I Piani pandemici: cosa sono e a cosa servono

Ettore Bruno 01/03/21
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Il caso nazionale e il caso Calabria.

SOMMARIO.  1. Introduzione. – 2. Gli antefatti. ‒ 3. Il Piano pandemico nazionale. – 4. Intorno al Piano Covid della Regione Calabria.

  1. Introduzione

Il presente contributo, traendo spunto dalle vicende che recentemente hanno ruotato intorno alle condizioni della Sanità pubblica nel Paese, e in Calabria specialmente, dopo aver inquadrato la categoria e le caratteristiche proprie dei Piani pandemici e il ruolo a essi assegnato nel contesto epidemiologico-emergenziale tuttora in corso, si soffermerà sulle questioni concrete relative alla “patologia” che si è sviluppata negli ultimi tempi intorno alle figure soggettive incaricate della predisposizione dei Piani in parola e rappresentate dal “caso nazionale” e dal “caso Calabria”. Si cercherà di illustrare, infine, i contenuti e le finalità del piano Pandemico nazionale e del Piano Covid della Regione Calabria.

  1. Gli antefatti

La mancata predisposizione di un Piano pandemico regionale da adottare in Calabria, nel grave e complesso scenario legato alla conclamata emergenza sanitaria da COVID 19 ‒ è bene ricordare che in tale regione la Sanità è sottoposta a regime commissariale da oltre un decennio ‒  è emersa, in un contesto rocambolesco, nel corso di una trasmissione televisiva e per ammissione stessa del Commissario ad acta per la Sanità calabrese, all’esito di una (a tratti drammatica, ma anche, per certi versi, surreale) intervista da questi rilasciata davanti ai microfoni di un programma giornalistico della Rai-Tv[1].

Alla grave inadempienza ammessa dalla stessa Autorità commissariale (che correggerà il tiro – la circostanza merita di essere menzionata ‒ qualche giorno più tardi, quando in una diversa trasmissione televisiva dichiarerà, smentendo se stesso, che il Piano pandemico calabrese in realtà era stato da egli stesso predisposto) seguirà un forte clamore mediatico, di respiro nazionale, la cui eco non tarderà a imperversare sui social-media e nei giornali satirici, con una coda di contorni per un verso drammatici e per l’altro ammantati da una veste grottesca che si andrà a sviluppare intorno alle vicende delle successive nomine – si potrebbe dire ‒ “precipitose” dei suoi successori.

Si darà così vita a una vera e propria “patologia”, mediatica e fenomenologica, che presto andrà a ruotare intorno alla figura del “Commissario alla Sanità calabrese”.

Alle pronte dimissioni del funzionario inadempiente farà seguito la nomina governativa di un nuovo commissario, tuttavia tempestivamente sollevato dall’incarico (rectius: spinto a dimettersi, a detta dell’interessato, dal Ministro della Sanità) a distanza di soli pochi giorni dalla nomina, non appena perverranno alla notizia alcune sue esternazioni pregresse (cionondimeno fatte nel pieno della prima ondata pandemica) a proposito dell’uso delle mascherine anti-contagio[2], dichiarazioni unanimemente ritenute inopportune e poco accorte, specialmente perché provenienti dal funzionario pubblico appena chiamato a reggere la (disastrosa e indebitatissima) Sanità calabrese, per di più in momenti di grande preoccupazione legati alle implicazioni derivanti dall’emergenza sanitaria: insufficienza, nella regione, di posti di terapia intensiva, inadeguatezza di certe strutture pubbliche a sopportare l’impatto emergenziale, carenza di ospedali.

Il potenziale successore, appena indicato dal Governo, e ancor prima che gli Organi nazionali competenti saranno giunti alla nomina formale, dichiarerà di voler rinunciare all’incarico, adducendo giustificazioni legate alla contrarietà al trasferimento nel capoluogo calabrese – Catanzaro è sede operativa dell’Autorità commissariale ‒ manifestata dal proprio coniuge.

Tra i tanti luoghi comuni intorno alla Calabria e gli spunti caricaturali che nel frattempo cominceranno a circolare in “rete” e – quel che più è grave – con la (già di per sé catastrofica) Sanità pubblica della regione “sguarnita”, ovvero priva di guida istituzionale e, soprattutto, operativa (considerata la grave e complicata emergenza sanitaria di portata mondiale), si giungerà a una nomina “compiuta” del Commissario alla Sanità di questa regione solo a distanza di circa un mese dal giorno delle dimissioni del commissario inadempiente.

I  fatti sopra descritti sono accaduti mentre venivano a galla ‒ anch’esse in contesti giornalistico-televisivi e parimenti contornate da elementi che non si andrebbe molto lontano dal vero se si considerassero, ove accertati, quanto meno imbarazzanti ‒ alcune vicende riguardanti il Piano pandemico nazionale italiano: in quello più aggiornato – del 2016 ‒ sarebbero state confermate, attraverso una trascrizione (in realtà si sarebbe trattato, alla luce di alcune scoperte giornalistiche, di un vero e proprio “copia-incolla”) del contenuto (giocoforza inadeguato e inadatto al contesto emergenziale attuale), del Piano predisposto nel 2006, senza alcuna modifica.

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  1. Il Piano pandemico nazionale.

La necessità di un Piano pandemico nazionale era stata ravvisata nei primi anni duemila, quando l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva sollecitato tutti gli Stati a dotarsi di un Piano sanitario-emergenziale, da aggiornare in base alle condizioni richieste da eventuali circostanze epidemiologiche e alla luce di specifiche linee guida di volta in volta dettate dall’Organizzazione stessa. La raccomandazione a ogni Paese da parte del massimo Organismo sanitario internazionale in ordine all’adozione di un Piano pandemico discendeva dalla necessità che questi si ponessero nella condizione di non farsi cogliere di sorpresa in eventuali scenari emergenziali futuri, già disponendo di protocolli  ad hoc e di strategie predisposte ex ante tali da assicurare misure e risposte concrete, adeguate e coordinate per fronteggiare, mirando a contenerne gli affetti virali, situazioni emergenziali di tipo epidemiologico[3].

In Italia, dopo le complicate “traversie” riguardanti i Piani pandemici precedenti e le polemiche che hanno travolto le molteplici criticità sviluppatesi intorno a essi, intrise di implicazioni anche politiche, è solo di questi giorni la bozza del nuovo Piano Covid nazionale relativo agli anni 2021-2023[4], che andrà a sostituire il vecchio Piano pandemico, risalente al 2016 (se non a un decennio prima, ove si consideri che il più recente avrebbe ricalcato, alla luce delle notizie diffuse al riguardo, il precedente Piano del 2006)[5].

Rebus sic stantibus, non ci si può esimere dal rimarcare, in via preliminare, ciò che balza subito agli occhi: il drammatico e inspiegabile ritardo ‒ la bozza definitiva del Piano pandemico nazionale vede la luce solo a distanza di più di un anno dalle prime “avvisaglie” epidemiologiche da Covid 19 e soltanto dopo un anno esatto dalla prima dichiarazione governativa dello stato d’emergenza[6] ‒ accumulato nella predisposizione e redazione del Piano nazionale, adottato a emergenza inoltrata e quasi in via di superamento, se non, addirittura ‒ si spera ‒ sul finire della sua evoluzione. Ritardo che in definitiva potrebbe rivelarsi, mutatis mutandis, la ragione per cui esso rischierà di apparire – circostanza peraltro auspicabile, giacché vorrà dire che l’emergenza sanitaria sarà giunta al termine -, in prospettiva diacronica, solo come un corposo “guscio vuoto”.

Il Piano pandemico nazionale è predisposto da un organismo costituito presso il Ministero della Salute (Direzione generale della prevenzione sanitaria) in collaborazione con le regioni, che a loro volta dovranno dotarsi di un Piano locale aggiornato in ragione delle specifiche circostanze epidemiologiche del territorio, delle risorse umane e finanziarie a disposizione, delle strutture e strumenti da impiegare.

Quanto agli elementi fondanti il Piano pandemico nazionale, esso è strutturato in modo da indicare le condizioni operative in ordine all’organizzazione e predisposizione dei servizi idonei a contrastare e contenere gli effetti della diffusione virale; individua gli obiettivi da perseguire in tal senso e detta le linee-guida volte al coordinamento tra gli organismi, le autorità e le strutture sanitarie ai diversi livelli – nazionale, regionale e locale ‒ e all’impiego dei mezzi necessari al perseguimento degli obiettivi indicati. Il tutto si traduce in prescrizioni e raccomandazioni inserite in un documento corposo, che rappresenta una specie di “manuale” da osservare e le cui misure andranno applicate in situazioni di crisi sanitario-emergenziale, «una sorta di partitura d’orchestra in cui, in caso di pandemia o emergenze simili, ognuno riesce a leggere il proprio ruolo, in un’azione sinergica[7]» volta al contenimento degli effetti pandemici su tutto il territorio nazionale, all’emersione, monitoraggio e isolamento dei contagiati, alla cura dei malati (a seconda della gravità della malattia, a domicilio o nelle strutture ospedaliere).

  1. Intorno al Piano Covid della Regione Calabria

Il Decreto Legge n. 34 del 2020[8] prevede a carico delle regioni la predisposizione di un «piano di riorganizzazione volto a fronteggiare adeguatamente le emergenze pandemiche» (art. 2, c. 1), con riordino strutturale del Servizio sanitario nazionale in ambito ospedaliero, con programmazione in ordine alla riqualificazione di posti letto di terapia intensiva e di area semi-intensiva, con relativa impiantistica idonea (tale incremento  sarà da attuare, per ogni regione, in base alla popolazione, in relazione alla curva pandemica e in misura proporzionale rispetto all’aumento complessivo dei posti letto programmato in riferimento al territorio nazionale). E’ prevista per le regioni e in capo a esse «la ristrutturazione dei Pronto soccorso con l’individuazione di distinte aree di permanenza per i pazienti sospetti COVID-19 o potenzialmente contagiosi, in attesa di diagnosi»; tali enti vengono autorizzati, inoltre, a implementare i trasporti per il trasferimento dei pazienti COVID e per il trasporto interospedaliero dei pazienti non affetti da COVID e a essi è attribuita, infine, la facoltà di reclutare personale medico, infermieristico e operatore tecnico. Il piano di riorganizzazione in parola andava presentato entro trenta giorni dall’entrata in vigore del Decreto Legge 34/2020 al Ministero della Salute, che avrebbe provveduto ad approvarlo nei successivi trenta giorni, decorrenti dalla ricezione dello stesso (art. 2, c. 8).

Si è già detto delle “traversie” che hanno riguardato il Piano Covid Calabria, che si è creduto non adottato, in piena emergenza sanitaria, dal momento che chi avrebbe dovuto redigerlo ‒ è quanto emergeva da fonti giornalistiche ‒ ignorava che la predisposizione di esso fosse di propria competenza.

Ebbene. Il Piano Covid della Calabria sembra inopinatamente esistere – redatto, nei termini, a giugno del 2020, approvato dal Ministero competente a luglio ‒ e a predisporlo, incredibilmente, era stato proprio il Commissario alla Sanità calabrese costretto alle dimissioni per aver egli stesso dichiarato di non aver adottato, al contrario, alcun Piano pandemico regionale. Questa Regione è dotata, dunque, di un Piano Covid.

Dopo le formule di rito e qualche dichiarazione di principio, esso dispone interventi per il potenziamento dell’organizzazione ospedaliera nel territorio, con aumento di posti letto e di terapia intensiva e pre-intensiva e contiene la previsione di un reclutamento di personale medico e paramedico. Contrariamente al Piano nazionale, contenuto in un documento corposo recante ogni dettaglio organizzativo e operativo, seppure predisposto in ritardo, nel «Documento di riordino della Rete Ospedaliera in Emergenza COVID-19» della Regione Calabria sono raccolte, da una parte, dichiarazioni di principio e, dall’altra, rimarcando le direttive nazionali, si elencano le prescrizioni nel senso dell’adozione delle misure indicate dallo Stato in funzione anti-Covid.

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Note

[1] Il Commissario calabrese attribuiva dapprima il compito di redigere il Piano pandemico alla Regione Calabria ‒ peraltro da poco dichiarata “zona rossa” – salvo ammettere subito dopo, posto di fronte all’evidenza, di non sapere che la predisposizione del Piano Covid rientrasse nelle proprie competenze.

[2] Il Funzionario pubblico appena nominato aveva espresso, impiegando peraltro un linguaggio non certo consono alle responsabilità che la funzione da ricoprire avrebbe diversamente imposto, il proprio pensiero a proposito delle mascherine anti-covid nella direzione dell’inutilità di esse, in un contesto in cui le Autorità sanitarie, italiane e internazionali, gli scienziati e l’OMS ne raccomandavano, al contrario, l’uso costante in ragione della loro indispensabilità ai fini del contenimento dei contagi.

[3] La necessità per gli Stati di munirsi di Piani pandemici era emersa in occasione della c.d. “influenza aviaria”, i cui ceppi virali, veicolati da alcune specie animali, avevano provocato serie infezioni anche negli uomini, dando luogo al rischio concreto di una pandemia influenzale.

[4] Il Piano, la cui bozza era circolata nei giorni a cavallo tra il mese di dicembre del 2020 e l’inizio del 2021, è stato ufficializzato proprio mentre si scrive [Ministero della Salute – Direzione generale della prevenzione sanitaria Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021-2023, in G.U., Serie generale – n. 23 del 29-01-2021, Supplemento ordinario n. 7].

[5] Per una panoramica delle prescrizioni contenute nella bozza in parola e per il rimando al Piano pandemico 2021-2023, v. L. FASSARI, Pronto il nuovo Piano Pandemico 2021-2023. “Se risorse sono scarse privilegiare pazienti che possono trarne maggior beneficio”. Ecco le misure: formazione, scorte Dpi e farmaci e organizzazione dei servizi, in quotidianosanità.it, 11 gennaio 2021 (www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=91385).

[6] Con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 veniva dichiarato, per la durata di sei mesi a partire dalla data del provvedimento, “lo stato d’emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” (G.U., Serie generale – n. 26 del  01-02-2020).

[7] Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE), A cosa serve un piano pandemico, in Scienza in rete, 15 gennaio 2021 (https://www.scienzainrete.it/articolo/cosa-serve-piano-pandemico/associazione-italiana-di-epidemiologia-aie/2021-01-15).

[8] Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34 – Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, in G.U. Serie Generale n. 128 del 19-05-2020 – Supplemento ordinario n.21

Ettore Bruno

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