Il diritto di accesso

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Il diritto di accesso è stato oggetto di una profonda evoluzione normativa, volta ad estenderne sempre più i confini nell’intento di attuare il principio di trasparenza che deve necessariamente sovrintendere all’intera attività e organizzazione della Pubblica Amministrazione.

Il diritto alla trasparenza amministrativa si è definito ed ampliato nel suo significato nel corso degli anni, dapprima con il Codice della Trasparenza del 2013 poi con il Decreto legislativo n.97/2016 con cui si è recepito il FOIA, istituto già diffuso in molti ordinamenti europei. L’esigenza di trasparenza risponde da un lato alle esigenze di consentire la partecipazione democratica dell’azione amministrativa, dall’altro rappresenta una delle misure di maggior impatto in materia di anticorruzione.

La trasparenza è intesa come accessibilità dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

La trasparenza concorre a attuare i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse. Questo integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione al servizio del cittadino.

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Le diverse forme di pubblicità

Il D.lgs. 33/2013 prevede diverse tipologie di pubblicità: la pubblicità notizia e la pubblicità costitutiva.

Nel caso di violazione dell’obbligo di pubblicità notizia occorre dare applicazione alla sola sanzione generale mentre nel caso di violazione dell’obbligo della pubblicità costitutiva si collega una sanzione specifica collegata all’atto.

Un caso di pubblicità costitutiva si ravvisa nell’articolo 15 del D.lgs.33/2013 il quale prevede l’obbligo concernente la pubblicazione di incarichi di collaborazione o consulenza.

Tale pubblicità è condizione per l’acquisizione dell’efficacia dell’atto e per la liquidazione dei compensi.

L’accesso civico come strumento per assicurare la pubblicazione

Strettamente collegato agli obblighi di pubblicità è lo strumento dell’accesso civico. Si tratta del diritto di chiunque di richiedere i documenti, le informazioni o i dati che le pubbliche amministrazioni abbiano omesso di pubblicare pur avendone l’obbligo, come previsto dall’ art. 5, comma 1, del D Lgs 33/2013. Chiunque può presentare l’istanza di accesso civico, senza necessità di fornire motivazioni.

Il D.lgs. n. 33/2013 “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” ha introdotto il diritto all’informazione in quanto tale, svincolandolo dall’interesse procedimentale.

L’accesso civico generalizzato (FOIA) previsto dal D.lgs. n. 97/2016

Con il Decreto legislativo n.97/2016 “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di Prevenzione della Corruzione Pubblicità e Trasparenza” è stata introdotta una nuova forma di accesso civico, ispirato al cd.“Freedom of Information Act”: l’accesso civico generalizzato. Questa forma di accesso prevede che chiunque può accedere a tutti i dati e ai documenti posseduti dalle pubbliche amministrazioni. L’accesso si estende, pertanto, anche ai dati per i quali non sussiste uno specifico obbligo di pubblicazione. Chiunque può presentare l’istanza di accesso civico generalizzato senza necessità di fornire motivazioni.

Il legislatore, attraverso l’introduzione dell’accesso civico generalizzato, ha voluto consentire l’accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori a quelli oggetto di pubblicazione, a “chiunque”, prescindendo da un interesse manifesto. L’intento del legislatore delegato è stato quello di favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, promuovendo così la partecipazione al dibattito pubblico.

Tale istituto di portata generale, tuttavia non è esente da alcune limitazioni rinvenibili sia in quanto stabilito nell’art. 5-bis, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 33/2013, sia nella scelta del legislatore di far rimanere in vita gli artt. 22 e ss. della l. 241/90 relativi all’accesso c.d. “ordinario”.

L’accesso agli atti del procedimento previsto dalla L.241/1990

Il diritto di accesso disciplinato dagli artt. 22 e ss. della L.241/1990 è il diritto di accesso procedimentale. Tale forma riconosce il diritto di accesso agli atti del procedimento ai soggetti che detengono un interesse giuridicamente qualificato.

La legge 241 del 1990 ha disciplinato, a ben vedere due istituti volti a perseguire l’esigenza di tutela del cittadino nei confronti della Pubblica amministrazione. Da un lato la partecipazione al procedimento disciplinata dall’art.10, dall’altro l’accesso ai documenti, disciplinato dagli artt. 22 e ss.

Il diritto di accesso comune ai documenti amministrativi è riconosciuto ai titolari di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è chiesta l’ostensione. Pertanto, alla luce dell’art. 22 co. 1 b) l. 241/90, la facoltà di accedere ai documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione non è attribuita a chiunque ma unicamente ai soggetti titolari di una posizione differenziata e collegata al documento di cui si chiede l’ostensione.

Il diritto d’accesso dei consiglieri comunali e provinciali

I diritti dei consiglieri comunali e provinciali sono disciplinati dagli artt. 43 e 44 del TUEL, d.lgs. 267/2000, e dagli statuti e regolamenti adottati da ciascun comune e provincia e sono:

  • l’iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio;
  • la richiesta di convocazione del Consiglio:
  • la presentazione di interrogazioni, interpellanze e mozioni;
  • l’impugnazione delle deliberazioni del Consiglio;
  • l’acquisizione dagli uffici, del Comune o della Provincia, delle notizie e le informazioni utili all’espletamento del mandato.

Tale ultimo diritto, viene esercitato attraverso l’esame diretto degli atti, attraverso l’esercizio del diritto d’accesso, il quale consente al consigliere comunale/provinciale la completa ed immediata cognizione della singola questione esaminata. Tale diritto di accesso rappresenta uno speciale diritto d’accesso, il quale ha confini più ampi rispetto alla disciplina del diritto di accesso c.d. generale.

Il diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali nei confronti della P.A. trova disciplina nell’art. 43 del decreto legislativo n. 267/2000 (Testo Unico Enti Locali), il quale riconosce a questi il diritto di ottenere dagli uffici comunali, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato.

Le recenti pronunce della Corte di Giustizia

Anche nel panorama europeo l’accessibilità dei documenti è una tematica avvertita quale partecipazione democratica ed assume peculiare rilevanza.  In tale contesto si inserisce la sentenza del 22 gennaio 2020 della Corte di Giustizia dell’Unione europea nella causa C-178/18 P, la quale si è pronunciata in materia di accessibilità al pubblico di documenti delle istituzioni o degli organismi dell’Unione europea.

La normativa europea, all’articolo 1 lettera a), del regolamento n.1049/2001, individua l’obiettivo dello stesso regolamento nella definizione dei principi, delle condizioni e delle limitazioni che disciplinano il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni europee (Parlamento europeo, Consiglio, Commissione. Prevede, inoltre, che deve essere garantita una forma di accesso più ampia possibile, individuando eccezioni all’ostensibilità nel caso di pregiudizio agli interessi di una persona fisica o giuridica.

Afferma la Corte che se un’istituzione ravvisi un pregiudizio è tenuta a spiegare per quale motivo tale accesso sia pregiudizievole, in particolare “qualora un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione investito di una domanda di accesso a un documento decida di respingere tale domanda sulla base di una delle eccezioni previste dall’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 al principio fondamentale di trasparenza ricordato al punto 49 della presente sentenza, spetta ad esso, in linea di principio, spiegare in che modo l’accesso a tale documento potrebbe pregiudicare concretamente ed effettivamente l’interesse tutelato dall’eccezione in questione. Inoltre, il rischio di un siffatto pregiudizio deve essere ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico (sentenza del 4 settembre 2018, ClientEarth/Commissione, C-57/16, EU:C:2018:660)”.

Afferma, inoltre, la Corte che la stessa regola vale anche nell’ipotesi in cui sia una persona a ravvisare un pregiudizio e a richiedere ad un’istituzione l’applicazione dell’eccezione, fornendo “in tempo utile, spiegazioni equivalenti all’istituzione, all’organo o all’organismo dell’Unione di cui trattasi”

Conclusioni

Si è detto come l’esigenza di trasparenza risponde da un lato alle esigenze di consentire la partecipazione democratica dell’azione amministrativa, dall’altro rappresenta una delle misure di maggior impatto in materia di anticorruzione.

La trasparenza amministrativa è un principio generale dell’organizzazione pubblica, in base al quale la pubblica amministrazione è tenuta ad assicurare la conoscibilità delle modalità operative con cui opera nella cura dell’interesse pubblico ed attraverso l’adeguata comprensione delle informazioni da parte del cittadino si realizza la partecipazione democratica all’agire pubblico.

Negli anni, tuttavia, la trasparenza si è gradualmente trasformata in strumento di lotta alla corruzione e tale strumento rappresenta senza dubbio un’importante misura di prevenzione.

Tuttavia, unitamente agli effetti positivi tale cambiamento porta con sé alcune criticità. Si pensi alle istanze di accesso civico presentate per fini lucrativi, commerciali o egoistici. Tuttavia, a tale criticità fornisce risposta l’interpretazione dei tribunali amministrativi e del Garante della privacy che riconoscono il diritto d’accesso solo laddove sia esercitato per finalità di interesse generale.

Un secondo elemento di criticità collegato al nuovo diritto all’informazione amministrativa riguarda la convivenza tra accesso e tutela dei dati personali, alla luce anche della nuova normativa europea GDPR 679/2016. L’esigenza di trasparenza cui è tenuta la pubblica amministrazione trova, tuttavia, il suo limite nella contrapposta a tutela della riservatezza dei dati personali anche alla luce del General Data Protection Regulation. Ogni forma di accesso muove in una direzione opposta rispetto alla riservatezza. Pertanto, è fondamentale individuare come queste due contrapposte esigenze possano co-esistere e trovare un equilibrio nell’ordinamento.

In tale contesto si inserisce la sentenza della Corte costituzionale n. 20/2019, la quale da una parte individua il diritto alla riservatezza dei dati personali quale manifestazione del diritto fondamentale della sfera privata e dall’altra parte i principi di pubblicità e trasparenza. Per poi giungere a dichiarare l’incostituzionalità dell’articolo 14 comma 1-bis, del d.lgs. n. 33 del 2013 per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo, anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Infine, anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ripetutamente che le esigenze di controllo democratico non possono travolgere il diritto fondamentale alla riservatezza delle persone fisiche, dovendo sempre essere rispettato il principio di proporzionalità, definito cardine della tutela dei dati personali: deroghe e limitazioni alla protezione dei dati personali devono perciò operare nei limiti dello stretto necessario, e prima di ricorrervi occorre ipotizzare misure che determinino la minor lesione, per le persone fisiche, del suddetto diritto fondamentale e che, nel contempo, contribuiscano in maniera efficace al raggiungimento dei confliggenti obiettivi di trasparenza, in quanto legittimamente perseguiti (sentenze 20 maggio 2003, nelle cause riunite C-465/00, C-138/01 e C-139/01, Österreichischer Rundfunk e altri, e 9 novembre 2010, nelle cause riunite C-92/09 e 93/09, Volker und Markus Schecke e Eifert).

Alla luce di tali normative e mutazioni si connette il decreto milleproroghe, il quale sancisce, in un certo senso, la prevalenza della privacy sulla trasparenza.

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Dott.ssa Laura Facondini

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