Favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) e favoreggiamento reale (art. 379 c.p.)

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Indice:

  1. Disciplina comune
  2. Favoreggiamento personale (art. 378 c.p.)
  3. Favoreggiamento reale (art. 379 c.p.)

1. Disciplina comune

Le fattispecie delittuose del favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) e del favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) trovano sede nel libro secondo del codice penale – Dei delitti in particolare – Titolo III – Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia  Capo I – Dei delitti contro l’attività giudiziaria. Tali norme poste, quindi, a tutela della corretta amministrazione della giustizia presentano un fondamento comune caratterizzato: oggettivamente dall’esistenza di un reato precedentemente commesso (c.d. “reato presupposto” completo in tutti i suoi elementi), soggettivamente dall’assenza di concorso nel reato compiuto, ovvero la mancata partecipazione del soggetto attivo al delitto commesso antecedentemente. Giova ricordare che l’esistenza di una scriminante nel reato presupposto esclude la configurabilità del favoreggiamento.  Entrambe le norme tutelano l’interesse all’accertamento e alla repressione dei reati, in particolare evitando che tale attività venga intralciata.

2. Il favoreggiamento personale (art. 378 c.p.)

L’articolo in commento tutela non solo l’amministrazione della giustizia interna, ma anche la giurisdizione penale internazionale, quest’ultimo riferimento è stato introdotto con l’art. 10, comma 9, della l. 20 dicembre 2012, n. 237. La norma dispone che “Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce [la pena di morte o]  l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo (110), aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni.

Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni.

Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa (307), ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile (88, 97, 98) o risulta che non ha commesso il delitto”.

Dalla lettura dell’articolo si evince come il favoreggiamento personale sia un reato di pericolo a forma libera che può essere commesso mediante qualunque condotta idonea a intralciare e/o sviare le indagini e/o le ricerche dell’Autorità. In merito ai comportamenti omissivi, la dottrina maggioritaria sostiene che possano configurare il reato in commento, la reticenza o il rifiuto di fornire notizie utili alle investigazioni.

Invero, dottrina minoritaria nega che ciò sia possibile sostenendo  che a carico del cittadino venuto a conoscenza di un reato, non esiste un onore giuridico di attivarsi affinché venga scoperto, processato e condannato l’autore dello stesso. Il delitto de quo reprime le condotte ausiliarie poste in essere successivamente il delitto e pertanto estranee al concorso di persone del reato. Quindi, il soggetto attivo può essere chiunque ad eccezione dell’autore del reato e del concorrente. E’ richiesto il dolo generico, consistente nella volontà di aiutare “taluno”, con la consapevolezza circa l’esistenza del fatto che vi sia un reato presupposto.

In merito alla classificazione di reato di pericolo  “Il reato di favoreggiamento personale è integrato da qualunque condotta attiva o omissiva, che provochi una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale le investigazioni e le ricerche sono già in corso o si potrebbero iniziare, non essendo necessaria la dimostrazione dell’effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito” (Cass. n. 9415/2016). Ed ancora, “Il delitto di favoreggiamento è configurabile non solo quando il comportamento dell’agente sia diretto a eludere le investigazioni, ma anche quando sia preordinato a turbare l’attività di ricerca e acquisizione della prova da parte degli organi della magistratura (non solo inquirente ma anche giudicante), atteso che costituisce attività investigativa oltre quella volta alla ricerca delle prove, anche quella mirante all’acquisizione di esse nel procedimento penale, nonché quella di selezione del materiale probatorio raccolto ai fini della decisione”. (Cass. n. 18110/2018).

Favoreggiamento personale e attività difensiva

La necessità di contrastare le organizzazioni criminali, con norme sempre più stringenti, di straordinaria pericolosità ha portato, non di rado, la contestazione della fattispecie delittuosa di favoreggiamento anche agli avvocati. Su tale punto è particolarmente complicato determinare l’esatto confine tra attività di consulenza, direttamente, connessa alla difesa tecnica (chiaramente lecita) ed attività integrante gli estremi del favoreggiamento. Eccetto casi clamorosi di avvocati affiliati o a disposizione dei clan, disponibili a far da messaggeri o corrieri, trovati con cellulari pronti ad essere consegnati a detenuti, come qualsivoglia soggetto alle dipendenze di organizzazioni criminali, la questione di maggiore complessità riguarda la classificazione tra consiglio (lecito) e informazione (illecita). In merito alla zona griglia tra attività lecita e illecita la dottrina ritiene che ad assumere rilevanza è la natura dell’atto:

1) se questo è espressione di attività difensiva di tipo tecnico (es. scelta rito processuale) non può aversi favoreggiamento;

2) invero, se  l’atto è estraneo al mandato difensivo vengono meno, pertanto, le ragioni per escludere in capo al difensore il delitto di favoreggiamento.

Circa la configurabilità del favoreggiamento in relazione all’esercizio dell’ attività di difesa svolta dal difensore e il reato di favoreggiamento personale “È configurabile il tentativo di favoreggiamento personale nella condotta del difensore di un imputato che, nel corso delle indagini preliminari, abbia proposto, senza esito, al teste di modificare la versione dei fatti già resa alla polizia giudiziaria, onde consentirgli di presentare all’A.G. un’istanza per la sua nuova audizione” (Cass. n. 38516/2007).

Consolidata giurisprudenza in merito al labile limite tra lecito e illecito statuisce che “Ai fini della configurazione del delitto di favoreggiamento personale da parte del difensore non è sufficiente la pura e semplice rivelazione del segreto istruttorio, censurabile disciplinarmente sul piano deontologico, ma occorre che la rivelazione stessa sia accompagnata da circostanze idonee e concrete ad integrare gli estremi del suddetto reato, ossia a dimostrare un consapevole aiuto diretto oltre i limiti dell’attività difensiva, anche solo ad intralciare l’opera di investigazione o di ricerca dell’autorità” (Cass. n.1729/1986 e in senso conforme Cass. n. 933/1992).

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1.3 Favoreggiamento reale (art. 379 c.p.)

L’articolo in commento punisce chiunque, fuori dei casi di concorso di persone, di ricettazione e di riciclaggio, aiuti taluno ad assicurarsi il prezzo, il prodotto o il profitto del reato. Cosi dispone testualmente: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato (110) e dei casi previsti dagli articoli 648, 648 bis e 648 ter aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto  o il prezzo di un reato, è punito con la reclusione fino a cinque anni se si tratta di delitto, e con la multa da euro 51 a euro 1.032 se si tratta di contravvenzione. Si applicano le disposizioni del primo e dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente”.

Il bene giuridico oggetto di tutela è l’interesse dello Stato a reprimere reati ed impedire  il conseguimento dei vantaggi derivanti ai rei dalla loro azione criminosa. Nella fattispecie in questione l’aiuto viene fornito con il fine specifico, di consentire al favorito l’acquisizione di quanto percepito dall’attività criminale.

La distinzione tra favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) e reale (art. 379 c.p.) è fonte di dibattito in merito al prodotto del reato, potendo la condotta favoreggiatrice essere diretta sia a garantire l’impunità al reo (favoreggiamento personale), sia assicurare allo stesso l’acquisizione definitiva proveniente del reato. Con ragionevole grado di certezza è possibile sostenere che dovrà essere il giudice, caso per caso, a stabilire  l’intenzione del favoreggiatore nell’ambito dell’azione delittuosa posta in essere. Si tratta di un reato a forma libera. di cui però risulta difficile la realizzazione mediante omissione. A differenza del reato di cui all’art. 378, di cui condivide i presupposti, il reato in commento si contraddistingue in quanto il fine dell’ausilio è la garanzia del profitto criminoso. Infatti assicurare significa rendere stabile, certo e definitivo, l’acquisito nella propria sfera patrimoniale dei beni o delle utilità derivanti dall’illecito.

In merito al rapporto con il delitto di spaccio di sostanze stupefacenti consolidata giurisprudenza ha statuito che: “Il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale” (Cass. S.U. n. 36258/2012, in senso conforme Cass. n. 2668/2017).

Circa il rapporto sussistente tra la norma in commento (reato a dolo generico ) e il delitto di ricettazione  – art. 648 c.p. – (reato a dolo specifico) la condotta delittuosa, ricadente nel primo o nel secondo reato, si risolve nella, prevalenza, finalità perseguita dal soggetto agente.

Se la condotta si risolve, prevalentemente, nell’ausilio al favorito si risponderà di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.), invero, se si agisce von la finalità prevalente di agire per fini personali si   risponderà di ricettazione (art. 648 c.p.). Così sul punto pregiata giurisprudenza: “Nell’ipotesi di occultamento di un oggetto costituente provento di reato la distinzione tra delitto di favoreggiamento e delitto di ricettazione, è individuabile nel diverso atteggiamento psicologico dell’agente, il quale opera, nel favoreggiamento, nell’interesse esclusivo dell’autore del reato, per aiutarlo ad assicurarsene il prezzo, il prodotto o il profitto, e invece, nella ricettazione, con il dolo specifico di trarre profitto, per sé o per terzi”. (Cass. n. 30744/2014).

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