“Doppia pregiudizialità”: recenti pronunce

Fabio Cacurri 20/01/23
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Con l’espressione “doppia pregiudizialità” si suole indicare l’ipotesi in cui una disposizione legislativa che il giudice nazionale deve applicare al caso concreto mostri profili di incompatibilità sia con la Costituzione che con la normativa dell’Unione Europea, prospettando così, contestualmente, sia la necessità di una rimessione alla Corte Costituzionale, sia la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea.

Indice

1. Premesse

Non esiste alcuna norma di diritto positivo che imponga di assegnare priorità all’incidente di costituzionalità oppure al rinvio pregiudiziale in sede comunitaria ai sensi dell’art. 267 TFUE, ferma restando l’eventuale responsabilità dello Stato per violazione dell’obbligo del giudice nazionale “di ultima istanza”, ai sensi dell’art. 267 TFUE, di disporre il rinvio pregiudiziale.
Alcune ordinanze della Corte Costituzionale hanno assegnato priorità alla questione della compatibilità della norma da applicare con l’ordinamento europeo rispetto al giudizio incidentale davanti alla Corte Costituzionale, che viene escluso nell’ipotesi in cui il contrasto con il parametro europeo si sia risolto nella disapplicazione della disposizione legislativa nazionale: si tratta delle  Ordinanze 6.4.1998 n. 108, 26.7.1996 n. 319, 16.6.1994 n. 244 e, in particolare, dell’Ord. 21.3.2002 n. 85 che ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale proposta, evidenziando le contraddizioni della ordinanza di rimessione che “solleva contemporaneamente «questione pregiudiziale» interpretativa dei principi del trattato CE avanti alla Corte di giustizia, al fine di accertare se la norma censurata sia compatibile con l’ordinamento comunitario e, quindi, applicabile nell’ordinamento italiano, e questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale così presupponendo che la norma, di cui egli stesso ha sollecitato l’interpretazione della Corte di giustizia, sia applicabile” .
Vanno disposti, contestualmente, sia il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea sia l’incidente di legittimità davanti alla Corte Costituzionale nelle ipotesi in cui alla medesima fattispecie siano applicabili due disposizioni distinte, in relazione a due ambiti differenti del giudizio – di cui una che presenti profili di contrasto con il parametro costituzionale e l’altra che presenti profili di contrasto con il parametro della normativa europea- in quanto gli elementi di presunta incompatibilità si palesino indipendenti e distinti fra di loro.
La  “doppia pregiudizialità invertita” attiene all’ipotesi in cui una norma europea sia  oggetto del dubbio di compatibilità con la Costituzione per contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento o con i diritti inviolabili riconosciuti dalla nostra Costituzione, concernenti, cioè, i cosiddetti “controlimiti[1], sebbene la comune matrice giuridica renda tale ipotesi meramente teorica e difficile da verificarsi.  

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2. Casistica

La sentenza Corte di Giustizia Europea 15.7.1964 causa 6/64 Costa v/Enel  affermato per la prima volta che i giudici nazionali devono osservare l’ordinamento comunitario permanente, dotato di poteri propri, trasferiti dagli stati membri.
La  sentenza Corte Costituzionale 18.12.1973 n. 183  precisa che i regolamenti degli organi della C.E.E., ai sensi dell’art. 189 del Trattato di Roma, appartengono all’ordinamento propriamente comunitario, autonomo e distinto rispetto al diritto interno dei singoli Stati membri, benchè con esso coordinato, secondo la ripartizione delle competenze. 
La sentenza della Corte di Giustizia CEE 9.3.1978 C-106/77 -Simmenthal spa contro Ministero delle Finanze  afferma il potere dei giudici nazionali di disapplicare le norme interne contrastanti con quelle europee direttamente applicabili e, sviluppando principi già espressi nella sentenza Costav/Enel  del  1964, in tema di preminenza del diritto dell’Unione su quello nazionale, precisa che: “il giudice nazionale, incaricato di applicare […] le disposizioni del diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando, all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”, così introducendo implicitamente una modifica della gerarchia delle fonti, che viene a perdere la tradizionale struttura piramidale.
Tale sentenza non si occupa dei principi fondamentali della Costituzione di cui agli artt. 1-12, ma precisa che i Trattati europei possono derogare soltanto in melius agli altri articoli della Costituzione, ponendosi ad un livello “intermedio” tra la Costituzione ed i suoi principi fondamentali.
Essa elabora la categoria delle direttive “self-executing” che possono trovare applicazione diretta negli Stati  membri anche in assenza di una legge nazionale di recepimento, in quanto recanti precetti precisi e puntuali, tali da consentire al giudice nazionale di disciplinare il caso concreto anche in deroga alla legge nazionale, che va disapplicata per  contrasto con la norma comunitaria.
La sentenza Corte Costituzionale  5.5.1984 n. 170  (“Granital”), che rappresenta ancora oggi la più chiara e lineare configurazione del rapporto sistematico fra fonti comunitarie e fonti nazionali, muove dalla premessa che i due ordinamenti – rispettivamente nazionale e comunitario- sono distinti ed autonomi ma coordinati, poiché, in forza dell’art. 11 Cost., sono state trasferite alle istituzioni comunitarie le competenze nazionali relative a determinate materie: pertanto la norma comunitaria connotata dalla immediata applicabilità impedisce alla norma nazionale (sia  anteriore che successiva) contrastante con il diritto comunitario di disciplinare un determinato rapporto controverso, secondo il principio di “integrazione-ritrazione”, pur senza essere nulla né invalida, poiché il diritto interno e quello comunitario operano in ambiti diversi, ferma restando la possibilità del giudice a quo di avvalersi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea per risolvere eventuali questioni interpretative.
Questa prospettiva si discosta dagli enunciati della sentenza Corte Giust. Europea 9.3.1978 C-106/77, nella quale le fonti comunitarie e quelle nazionali vengono configurate come integrate in un solo sistema, ordinato esclusivamente in termini di gerarchia delle fonti.
Infatti, la sentenza costituzionale  n. 170 del 1984 ricostruisce il sistema delle fonti secondo i  criteri della competenza e della equiordinazione per legittimare il potere del giudice di disapplicare la legge ordinaria in contrasto con la norma comunitaria senza necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale, poichè l’effetto diretto della norma comunitaria rende inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma nazionale confliggente.
La Corte Costituzionale afferma quindi la propria competenza residuale sul sindacato della legge di esecuzione del Trattato “in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana” e ribadisce la preminenza di principi irrinunciabili del diritto interno che non ammettono cessioni di quote di sovranità, implicitamente confermando l’adesione alla “dottrina dei controlimiti” richiamata dalla sentenza Corte Cost. n. 183 del 1973.
Sul piano del diritto positivo, il primato delle fonti europee sugli atti aventi forza di legge viene sancito con la Legge costituzionale 18.10.2001 n. 3 che ha modificato l’art. 117 Cost. stabilendo che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.”
La sentenza additiva Corte Costituzionale 24.7.2003 n. 275 si inserisce in un quadro emblematico di “doppia pregiudizialità”: la vicenda processuale origina dall’Ord. Tar Milano Sez. I° 26.7.2002 n. 461 con cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lett. a) della L. 8.11.1991 n. 362 (“Norme di riordino del settore farmaceutico”) che richiama l’art. 9 della L.  2.4.1968 n. 475 (“Norme concernenti il servizio farmaceutico”), per violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non estende alle società che partecipano alla gestione delle farmacie comunali il divieto – previsto per i farmacisti privati- di partecipare all’attività di produzione, distribuzione, intermediazione ed informazione scientifica del farmaco.
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma di legge denunziata  e, quindi, il TAR Milano Sez. 1°, con sentenza 29.9.2004 n. 4195, ha accolto il ricorso annullando il bando di gara per l’affidamento del controllo della società di gestione delle farmacie comunali milanesi e degli atti conseguenti. 
Nel corso del giudizio appello avverso la suddetta sentenza del Tar Milano -proposto sia dalla aggiudicataria sia dal Comune di Milano soccombente- sono stati chiesti la disapplicazione dell’art. 8, comma 1, lett. a) della L. 8.11.1991 n. 362, siccome interpolato dalla sentenza costituzionale, in quanto ritenuta incompatibile con gli articoli 12, 43 e 56 del Trattato Ce e, in subordine, il rinvio  pregiudiziale della questione davanti al giudice comunitario.
Il Consiglio di Stato Sez. V° con dec. 8.8.2005 n. 4207 non ha disposto la chiesta disapplicazione del nuovo testo del precitato art. 8, comma 1, lett. a), della legge 8.11.1991 n. 362 – siccome interpolato dalla sentenza della Corte Costituzionale- ritenendo non direttamente applicabili al caso di specie le disposizioni del Trattato in generale e quelle evocate dagli appellanti e ritenendo non rilevante la questione pregiudiziale interpretativa ex art. 234 del Trattato Ce, affermando che la norma nazionale da interpretare “non scaturisce dall’attività del potere legislativo, ma è il frutto di un giudizio di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 134 della Costituzione” ed evidenziando che  permane “uno spazio giuridico statale del tutto sottratto all’influenza del diritto comunitario, uno spazio nel quale lo Stato continua ad essere interamente sovrano, vale a dire indipendente, e perciò libero di disporre delle proprie fonti normative. È appunto l’area dei diritti fondamentali, la cui tutela funge da insopprimibile “controlimite” alle limitazioni spontaneamente accettate con il Trattato”.
La decisione è stata criticata in dottrina[2] .
Tuttavia la successiva Ord. Corte Cost. 28.12.2006 n. 454 haescluso ogni possibilità di “tutela diffusa” dei “controlimiti” per assicurare un bilanciamento fra l’ordinamento nazionale e quello comunitario, precisando che la discriminazione prospettata dai giudici remittenti in termini di violazione degli artt. 3 e 41 Cost. configura una questione di compatibilità delle disposizioni censurate con norme comunitarie provviste di effetto diretto, quali gli artt. 43 e 49 del Trattato CE, la cui soluzione “assume priorità logica e giuridica rispetto all’incidente di costituzionalità” . 
Una questione di “doppia pregiudizialità” emerge anche dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea, 3° Sezione 4.6.2015 C-5/14 (Kernfraftwerke Lippe-Ems), resa sul seguente quesito sollevato, fra gli altri, dall’organo di giustizia tributaria di Amburgo “Finanzgericht Hamburg”: “Se l’articolo 267, secondo comma e, in combinato disposto, primo comma, lettera b), TFUE autorizzi il giudice di uno Stato membro a sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea delle questioni vertenti sull’interpretazione del diritto dell’Unione dinanzi ad esso sollevate in relazione alla legittimità di una legge nazionale, anche nel caso in cui tale giudice non soltanto – da un lato – dubiti della conformità della legge al diritto dell’Unione, ma anche – dall’altro lato – sia giunto alla convinzione che la legge nazionale contrasta con la Costituzione nazionale ed abbia perciò, nel quadro di una causa parallela, già adito il giudice costituzionale competente in via esclusiva in base al diritto nazionale a statuire sull’illegittimità costituzionale delle leggi, il quale deve però ancora pronunciarsi”.
La sentenza comunitaria ha affermato che l’obbligo previsto dall’ordinamento interno di rivolgersi alla Corte Costituzionale non può privare il giudice nazionale della facoltà/obbligo di proporre un rinvio pregiudiziale sull’interpretazione del diritto comunitario, senza che rilevi la circostanza se la Corte Costituzionale si sia già pronunciata su parametri sostanzialmente corrispondenti alle disposizioni del Trattato rilevanti per la valutazione di compatibilità.
In particolare, ha evidenziato che “sarebbe incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi norma di un ordinamento giuridico nazionale, quand’anche dotata di rango costituzionale, o qualsiasi prassi legislativa, amministrativa o giudiziaria, che producesse l’effetto di sminuire l’efficacia del diritto dell’Unione per il fatto di negare al giudice competente ad applicare quest’ultimo il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disattendere le disposizioni legislative nazionali eventualmente configuranti un ostacolo alla piena efficacia delle norme dell’Unione..”.
La Corte Costituzionale con la sentenza 14.12.2017 n. 269 stessa  un revirement rispetto ai  principi enucleati dalla sentenza della Corte Costituzionale 8.6.1984 n. 170 “Granital”, poiché rivendica un intervento costituzionale erga omnes ogni qualvolta che «la violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei diritti dell’Unione», attraendo così nell’ambito della sua cognizione anche le norme della C.D.F.U.E. dotate di effetti diretti e modificando la stessa prospettiva della sentenza della Corte di Giustizia 9.3.1978 C-106/77-Simmenthal, allorquando  precisa che «laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale» (§ 5.2. del “Considerato in diritto”).
La sentenza Corte Cost. 21.2.2019  n. 20 sviluppa argomentazioni della precedente sentenza n. 269/2017 e, nel § 2.3. del “Considerato in diritto”, precisa: «Resta fermo che i giudici comuni possono sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria», confermando che, in caso di rigetto della questione di legittimità costituzionale, il giudice può proporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea anche in relazione ai profili di contrasto tra la norma nazionale ed i diritti tutelati dalla C.D.F.U.E., già esaminati e respinti dalla Corte Costituzionale, ampliando così l’eccezione introdotta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 269/2017 alla nota sentenza costituzionale n.170 del 1984 “ Granital” ed estendendola sino a ricomprendervi anche i casi in cui la norma nazionale sembri in contrasto con altre fonti del diritto europeo primario e derivato, che siano soltanto in connessione con i diritti tutelati dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, delineando, quindi, un sistema nel quale la tutela delle posizioni soggettive euro-unitarie risulta accentrata presso la Corte Costituzionale.
La successiva sentenza Corte Cost. 21.3. 2019 n. 63 precisa cheil giudice mantiene il potere  di «non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta» ed aggiunge: «laddove però sia stato lo stesso giudice comune a sollevare una questione di legittimità costituzionale che coinvolga anche le norme della Carta, questa Corte non potrà esimersi, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, dal fornire una risposta a tale questione con gli strumenti che le sono propri»   (§ 4.3. del “Considerato in diritto”).
Il revirement viene attenuato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 10.5.2019 n. 112 e  con l’Ordinanza 10.5.2019 n. 117, entramberese in esito alla Ord. Corte Cass. Sez. 2 Civile 16.2.2018 n. 383 che aveva sollevato due distinte questioni di legittimità costituzionale anche con riferimento al parametro interposto della C.D.F.E., relativamente agli artt. 187-sexies e 187-quinquiesdecies del D. L.gs. 24.2.1998 n.58 “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”.
La suddetta sentenza n. 112/2019 afferma «l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale prospettate con riferimento agli artt. 17 e 49 Cdfue, per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.: questioni che questa Corte ha il compito di vagliare, essendo stata a ciò sollecitata dal giudice a quo» (§ 7 “Considerato in diritto”).
La sentenza Corte di Giustizia Europea Grande Sezione 2.2.2021 causa C-481/19, resa a seguito dell’Ordinanza Corte Cost.  10.5.2019 n. 117 ha affermato che, tra le garanzie previste dagli artt. 47 e 48 CDFUE, rientra il diritto della persona fisica coinvolta in un procedimento di indagine della CONSOB di non rispondere alle domande dell’autorità amministrativa.
La questione è stata poi esaminata dalla sentenza Corte Costituzionale 30.4.2021 n. 84 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 187 quinquiesdecies (dopo quella dell’art. 187 sexies) «nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato», alla luce della interpretazione del diritto comunitario resa dalla Corte di Giustizia Europea, poiché tale garanzia è fondata sull’art. 24 Cost., sull’art. 6 CEDU e sugli artt. 47 e 48 CDFUE.

3. Recenti pronunce della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale con Ord. 30.7.2020  n. 182 ha continuato il “dialogo” con la Corte di Giustizia Europea, proponendo il rinvio pregiudiziale con riferimento alla questione – già esaminata dalla Commissione Europea nella procedura d’infrazione n. 2019/2100 con “messa in mora” dell’Italia- relativa alle prestazioni sociali accessibili ai cittadini di Paesi terzi, titolari di alcune categorie di permessi di soggiorno per lavoro, studio e ricerca, per cui, previa riunione delle questioni relative agli assegni di natalità ed agli assegni di maternità, entrambi richiedenti il “permesso di soggiorno UE”- ha chiesto se, in base alla Direttiva 2011/98/UE  che estende ai titolari di permesso unico le prestazioni sociali garantite ai cittadini europei,  possano essere annoverati o meno gli assegni di natalità e maternità tra le garanzie riconducibili all’art. 34 della Carta dei Diritti Fondamentali su sicurezza ed assistenza sociale.
La Corte di Giustizia Europea Grande Sezione con sent. 2.2.2021 causa C-481/19 hareso una soluzione nonimperniata sulla portata dell’art. 34 CDF “letto alla luce del diritto secondario”, ma sulla qualificazione delle prestazioni.
Ilgiudice comunitario ha precisato che, poiché l’Italia non si è avvalsa della facoltà -garantita dall’art. 12, lett. b) della Direttiva 2011/98/UE- di limitare le prestazioni previdenziali a favore dei cittadini di Paesi terzi in sede legislativa di recepimento, la legge è incompatibile con la medesima Direttiva nella parte in cui non estende ai cittadini in possesso del permesso unico le provvidenze previste a favore dei cittadini titolari di permesso di soggiorno dell’Unione Europea .
Nella medesima fattispecie è intervenuta la sentenza Corte Cost. 4.3.2022 n. 54 che ha richiamato  l’esigenza di leale collaborazione fra Corti per una tutela giurisdizionale effettiva, specie in presenza di un nesso inscindibile fra i principi ed i diritti evocati dal giudice a quo e quelli riconosciuti dalla Carta dei Diritti Fondamentali (Carta di Nizza) – i quali  sono “arricchiti” dal diritto secondario rappresentato dalle direttive- poiché i principi costituzionali e le garanzie sancite dalla Carta si integrano a vicenda determinando un potenziamento  degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali.
La sentenza richiama l’art. 34 CDF nella parte in cui prevede che i Diritti Fondamentali sono tutelati anche sulla base delle “legislazioni e prassi nazionali” ed afferma che l’integrazione si realizza nell’ «assicurare una tutela sistemica, e non frazionata, dei diritti presidiati dalla Costituzione, anche in sinergia con la Carta di Nizza, e di valutare il bilanciamento attuato dal legislatore, in una prospettiva di massima espansione delle garanzie».
La Corte Costituzionale con sent. 30.7.2021 n. 182 ribadiscedi doversipronunciare “con gli strumenti che le sono propri” allorquando il giudice a quo evochi disposizioni sovranazionali a tutela di diritti fondamentali garantiti anche dalla Costituzione ed “ove non ricorrano i presupposti della non applicabilità della normativa interna contrastante con quella europea”,  previo eventuale rinvio pregiudiziale comunitario.
Infine, la sentenza Corte Costituzionale 11.3.2022 n. 67 ha disapplicato l’art. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 69 del 1988,dichiarando inammissibili per difetto di rilevanza le questioni sollevate.
Essa è intervenuta dopo che la sentenza della Corte di Giustizia Europea, 5° Sezione, INPS c WS, pronunziatasi sulla questione sollevata con Ord. Corte di Cassazione- Sezione Lavoro 8.4.2021 n. 110, ha dichiarato che l’art. 11, par. 1, lett. d), della Direttiva 2003/109/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione come l’art. 2, comma 6-bis, della legge n. 153 del 1988, che  esclude dalla composizione del nucleo familiare il coniuge nonché i figli ed equiparati di cittadino di Paese terzo che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica italiana, salve reciprocità o convenzione internazionale -non essendosi lo Stato Italiano avvalso della deroga consentita dall’art. 11, paragrafo 2, della medesima Direttiva 2003/109/CE in sede legislativa di recepimento- ed ha evidenziato che “ Il principio del primato del diritto dell’Unione e l’art. 4, paragrafi 2 e 3, TUE costituiscono dunque l’architrave su cui poggia la comunità di corti nazionali, tenute insieme da convergenti diritti e obblighi” e che “ In tale sistema il sindacato accentrato di costituzionalità, configurato dall’art. 134 Cost., non è alternativo a un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo (sentenza n. 269 del 2017, punti 5.2 e 5.3 del Considerato; sentenza n. 117 del 2019, punto 2 del Considerato), ma con esso confluisce nella costruzione di tutele sempre più integrate”.
Tuttavia, si può ritenere che, avendo l’Ord. Cass. 8.4.2021 n. 110 sollevato la questione di legittimità costituzionale richiamando i parametri comunitari senza indicare la violazione di norme costituzionali diverse dagli artt. 11 e 117 Cost e della C.D.F.U.E. la questione non sia di “doppia pregiudizialità” in senso stretto.  
Nelle ultime pronunce Corte Costituzionale sembra voler superare il revirement del 2017-2019 e tornare ai principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia “Simmenthal” e dalla propria sentenza n. 170 del 1984 “Granital”.

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Accesso e funzione extraprocessuale del sindacato di legittimità costituzionale e della sua motivazione. Proposte di lettura

Il tema della oggettività e della soggettività del sindacato costituzionale, in quanto raffronto oggettivo fra fonti gerarchicamente ordinate ovvero contenzioso concreto in termini di legalità costituzionale, è argomento di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sia nel diritto italiano sia nel diritto comparato. Se da una parte vi è un rapporto di consonanza fra la dimensione soggettiva del contenzioso costituzionale e la garanzia oggettiva della Costituzione, tuttavia nelle società pluralistiche l’analisi di tale sindacato non può ridursi al determinismo normativo della risoluzione del caso concreto ove è da considerare che il controllo giurisdizionale di costituzionalità, e le argomentazioni presenti nella parte motiva della decisione, costituiscono degli elementi chiave di quel procedimento di consolidamento del compromesso costituzionale paragonabili, nel pur diverso procedimento legislativo, alla formazione discorsiva dell’opinione e della volontà che trasforma l’istanza giuridica da imposizione maggioritaria in strumento di mediazione. Oggettività/soggettività del sindacato costituzionale è tema collegato alla differenziazione fra modelli di controllo di costituzionalità orientati ad assicurare che, nell’applicazione concreta del diritto, non vengano lesi diritti e libertà costituzionalmente garantiti, e modelli di giustizia ove il controllo è interpretato in senso più ampio come un mezzo finalizzato a garantire la conformità dell’ordinamento giuridico alla volontà costituzionale. La dicotomia detta richiama alla mente la contrapposizione fra controlli astratti e controlli concreti; tuttavia, la rigidità della corrispondenza fra controllo astratto e garanzia “in astratto” e controllo concreto e garanzia “in concreto” necessita di essere sfumata essendo evidente che tutti i modelli di giustizia costituzionale sembrano perseguire entrambe le finalità bilanciandole di volta in volta fra loro. Più che il modello di controllo, dunque, è la tipologia di accesso a fungere da elemento condizionante della (rectius: costituire elemento inscindibilmente collegato alla) funzione attribuita alla giustizia costituzionale in un determinato procedimento e finisce per connotare a cascata tutta una serie di elementi tecnici del sindacato dal suo instaurarsi sino alla scrittura della decisione. L’accesso diviene, pertanto, il punto di vista privilegiato dal quale affrontare il tema della (maggiore o minore carica di) oggettività o soggettività del sindacato costituzionale che in effetti costituiscono il presupposto necessario per una valutazione circa la natura del medesimo, la sua motivazione e la funzione extraprocessuale di quest’ultima. Laura Fabiano Professore Associato di Diritto pubblico comparato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Pamela Martino Professore Ordinario di Diritto pubblico comparato presso il Dipartimento Jonico in “Sistemi giuridici ed economici del Mediterraneo: società, ambiente, culture” dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

Laura Fabiano, Pamela Martino | Maggioli Editore 2022

  1. [1]

    La dottrina dei controlimiti elaborata dalla giurisprudenza costituzionale postula l’intangibilità dei principi supremi e dei diritti fondamentali dell’ordinamento costituzionale dello Stato, in quanto nucleo estremo che ne plasma l’identità.

  2. [2]

    La decisione Cons.  Stato Sez. V 8.8.2005 n. 4207 è stata criticata particolarmente da Anselmo Barone: “La tutela dei contro limiti fra principi e suggestioni” –  03/08/2007

Fabio Cacurri

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