritto soggettivo, bensì un << interesse legittimo >> verso la PA carceraria. Dunque, il recluso disoccupato può adire la Magistratura Amministrativa, ovvero il TAR e successivi Organi di Giudizio Processuale Amministrativo. PAVARINI (1976 ) reputa che il Lavoro penitenziario dev’ essere qualificato come << diritto soggettivo >>, poiché, qualora lo si concepisse come un obbligo, si tornerebbe alla nozione fascista di pena detentiva. BETTINI ( 2001 ) nonché FASSONE ( 1981 ) ritengono che il Lavoro dei detenuti e degli internati non è né un diritto né un dovere. Esso è uno strumento rieducativo, a prescindere da qualsivoglia sottile catalogazione giuridica.

Sotto il profilo della ratio, il comma 1 Art. 15 OP elenca , in maniera limpida e lodevole, gli << elementi del trattamento penitenziario >>, ovvero l’ istruzione, il lavoro, la religione, la cultura e lo sport. Tutto ciò in perenne, continua e sistematica sinergia con il mondo esterno e con la famiglia del reo ( la Dottrina svizzera ticinese, a tal proposito, parla di << normalizzazione >> ). Più contestabile, invece, rimane il comma 3 Art. 15 OP, secondo il quale anche gli imputati, se lo richiedono, sono ammessi alle attività di cui al primo comma del medesimo Articolo. Senza dubbio, ipotizzare e statuire un diritto al Lavoro ante judicatum costituisce un’ anomalia normativa, a meno che a tale Lavoro non si attribuisca un valore meramente ricreazionale anziché trattamentale.

Dopo decenni di dubbi, tanto in Dottrina quanto nella Giurisprudenza, oggi al detenuto Lavoratore è riconosciuto il diritto alla libera associazione sindacale. Anche sotto questo profilo,è, pertanto, ribadita l’ equipollenza gius-lavoristica tra dipendente recluso e dipendente a piede libero.

Viceversa, per ciò che attiene al diritto di sciopero, è necessario precisare e distinguere quanto segue. In primo luogo, il carcerato beneficiario di un Lavoro esterno ex Art. 21 OP detiene pienamente la libertà di scioperare. All’opposto, il detenuto assegnato al Lavoro entro il Perimetro del Penitenziario non può scioperare, giacché un’ eventuale protesta dentro il Carcere può disturbare la normale disciplina detentiva . In terzo luogo, il semilibero ex Art. 48 OP reca il diritto allo sciopero purché la Direzione del Carcere ne sia tempestivamente informata.

Nel Testo primigenio del 1975, il comma 2 Art. 20 OP recita che << il Lavoro penitenziario [ … ] è remunerato >>. Tuttavia, tra decimi della remunerazione erano versati alla Cassa per il Soccorso e l’ Assistenza alle Vittime di delitti. Nel 1986, venne abrogata tale Cassa di Soccorso, ma lo stipendio del recluso lavoratore era comunque decurtato di due terzi rispetto al salario minimo garantito dai Contratti Collettivi di Categoria. Alla luce dell’ Art. 3 Cost. italiana, la Sent. Corte Cost. 1087/1988 e la Sent. Corte Cost. n. 49/1992 hanno mantenuto la trattenuta dei due terzi per il Lavoro intramurario. Invece, i Lavori in regime di Art. 21 o 48 OP sono remunerati con lo stipendio minimo garantito. Dunque, ancora una volta, la << normalizzazione >> parifica il lavoratore carcerato a qualsiasi altro soggetto lavoratore libero.

Il principio di eguaglianza ex Art. 3 Cost. ha recato a garantire al detenuto che lavora il diritto alle ferie ( Corte Cost. Sent. 158/2001 ). Ognimmodo, il comma 17 Art. 20 OP, anche prima della citata Sentenza, concedeva il riposo festivo e il versamento di regolari contributi tanto assicurativi quanto previdenziali. Senza dubbio, Corte Cost. Sent. 158/2001 non impedisce alla Direzione del Carcere ed al Magistrato di Sorveglianza di adottare opportuni provvedimenti specifici affinché il detenuto o l’ internato non si dia alla fuga durante il godimento delle ferie ( p.e., non è escluso l’ obbligo di altre attività ricreative all’ interno del Penitenziario ).

Altrettanto spinosa rimane la tematica del licenziamento. Qualora il reo lavori in Carcere alle dipendenze della PA, non ha senso parlare di licenziamento. Semmai è la Direzione del Carcere che rimuove il recluso dal Lavoro assegnatogli, giacché il soggetto rifiuta di lavorare, lavora poco, lavora malamente o ha violato la disciplina del Penitenziario mentre lavorava. In tali casi, il lemma << licenziamento >> è fuori luogo. Piuttosto, si utilizza il termine << sanzione >>. Tuttavia, nel caso dei benefici ex Artt. 21 e 48 OP, si è di fronte ad un normale rapporto di Diritto comune giuslavoristico. Pertanto, sussiste, in capo al datore di Lavoro privato, l’ altrettanto ordinaria possibilità di licenziare il detenuto per giusta causa. Si ripete che tale licenziamento non possiede peculiarità gius-pubblicistiche. Esso è definibile come un << normale >> licenziamento, prescindente dallo status di recluso del prestatore d’ opera, il quale, infatti, potrà sempre e comunque ricorrere al Tribunale del Lavoro, come qualunque altro dipendente libero.

 

BIBLIOGRAFIA

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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