Il giustificato ritardo dei separandi e divorziandi al tempo del coronavirus

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Sommario

Il giustificato ritardo dei separandi e divorziandi al tempo del coronavirus.

  1. La cornice normativa emergenziale in Italia.
  2. La sospensione dei termini procedimentali per la pubblica amministrazione.
  3. La mancata presentazione nei termini dei divorziandi e separandi ai sensi dell’art.12 della legge n.162/2014 per motivi connessi al coronavirus. 
  4. Conclusioni.

 

 

La cornice normativa emergenziale in Italia.

L’uragano del “Covid–19”, dopo aver insidiato i principi costituzionali del nostro ordinamento giuridico, ha cercato anche di dare una svolta a problemi atavici e irrisolti della nostra convivenza sociale.

In Italia, infatti, dopo la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, che ha ufficializzato lo stato di emergenza per sei mesi dalla data del provvedimento, si è susseguita una serie di decreti legge, di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, di decreti interministeriali e ministeriali, spesso di dubbia legittimità costituzionale, che hanno stravolto la nostra convivenza sociale.

Quindi, in tale disordinato assetto, l’imporsi sulla scena delle fonti di tale tipologia di decreto,  evidenzia da un lato la tendenza ad affidare sempre più spesso ambiti di disciplina alle fonti secondarie (il decreto legge, in sostituzione della legge ordinaria, le ordinanze di protezione civile invece del decreto legge, gli atti amministrativi generali che vanno oltre i regolamenti strictu sensu); dall’altro, i mutamenti nell’assetto del rapporto Parlamento-Governo, con una sempre maggiore invadenza dell’esercizio della funzione legislativa da parte dell’esecutivo.

Da ultimo, infine, con il decreto legge 19 maggio 2020, n.34 /2020 (c.d. decreto rilancio), sono state emanate misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.

La sospensione dei termini procedimentali per la pubblica amministrazione.

Il  “Decreto Cura Italia” (decreto legge 17 marzo 2020, n.18, convertito con modifiche in legge n.27 in data 24 aprile 2020) non si è limitato solo a sospendere i termini dei processi civili, penali, tributari e militari, amministrativi e quelli della Giustizia contabile, ma ha disposto, altresì, la sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi e degli effetti degli atti amministrativi in scadenza.

L’art. 37 del decreto legge n.23/2020 ha prorogato dal 15 aprile al 15 maggio 2020 la data conclusiva del periodo di sospensione dei termini riguardanti, in via generale, i procedimenti amministrativi e l’efficacia degli atti amministrativi in scadenza già prevista dall’art. 103 del citato decreto legge n.18/2020.

La proroga in argomento non modifica invece quanto previsto dall’art. 67 del decreto legge n. 18/2020, che ha sospeso dall’8 marzo al 31 maggio 2020 i termini per rispondere “alle istanze formulate ai sensi dell’art. 22 della legge 7 agosto n.241, e dell’art. 5 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.33”, con riferimento esclusivo al settore dell’amministrazione fiscale.

L’art. 103, comma 1, della menzionata legge n.27/2020 prevede che “Ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020 (ora 15 maggio 2020). Le pubbliche amministrazioni adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati […]”.

La misura si applica sia al termine di chiusura dei procedimenti sia ai termini di conclusione di precise fasi endoprocedimentali, nonché a tutti termini concernenti i singoli adempimenti procedimentali (come, ad esempio, il termine entro il quale provvedere su un’istanza di parte).

La sospensione trova, altresì, applicazione nei confronti dei termini che regolano l’inizio del procedimento. Pertanto, qualunque notificazione/notifica o denuncia inviata nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 15 maggio del 2020 dovrà ritenersi pervenuta il 16 maggio 2020.

Al fine di garantire l’efficace ed efficiente svolgimento delle proprie funzioni istituzionali, in linea con quanto previsto dall’art. 103, che riconosce alle pubbliche amministrazioni la potestà di adottare misure organizzative idonee ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione del procedimento, si possono individuare casi che non rientrano nella sospensione.

Sono esclusi dalla sospensione i termini dei procedimenti cautelari. In questa ipotesi l’intervento tempestivo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) è necessario a impedire il prodursi di un danno grave e irreparabile alla concorrenza e ai diritti dei consumatori che, nelle more della sospensione, potrebbe invece consolidarsi definitivamente. La natura per definizione irreparabile del danno derivante dalla mancata tutela di un interesse pubblico risulterebbe, infatti, ulteriormente aggravata dal mancato esercizio del potere cautelare.

Ancora, il comma 1-bis, della citata legge n.27/2020 precisa che il periodo di sospensione di cui al comma 1 trova altresì applicazione in relazione ai termini relativi ai processi esecutivi e alle procedure concorsuali, nonché ai termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali.

Il secondo comma dell’art. 103 introduce, a sua volta, una proroga degli effetti di certificati, attestati, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, in scadenza tra il 31 gennaio e il 31 luglio 2020, i quali conservano validità fino al 15 giugno 2020.

Si evidenzia che la proroga è limitata agli atti che vanno a scadere in quel determinato periodo, sicchè essa non opera quando il termine di efficacia o decadenza o prescrizione scade in un momento successivo al 31 luglio 2020.

La conservazione della validità dei provvedimenti amministrativi dovrà essere considerata anche con riguardo ai termini – di decadenza o di prescrizione – entro i quali (o a decorrere dai quali) è possibile tutelare giudizialmente una posizione giuridica soggettiva lesa dall’atto i cui effetti sono stati prorogati sino al 15 giugno 2020, tenuto ovviamente conto della sospensione dei termini del processo amministrativo, come disposta dall’art. 84, primo comma, della legge n.27/2020.

Il comma 2-bis prevede, invece, che il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori previsti dalle convenzioni di lottizzazioni di cui all’art. 28 della legge 17 agosto 1942, n.1150, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, nonché i termini dei relativi piani attuativi e di qualunque altro atto ad essi propedeutico, in scadenza tra il 31 gennaio e il 31 luglio 2020, sono prorogati di novanta giorni. La presente disposizione si applica anche ai diversi termini delle convenzioni di lottizzazione di cui all’art. 28 della legge 17 agosto 1942, n.1150, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale nonché di relativi piani attuativi che hanno usufruito della proroga di cui all’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge 21 giugno 2013, n.69, convertito con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.98.

Il comma 2-ter dispone, poi, che, nei contratti tra privati, in corso di validità dal 31 gennaio 2020 e fino al 31 luglio 2020, aventi ad oggetto l’esecuzione di lavori edili di qualsiasi natura, i termini di inizio e fine lavori si intendono prorogati per un periodo pari alla durata della proroga di cui al comma 2. In deroga ad ogni diversa previsione contrattuale, il committente è tenuto al pagamento dei lavori eseguiti sino alla data di sospensione dei lavori.

Il comma 4-quater si occupa, altresì, della disciplina dei permessi di soggiorno dei paesi terzi che conservano la loro validità sino al 31 agosto 2020. Sono prorogati fino al medesimo termine anche:

  1. i termini per la conversione dei permessi di soggiorno da studio a lavoro subordinato e da lavoro stagionale a lavoro subordinato non stagionale;
  2. le autorizzazioni al soggiorno di cui all’art. 5, comma 7, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286;
  3. i documenti di viaggio di cui all’art. 24 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n.251;
  4. la validità dei nulla osta rilasciati per lavoro stagionale, di cui al comma 2 dell’art. 24 del decreto legislativo, n. 286/1998;
  5. la validità dei nulla osta rilasciati per il ricongiungimento familiare di cui agli artt. 28, 29 e 29-bis del decreto legislativo n.286/1998;
  6. la validità dei nulla osta rilasciati per lavoro per casi particolari di cui agli articoli 27 e seguenti del decreto legislativo n.286/1998, tra cui ricerca, blue card, trasferimenti infrasocietari.

Il comma 2-quinquies prevede, poi, che le disposizioni di cui al comma 2-quater si applicano anche ai permessi di soggiorno di cui agli articoli 22 (sportello unico per l’immigrazione), 24 (lavoro stagionale), 26 (ingressi e soggiorno per lavoro autonomo), 30 (permesso di soggiorno per motivi familiari), 39.bis (soggiorno di studenti, scambio di alunni, tirocinio) e 39-bis.1 (permesso di soggiorno per ricerca lavoro o imprenditorialità degli studenti) del decreto legislativo n. 286/1998. Il comma in questione si applica anche alle richieste di conversione.

Successivamente il terzo comma precisa che “Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai termini stabiliti da specifiche disposizioni del presente decreto e dei decreti legge 23 febbraio 2020, n.6, 2 marzo 2020, n.9, e 8 marzo 2020, n.11, nonché dei relativi decreti di attuazione”.

Secondo il quarto comma, invece, “Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai pagamenti di stipendi, pensioni, retribuzioni per lavoro autonomo, emolumenti per prestazioni di lavoro o di opere, servizi e forniture a qualsiasi titolo, indennità di disoccupazione e altre indennità da ammortizzatori sociali o da prestazioni assistenziali o sociali, comunque denominate nonché di contributi, sovvenzioni e agevolazioni alle imprese comunque denominati”.

Il quinto comma statuisce che “I termini dei procedimenti disciplinari del personale delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, ivi inclusi quelli del personale di cui all’art. 3, del medesimo decreto legislativo, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, sono sospesi fino alla data del 15 aprile 2020”. Tale termine, come detto, è stato prorogato al 15 maggio 2020 dall’art. 37 del citato decreto legge n.23/2020.

Il sesto comma dell’art. 103, dispone, poi, la sospensione dei provvedimenti di immobili, anche ad uso non abitativo, sino al 1° settembre 2020, laddove per provvedimenti dovrebbero intendersi, ratione materia, solo i provvedimenti amministrativi di rilascio degli immobili, posto che quelli giurisdizionali sembrano già ricompresi nella generale sospensione dei procedimenti esecutivi disposta dal secondo comma dell’art. 83 della stessa legge n.27/2020.

Infine, il comma 6-bis prevede che il termine di prescrizione di cui all’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n.689 (cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione) relativo ai provvedimenti ingiuntivi emessi in materia di lavoro e legislazione sociale è sospeso dal 23 febbraio 2020 al 31 maggio 2020 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine del periodo. Per il medesimo periodo è sospeso il termine di cui all’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n.689 (contestazione e notificazione delle violazioni).

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LA REVISIONE DELL’ASSEGNO DIVORZILE E DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO ALLA LUCE DELL’EMERGENZA SANITARIA

Il periodo vissuto dal mese di marzo 2020, ovvero durante l’emergenza sanitaria a livello mondiale, avrà (ed ha già) ripercussioni su tante questioni legate al diritto di famiglia ed in particolar modo anche sull’assegno di mantenimento.In questo E-book, oltre alla trattazione dell’assegno di mantenimento e di quello divorzile, in tutti i loro aspetti, alla luce della normativa ma soprattutto della giurisprudenza più rilevante e recente sul punto (a partire dalle note decisioni del 2017 e del 2018) spazio viene dato ai provvedimenti di emergenza adottati durante la pandemia ed alle (eventuali) ripercussioni presenti e future sul tema, offrendo in tal modo al professionista uno strumento utile per tutelare i rapporti economici in famiglia.

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La mancata presentazione nei termini dei divorziandi e separandi ai sensi dell’art.12 della legge n.162/2014 per motivi connessi al coronavirus.

Nella Gazzetta Ufficiale n.261 del 10 novembre 2014 è stata pubblicata la legge 10 novembre 2014, n.162 di conversione, con modificazioni, del decreto legge 12 settembre 2014, n.132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile.

Con circolari n. 16 del 1° ottobre 2014 e n.19 del 28 novembre 2014, il Ministero dell’interno ha impartito precise direttive in tema di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e di scioglimento del matrimonio, ai sensi degli artt.6 e 12 del citato provvedimento legislativo.

Per quanto concerne, in particolare l’art. 6 (Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio) in relazione alla condizione dei figli , sono stati previsti specifici provvedimenti del procuratore della Repubblica o del presidente del Tribunale, e segnatamente l’autorizzazione o il nulla osta, riferiti a tutte le convenzioni conclusi dagli avvocati, quale condizione per la successiva trasmissione delle stesse agli uffici dello stato civile (comma 2).

A tale proposito, si segnala inoltre che in sede di conversione è stato previsto che l’accordo autorizzato debba essere trascritto ai sensi dell’art. 63, comma 2, del regolamento dello stato civile, oltre che annotato negli atti di nascita dei coniugi e nell’atto di matrimonio (comma 5).

Si rileva, infine, che è stato stabilito che la convenzione di negoziazione tra coniugi debba essere assistita da “almeno un avvocato per parte” e non da “un avvocato”, come previsto precedentemente (comma 1).

Da tale innovazione discende che l’ufficiale dello stato civile dovrà ricevere da ciascuno degli avvocati l’accordo autorizzato, ai fini dei conseguenti adempimenti e, trascorso il termine di dieci giorni, dovrà avviare l’iter per l’irrogazione delle sanzioni a carico del legale che abbia violato l’obbligo di trasmissione entro il predetto termine, sanzioni peraltro ridotte, in sede di conversione, da un minimo di euro 2.000 ad un massimo di euro 10.000.

L’art. 12 della legge n.162/2014 (Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio dinanzi all’ufficiale di stato civile) introduce il nuovo istituto dell’accordo di separazione o di divorzio davanti all’ufficiale di stato civile, stabilendone l’applicabilità trascorso il termine di trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, ovvero l’11 dicembre 2014.

In particolare, il comma 1 prevede che i coniugi possano concludere un accordo di separazione personale ovvero di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi al sindaco quale ufficiale dello stato civile, con l’assistenza facoltativa di un avvocato.

Sul piano della competenza, il legislatore ha previsto la possibilità di ricorrere alternativamente al comune di residenza di uno degli interessati o a quello presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.

Per quanto attiene al campo di applicazione, ne sono escluse le fattispecie nelle quali sono presenti figli minori, ovvero maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.104, economicamente non autosufficienti.

E’ di immediata evidenza il rilievo procedurale di tali esclusioni e la necessità che l’ufficiale dello stato civile acquisisca da ciascuno dei coniugi adeguata dichiarazione circa l’assenza di figli – anche di una sola parte – ricadenti nelle predette condizioni, da rendere ai sensi dell’art. 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445 e disponga gli idonei controlli ai sensi dell’art. 71 dello stesso regolamento.

Il contenuto della richiamata attività di controllo, per quanto attiene alla condizione di incapacità dei figli maggiorenni, va riferito al tradizionale regime civilistico dell’incapacità di agire ed ai correlati istituti (tutela, curatela, amministrazione di sostegno).

Per quanto concerne, altresì, l’esclusione dei patti di trasferimento patrimoniale, si richiama l’attenzione sulla ratio della previsione, evidentemente volta ad escludere qualunque valutazione di natura economica o finanziaria nella redazione dell’atto di competenza dell’ufficiale di stato civile.

In assenza di specifiche indicazioni normative va pertanto esclusa dall’accordo davanti all’ufficiale qualunque clausola avente carattere dispositivo sul piano patrimoniale, come, ad esempio, l’uso della casa coniugale, l’assegno di mantenimento, ovvero qualunque altra utilità economica tra i coniugi dichiaranti.

In ordine all’iter procedurale, il comma 3 prevede che l’ufficiale di stato civile riceva da ciascuna delle parti, personalmente, la dichiarazione di volontà.

Con riferimento alla precisazione, contenuta sempre nel comma 3, secondo cui è possibile “l’assistenza facoltativa di un avvocato”, si evidenzia che dell’attività eventualmente resa dal legale nella circostanza è necessario dare conto nell’atto che l’ufficiale dovrà redigere.

Deve, inoltre, porsi in rilievo che l’opera professionale dell’avvocato, non è qualificata dalla norma in termini di rappresentanza e, pertanto, stante il correlato carattere personale della dichiarazione di ciascuno dei coniugi, l’avvocato non può sostituire davanti all’ufficiale la parte assistita.

Altra notazione, relativamente al comma 3, è che la dichiarazione personale dei coniugi davanti all’ufficiale è resa “secondo condizioni tra di esse concordate” e che “l’atto contenente l’accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il ricevimento delle dichiarazioni”. Ne consegue che l’ufficiale, non appena ricevute le dichiarazioni degli interessati, deve procedere a redigere, senza indugio, l’atto destinato a contenere il predetto accordo.

L’ultimo periodo del comma 3, introdotto anch’esso in sede di conversione, prevede il diritto di ripensamento dei coniugi che abbiano effettuato la dichiarazione di volere divorziare o separarsi, diritto che resta escluso solo per le dichiarazioni di modifica delle condizioni di separazione e divorzio.

E’ stato, infatti, previsto che l’ufficiale “quando riceve le dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fronte a sé non prima di trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell’accordo anche ai fini degli adempimenti di cui al comma 5”. La norma precisa che la mancata comparizione equivale a mancata conferma dell’accordo, con la conseguente decadenza della procedura avviata.

Pertanto, sul piano operativo, l’ufficiale è tenuto a redigere l’atto contenente l’accordo immediatamente dopo il ricevimento delle dichiarazioni, dando conto, nell’atto stesso, di avere invitato le parti a comparire nella data alle stesse assegnata.

Nel periodo, non inferiore a trenta giorni, intercorrente tra la data dell’atto e quella fissata per la conferma, l’ufficio dello stato civile potrà svolgere i richiamati controlli sulle dichiarazioni rese dagli interessati.

Nel caso in cui sia trascorsa la data assegnata ed i coniugi, o uno di essi, non abbiano confermato l’accordo, è opportuno che l’ufficiale iscriva comunque l’atto già redatto nei registri dello stato civile, dando conto della mancata conferma da parte degli interessati. Tale atto non è suscettibile di annotazione. Si tratta di una norma dettata dal buon senso e che sarà il focus del presente lavoro.

Si evidenzia, altresì, che parimenti a quanto previsto per le convenzioni di negoziazione di cui all’art. 6, anche l’accordo concluso innanzi all’ufficiale di stato civile produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (comma 3).

Il comma 4, nel modificare la legge 1° dicembre 1970, n.898, prevede che il periodo necessario per richiedere una sentenza di divorzio decorra dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale di stato civile: tale data, dunque, e non quella della conferma, dovrà essere riportata nelle annotazioni negli atti di nascita e di matrimonio.

Nel 2015 (legge 6 marzo 2015, n.55) il legislatore ha modificato i termini per ottenere il divorzio. Mentre in precedenza, per poter divorziare era necessario attendere che passassero tre anni dalla separazione dei coniugi, ora è possibile ottenere il divorzio con un’attesa più breve: di un anno, nel caso di separazione giudiziale o di sei mesi, nei casi di separazione consensuale.

Infine, il comma 6, stabilisce che l’ufficiale dello stato civile, al momento della sottoscrizione dell’atto contenente la conclusione dell’accordo, deve esigere il diritto fisso non superiore a 16,00 euro, importo corrispondente all’imposta fissa di bollo, prevista per la pubblicazione di matrimonio ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.642.

L’ufficio dello stato civile, dopo la conferma dell’atto da parte degli interessati, è tenuto a comunicare l’avvenuta iscrizione dello stesso alla cancelleria presso la quale sia eventualmente iscritta la causa concernente la separazione o il divorzio, ovvero quella del giudice davanti al quale furono stabilite le condizioni di divorzio o di separazione oggetto di modifica. A tali fini l’ufficiale acquisirà dalle parti ogni informazione necessaria per individuare esattamente la cancelleria competente a ricevere la descritta comunicazione.

Il problema che si è posto nel periodo del coronavirus è quello relativo al fatto che i coniugi, dopo aver stipulato un accordo di separazione personale ovvero di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi al sindaco quale ufficiale dello stato civile, non si presentino all’udienza concordata ai sensi del citato art. 12, comma 3, della legge n.162/2014 per motivi attinenti all’emergenza coronavirus. Infatti, gli uffici comunali nei mesi di febbraio, marzo, aprile e maggio del corrente anno, anche a causa del massiccio ricorso al lavoro agile, sono stati in gran parte chiusi al pubblico. Inoltre, ragioni attinenti alla salvaguardia della salute hanno consigliato di non recarsi personalmente presso i citati uffici.

In teoria, le procedure, come detto, dovrebbero ritenersi decadute.

Una dottrina ritiene di applicare in tale fattispecie la norma di cui al primo comma dell’art. 98 del D.P.R. n. 396/2000 il quale prevede che “l’ufficiale dello stato civile, d’ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti mediante annotazione dandone contestualmente avviso al Prefetto, al Procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l’atto nonché agli interessati”.

La disposizione ha rappresentato una novità rispetto alla normativa previgente che prevedeva il ricorso alla procedura della rettifica giudiziale per qualsiasi errore, indipendentemente dall’oggetto dell’errore e dalla causa del medesimo.

La novità volta esemplificare la correzione degli errori è però stata oggetto di difformi interpretazioni, soprattutto in merito alla definizione dei confini tra azione di correzione ex art. 98 ed azione di rettificazione ex art. 95 con oscillazioni tra chi ritiene le due azioni sostanzialmente sovrapponibili e chi invece restringe la correzione ex art. 98 ai soli casi di errori di scritturazione commessi dallo stesso ufficiale di stato civile che ha redatto l’atto, richiedendo in tutte le altre ipotesi il ricorso alla rettificazione.

Il D.P.R. n. 396/2000, oltre a continuare a prevedere con formula amplia la possibilità di ricorso alla rettificazione, ha affiancato a questo istituto la possibilità di ricorrere alla correzione per una particolare tipologia di errore, ovvero per l’errore materiale di scritturazione, senza però definire tale errore.

A tal fine, si reputa che sussista un errore materiale in tutti i casi in cui vi sia una discrepanza chiaramente percepibile tra l’atto registrato dall’ufficiale di stato civile e la documentazione di supporto a tale atto, discrepanza che sia rilevabile ictu oculi, e che sia correggibile dall’ufficiale di stato civile utilizzando gli elementi contenuti nell’atto stesso o nella documentazione di appoggio e senza che la correzione porti ad un cambiamento dei diritti di status derivanti dall’atto o da esso evidenziati. La divergenza deve ovviamente esistere al momento della redazione dell’atto da correggere in base ad una mera valutazione oggettiva dell’atto e un riscontro documentale dell’errore materiale, diversamente sarà necessario seguire la procedura del ricorso all’autorità giudiziaria. Inoltre, la correzione non può mai modificare il contenuto sostanziale dell’atto.

Appare, quindi, evidente come tale interpretazione sia forzata; per converso, si ritiene che in soccorso potrebbe venire il citato art. 103 della legge n.27/2020 il quale prevede, come detto, che la misura si applica sia al termine di chiusura dei procedimenti, sia ai termini di conclusione di precise fasi endoprocedimentali, nonché a tutti termini concernenti i singoli adempimenti procedimentali.

Si potrebbe osservare che nella fattispecie in esame non si tratterebbe di un procedimento amministrativo vero e proprio. Ma si rileva, invece, che certamente non si è in presenza di un procedimento giurisdizionale in quanto la menzionata legge n.162/2014 prevede, come detto, misure urgenti di degiurisdizionalizzazione per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile.

A conforto di tale interpretazione estensiva viene in aiuto in maniera indiretta la prassi adottata da alcuni tribunali nei giudizi di separazione o divorzio secondo cui la fissazione dell’udienza virtuale viene comunicata agli avvocati in via telematica e le parti non vi devono partecipare né a distanza né in via cautelare, perché serve solo al tribunale per dare atto delle attività svolte e per l’adozione dei conseguenti provvedimenti nel giro di pochi giorni. A seguito infatti della espressa e ribadita manifestazione di volontà, la coppia consegue l’omologa (nel caso di separazione), la sentenza (nel caso di divorzio congiunto), previa la trasmissione anche qui telematica per il parere del pubblico ministero.

Infatti, vista l’emergenza, alcuni tribunali hanno adottato una nuova procedura secondo cui i difensori “a causa dell’emergenza epidemiologica e delle sottese esigenze di tutela della salute, che impongono, tra le altre cose, il rispetto del distanziamento sociale, possono convenire sulla scelta della trattazione scritta, facendo pervenire al Presidente del tribunale in via telematica, almeno due giorni prima della cosiddetta udienza virtuale, una dichiarazione sottoscritta dalle parti”. In essa sostanzialmente si afferma che i coniugi sono a conoscenza delle norme che prevedono la partecipazione fisica all’udienza, a cui gli stessi hanno rinunciato volontariamente e liberamente, scegliendo di accettare in via definitiva le condizioni già stabilite, senza nessun ripensamento da parte di entrambe le parti.

Dopo aver effettuato questi passaggi, viene calendarizzata l’udienza telematica, necessaria soltanto per prendere atto delle attività svolte e procedere all’adozione dei relativi provvedimenti nel giro di pochi giorni. Grazie a tale manifestazione di volontà i coniugi raggiungono il loro scopo, previa trasmissione telematica dell’atto al pubblico ministero. Ovviamente questo secondo passaggio non è presente nel caso di separazione o divorzio dinanzi all’ufficiale di stato civile.

Si ritiene comunque opportuno che il predetto ufficiale, dopo aver adottato l’atto, lo invii al Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, Direzione Centrale per i sevizi demografici, alla Prefettura e alla Procura della Repubblica competenti.

Ovviamente questa interpretazione, considerata la delicatezza degli atti, richiederebbe un supporto normativo, che potrebbe essere inserito in uno dei prossimi provvedimenti legislativi sul coronavirus, come, ad esempio, la legge di conversione del decreto rilancio; inoltre, la sanatoria dovrebbe aver efficacia esclusivamente per le udienze innanzi all’ufficiale di stato civile previste per il periodo dal 23 febbraio al 15 maggio 2020, i cui termini di efficacia dovrebbero riprendere a decorrere dal 16 maggio 2020.

 Conclusioni.

In conclusione lo sforzo del Governo per affrontare la complessa problematica della disciplina dei procedimenti giurisdizionali e amministrativi avviene in una situazione difficile e deve, quindi, essere comunque apprezzato.

Per tali ragioni, anche di fronte ad un fenomeno imprevedibile e di tali dimensioni, dalle conseguenze non ancora definibili, dovrà necessariamente tenersi conto degli elementari principi costituzionali in materia e, soprattutto, di quello del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione previsto dall’art. 97 della Costituzione e del giusto processo previsto dagli articoli 101 e seguenti della stessa Carta costituzionale.

Ne deriva di conseguenza che, se i cittadini devono andare incontro alle inevitabili restrizioni, si auspica quantomeno che queste siano limitate al minimo indispensabile e, soprattutto, siano in linea con i principi di uno Stato democratico.

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Prof. Paolo Gentilucci

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