Il lavoratore, colpito da malattia di particolare gravità per la quale è previsto dalla disciplina legale o contrattuale l’obbligo del datore di lavoro di conservazione del posto per periodi di tempo eccedenti il limite massimo del comporto, ha l’onere di

sentenza 01/02/07
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Nella pronuncia esaminata, il lavoratore adiva il Giudice del Lavoro del Tribunale di Nocera Inferiore, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità dell’intimato licenziamento per superamento del c.d. periodo di comporto.
A sostegno della propria tesi, adduceva di essere affetto da una patologia di particolare gravità, certificata dalla copiosa documentazione medica spedita al datore di lavoro e confermata dall’elaborato peritale di uno specialista allegato agli atti.
Deduceva che il c.c.n.l. di categoria applicabile al rapporto de quo prevedeva una diversa e più favorevole modalità di calcolo del periodo di comporto, escludendo i periodi di assenza per malattie connotate da particolare gravità e che, per l’effetto, non essendo spirato il termine più ampio rispetto a quello ordinario previsto dalla contrattazione collettiva, permaneva ancora in capo allo stesso il diritto alla conservazione del posto.
Su tali premesse, instava per l’illegittimità e l’inefficacia dell’irrogato provvedimento espulsivo con l’adozione di tutti i provvedimenti necessari e conseguenziali di legge, a seconda che il rapporto fosse assistito dal regime di stabilità reale ovvero obbligatoria.
Radicatosi il contraddittorio, si costituiva il datore di lavoro, il quale contestava in toto la tesi avanzata dal ricorrente, eccependo, tra l’altro, di ignorare la natura della malattia che affliggeva il dipendente e di non avere mai ricevuto alcuna comunicazione in tal senso, insistendo per la piena liceità dell’intimato recesso e concludendo per l’integrale rigetto dell’agitata impugnativa.
In sede di decisione, il Giudicante correttamente premetteva che, nella determinazione del periodo di comporto, sia in presenza di un singola affezione continuata (comporto secco) sia nelle ipotesi di una pluralità di episodi morbosi (comporto per sommatoria), ove la disciplina contrattuale non contenga esplicite previsioni di diverso tenore, devono essere inclusi nel calcolo del periodo di comporto anche i giorni non lavorati (domeniche, festività infrasettimanali), che cadano durante il periodo di malattia, operando, in difetto di prova contraria (che è onere del lavoratore fornire), una presunzione di continuità, in quei giorni, dell’episodio morboso. (Sul punto, in senso conforme, Cass. Sez. Lav. 14633/2006,Cass. Sez. Lav., 21385/2004, Cass. Sez. Lav., 13816/2000, Cass. Sez. Lav., 12716/1998.).
Orbene, richiamando opportunamente svariati arresti giurisprudenziali sul tema, il Giudice rilevava come la sussistenza di una malattia, tale da impedire la prestazione lavorativa e da giustificare l’assenza del lavoratore – con conseguente preclusione, per il datore di lavoro, di disporre la decadenza dall’impiego – doveva essere provata dal lavoratore mediante certificato medico, spettando al datore di lavoro, ove detto onere fosse stato assolto dal lavoratore, fornire la prova della inesistenza della patologia o della non veridicità delle relative attestazioni sanitarie.
Orbene, il ricorrente aveva sempre tempestivamente e periodicamente provveduto ad inviare adeguati attestati sanitari, senza che mai il datore di lavoro avesse mosso alcuna contestazione o censura in ordine alla sussistenza dello stato morboso denunciato in detta documentazione.
Accertata la conoscenza del datore di lavoro della natura della patologia, non potevano sussistere dubbi circa la riconducibilità dello specifico morbo che piagava il lavoratore nel genus delle “malattie particolarmente gravi”, previste dalla disciplina di settore ed elencate a titolo meramente esemplificativo, con conseguente giustificazione dell’assenza dal lavoro per un periodo superiore al c.d. comporto ordinario e con l’inevitabile applicazione della normativa “più favorevole” invocata dal ricorrente.
Il Giudicante, pertanto, stante la palese erroneità del presupposto del provvedimento espulsivo, per effetto dell’operatività per il caso esaminato della disposizione derogatoria all’ordinario criterio di calcolo del periodo di comporto, dichiarava l’illegittimità del comminato licenziamento ed ordinava alla parte resistente di riassumere il lavoratore entro 3 giorni, ovvero, in mancanza, di corrispondere allo stesso, a titolo di risarcimento del danno, un’indennità pari a 4 mensilità dell’ultima retribuzione percepita.
Al caso in esame, infatti, non era applicabile la c.d. tutela reale, atteso che il datore di lavoro, assolvendo allo specifico onere gravante sullo stesso di provare il c.d. requisito dimensionale, aveva dimostrato per tabulas di occupare alle sue dipendenze meno di 15 unità. ( autorevolmente, Cass. Sez. Un. N.141/2006, richiamata in parte motiva)
 

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