Gestazione per altri: il limite dell’ordine pubblico alla trascrizione dell’atto di nascita con due padri (Nota a Cassazione, Sezioni Unite n. 12193 del 2019)

Redazione 23/07/19
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di Giovanni Genova*

* Avvocato del Foro di Bologna

Sommario

Premessa

Il concetto di ordine pubblico internazionale e la gestazione per altri

Applicabilità della stepchild adoption anche in caso di surrogazione di maternità

Rito applicabile alla controversia e relativa competenza

Carenza di legittimazione attiva in capo al pm a differenza di sindaco e ministero

Contestato difetto di giurisdizione della corte di merito

La realtà odierna della “stepchild adoption” in italia

Conclusioni

Premessa

Cassazione civile, Sezioni Unite n. 12193 del 2019

Dopo alcune pronunce della Prima Sezione della Suprema Corte sul tema della genitorialità same sex [1] e sulla trascrizione in Italia degli atti di nascita formati all’estero riportanti le generalità di due madri [2], giunge davanti all’esame delle Sezioni Unite l’istituto giuridico della “gestazione per altri” (o GPA) con particolare riguardo alla trascrizione in Italia della rettifica dell’atto di nascita di un minore, nato all’estero grazie ad un progetto di omogenitorialità maschile, sulla base di una sentenza straniera accertante una doppia paternità.

La gestazione per altri (comunemente definita anche maternità surrogata) è un procedimento di procreazione medicalmente assistita, mediante il quale una donna si impegna (a fronte della sottoscrizione di apposito contratto) a condurre e portare a termine una gravidanza (mediante l’impianto di un ovulo altrui, fecondato in vitro) per conto di terze persone, incapaci di generare o di concepire, che forniscono il proprio e/o l’altrui materiale genetico.

Tale pratica è vietata in Italia dall’art. 12 comma 6 della Legge 40/2004, che commina, in caso di violazione, la sanzione penale della reclusione dai tre mesi ai due anni, accompagnata da quella della multa da 600.000,00 ad 1.000.000,00 di euro.

Diversamente, essa è legale e disciplinata in altri paesi europei ed extraeuropei che ne consentono l’accesso sia a coppie solo eterosessuali (come ad esempio in Grecia, Ucraina ed India), sia a coppie eterosessuali ed omosessuali, come nel caso di Gran Bretagna, Canada o di alcuni stati degli USA.

Nella fattispecie in esame, due uomini erano ricorsi in Canada alla GPA, ottenendo in un primo tempo un certificato di nascita riportante l’indicazione, quale unico genitore del neonato, del padre che aveva fornito il proprio materiale biologico, fecondante l’ovulo fornito da una donatrice. Tale certificato era stato regolarmente trascritto in Italia.

Successivamente i due avevano adito l’Autorità Giudiziaria canadese per veder rettificato tale atto con l’aggiunta del c.d. “padre sociale” o “di intenzione”, cioè del partner del padre che aveva condiviso con lui il progetto comune di genitorialità (coniugato secondo l’ordinamento giuridico di tale paese).

Ottenuta la modifica, avevano richiesto, in forza di tale sentenza, la rettifica dell’atto di nascita trascritto in Italia, ottenendo il diniego da parte dell’Ufficiale di Stato civile del Comune di Trento.

Richiesta alla Corte d’Appello di Trento l’accertamento dei requisiti del riconoscimento della pronuncia straniera, ai sensi dell’art. 67 della legge 218/95, l’avevano ottenuta, con conseguente trascrizione in Italia dei suoi effetti.

La sentenza della Corte di merito era stata impugnata dal Sindaco, quale Ufficiale di Stato civile, dal Ministero degli Interni, quale organo titolare del potere di coordinamento e indirizzo sulla tenuta dei registri di stato civile, e dal Pubblico Ministero, parte necessaria nei giudizi ove si discute in materia di status delle persone, intervenuto nel giudizio di primo grado avanti la Corte d’Appello.

Le principali doglianze avanzate dai ricorrenti riguardavano:

1. la contrarietà del provvedimento canadese all’ordine pubbp>

2. il difetto di giurisdizione della Corte d’Appello che avrebbe invaso la sfera di discrezionap>

3. l’assenza di competenza in capo alla Corte d’Appello, in quanto trattandosi di una questione afferente una trascrizione nei registri di stato civile, sarebbe stato competente in primo grado il Tribunale nel cui circondario era situato il Comune adito;

4. la contrarietà del provvedimento canadese all’ordine pubbp>

[1] Cass. Civ., Sez. 1, n. 12962/16 del 22.06.2016

[2] Cass. Civ., Sez. 1, n. 14878/17 del 15.06.2017 e n. 19599/16 del 30.09.2016,

Il profilo più interessante ed innovativo, anche rispetto alla precedente giurisprudenza di legittimità (che peraltro è stato l’elemento determinante della remissione del procedimento alle Sezioni Unite [3]), è quello relativo alla lamentata contrarietà della richiesta rettificazione anagrafica all’ordine pubblico.

Secondo la concezione tradizionale [4], “il concetto di ordine pubblico internazionale individua il complesso dei principi, posti dalla Costituzione, dal diritto comunitario e dalle leggi (anche in via di attuazione del diritto comunitario e adattamento al diritto internazionale) che sono così caratterizzanti da costituire il cardine della struttura etica, sociale e giuridica della comunità nazionale in un determinato momento storico, e che quindi devono essere rispettati per mantenere l’armonia del sistema giuridico interno (Cass. Civ., SS.UU. n. 7447/93 del 07.07.1993, Corte Cost. n. 18/82 del 02.02.1982, Cass. Civ. n. 13928/99 del 13.12.1999). Si tratta di principi giuridici (…) che ricomprendono la tutela dei diritti umani fondamentali (Cass. Civ. n. 3646/13 del 14.02.2013). Tali principi sono generalmente posti da norme imperative, cioè inderogabili, ma possono anche ricavarsi dal sistema.”

In questo alveo, nella specifica materia della trascrizione in Italia di un certificato di nascita straniero riportante quali genitori due mamme, la Prima Sezione della Suprema Corte, con sentenza n. 19599/16 aveva espresso il principio di diritto secondo cui “il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero (nella specie dell’atto di nascita), i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, a norma degli artt. 16, 64 e 65 della L. 218/95 e 18 DPR n. 396/00, deve verificare non già se l’atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne (seppure imperative o inderogabili), ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili anche dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo .”

Tale principio, nella specifica materia dei diritti inviolabili dell’uomo, apparentemente innovava l’orientamento consolidato, attenuando maggiormente la permeabilità del diritto interno rispetto ad istituti e normative straniere, con la riduzione della rilevanza della legislazione ordinaria di sistema e la valorizzazione pressoché esclusiva dei soli principi fondamentali delle carte di rilievo costituzionale, circoscrivendo così considerevolmente l’ambito di valutazione del giudice nazionale al solo bilanciamento fra questi ultimi.

Ciò aveva consentito a quella sezione della Corte di Cassazione di considerare legittima la trascrizione dell’atto di nascita straniero in esame, sul presupposto che in tale materia si deve “avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell’interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis , validamente acquisito all’estero“, principio sicuramente vincente sulle prescrizioni della Legge n. 40 del 2004 che “rappresenta” solo ” una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte del legislatore non sono costituzionalmente obbligate”.

Secondo quel Giudice, infatti, la Legge 40/04 non costituiva la concretizzazione nell’ordinamento di alcun principio costituzionale di rilevanza primaria e pertanto le sue prescrizioni erano quindi destinate a soccombere nell’effettuato bilanciamento con il favor filiationis che invece tale rango possedeva.

A questa interpretazione del concetto di ordine pubblico internazionale aveva però fatto da contraltare la sentenza delle Sezioni Unite n. 16601/17 del 05.07.2017 in materia di danno punitivo, che aveva espresso il seguente principio di diritto: “la sentenza straniera che sia applicativa di un istituto non regolato dall’ordinamento nazionale, quand’anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale.”

Con questa pronuncia, seppur in un ambito marcatamente economico e quindi al di fuori della specifica materia della tutela dei diritti inviolabili della persona, la Corte di Cassazione era tornata all’orientamento più consolidato, che dava rilievo non solo ai principi costituzionali di rango primario, ma anche all’intero impianto normativo (costituzionale ed ordinario) per quanto esso rappresentasse scelte di sistema del legislatore.

Le Sezioni Unite della Corte, nella sentenza che ci occupa, hanno ritenuto di non discostarsi da questo orientamento e hanno voluto verificare se, in materia di genitorialità medicalmente assistita, oltre ai principi costituzionali primari vi fossero altri principi fondamentali dell’ordinamento, aliunde presenti, da porre in bilanciamento con i primi.

Andava quindi nuovamente analizzato il portato della disciplina introdotta dalla Legge 40/04, per valutare se questa contenesse norme integranti regole di sistema rilevanti ai fini della determinazione dell’ambito dell’ordine pubblico internazionale.

Sul punto, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 162/14 del 10.06.2014, aveva affermato che la Legge 40/04 è costituzionalmente necessaria pur non avendo un contenuto costituzionalmente vincolato e costituisce “la prima legislazione organica relativa ad un delicato settore (…) che indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento tra essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa” (Corte Cost. n. 45/2005).

Premesso quindi che in tema di riconoscimento dell’efficacia dei provvedimenti stranieri “la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità sono pervenute all’estrapolazione dei principi fondamentali sulla base non solo dei solenni enunciati della costituzione e delle convenzioni e dichiarazioni internazionali, ma anche dell’interpretazione della legge ordinaria, che dà forma a quel diritto vivente dalla cui valutazione non può prescindersi nella ricostruzione dell’ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico”, la Suprema Corte ha evidenziato come la disciplina introdotta da tale legge, così come affermato anche dalla Corte Costituzionale con sentenza 347/98, costituisce un primo necessario bilanciamento tra la pluralità degli interessi costituzionali coinvolti, tale da assicurare un livello minimo di tutela legislativa, appartenente primariamente alla valutazione del legislatore.

Pertanto, risultando ragionevole che la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia, anche indipendentemente dal legame genetico, abbia dei limiti (come affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 162/14), le Sezioni Unite hanno ritenuto che andava necessariamente annoverato tra questi il divieto della surrogazione di maternità, introdotto dalla Legge 40/04, avendo la gestazione per altri un contenuto ontologicamente diverso dalle tecniche di fecondazione eterologa, tanto da aver ricevuto dal legislatore un trattamento sanzionatorio totalmente diverso e ben più grave, che tien conto dell’offesa arrecata da tale pratica alla dignità della donna e della profonda minaccia da questa arrecata alle relazioni umane (così come sostenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 272/17).

Così come aveva già affermato la Prima Sezione della stessa Corte di legittimità, con sentenza n. 24001/14 del 11.11.2014, in materia di gestazione per altri, le prescrizioni della Legge 40/04, in particolare quelle di natura penale, escludono dunque la conformità di tale istituto all’ordine pubblico internazionale, per la sua contrarietà alla dignità umana della gestante, oltre che per l’oggettivo conflitto con l’istituto della adozione.

Le Sezioni Unite quindi, preso atto della normativa vigente e della sua rilevanza di sistema, hanno ritenuto di non poter fare altro che condividere il bilanciamento già operato dal legislatore tra la conservazione del favor filiationis (espressione del superiore interesse del minore tutelato dall’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.1989 [5]) e il favor veritatis, essendo il primo destinato ad affievolirsi in caso di ricorso alla surrogazione di maternità, il cui divieto “viene a configurarsi come l’anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica”.

[3] con ordinanza Cass., Civ. Sez. 1, n. 4382/18 del 22.02.2018.

[4] riportata in Barel-Armellini, “Diritto internazionale privato”, Giuffré, 2017, pagg. 84-85.

[5] ratificata in Italia con Legge n. 176 del 27.05.1991.

La Corte evidenzia però come il superiore interesse del minore possa e debba essere tutelato non solo mediante la legittima e necessitata attribuzione della paternità al genitore biologico, ma anche attraverso l’utilizzo di una procedura giudiziaria tesa alla costituzione di un legame giuridico con il genitore intenzionale, mediante l’istituto (alternativo alla surrogazione) della adozione, così come già evidenziato dalla già citata sentenza n. 24001/14.

A questi fini le Sezioni Unite richiamano espressamente l’orientamento, già espresso dalla Suprema Corte in materia di fecondazione eterologa [6], ritenendo applicabile al genitore intenzionale, anche in caso di gestazione per altri, l’istituto della adozione in casi particolari disciplinato dall’art. 44 comma primo, lettera d) della Legge 184/83.

In base a tale citato orientamento, coerente con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 383/99, “l’art. 44 comma 1 lettera d) della legge 184/83 integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con gli altri soggetti che se ne prendono cura, con l’unica previsione della conditio legis della « constata impossibilità di affidamento preadottivo », che va intesa, in coerenza con lo stato di evoluzione del sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva, come impossibilità « di diritto » di procedere all’affidamento preadottivo e non impossibilità « di fatto », derivante da una situazione di abbandono (o di semiabbandono) del minore in senso tecnico-giuridico” [7].

“La mancata specificazione di requisiti soggettivi di adottante ed adottando, inoltre, implica che l’accesso a tale forma di adozione non legittimante è consentito alle persone singole ed alle coppie di fatto, senza che l’esame delle condizioni e dei requisiti imposti dalla legge, sia in astratto (…) che in concreto (…), possa svolgersi dando rilievo, anche indirettamente, all’orientamento sessuale del richiedente ed alla conseguente relazione da questo stabilita con il proprio partner” [8].

E’ infatti giurisprudenza costante di legittimità che è da considerarsi un semplice pregiudizio che una coppia omosessuale non possa costituire un corretto ambiente educativo per un minore tale da garantirgli un adeguato sviluppo [9].

Tale chiara presa di posizione delle Sezioni Unite di fatto respinge l’anacronistico primo motivo di ricorso avanzato dal Pubblico Ministero (in persona del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trento), che aveva eccepito la contrarietà del provvedimento canadese all’ordine pubblico, in quanto avente ad oggetto l’accertamento di un rapporto genitoriale con persone del medesimo sesso e che non ha visto un rigetto nel merito expressis verbis solo perché il ricorso del Procuratore Generale presso la corte d’Appello è stato dichiarato inammissibile.

[6] Cass. Civ., Sez. 1, n. 12962/16 del 22.06.2016.

[7] Cass. Civ., Sez. 1, n. 12962/16 del 22.06.2016 Massima.

[8] Cass. Civ., Sez. 1, n. 12962/16 del 22.06.2016 Massima.

[9] Cass. Civ., Sez. 1, n. 601/13 del 11.01.2013. Dello stesso avviso, peraltro, si è dichiarata anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, citata dalla Cassazione nella sentenza 12962/16, che nella sentenza 19.02.13 (ricorso n. 19010/07) ha affermato il principio secondo cui in tema di adozione del figlio del partner il principio di non discriminazione stabilito dall’art. 14 della Convenzione impone di non operare ingiustificate disparità di regime giuridico tra le coppie eterosessuali e quelle formate da persone dello stesso sesso.

Ulteriore motivo di particolare interesse processual-civilistico è il motivo di impugnazione avanzato da Ministero dell’Interno e Sindaco di Torino afferente la mancata competenza della Corte d’Appello in relazione al giudizio di primo grado del procedimento de quo, in quanto, seppur vertendosi formalmente del riconoscimento in Italia della efficacia di una sentenza straniera, in ultima analisi si dibatteva della modifica dello status del minore, al quale si voleva attribuire la paternità del genitore di intenzione, la cui competenza, a loro avviso, andava attribuita al Tribunale del circondario, in quanto competente per il procedimento di rettificazione dei registri di stato civile.

Secondo la Suprema Corte l’istituto del riconoscimento dei provvedimenti stranieri (di cui all’art. 67 della Legge 218/95, da svolgersi avanti la Corte d’Appello) e quello di rettificazione ex art. 95 DPR 396/00 (da celebrarsi innanzi al Tribunale) hanno due diverse funzioni ben specifiche: il primo è teso semplicemente a risolvere contestazioni in ordine all’efficacia di provvedimenti giurisdizionali stranieri o a consentirne l’esecuzione nel nostro ordinamento, mentre il secondo mira ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto e quella risultante dai registri dello stato civile, a causa di un vizio comunque originatosi nel procedimento di formazione dei relativi atti.

Dopo l’entrata in vigore della Legge 218/95, che ha eliminato la necessità di “delibazione” del provvedimento straniero e disposto il suo riconoscimento automatico (salvo nei casi in cui contrasti con l’ordine pubblico o norme imperative di legge) non deve essere più riconosciuta la prevalenza del primo sul secondo, in virtù di una maggiore genericità, ma va attentamente valutata la fattispecie in esame, per individuarne con esattezza l’oggetto.

Nel caso che ci occupa, la domanda è tesa al riconoscimento di uno status filiationis emergente dal provvedimento straniero, la cui trascrivibilità nei registri dello stato civile viene contestata non già per un vizio di carattere formale, ma per l’insussistenza dei requisiti di carattere sostanziale cui gli artt. 64-66 della legge n. 218 del 1995 subordinano l’ingresso nel nostro ordinamento.

Pertanto, tale contestazione, investendo la stessa possibilità di ottenere il riconoscimento dello status accertato o costituito dal provvedimento straniero, dà luogo ad una vera e propria controversia di stato, per la cui risoluzione la costante giurisprudenza di legittimità esclude l’applicabilità del procedimento di rettificazione, in virtù dell’osservazione che tale questione deve essere necessariamente risolta nel contraddittorio delle parti, in un giudizio contenzioso avente ad oggetto per l’appunto lo status della persona [10].

Ciò comporta che vada adottata la procedura di cui al combinato disposto di cui all’art. 67 della legge n. 218 del 1995 e l’art. 30 del DLGS 150/2011 (il rito sommario di cognizione) con competenza della Corte d’Appello del luogo ove il provvedimento andava trascritto.

In tale giudizio potrà e dovrà quindi essere contestualmente avanzata sia la richiesta di trascrizione, sia quella (non meramente accessoria e consequenziale) di riconoscimento, con relativa instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’organo il cui rifiuto di trascrivere il provvedimento straniero ha dato origine alla controversia, non potendosi negare a quest’ultimo la qualifica di «interessato», nel senso previsto dall’art. 67 della legge n. 218 del 1995, non spettante esclusivamente ai soggetti che hanno assunto la veste di parti nel giudizio in cui il provvedimento è stato pronunciato, ma anche a quelli direttamente coinvolti nella sua attuazione [11].

[10] Vedasi, in proposito Cass. Civ., Sez. 1, n. 12746 del 21.12.1998, n. 2776 del 27.03.1996 e n. 951 del 26.01.1993.

[11] cfr. Cass. Civ., Sez. 1, n. 220 del 08.01.2013.

Ciò comporta che il Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 70 primo comma n. 3 c.p.c., considerato l’oggetto e il rito del giudizio de quo, avrà un potere di intervento, a pena di nullità rilevabile d’ufficio (derivante dall’indubbio interesse ad evitare che possano trovare ingresso nel nostro ordinamento giuridico provvedimenti contrari all’ordine pubblico riguardanti lo stato delle persone), ma non l’autonomo potere di impugnazione, che gli spetterebbe invece nelle cause previste dall’art. 72 terzo e quarto comma c.p.c. e da quelle che egli stesso avrebbe potuto proporre, quale, ad esempio, quella di cui all’art. 95, secondo comma, del DPR 396/00, a prescindere dalla circostanza che abbia preso parte o meno al primo grado di giudizio.

Il suo ricorso quindi va dichiarato improcedibile.

E questo a differenza di quello proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del suo Ministro pro tempore, che, secondo la Suprema Corte, era contraddittore nel merito e soggetto legittimato ad impugnare, in quanto portatore di uno specifico interesse all’uniforme tenuta dei registri anagrafici in qualità di titolare della funzione amministrativa esercitata dal Sindaco quale ufficiale di stato civile [12], anch’esso, in tale veste, parte necessaria e attivamente legittimata in ogni giudizio relativo alla trascrizione degli atti anagrafici, come quello de quo.

[12] Nota infatti la Suprema Corte, in proposito, nella stessa sentenza in esame, che il Sindaco, nell’esercizio delle funzioni di ufficiale dello stato civile, “agisce poi, ai sensi dell’art. 1 del DPR n. 396/00, in qualità di ufficiale del Governo, e quindi non già come organo di vertice e legale rappresentante della Amministrazione Comunale, bensì come organo periferico dell’Amministrazione Statale, dalla quale dipende ed alla quale sono pertanto imputabili gli atti da lui compiuti nella predetta veste, nonché la responsabilità per i danni dagli stessi cagionati”.

Ultimo motivo di ricorso di qualche interesse è il difetto di giurisdizione contestato alla Corte di merito per aver ecceduto i limiti propri della magistratura, invadendo la sfera di discrezionalità politica riservata al legislatore, “anche mediante il richiamo della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non applicabile direttamente al Giudice nazionale e comunque inidonea a giustificare una completa equiparazione delle coppie omosessuali a quelle eterosessuali in relazione ad ogni aspetto del diritto di famiglia”.

Sul punto l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità è granitico nell’individuare il difetto di giurisdizione solo nel caso in cui il magistrato non si sia limitato ad applicare una norma giuridica esistente, ma ne abbia creata una nuova, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa estranea alla sua competenza.

Nel caso di specie, invece, a parere della Suprema Corte, la Corte d’Appello ha correttamente giustificato la propria decisione attraverso il richiamo a una pluralità di indici normativi, collegati tra loro ed interpretati alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dai quali ha giustamente tratto la convinzione che il modello di genitorialità cui s’ispira il nostro ordinamento, nell’attuale momento storico, non possa più considerarsi fondato esclusivamente sul legame biologico tra il genitore ed il nato, ma debba tener conto anche di nuove fattispecie contrassegnate dalla costituzione di un legame familiare derivante dalla consapevole assunzione da parte di un genitore “sociale” o “di intenzione” della responsabilità di allevare ed accudire il nascituro, nel quadro di un progetto di genitorialità concepito all’interno di una vita di coppia con il genitore biologico.

Questo non ha comportato affatto una “creazione” normativa, ma ha integrato esclusivamente una ricostruzione della voluntas legis mediante il coordinamento sistematico delle norme in vigore. In questo modo il giudice di prime cure non ha quindi fatto altro che attenersi al compito interpretativo che gli è proprio.

conformità della decisione della corte in materia di gestazione per altri all’orientamento della corte europea per i diritti dell’uomo

Quasi in contemporanea alla pubblicazione della sentenza in commento, avvenuta l’8 maggio 2019, veniva pubblicato il parere 10 aprile 2019 (d.n. P16-2018-001) emesso dalla Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo su richiesta della Corte Costituzionale Francese, relativo alla possibilità di riconoscimento nel diritto nazionale di quel paese (che vieta la maternità surrogata come il nostro) di un rapporto di filiazione tra un bambino nato da una gestazione per altri praticata all’estero e la madre “intenzionale”.

Nel caso di specie, infatti, i gameti del padre biologico erano stati utilizzati per una inseminazione in vitro di un ovulo di una donatrice, la cui gestazione era stata affidata ad una diversa donna per una surrogazione di maternità.

La Corte, dopo un lungo excursus sulle legislazioni in essere nei vari paesi aderenti alla Convenzione, giunge alla conclusione che, in virtù dell’art. 8 della Convenzione CEDU, il diritto al rispetto della vita privata del minore comporti necessariamente che il diritto in vigore in ogni stato membro fornisca la possibilità del riconoscimento di un rapporto di filiazione tra quel bambino e il genitore “di intenzione” indicato nel certificato di nascita legalmente rilasciato all’estero e che questo possa avvenire sia mediante la semplice trascrizione delle risultanze di tale certificato nei registri di stato civile, sia con altro mezzo giuridicamente efficace, quale ad esempio l’adozione del minore da parte del genitore sociale, a patto che il relativo procedimento giudiziario garantisca l’efficacia e la rapidità della sua attuazione, in conformità al miglior interesse del bambino [13].

Tale “avvallo” europeo certamente rafforza la fondatezza e solidità dell’orientamento espresso dalla Suprema Corte. Questo però solo in linea di principio.

[13] Il testo del parere in lingua francese ed una breve presentazione dello stesso in lingua italiana sono rinvenibili in http://www.dirittifondamentali.it/giurisprudenza/corte-europea-dei-diritti-delluomo/anno-2019/cedu-gc-parere-10-aprile-2019-d-n-p16-2018-001/.

Nel nostro paese, infatti, la realtà delle Corti di merito, specie di quelle di primo grado, è assolutamente variegata e tale da non garantire affatto, se non in alcuni casi quasi isolati, quella efficacia e rapidità del procedimento di adozione del figlio del partner che costituisce il presupposto indefettibile del rispetto del diritto inviolabile del minore alla salvaguardia della propria vita privata, riconosciuto dall’art. 8 CEDU, quando la legislazione nazionale del paese aderente alla Convenzione EDU non consenta la trascrizione nei registri di stato civile del provvedimento straniero riconoscente il legame parentale col figlio in capo al genitore “di intenzione”.

In effetti, secondo una lucidissima analisi fatta da Marco Gattuso ed Angelo Schillaci [14], numerosi grandi Tribunali per i minorenni (quali quelli di Milano, Torino, Napoli e Palermo) hanno emesso sentenze di rigetto delle adozioni del figlio del partner, solo in alcuni casi riformate in appello (Milano Torino e Napoli), e attualmente gli ulteriori procedimenti in corso sono pendenti da diversi anni senza che siano state emesse le relative sentenze.

Ad eccezione dei Tribunali per i minorenni di Roma, Bologna, Firenze e Venezia, che hanno disposto numerose adozioni ex art. 44 comma 1 lettera d), non risultano altre pronunce di primo grado favorevoli in altri fori.

Ciò comporta che, al momento attuale, la possibilità di ottenere il rispetto del diritto del minore a vedersi riconosciuto il proprio rapporto parentale con il genitore “di intenzione” è di fatto rimessa al caso e a “libere decisioni” di troppe numerose corti che, in dispregio del la funzione nomofilattica della Suprema Corte, ne contrastano più o meno espressamente gli affermati principi di diritto.

Peraltro la stessa azione per la dichiarazione della adozione in casi particolari, a differenza della trascrizione del certificato di nascita formato all’estero, richiede per sua stessa natura lunghi tempi di attesa, nell’ordine di almeno due o tre anni, sia per essere promossa, in quanto questa necessita l’esistenza di un rapporto affettivo tra il minore e il genitore di intenzione [15] che, necessariamente, deve avere il tempo di maturare prima che il ricorso possa essere depositato, sia per essere portata a compimento, dovendo il giudice accertare la sussistenza di tutti i presupposti di cui all’art. 57 della Legge 184/83 [16].

la possibilità di ricorrere alla trascrizione del certificato di nascita straniero per le coppie omogenitoriali femminili che siano ricorse alla fecondazione eterologa

In questo triste panorama di scollamento fra l’affermazione dei diritti e la loro effettiva tutela giudiziaria è da notare come, con la sentenza della Sezione Prima della Corte di Cassazione n. 14878/17 del 15.06.17, alle coppie omogenitoriali composte da due donne che abbiano fatto ricorso alla fecondazione eterologa e che dispongano di un certificato di nascita straniero riportante il nome di entrambe le donne quali madri del minore (a prescindere dal fatto che una ne sia la madre biologica e l’altra quella “sociale”) sia stata data la possibilità di ottenere in Italia la trascrizione di tale certificato, risultando così dall’immediato entrambe genitori del minore a tutti gli effetti di legge.

In questo caso, la Corte, trattandosi di fecondazione eterologa consentita dalla Legge 40/04, non ha trovato l’ostacolo del divieto penale posto alla surrogazione di maternità, né ha dovuto compiere alcun bilanciamento tra il favor minoris a vedersi riconosciuto il legame parentale anche con la seconda mamma e il diritto della donna partoriente alla conservazione della propria dignità e ha potuto escludere la contrarietà della trascrizione all’ordine pubblico internazionale.

Addirittura, la medesima Sezione della Corte, con la già citata sentenza n. 19599/16 del 30.09.16, confermata sul punto dalle Sezioni Unite col provvedimento in commento, ha fatto rientrare nel concetto di fecondazione eterologa il caso della coppia di donne in cui la partoriente abbia condotto a compimento la gravidanza di un’ovulo della propria compagna fecondato in vitro con i gameti maschili di un donatore.

[14] in Certezza e tempi “breves que possible” per trascrizioni e adozioni in casi patricolari dopo il parere CEDU 10/04/2019 di Marco Gattuso del 06.05.19 in www.articolo29.it e in Il dialogo fra le corti minorili in materia di stepchild adoption, di Marco Gattuso e Angelo Schillaci del 2017 in www.articolo29.it, dove sono anche analiticamente riportate in nota i riferimenti delle sentenze emesse dalle singole Corti di merito.

[15] Cass. Civ., Sez. 1, n. 12962/16 del 22.06.2016

[16] L’art. 57 L. 184/83, nel testo vigente, recita: “Il tribunale verifica: 1) se ricorrono le circostanze di cui all’art. 44; 2) se l’adozione realizza il preminente interesse del minore. A tal fine il tribunale per i minorenni, sentiti i genitori dell’adottando, dispone l’esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi, tramite i servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza, sull’adottante, sul minore e sulla di lui famiglia. L’indagine dovrà riguardare in particolare: a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare degli adottanti; b) i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore; c) la personalità del minore; d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore.”

Se quindi da un lato la sentenza in esame giunge a confermare l’orientamento oramai consolidato della Suprema Corte, ben espresso dalla sentenza 14878/17 del 15.06.17, secondo cui, ai fini del giudizio di non contrarietà all’ordine pubblico, “non è possibile sostenere l’esistenza di un principio costituzionale fondamentale (…) idoneo ad impedire l’ingresso in Italia dell’atto di nascita (…) in ragione di una asserita preclusione ontologica per le coppie formata da persone dello stesso sesso(unite da uno stabile legame affettivo) di accogliere, di allevare e anche di generare figli” (par. 12.1, pag.53), dall’altro di fatto limita la possibilità di procedere alla trascrizione di tale atto straniero nella parte in cui accerti la paternità del genitore “di intenzione” alle sole coppie omogenitoriali femminili, differenziando p>

Con ciò di fatto prendendo per buono il bilanciamento fatto dal legislatore tra i vari diritti fondamentali in gioco sulla base del pregiudizio (non supportato da alcun fondamento fattuale) che la surrogazione di maternità rappresenti sempre e comunque una lesione del diritto inviolabile alla maternità della gestante.

Meglio sarebbe stato, a parere di chi scrive, vista la p>

Redazione

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