Il concorso apparente di norme

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La figura del concorso apparente di norme ricorre quando un medesimo fatto storico apparentemente riconducibile a più disposizioni normative, è risolto in favore dell’applicazione di una sola di esse.

Pertanto, la ratio dell’istituto è di determinare un’inevitabile disapplicazione delle regole generali in tema di concorso di reati, al fine di non punire un soggetto più volte per uno stesso fatto.

Nel corso del tempo, si sono consolidati diversi orientamenti interpretativi, sia di carattere dottrinale che giurisprudenziale, volti ad individuare un corretto criterio risolutivo alle peculiari ipotesi che possono profilarsi nel caso concreto: il principio di specialità, il criterio dell’assorbimento e quello della sussidiarietà.

I criteri risolutivi

Il principio di specialità è disciplinato dall’art. 15 c.p., che costituisce il fondamento normativo dell’istituto.

Tale disposizione prescrive che nei casi in cui più disposizioni di legge regolino la stessa materia, debba trovare applicazione solo la disposizione speciale, salvo contrarie indicazioni legislative.

La disposizione è espressione del principio del ne bis in idem inteso non solo come divieto di un secondo giudizio, ex art. 649 c.p.p., bensì anche come impossibilità che un medesimo fatto venga addebitato due volte al soggetto agente (cd. ne bis in idem sostanziale).

Come accennato, accanto a tale criterio normativo la dottrina ha elaborato altri due criteri di valore utili per risolvere il conflitto apparente di norme.

Secondo il criterio di sussidiarietà, la norma principale deroga alla legge sussidiaria.

Si ha sussidiarietà tra norme penali quando esse tutelano un medesimo bene giuridico in stadi diversi di aggressione ed offensività, pertanto, tale criterio verrebbe in rilievo ogni qualvolta tra le fattispecie astratte sia ravvisabile un rapporto di complementarietà in modo che la norma sussidiaria si applichi solo quando non trovi applicazione quella primaria.

Infine, il criterio dell’assorbimento (o consumazione) presuppone la realizzazione di un reato che implichi la commissione di altro reato-mezzo o conseguenza, dovendo trovare applicazione in questi casi la norma consumante, cioè quella che comprende in sé il fatto previsto dalla norma consumata e che, pertanto, esaurisce completamente il disvalore del caso concreto.

Dal punto di vista funzionale, si ha consunzione tra norme penali quando esse tutelano un medesimo bene giuridico in stadi diversi di aggressione.

Tale criterio trova il suo fondamento non in un rapporto strutturale tra le fattispecie, bensì su un giudizio sul disvalore complessivo del fatto concreto, fondato sul ne bis in idem sostanziale.

 

Sull’applicazione dei criteri risolutivi del concorso apparente di norme, in dottrina, si sono formati due diversi filoni teorici: la teoria monistica tendente a valorizzare il dato contenuto nell’art.15 c.p. e che, pertanto, ritiene risolvibile tale concorso unicamente con l’applicazione del principio di specialità e il principio pluralistico che ritiene, invece, insufficiente il solo principio di specialità per la risoluzione del concorso, in  quanto, ancorato alle sole fattispecie astratte ed avendo necessità degli altri due criteri fondati sull’apprezzamento del fatto concreto.

La giurisprudenza di legittimità è intervenuta sulla questione, osteggiando fortemente la teoria pluralista e ritenendo il principio di specialità l’unico criterio validamente applicabile per risolvere il concorso apparente di norme, essendo l’unico ad avere un esplicito riconoscimento legislativo e pertanto conforme al principio di legalità.[1]

Il principio di specialità. Specialità per aggiunta e per specificazione.

Come accennato, l’art 15 c.p. dispone che allorquando “più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia diversamente stabilito”.

Per comprendere quando può dirsi sussistente un rapporto di specialità tra più fattispecie, occorre preliminarmente stabilire il significato dell’espressione “stessa materia”.

Sul punto è ormai prevalente l’orientamento giurisprudenziale che tale concetto

va interpretato alla stregua della medesima situazione di fatto, nel senso che una delle due norme comprende in sé gli elementi dell’altra oltre ad uno o più dati specializzanti qualifica l’identità di materia con l’identità delle fattispecie astratte contemplate dalle norme.

Infatti, la fattispecie concreta non può determinare la sussistenza del concorso apparente: il rapporto deve sussistere tra norme a prescindere dal fatto storico, dovendosi misurare in astratto.

Ne consegue che, alla luce del criterio di specialità, potrà dirsi sussistente un concorso apparente di norme allorquando ricorre un rapporto strutturale di continenza tra disposizioni in cui la norma speciale contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale, con l’aggiunta di un ulteriore contenuto specializzante (aggiuntivo o specificativo).

In particolare, si versa in un’ipotesi di specialità per aggiunta, quando una delle disposizioni normative in conflitto presenta elementi aggiuntivi rispetto a quelli già contemplati nella norma generale (es. il rapporto tra i delitti di sequestro di persona ex art. 605 c.p. e sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 c.p. in cui quest’ultima fattispecie si caratterizza per la presenza dell’ulteriore elemento del conseguimento di un ingiusto profitto come prezzo per la liberazione).

Ricorre, invece, la specialità per specificazione nel caso in cui una delle norme in conflitto presenta elementi specializzanti specificativi di corrispondenti elementi della fattispecie generale (es. il rapporto tra il reato di violenza privata ex art. 610 c.p. e quello di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p., entrambi caratterizzati da una condotta violenta o minacciosa che, tuttavia, nell’ipotesi di cui all’art 609 bis c.p. è specificamente indirizzata a costringere taluno a compiere o subire atti sessuali).

Specialità unilaterale e specialità reciproca (bilaterale).

Un’ulteriore distinzione, si ha quando una sola norma è speciale rispetto all’altra (specialità unilaterale) e, quando entrambe le norme hanno, accanto ad un nucleo comune, elementi specializzanti differenti (specialità reciproca).

Un esempio riconducibile alla specialità reciproca si ha nel rapporto tra il reato di cui all’art. 610 c.p. e quello ex art. 611 c.p., in cui entrambe le fattispecie astratte sono accomunate da una condotta violenta o minacciosa e ciascuna di esse è caratterizzata da un elemento ulteriore specializzante.

In particolare, l’art. 610 c.p. è speciale rispetto all’art. 611 c.p. poiché, non ritiene sufficiente la finalità costrittiva, bensì richiede un’effettiva coartazione del soggetto vittima di violenza privata; a sua volta, però, l’art. 611 c.p. attribuisce rilievo ad una particolare forma di coartazione, ossia quella diretta alla commissione di un fatto costituente reato.

L’orientamento dottrinale prevalente esclude la sussistenza di un concorso apparente di norme quando tra le due fattispecie ricorre la specialità reciproca, in quanto verrebbe meno il presupposto di cui all’art 15 c.p.: entrambe le disposizioni normative appaiono speciali e dunque suscettibili di applicazione al caso concreto.

Sul punto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[2] sono intervenute in merito alla possibile configurabilità di un concorso apparente di norme sulla base di un rapporto di specialità reciproca per specificazione.

In particolare, gli Ermellini hanno precisato che mentre in caso di specialità reciproca per aggiunta debba necessariamente escludersi il concorso apparente di nome, perché non vi può essere identità di materia ai sensi dell’art. 15 c.p., non è detto che la stessa non possa ricorrere nel caso di specialità reciproca per specificazione.

Secondo la Suprema Corte, infatti, un’interpretazione più estesa del criterio di specialità permetterebbe un ampliamento dello stesso nell’operatività del concorso apparente di norme ricomprendendo, altresì, la specialità per specificazione atteso che, in siffatta ipotesi, ciascuna norma si limita a chiarire il senso di elementi presenti nell’altra fattispecie, rendendo configurabile un rapporto di reciproca continenza.

Tale argomentazione, però, non ha trovato effettivo riscontro in giurisprudenza con la conseguenza che le ipotesi di specialità reciproca, tanto per aggiunta quanto per specificazione, vengono ricondotte alla disciplina del concorso effettivo di reati.

L’ambito applicativo del concorso apparente di norme, pertanto, viene ad essere delimitato dal criterio di specialità unilaterale ed astratta in cui solo una delle disposizioni normative coinvolte è speciale rispetto all’altra.

Ad esempio, nel rapporto tra il reato di ricorso abusivo al credito ex art 218 L. fall. e la truffa ex art 640 c.p., entrambe le fattispecie presentano un nucleo comune consistente nella condotta truffaldina e decettiva del soggetto agente.

Nello specifico, il ricorso abusivo al credito è un reato proprio (dal momento che il legislatore indica le qualifiche che sono necessarie ai fini dell’integrazione della fattispecie), che postula una condotta fraudolenta del soggetto agente approfittandosi della condizione di ignoranza del creditore, la truffa ex art. 640 c.p., invece, è un reato comune caratterizzato dal comportamento illecito dell’agente che, con artifizi o raggiri, induce in errore la controparte procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno.

Sebbene entrambe le fattispecie di reato si pongano a tutela del patrimonio, mentre la truffa si limita alla tutela del patrimonio del soggetto truffato, il ricorso abusivo al credito offre una tutela più ampia, in quanto mira a proteggere anche i beni dei terzi creditori nonché ad evitare il dispendio delle risorse economiche.

Inoltre, il ricorso abusivo al credito, a differenza della truffa, postula una pronuncia di fallimento del debitore e ciò in quanto è la sentenza dichiarativa di fallimento a rendere attuale e concreto il danno cagionato agli altri creditori dalla cessione del credito.

 

Pertanto, l’analisi strutturale delle fattispecie consente di affermare che tra le due norme c’è un rapporto di specialità per aggiunta, dove l’art. 218 L. fall. è norma speciale rispetto all’art. 640 c.p. e in cui, pertanto, sussiste un concorso apparente di norme in virtù del criterio di specialità che determina l’applicazione del solo ricorso abusivo al credito al fatto concreto.

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[1] Cass. Pen. SS.UU. 1235/2011; Cass. Pen. SS.UU. 20664/2017

[2] Cass. Pen. SS.UU. 41588/2017

Dott.ssa Chiara Vinci

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