Il deposito bancario

Redazione 11/06/21
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Il deposito bancario di denaro è disciplinato dal codice civile (artt. 1834-1838 c.c.) che lo inserisce tra le tipiche operazioni passive svolte dalle banche. È caratterizzato dalla presenza della banca in veste di depositario, la quale diventa proprietaria del denaro, ricevuto dai risparmiatori, che impiega per svolgere la sua attività di finanziamento delle imprese e dei privati, obbligandosi a restituire le somme alla scadenza pattuita o a richiesta del depositante.

Quindi in base alle disposizioni dettate dal codice civile, il deposito bancario di denaro costituisce un contratto reale e a forma libera, che si perfeziona con:
– l’affidamento della somma di denaro da parte del depositante,
– l’automatico acquisto della proprietà di tale somma in capo al depositario-banca,
– l’attribuzione alla banca di un obbligo restitutorio.
Inoltre, il depositante sarà tenuto al pagamento degli interessi sulle somme depositate.

Il testo che riportiamo di seguito è tratto dal volume I contratti Bancari” ” di Monica Mandico, edito da Maggioli Editore.

Per la stringatezza della disciplina codicistica, in dottrina e giurisprudenza la classificazione del deposito bancario di denaro è apparsa controversa, in quanto è discusso se esso costituisca una tipologia di deposito irregolare (art. 1782 c.c.) per il suo scopo di custodia, oppure una tipologia di mutuo (artt. 1813 ss. c.c.) in virtù della sua funzione di credito nell’interesse della banca, o ancora un contratto tipico misto tra il contratto di credito nell’interesse della banca ed il contratto di custodia ed investimento nell’interesse del cliente, anche tenendo conto della maggiore o minore intensità assegnata, caso per caso, alla funzione di custodia. Quest’ultima soluzione appare quella maggiormente condivisa; c’è da dire anche che la classificazione del deposito bancario come contratto non esclude l’applicazione analogica a scopo integrativo alla sua disciplina legale di quelle del mutuo e del deposito irregolare.

Peculiarità

Rispetto agli altri contratti bancari, principale peculiarità del deposito bancario è l’assunzione da parte della banca depositaria di un obbligo di riconsegna cosiddetto improprio delle somme di denaro ricevute nella stessa specie monetaria, che può attuarsi in una sola o più soluzioni. Di qui, in considerazione di tale obbligo di restituzione, il contratto di deposito bancario, nell’ambito della classificazione operata dal TUB tra operazioni bancarie attive e passive, è ricondotto tra quelle passive costituendo esso stesso mezzo per lo svolgimento dell’attività di raccolta del risparmio in funzione di quella di esercizio del credito.

Inoltre, con l’acquisto da parte della banca della proprietà delle somme depositate essa diventa libera di disporne, senza la necessità di una espressa autorizzazione in tal senso, e senza che il depositante possa porre vincoli o interferenze. Ciò sembra risentire della qualità soggettiva del depositario-banca e della esigenza di reimpiego da parte di questo delle somme depositate ai fini della sua attività di esercizio del credito, che nel deposito si presenta funzionalmente collegata alla prima. Per quanto concerne invece la libertà di forma, essa è ormai superata per effetto delle integrazioni alla disciplina apportate dalle disposizioni in materia di trasparenza bancaria che impongono la forma scritta del contratto a pena di nullità relativa, nonché l’obbligo di consegna di una copia del contratto al cliente. Relativamente alla richiesta del depositante, che fa scattare l’obbligo di restituzione del denaro da parte della banca, questa deve solitamente essere preceduta da un preavviso, nel termine stabilito dai contraenti o dagli usi. In ogni caso, spesso il contratto di deposito segue ad un rapporto di conto corrente, che consente al cliente di effettuare liberamente ulteriori versamenti o prelievi.

Leggi anche:I contratti bancari: trasparenza e informazione

 

Le varianti del deposito bancario

Per il resto, la disciplina codicistica appare scarna e frammentaria, lasciando ampi margini di manovra all’autonomia privata nella configurazione del rapporto, rilevando anche ai fini della selezione della disciplina applicabile a ciascuno di essi; da ciò la declinazione del contratto di deposito bancario in diverse varianti.
Infatti, a seconda dell’apposizione o meno di un termine di scadenza per la restituzione, si distingue tra deposito vincolato o a scadenza fissa (art. 1834, co. 1, c.c.) o restituzione su richiesta del depositante, deposito libero o “a vista”.

– Il deposito libero può prevedere da parte del depositante l’onere del preavviso, se si tratti di restituzione di somme eccedenti la disponibilità giornaliera della banca. Tale onere trova corrispondenza nell’interesse della banca ad una equilibrata gestione della propria liquidità9 ed è funzionale alla fissazione di un termine per la restituzione originariamente non indicato.

– Il deposito vincolato invece svolge soprattutto una funzione di investimento dal punto di vista della banca poiché le consente di avere uno stabile affidamento nell’utilizzo delle somme depositate per la propria attività di finanziamento; per questo motivo viene applicato un tasso di interessi per il cliente maggiormente remunerativo10.

È da rilevare inoltre che il rapporto può sciogliersi anche nei casi previsti dalla legge o convenzionalmente, mentre il fallimento del depositante non comporta necessariamente l’automatico scioglimento del contratto, potendo anche aversi sospensione ex lege della sua esecuzione da parte del curatore fallimentare ovvero, il subentrare di quest’ultimo nel rapporto con il depositario.

Ulteriore metodo di classificazione del contratto di deposito bancario riguarda l’interesse del depositante a conservare il suo denaro o a poterne disporre più prontamente, ossia in base alle modalità di esecuzione dell’obbligo restitutorio, il quale può essere regolato in un’unica soluzione, ovvero dando al depositante facoltà di compiere operazioni incidenti sul saldo attraverso successivi prelevamenti e versamenti, anche mediante assegni e con regolazione del rapporto in conto corrente; così la dottrina ha rilevato che la funzione di custodia tipica del deposito potrebbe uscirne affievolita o rafforzata.

Con riguardo ai prelevamenti e versamenti l’articolo 1834 c.c. derogando alla regola generale di cui all’articolo 1183, comma 3, c.c.13 stabilisce che, salvo patto contrario, gli stessi debbono effettuarsi nella sede della banca presso cui è stato costituito il rapporto; in proposito si parla di criterio di “localizzazione” del rapporto.
Sulla base di ciò si può distinguere tra depositi bancari in conto corrente, semplici od ordinari, e a risparmio.

– I depositi semplici non possono essere aumentati con successivi versamenti e rientrano nella tipologia di depositi a scadenza fissa, in quanto non consentono al depositante di effettuare prelevamenti parziali prima della scadenza stabilita in contratto.

– Il deposito a risparmio, rispetto del deposito semplice, prevede che il depositante ha facoltà di effettuare successivi versamenti e prelievi parziali però solo in contanti, e salvo diverso accordo, solo presso la sede della banca dove è stato concluso il rapporto (art. 1834, co. 2, c.c.).

Infine con il deposito in conto corrente (c/c), tipologia ormai in disuso, al deposito è affiancata in via accessoria una componente gestoria, attraverso lo svolgimento di un servizio di cassa, rimessa dal cliente alla stessa banca, ossia mediante operazioni incidenti sul saldo anche attraverso emissione o versamento di assegni da riscuotere.


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Ultima modalità di classificazione del deposito bancario si ha nei casi di deposito in cui le parti del contratto sono state abilitate a compiere ulteriori operazioni sul saldo depositato; tale classificazione si basa sulla funzione che le stesse vogliono attribuire al cosiddetto riscontro documentale del saldo, ammettendo o meno annotazione dei movimenti su un libretto di risparmio. Infatti, in sede di stipula di una tale tipologia di contratto di deposito, la banca può decidere di accompagnarlo al rilascio di un libretto di deposito a risparmio, o libretto di conto corrente, apposito documento avente valore di piena prova di tutti i rapporti intercorsi e operazioni effettuate tra banca e depositante, compreso quello costitutivo del deposito, con nullità di ogni patto contrario. Entrambi i soggetti del rapporto non possono avvalersi di altri mezzi di prova per contestare il contenuto delle annotazioni sul libretto. L’altra funzione del libretto di deposito è di legittimazione all’esercizio dei diritti in esso documentati.
I libretti di deposito a risparmio possono essere nominativi, nominativi pagabili al portatore, e al portatore. Le parti hanno libertà di scelta sulla tipologia di libretto da adottare al momento dell’emissione o in altro successivo; tale libertà si fonda sempre sul presupposto che il libretto è elemento eventuale del rapporto.

Le tipologie più diffuse sono quella del libretto nominativo e quello al portatore:

– il primo tipo (libretto nominativo) non è un titolo di credito, né è idoneo per la circolazione e consente al solo intestatario del libretto, persona fisica o giuridica, o ad un suo legittimo rappresentante di effettuare prelevamenti della somma depositata, pertanto ha come unica funzione quella di pronta identificazione del soggetto avente diritto alla prestazione; per questo motivo i libretti nominativi sono inquadrati tra i semplici documenti di legittimazione (art. 2002 c.c.);

– con il libretto al portatore, il solo possesso ed esibizione dello stesso è abilitante alla riscossione delle somme depositate. In tale caso, pertanto, la banca che senza dolo o colpa grave abbia pagato a soggetto diverso dal depositante in possesso del libretto non potrà essere ritenuta responsabile se successivamente il portatore dovesse essersi dimostrato non legittimato ad eseguire l’operazione (art. 1836, co. 1, c.c.), né essa poteva essere tenuta ad identificare il portatore al momento della esibizione del libretto.

È tuttora controverso se i libretti al portatore costituiscano titoli di credito, con conseguente riconoscimento anche in capo al terzo possessore del libretto di vantare un diritto letterale ed autonomo verso la banca, come quelli nominativi non sono titoli di credito, non sono destinati alla circolazione ed hanno l’unica funzione di identificare il soggetto avente diritto alla prestazione, ma a differenza dei primi la clausola “al portatore” consente i prelevamenti anche a soggetto diverso dall’intestatario con effetto liberatorio della banca che non versi in dolo o colpa grave.

Infine, per tutte le tipologie di libretto è prevista una specifica procedura di ammortamento volta a farne dichiarare l’inefficacia in caso di loro smarrimento, distruzione o sottrazione e finalizzata al rilascio di un duplicato del libretto. Il deposito bancario rappresenta un contratto con obbligazioni a carico della sola banca; tra gli obblighi della depositaria insieme a quello della restituzione della somma c’è quello della corresponsione degli interessi, e ciò sia in base alla disciplina codicistica, sia secondo il TUB.

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