Falso in attestazioni ed effetto abrogativo parziale dell’art. 236-bis legge fall.

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Falso in attestazioni ed effetto abrogativo parziale dell’art. 236-bis legge fall.: la Quinta Sezione penale, in tema di reati fallimentari, ha affermato che il disposto dell’art. 342 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, disciplinante il delitto di falso in attestazioni e relazioni, non ha determinato un effetto parzialmente abrogativo del delitto previsto dall’art. 236-bis legge fall., in quanto il legislatore delegato si è limitato a riformulare la norma incriminatrice con il solo inserimento dell’inciso «in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati», riferito all’esposizione, da parte del professionista, di informazioni false od all’omessa indicazione di informazioni rilevanti, il che rende evidente la non applicabilità della nuova norma alla valutazione prognostica del professionista, intesa come fattibilità economica del piano, peraltro non riconducibile alla fattispecie criminosa neanche sotto la vigenza del citato art. 236-bis legge fall.

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Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sent. n. 13016 del 28/03/2024

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Indice

1. I fatti

Il Gip del Tribunale di Alessandria, all’esito di giudizio abbreviato, aveva ritenuto l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 236-bis legge fall., condannandolo alla pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione ed euro 26.222,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Secondo il giudice di primo grado, l’imputato, nella qualità di professionista attestatore, avrebbe esposto informazioni false o comunque avrebbe omesso di riferire informazioni rilevanti nella relazione di cui all’art. 161, comma 3, legge fall., allegata al ricorso per l’ammissione al concordato preventivo della società.
In particolare, avrebbe indicato un rilevante apporto di nuova finanza senza alcuna previa verifica dell’attendibilità e fattibilità dello stesso, anche in ordine alle tempistiche e alle modalità di assolvimento dell’obbligo, tenuto conto anche che si trattava di prossimo congiunto del liquidatore.
Successivamente, la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione e confermando le statuizioni civili.
Avverso tale sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo, con un unico motivo, vizi di motivazione, erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 342 d. lgs. 14/2015 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza) e 2 cod. pen.
Nello specifico, rappresenta che il reato di falsità in relazioni o attestazioni commesso dal professionista, prima descritto dall’art. 236-bis legge fall., è stato oggetto di recente modifica a opera del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.
Il ricorrente sostiene, dunque, che la nuova norma si porrebbe in rapporto di specialità rispetto alla precedente: il legislatore, con l’aggiunta dell’inciso relativo “alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti allegati“, avrebbe limitato l’area di rilevanza penale solo a quelle attestazioni che siano non più solo rilevanti ma che abbiano “anche a oggetto la correttezza, nel senso di esposizione verifica dei dati riportati nel piano e dei documenti ad esso allegati“.
Sarebbe, pertanto, ad avviso delle tesi difensive, intervenuta una successione di norme con effetto parzialmente abrogativo, in relazione alla quale la Corte territoriale, in via preliminare rispetto alla declaratoria di prescrizione del reato, avrebbe dovuto indagare la permanenza della penale rilevanza della condotta contestata all’imputato.
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Responsabilità e adeguati assetti nella crisi d’impresa

L’art. 2086 del c.c., come modificato dalla recente riforma della crisi d’impresa, ha specificatamente introdotto l’obbligo per tutte le imprese, soprattutto per quelle sane, indipendentemente dalla loro dimensione e tipologia, di dotarsi di adeguati assetti e misure, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative.La previsione normativa non è per niente banale e comporta un vero e proprio mutamento culturale per le realtà economiche italiane, introducendo l’obbligo di una visione strategica prospettica nella gestione dell’impresa, con particolare attenzione ai rischi assunti e la predisposizione di opportuni strumenti di monitoraggio e prevenzione della crisi.Il libro si propone, attraverso contributi derivanti da competenze ed esperienze maturate in diversi percorsi professionali, di offrire una panoramica sulle principali tematiche che devono essere affrontate nella realizzazione di un sistema organizzativo, amministrativo e finanziario coerente con le dimensioni, l’attività e le prospettive dell’impresa, fornendo degli spunti che possono essere un utile strumento di approfondimento in questo ambito.Marcella Caradonna,Dottore Commercialista e Revisore, Professore a contratto dell’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, e giornalista pubblicista autrice di numerosi libri e contributi editoriali su tematiche aziendalistiche e di diritto d’impresa. Nella professione svolge prevalentemente un’attività di consulenza strategica alle imprese sia in ambito aziendale che negoziale. Ha ruoli di amministratore indipendente, ODV e organo di controllo in diverse società anche quotate.

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2. Falso in attestazioni ed effetto abrogativo parziale ex art. 236-bis legge fall.: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, osserva, in via preliminare, i rapporti tra l’art. 236-bis legge fall. e l’art. 342 del d. lgs. 14/2015 (codice della crisi di impresa e dell’insolvenza).
Nello specifico, la fattispecie di cui all’art. 236-bis legge fall. così recita: “il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies, 182-septies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti“.
Il “nuovo” art. 342 del d. lgs. 14/2015 punisce “il professionista che nelle relazioni o attestazioni […] espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati“.
Il contenuto di tale norma avrebbe, ad avviso del ricorrente, ridotto l’area di penale rilevanza, limitandola alla sola veridicità dei dati aziendali, con implicita esclusione dall’ambito di applicazione della fattispecie criminosa delle attività del professionista relative alla valutazione di “fattibilità economica” del piano presentato dal debitore, determinando l’effetto parzialmente abrogativo.
La Corte, però, sottolinea come l’effetto parzialmente abrogativo passa, inevitabilmente, per la corretta interpretazione dell’art. 236-bis legge fall. e, in particolare, del termine “informazioni“, contenuto in esso.
Infatti, si osserva che, “in relazione alle attestazioni e alle relazioni richiamate dalla norma, al professionista attestatore, nell’ambito delle soluzioni negoziali della crisi, spettava: attestare la veridicità dei dati aziendali presentati dal debitore; valutare la fattibilità economica del piano presentato dal debitore. L’informazione falsa od omessa, dunque, poteva, riguardare entrambi i profili“.
La configurabilità di un giudizio di verità/falsità rispetto a enunciati valutativi, limitata al rispetto di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, d’altronde, è stata espressamente ammessa – seppure con riferimento al reato di false comunicazioni sociali – dalle Sezioni Unite con sentenza n. 22474 del 31/03/2016.
L’art. 236-bis legge fall., dunque, ad avviso della Corte, dà penale rilevanza anche alle attività che il professionista attestatore prestava con riferimento alla “fattibilità economica” del piano, ma limitatamente alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione afferma che si debba escludere che il “nuovo” art. 342 del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza abbia determinato un effetto parzialmente abrogativo della vecchia fattispecie.
L’interpretazione del ricorrente, ad avviso della Suprema Corte, si basa “su una nozione eccessivamente restrittiva del termine dati e, dall’altro, non tiene conto della corretta interpretazione dell’art. 236-bis legge fall. e, in particolare, del ristretto spazio applicativo che, nell’ambito di tale norma, avevano le falsità e le omissioni riguardanti le attività che il professionista svolgeva in relazione alla fattibilità economica del piano“.
Nello specifico, sotto il primo profilo, va evidenziato che il termine “dati” non ha quel significato univoco che il ricorrente e la dottrina vorrebbero attribuirgli, soprattutto ove si osservi che anche i dati aziendali, in senso stretto intesi, sono essi stessi il risultato di attività intellettuali che, spesso, consistono nella indicazione di grandezze economiche chiamate a esprimere il valore di negozi giuridici, rapporti contrattuali, beni immateriali, situazioni giuridiche.
Con riferimento al secondo profilo, la Corte ricorda che l’art. 236-bis legge fall. andava inteso nel senso che desse rilevanza “non alla valutazione prognostica del professionista relativa alla fattibilità economica del piano, ma solo alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati per tale valutazione“.
La nuova norma, dunque, non ha determinato effetti abrogativi parziali e, in particolare, non ha reso penalmente irrilevanti le attività del professionista relative alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati per effettuare la valutazione prognostica circa la fattibilità economica del piano.
Sotto altro profilo, la Suprema Corte rileva che, anche se si volesse ritenere che la novella avesse determinato una parziale abrogazione della precedente fattispecie criminosa, limitando l’ambito applicativo di essa alla sola veridicità dei dati aziendali, la condotta contestata all’imputato, nondimeno, continuerebbe a risultare penalmente rilevante in quanto, nel caso in esame, l’omessa informazione riguarda proprio un dato aziendale, relativo a un consistente apporto di finanza.
Il ricorso è stato dunque rigettato con condanna al pagamento delle spese processuali.

Riccardo Polito

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