E’ illegittimo il licenziamento collettivo ad ognuno degli stabilimenti dell’azienda laddove la crisi colpisce l’impresa nel suo complesso (Cass. n. 25310/2013)

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1. Questione

La Corte di Appello respinge l’appello della società, avverso la sentenza di prime cure del Tribunale, dichiarativa della inefficacia del licenziamento intimato dalla suindicata società al dipendente dipendente, per violazione della disciplina dei licenziamenti collettivi, consistente nell’avere la società datrice di lavoro proceduto all’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità facendo riferimento alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative dei singoli centri operativi, anziché a quelle dell’intero complesso aziendale.

La Corte d’appello precisa che il lavoratore ha lamentato che – in presenza di una crisi del settore di portata tale da coinvolgere l’intero assetto aziendale – la società ha attivato distinte procedure di mobilità per le diverse unità produttive; in realtà, la società sembra confondere tra il merito della scelte aziendali, sicuramente non sottoponibile a sindacato giurisdizionale, e le ragioni della scelta effettuata dall’azienda, le quali invece devono essere esplicitate, onde consentire un adeguato controllo della loro sussistenza.

La società presenta ricorso in Cassazione, che è stato rigettato, sulla base del principio ormai consolidatosi, secondo cui “con riguardo ai licenziamenti collettivi per riduzione del personale “ai fini della determinazione dell’ambito di attuazione del licenziamento e dell’individuazione dei lavoratori da licenziare deve tenersi conto di tutti i lavoratori dell’azienda, sicché non può valere a ridurre il numero dei soggetti da valutare comparativamente il mero ridimensionamento (o la stessa soppressione) di un reparto, potendo la riduzione del personale essere limitata agli addetti a tale reparto solo allorquando sia costoro sia gli addetti ai restanti reparti siano portatori di specifiche professionalità non omogenee che ne rendano impraticabile in radice qualsiasi comparazione”.

 

2. Orientamenti giurisprudenziali e problematiche applicative dei criteri di scelta del licenziamento collettivo

La giurisprudenza di legittimità ha precisato più volte che, in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico – produttive, nell’ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non è il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma è obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale.

Infatti, la prima parte dell’art. 5, dispone che la “l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale”.

Dunque, in via preliminare, la delimitazione del personale “a rischio” si opera in relazione a quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui all’art. 4, comma 3; è ovvio che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell’impresa per addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare.

Ma va attribuito il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma secondo cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al “complesso aziendale”; ciò in forza dell’esigenza di ampliare al massimo l’area in cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si restringe l’ambito della selezione. D’altra parte, sarebbe incongruo che questo ambito venisse già predeterminato dalla legge, perchè ciò varrebbe indebitamente a presupporre una assoluta e generalizzata incomunicabilità tra parti o settori dell’impresa.

Se tale è il contesto, si arguisce facilmente che non vi è spazio per una restrizione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta che sia frutto dell’iniziativa datoriale pura e semplice, perchè, come già detto, ciò finirebbe nella sostanza con l’alterare la corretta applicazione dei criteri stessi, che l’art. 5 della L. 223/1991, intende espressamente sottrarre al datore, imponendo che questa venga effettuata o sulla base dei criteri concordati con le associazioni sindacali, ovvero, in mancanza, secondo i criteri legali.

E dunque arbitraria e quindi illegittima ogni decisione del datore diretta a limitare l’ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, se ciò non sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale. La delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta.

Per converso, non si può, invece, riconoscere, in tutti i casi, una necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla “collocazione del personale” indicato dal datore nella comunicazione di cui all’art. 4, e la precostituzione dell’area di scelta. Il datore infatti segnala la collocazione del personale da espungere (reparto, settore produttivo ecc), ma ciò non comporta automaticamente che l’applicazione dei criteri di scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati siano sempre esclusi dal concorso con tutti gli altri, giacchè ogni delimitazione dell’area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano. A mero titolo esemplificativo, si può rilevare che ove il datore, nella comunicazione di cui all’art. 4, indicasse che tutto il personale in esubero è collocato all’interno dì un unico reparto, essendo solo questo oggetto di soppressione o di ristrutturazione, non sarebbe giustificato limitare l’ambito di applicazione dei criteri di scelta a quegli stessi lavoratori nel caso fossero addetti a mansioni assolutamente identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri reparti, salva la dimostrazione di ulteriori ragioni tecnico produttive ed organizzative comportanti la limitazione della selezione. Ed ancora, quando la riduzione del personale fosse necessitata dall’esistenza di una crisi che induca alla riduzione, genericamente, dei costi, non vi sarebbe, quanto meno in via teorica, alcun motivo di limitare la scelta ad uno dei settori dell’impresa, e quindi la selezione andrebbe operata in relazione al complesso aziendale”.

Con il che si può spiegare, nell’art. 5 citato, la duplicità – altrimenti scarsamente comprensibile – del richiamo alle “esigenze tecnico-produttive ed organizzative”, perchè, nella prima parte, esse si r riferiscono all’ambito di selezione, mentre, nella seconda parte, le medesime esigenze concorrono poi nel momento successivo, con gli altri criteri dell’età e del carico di famiglia, all’individuazione del singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri concordati con i sindacati). Pertanto, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze, e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 23 giugno 2006, n. 14612). Cosicchè, non può essere ritenuta legittima la scelta dì lavoratori solo perchè impiegati nel reparto lavorativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 26376/2008, cit; 12 maggio 2006, n. 11034; 15 giugno 2006, n. 13783).

 

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Università di Teramo in Medicina del Lavoro e in Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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