Ecstasy: lieve entità e tenuità del fatto

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  1. I concetti di “ lieve entità “ e di “ tenuità del fatto “ applicati all’ ecstasy

Dopo aspri dibattiti, talvolta a-tecnicamente populistici, il nuovo Art. 73 comma 1 TU 309/1990 dispone che “ chiunque, senza l’ autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna, per qualunque scopo, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 ad euro 260.000 “. Siffatta odierna stesura del comma 1 Art. 73 TU 309/1990 deriva dalla novellazione introdotta dall’ Art. 4 bis comma 1 lett. B) DL 30 dicembre 2005, n. 272, convertito in legge dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49. Otto anni dopo la riforma predetta del TU 309/1990, la Sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale ha inteso distinguere tra sostanze “ dure “ ( cocaina ed oppiacei ) e “ softdrugs “ ( haschisch e marjuana ). Ovverosia, a livello pratico, la detenzione per fini di spaccio di “ droghe pesanti “ comporta, oggi, dopo l’ intervento della Consulta, una forbice edittale tra gli otto ed i venti anni di reclusione, mentre lo smercio di “ droghe leggere “ incorre in un minimo edittale di due anni di reclusione ed un massimo di sei anni. A parere di chi scrive, ognimmodo, la Sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale non rappresneta per nulla un pronunciamento definitivo ed apodittico, in tanto in quanto non pochi, in maniera sincera e politicamente scorretta, contestano tutt’ oggi l’ esistenza di presunte “ droghe leggere “ arrecanti meno danno alla salute dal punto di vista tossicologico-forense.

In secondo luogo, dopo la novella introdotta dalla L. 10/2014, il comma 5 Art. 73 TU 309/1990 è assurto alla dignità di fattispecie di reato autonomo. In buona sostanza, il nuovo testo recita: “ salvo che il fatto costituisca un più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità, o le circostanze dell’ azione, ovvero per la qualità e la quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 ad euro 10.329 “. La tesi di fondo che chi redige intende sostenere consiste nell’ esclusione della “ lieve entità “ nella fattispecie dell’ ecstasy, la quale “ per la qualità [ … ] della sostanza “ non dovrebbe mai beneficiare dell’ attenuazione punitiva prevista nel comma 5 Art. 73 TU 309/1990. La L. 10/2014 ha peccato di imprudenza o, comunque, ha cagionato molte lacune esegetiche, non specificando ulteriormente se, come e quando la “ qualità “ delle sostanze integra o meno gli estremi del fatto “ di lieve entità “. L’ ecstasy, infatti, reca caratteristiche chimico-qualitative incompatibili con il significato dei lemmi “ lieve entità “ di cui al comma 5 Art. 73 TU 309/1990. Anche sotto il profilo del senso medico comune, l’ MDMA dev’ essere tassativamente esclusa dal campo precettivo della nuova Norma qui in esame, giacché essa produce, sotto il profilo fattuale e fisiologico, danni psico-fisici irreversibili ed incompatibili con qualsivoglia attenuazione de jure condito. Del resto, la Tossicologia contemporanea è unanime nell’ asserire che le sostanze d’ abuso sintetiche raggiungono un livello di pericolosità sanitaria superiore anche a quello recato dal più pesante degli oppiacei. La spersonalizzazione psichica e fisica recata dall’ ecstasy non può e non deve essere qualificata “ di lieve entità [ … ] per la qualità […] della sostanza “. Nei Lavori Preparatori della L. 10/2014, si afferma che “ la condotta ( produzione, spaccio o detenzione ) può essere considerata lieve se provoca una minima offensività rispetto al bene protetto “, ma tale non è di certo la fattispecie dell’ MDMA, la quale, dal punto di vista qualitativo, è causa di lesioni mentali e fisiche di calibro enorme e, oltretutto, non preventivabili a causa di pericolose composizioni chimiche spesso ignote e letifere.

Purtroppo, la Sentenza n. 13982/2018 della Corte di Cassazione commenta il comma 5 Art. 73 TU 309/1990 in maniera lacunosa e limitandosi ad affermare che “ la fattispecie principale [ ex comma 1 Art. 73 TU 309/1990 ] può essere applicata solo nei casi in cui la condotta assuma connotati di offensività peculiari “ e, in effetti, l’ offensività psico-fisica dell’ ecstasy è ontologicamente ed acutamente grave, il che costituisce un ulteriore valido motivo per escludere l’ ecstasy dalla categoria della “ lieve entità “ ex comma 5 Art. 73 TU 309/1990. Inoltre, l’ MDMA ed i propri innumerevoli derivati sono quasi sempre connessi a consorterie criminali organizzate che  “per la modalità e le circostanze dell’ azione “ impongono spesso all’ interprete di escludere l’ applicabilità del comma 5 Art. 73 TU 309/1990. Il summenzionato Precedente della Corte di Cassazione n. 13982/2018 insiste più volte nell’ esortare alla valutazione, accurata e minuziosa, dell’ “ offensività “ dello stupefacente, ma la Sentenza di legittimità in questione non coglie appieno la natura sempre e comunque “ non lieve “ dell’ ecstasy, che, per la propria “ qualità “ lesiva, non merita mai il regime sanzionatorio temperato di cui al comma 5 Art. 73 TU 309/1990.

Nella Giurisprudenza italiana di legittimità, non mancano Precedenti che tengono nel debito conto l’ acuta pericolosità tossicologica dell’ ecstasy. P.e., Cass., sez. Pen. VI, n. 46495/2017 specifica, anche con afferenza all’ MDMA, che “ la lievità o meno della condotta dev’ essere affrontata caso per caso, affinché siano tenute nella debita considerazione tutte le possibili variabili“. Parimenti, soprattutto quanto al tema delle droghe sintetiche e degli acidi, “ il Giudicante deve determinare e calibrare il trattamento sanzionatorio più adeguato alle specifiche circostanze e modalità del caso, rifuggendo da ogni automatismo “ ( Cass., sez. Pen. VI, n. 39374/2017 ). Anzi, nella fattispecie dell’ ecstasy, necessita l’ analisi chimico-giuridica relativa a ciascuna pasticca, in tanto in quanto il comma 5 Art. 73 TU 309/1990 potrà o, viceversa, non potrà essere applicato a seconda della pericolosità qualitativa connotante il principio attivo della dose. Spesso, d’ altronde, gli stupefacenti di sintesi spacciati nelle discoteche e nei rave-partys notturni contengono molecole i cui disastrosi effetti psico-fisici sono ignoti sia al consumatore sia al pusher, vittima anch’ egli, in un certo senso, di laboratori di sintesi spregiudicati e gestiti da narcotrafficanti internazionali senza scrupoli.

La Corte Suprema di Cassazione, nell’ esegesi del comma 5 Art. 73 TU 309/1990, ha ampiamente analizzato pure il lemma “ quantità “, poiché, di fronte al sequestro di una detereminata partita di MDMA, “ è indubbio che il dato più [ ? ] dirimente sarà la quantità di droga detenuta dal reo, a seconda che superi o meno il dato ponderale, in relazione alla specificità del luogo di commissione del reato. E’ il caso del piccolo spaccio, che si caratterizza per una minore portata dell’ attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro, nonché con guadagni limitati “ ( Cass., sez. Pen. VI, n. 15642/2015 ). Analogamente, Cass., sez. Pen. VI, n. 8219/2018 afferma che la “ lieve entità del fatto “ dipende ( rectius : dipenderebbe ) “ dalla grandezza del mercato di riferimento, ovvero dal numero, più o meno rilevante, di tossicodipendenti che l’ imputato è in grado di rifornire, indipendentemente dalla cattiva qualità o dalla bassa capacità drogante “. Chi redige, contesta pienamente e radicalmente i due summenzionati Precedenti contenuti in Cass., sez. Pen. VI, n. 15642/2015 nonché in Cass., sez. Pen. VI, n. 8219/2018. Fondare, infatti, su criteri ponderali l’ applicabilità del “ fatto lieve “ è profondamente erroneo nel caso dell’ ecstasy, la cui “ qualità drogante “ è sempre e comunque estremamente dannosa per il cervello e per gli organi interni. L’ MDMA, anche se sezionata in dosi ponderali minime, può provocare reazioni fisiologiche devastanti o mortali e non ha senso considerare “ la cattiva qualità o la bassa capacità drogante “ ( Cass., sez. Pen. VI, n. 8219/2018 ). Anche una minima quantità di ecstasy può mettere in pericolo la vita e l’ integrità fisica del giovane assuntore e, pertanto, il comma 5 Art. 73 TU 309/1990 non deve mai essere precettivo nella fattispecie in cui la sostanza detenuta per fini di spaccio è l’ ecstasy. Una modica quantità di cannabis, di cocaina o di oppiacei può integrare gli estremi della “ lieve entità “; viceversa, l’ MDMA e tutte le altre sostanze sintetiche manifestano gravi pericoli sanitari anche se, sotto il profilo ponderale, la dose è minima. Non ha ontologicamente alcun significato parlare di “ bassa capacità drogante “ dello speed, dell’ adam, del popper, delle colle o del GHB, poiché, per motivi prettamente chimico-forensi, la qualità e la quantità di queste sostanze esula completamente dal paradigma attenuatorio di cui al comma 5 Art. 73 TU 309/1990. Diversa è la ratio con attinenza alla marjuana, all’ haschisch , agli oppiacei ed alla cocaina, che, almeno nel breve periodo, possono essere sufficientemente tollerati sotto il riguardo psico-fisico.

Cass., sez. Pen. VI,, n. 5517/2018 ha analizzato il rapporto tra la “ lieve entità “ del fatto e lo “ spaccio di maggiore o di minore entità “. Giustamente, tale Sentenza di legittimità del 2018 ha sottolineato, il che vale anche per l’ ecstasy, che molte volte il pusher detiene, per fini di spaccio, un ampio ventaglio qualitativo di sostanze e, inoltre, alcuni Giudici di merito hanno escluso la precettività del comma 5 Art. 73 TU 309/1990 a causa della circostanza del rinvenimento della sostanza stupefacente già suddivisa in dosi. Naturalmente, Cass., sez. Pen. VI, n. 5517/2018 pone interrogativi che valgono anche nella sopravvenienza in cui l’ ecstasy sia spacciata con altre sostanze o sia rinvenuta in pasticche già confezionate per lo smercio, anche se, come pocanzi rimarcato, la qualità dell’ MDMA prevale sempre sul concetto di quantità. In alcune Sentenze di merito del 2017, alcuni Magistrati giudicanti hanno dovuto tenere in conto variabili come quelle del piccolo spaccio o della detenzione di una provvista conclamatamente non destinata all’ uso personale, ma si tratta, comunque, di dettagli marginali, nel senso che la dannosità dell’ ecstasy è ferma, acuta, indubitabile e perenne. Nel comma 5 Art. 73 TU 309/1990, il lemma “ qualità “ prevale su ogni altra espressione normativa, giacché l’ MDMA non è mai lievemente nociva sotto il riguardo qualitativo. L’ esclusione del “ fatto di lieve entità “, nella fattispecie dell’ ecstasy, dev’ essere automatica ed immediata, alla luce dei costanti danni psicofisici ontologicamente connessi alle droghe di sintesi.

  1. Ecstasy e ( presunta ) tenuità del fatto nel TU 309/1990

Dopo la Legge delega 67/2014, il D.LVO 28/2015 ha accostato la fattispecie della lieve entità ( comma 5 Art. 73 TU 309/1990 ) a quella della “ non punibilità per tenuità del fatto “, la quale, a sua volta, discende dal nuovo Art. 131 bis CP, che recita: “ la punibilità è esclusa quando, nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, per le modalità della condotta e per l’ esiguità del danno o del pericolo, valutati ai sensi dell’ Articolo 133 primo comma, l’ offesa è di particolare tenuità ed il comportamento risulta non abituale “. Senz’ altro, l’ Art. 131 bis CP, applicato al comma 5 Art. 73 TU 309/1990, ha introdotto una depenalizzazione totale nel contesto del TU 309/1990, ma, a parere di chi redige, l’ Art. 131 bis CP avrebbe dovuto rimanere assolutamente non precettivo nel caso dell’ ecstasy. Infatti, la lieve entità e la tenuità del fatto possono forse inerire la cannabis o la cocaina, ma, come pocanzi sostenuto, lo spaccio di MDMA non è mai né lieve né tenue, in tanto in quanto gli stupefacenti derivanti da sintesi chimica sono sempre pericolosi e/o letiferi, anche se la condotta è episodica e la quantità è modica. Estendere l’ applicabilità di tale Norma abolizionistica all’ ecstasy significa tradire i nn. 1 e 2 comma 1 art. 133 CP, poiché anche una sola pasticca di ecstasy non costituisce un fatto né tenue né lieve “ per la natura, la specie, i mezzi, l’ oggetto, il tempo , il luogo [ … e ] per la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato “ ( nn. 1 e 2 comma 1 Art. 133 CP ). Chi scrive ribadisce, in modo politicamente scorretto eppur realistico, che l’ MDMA reca aspetti qualitativi dannosi anche se la dose ceduta è minima sotto il profilo ponderale. La Tossicologia forense ha rivelato i danni irreversibili provocati anche da una sola pasticca di ecstasy non abitudinariamente assunta. E’ un ossimoro inaccettabile parlare di “tenuità del fatto “ con afferenza all’ ecstasy.

Purtroppo, Cass. N. 36616/2017 ha aperto la strada alla concessione automatica dei benefici ex Art. 131 bis CP, ma, di nuovo, si sottolinea che l’ MDMA è un caso a sé, in cui mai e poi mai l’ offesa psico-fisica è “ di particolare tenuità “. Del resto, basti pensare agli omicidi stradali imputabili all’ assunzione, anche non abitudinaria, di droghe sintetiche chimicamente spersonalizzanti ed allucinogene già nel breve periodo. In effetti, molto più apprezzabile è stata Cass. N. 52721/2017, la quale ammette “ la non punibilità per la particolare tenuità della condotta “, ma tale Precedente è riferito alla cannabis, che produce un nocumento mentale e corporale reversibile e meno uncinante rispetto all’ ecstasy. Similmente, Cass. , sez. Pen. III, n. 36037/2017 parla di “ scarsa capacità drogante [ e ] mancata lesione della salute pubblica “, tuttavia, nuovamente, tale Sentenza ha ad oggetto piante di marjuana e non pasticche di MDMA. La marjuana è un nulla se paragonata alla più che dannosa e, sovente, mortale ecstasy.

Vedi anche:”Tenuità e gravità del fatto nel T.U. 309/1990″

  1. L’ indubitabile pericolosità tossicologico-forense dell’ ecstasy

Dagli Anni Novanta del Novecento sino ai giorni nostri, la Tossicologia forense ha ormai elaborato migliaia di Pubblicazioni scientifiche afferenti all’ ecstasy, che non è più una “ nuova “ droga a-tipica e chimicamente misteriosa, come asserito nello Studio sociologico di Zanellato  &  Melosi  &  Milanese ( 1999 ). Fondamentalmente e a prescindere da dettagli medico-legali, esistono oltre 170 molecole empatogene, ma la base dell’ ecstasy è l’ MDMA, simile alle amfetamine e illegale, in Italia, dall’ Ottobre del 1998, ai sensi delle Tabelle del TU 309/1990. Nel linguaggio dei giovani tossicomani italiani, le “ paste “ sono pillole che contengono, almeno principalmente, efedrina, caffeina, amfetamine e scopolamina. L’ MD, invece, si presenta in polvere o sotto forma di cristalli, viene diluita in una bibita, si beve e presenta meno rischi psico-fisici. Detto in altri termini, l’ MD è una sorta di ecstasy “ di prima qualità “. Il grave errore dei giovani e giovanissimi frequentatori di discoteche consiste spesso nel mescolare l’ MDMA e l’ MD a bevande alcoliche. Nel 1991, come censito da Shulgin  &  Shulgin ( 1992 ), sono state sintetizzate l’ MDE e l’ MDEA, dette “ Eva “ ed esse sono illegali, in Italia, dal 1991. Gli effetti, in ogni caso, sono pressoché analoghi a quelli delle “ paste “. Assai pericolosa è l’ MDA, che è un empatogeno nato in California negli Anni Sessanta del Novecento. L’ MDA ( hug-drug ) reca spesso ad overdoses mortali ed è anch’ esso proibito in molti Ordinamenti, europei e non solo. Di solito, l’ MDA ha un’ emivita più lunga rispetto all’ MDMA. Palmeri ( 2001 ) ha rilevato, nei cadaveri di molti tossicodipendenti italiani, il 2C-B, detto “ Nexus “ e proveniente dal Nord-America. 16 – 20 mg di Nexus hanno un’ emivita di 4-8 ore. Si tratta di un empatogeno allucinogeno con un’ elevata affinità con i recettori serotoninici centrali e provoca sovente disinibizione ed atti di libidine violenta ( Glennon  &  Titeler  &  Lyon, 1988 ). In buona sostanza, il nexus è assunto prima degli stupri di gruppo, il che fa comprendere la sua pericolosità acuta e, quindi, incompatibile con la fattispecie attenuata dei cui al comma 5 Art. 73 TU 309/1990. Da segnalare, nella categoria delle “ paste “, sono pure l’ MBDB ( illegale dal 1997 ), il 4-MTA, detto flatliner ( illegale dal 1999 ) ed il DOB ( illegale dal 1985 ) ( si veda, a tal proposito, lo Studio tossicologico-forense di Furnari  &  Ottaviano  &  Rosati, 2001 ). L’ MDMA ed i propri innumerevoli derivati “ sono ampiamente usati nei contesti di attività sessuale e non solamente dai frequentatori delle discoteche e dei rave. L’ uso occasionale dell’ ecstasy come afrodisiaco si estende a fasce della popolazione, sia maschile sia femminile, piuttosto distanti dall’ ambiente delle discoteche, con età che raggiungono la fascia dei quarantenni e dei cinquantenni. Questa popolazione di sessuofili è poco o per nulla studiata, verificata la loro maggiore trasparenza nei confronti delle reti di controllo delle forze dell’ ordine ed essendo meno suscettibile di problematiche socio-sanitarie associate al loro uso di empatogeni “ ( Pagani, 1996 ).

La ketamina è comparsa nel mercato illegale degli stupefacenti  verso la seconda metà degli Anni Novanta del Novecento, ma il suo uso ludico-ricreativo risale alla pseudo-cultura hippy dei primi Anni Sessanta del Secolo scorso. I ketamino-derivati sono impiegati per le anestesie, sia per uso umano sia per uso veterinario. Il nome commerciale di tale anestetico è Sernylan. Bowdle ( 1998 ) nota che “ si può meglio definire la ketamina come un anestetico dissociativo, poiché, in base a quanto si è appreso dai racconti di pazienti sottoposti ad operazioni chirurgiche e ad anestesia con ketamina, essa provoca allucinazioni profonde, esperienze extra-corporee, visioni mistiche, sensazioni di ingresso in un’ altra realtà, sensazioni che sono state definite clinicamente come reazioni da emersione “. Anche Corazza ( 2001 ) segnala che “ la ketamina sembra poter indure stati modificati di coscienza di tipo NDE ( Near Death Experiences ) o, più precisamente, di tipo OBE ( Out Death Body Experiences ), cioè dissociazioni mentali riconoscibili dallo sperimentatore come se fossero uscite dal corpo “ . A dosi forti ( 80-120 mg nasale o intramuscolo; 300-350 mg orale ), la ketamina induce un’ esperienza psichedelica completa ed un distacco dalla realtà circostante pressoché totale. Gli effetti hanno la durata di circa 45-60 minuti. Ciò che desta preoccupazione è che la ketamina “ toglie il ricordo di ciò che si è detto e che si è fatto durante l’ esperienza psichedelica “, il che è particolarmente preoccupante nel caso dello stupro ( Rollo  &  Samorini, 1998 ). La ketamina indebolisce gravemente la memoria quando è associata a bevande alcoliche, barbiturici o benzodiazepine. Nell’ Ordinamento giuridico italiano, dunque nelle Tabelle allegate al TU 309/1990, la ketamina risulta semi-lecita e, senz’ altro, somministrabile sontanto sotto stretto controllo medico, dal 2001. Di solito, la ketamina viene racchiusa in cartine, come lo speed e la cocaina. Essa è inalata e molte volte viene utilizzata per tagliare l’ MDMA. Come analizzato da Schechter ( 1998 ), nei rave a base di musica techno, la ketamina è pericolosamente associata ad alcolici, oppiacei e benzodiazepine, con risultati devastanti sul cervello e sugli organi interni. Senz’ altro, sotto il profilo qualitativo, non è  mai un “ fatto di lieve entità “ ex comma 5 Art. 73 TU 309/1990. Altrettanto diffusa è la mescolanza poli-tossicomaniacale di LSD, alcol e oppio fumato ( Schechter, ibidem ). Negli ambienti dei rave non si usano, del resto, sostanze iniettabili per via endovenosa, il che pone un prezioso freno alla diffusione dell’ HIV e delle epatiti. Solitamente, sempre nei raduni techno, le pratiche più alla moda sono il kalvin-klein ( cocaina assunta con ketamina ), lo special K ( speed assunto con ketamina ) ed il trittico ( cocaina assunta con ecstasy e con ketamina ). Secondo Jansen ( 2001 ), la ketamina “ pur essendo caratterizzata da un uso saltuario e non in combinazione con altre droghe, pur avendo effetti di tipo allucinogeno e pur essendo usata come down-drug o nell’ uso quotidiano, ciononostante essa [ la ketamina ] produce comunque sempre effetti maggiormente di tipo narcotico-sedativo. A tale proprosito, si deve sottolineare che, in certi individui, la ketamina induce una significativa compulsione, che può velocemente portare ad una dipendenza, apparentemente di tipo psicologico, il cui quadro clinico non è ancora stato chiarito e che possiede una certa somiglianza, perlomeno comportamentale, con la dipendenza degli eroinomani “

I popper esistono da una cinquantina d’ anni, ma soltanto dagli Anni Novanta del Novecento sono divenuti una tipica droga da discoteca e da rave-party. I popper sono nitriti alchilici impiegati, in origine, nella terapia delle crisi cardiache da angina pectoris. Essi sono utili, in Medicina, anche per contrastare le intossicazioni da cianuro. Per uso tossicovoluttuario, sono oggi diffusi popper a base di nitrito di amile, nitrito di butile e nitrito di isobutile in forma liquida da inalare. L’ emivita è immediata e provoca un high di euforia, seguito, però, da un down di stordimento, vertigini e perdita di equilibrio. I popper sono vasodilatatori, fanno aumentare la frequenza cardiaca e non vanno mai associati al sildenafil ( nome commerciale: Viagra ). Haley ( 1980 ) precisa che “ nell’ uso cronico, i popper abbassano le difese immunitarie, riducono la potenzialità ossigenante del sangue, possono produrre anemie, danneggiano i polmoni e hanno effetti mutageni “. In buona sostanza, di nuovo, viene confermata l’ assurdità applicativa, in fatto di droghe sintetiche, del comma 5 Art. 73 TU 309/1990. Il “ fatto lieve “ e la “ tenuità del fatto “ sono ontologicamente e tossicologicamente incompatibili con le devastanti potenzialità dell’ ecstasy, della ketamina e dei popper. Anzi, spesso, nel mondo giovanile delle discoteche, il popper è associato all’ MDMA per aumentare l’ effetto high.

L’ MDMA è simile pure al gas esilarante, ovverosia al protossido d’ azoto, che, in origine, era un anestetico ed un analgesico ad uso odontoiatrico. Il nome gergale anglofono più diffuso è quello di laughing gas [ gas che fa ridere ]. Di solito, una boccata di protossido d’ azoto va in emivita per 30-60 minuti e cagiona sensazioni mistico-oniriche più potenti di quelle del popper. Come monitorato da Shedlin  &  Wallechinsky ( 1992 ), “ i problemi si presentano nell’ uso cronico, con neuropatia periferica ( degenerazione delle fibre nervose che controllano la sensazione e il movimento degli arti ), impotenza, indebolimento della memoria e riduzione della capacità del midollo osseo nel produrre globuli bianchi “. Provvidenzialmente, il “ gas che fa ridere “ costa molto e, nonostante sia facilmente reperibile, non è uno stupefacente capillarmente diffuso.

Il mercato dell’ ecstasy è legato oggi a quello delle “ smart drugs “, che sono considerate una moda giovanile che distingue, una condotta “ di classe “, innovativa e, all’ apparenza, pure intelligente. In Italia, le smart drugs hanno fatto la loro prima comparsa nel triennio 1997-1999, sotto forma di Piracetam. Hydergine e Neuromet, i quali, secondo le leggende metropolitane adolescenziali, aumenterebbero la concentrazione. Dean  &  Morgenthaler ( 1990 ) affermano che “negli ultimi anni novanta, negli USA, per smart drug s’ intende anche una serie di integratori – per lo più concentrati vitaminici e minerali – da assumere specificamente in seguito all’ uso di droghe chimiche, quali l’ ecstasy, ma anche la cocaina, con lo scopo di facilitare il riequilibrio fisico e di rendere più morbido l’ hangover dei giorni successivi “. Verso il 2004, sempre in Italia, la smart drug più alla moda è diventata la “ herbal ecstasy “, a base di efedrina per uso ricreativo. Le smart drugs semi-vegetali sono facilmente acquistabili in Olanda, Germania ed Inghilterra, ma il mercato semi-clandestino delle herbal drugs è fiorente anche in Spagna, Francia ed Italia. Negli Anni Duemila, le “ smart & eco drugs “ più diffuse sono soprattutto stimolanti efedrinici o xantinici, energy drinks, afrodisiaci a base vegetale, liquore d’ assenzio, popper e gas esilarante.

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Autori e vittime di reato

Il presente volume, pubblicato grazie al sostegno economico dell’Università degli Studi di Milano (Piano di sostegno alla ricerca 2016/2017, azione D), raccoglie i contributi, rivisti ed aggiornati, presentati al convegno internazionale del 7 giugno 2016, al fine di consentire, anche a coloro che non hanno potuto presenziare all’evento, di vedere raccolte alcune delle relazioni, che sono confluite in un testo scritto, e i posters scientifici che sono stati esposti, in quella giornata, a Palazzo Greppi (Milano) e successivamente pubblicati sulla Rivista giuridica Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it). Raffaele Bianchetti è un giurista, specialista in criminologia clinica; lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano e come magistrato onorario presso il Tribunale di Milano. Da anni insegna Criminologia e Criminalistica e svolge attività didattica all’interno di corsi di formazione post-lauream e di alta formazione in Italia e all’estero; partecipa come relatore a convegni, congressi e incontri di studio nazionali ed internazionali; fa parte di gruppi di ricerca, anche di natura transnazionale, coordinandone alcuni come responsabile dei progetti. È autore di scritti monografici e di pubblicazioni giuridiche di stampo criminologico, alcune delle quali sono edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Membro componente di comitati scientifici e di comitati redazionali, è condirettore  di due collane editoriali.Luca Lupária Professore Ordinario di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Roma Tre e visiting professor  in Atenei europei e americani, è autore di scritti monografici su temi centrali della giustizia penale e di oltre cento pubblicazioni scientifiche, apparse anche su riviste straniere e volumi internazionali. È responsabile di programmi e gruppi di ricerca transnazionali sui diritti delle vittime, sulle garanzie europee dell’imputato e   sui rimedi all’errore giudiziario. Condirettore di collane editoriali, è vice-direttore della rivista “Diritto penale contemporaneo” .Elena Mariani è laureata in giurisprudenza e specialista in criminologia clinica. Da oltre dieci anni collabora con la Catte- dra di Criminologia e Criminalistica del Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano, effettuando seminari e attività di ricerca sui temi della giustizia penale minorile, della vittimologia, dell’esecuzione penale e delle misure di prevenzione. Svolge da anni attività didattica in corsi di formazione post-lauream e di alta formazione presso diversi atenei italiani. È autrice di una monografia in tema di sistema sanzionatorio minorile e per gli adulti edita in questa Collana e di varie pubblicazioni in materia criminologica, edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Attualmente   è componente esperto del Tribunale di Sorveglianza di Milano e dottoranda di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano. 

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B  i  b  l  i  o  g  r  a  f  i  a

Bowdle, Psychedelic Effects of Ketamina in Healthy Volunteers, in Anesthesiol., 88/1998

Corazza, Ketamina, “ near-death-experiences” e stati non ordinari di coscienza. Osservazioni medico-antropologiche sul fenomeno dell’ esperienza dissociativa, in Bollettino delle farmacodipendenze e dell’ Alcoldipendenza, 24/2001

Dean  &  Morgenthaler, Smart Drugs and nutrients, Health Freedom Publications, Menlo Park, 1990

Furnari  &  Ottaviano  &  Rosati, Identificazione della 4-bromo-2,5-dimetossianfetamina ( DOB ) in  compresse clandestine sequestrate in Italia, Annuario dell’ Istituto Superiore della Sanità, 37/2001

Glennon  &  Titeler  &  Lyon, A preliminary Investigation of the Psychoative Agent 4-bromo-2,5-dimethoxyphenethlylamine, a Potential  Drug of Abuse, in Pharmacological Biochemical Behaviour, 30/1988

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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