Il disegno di legge sulla legittima difesa approvato dal Senato italiano il 24/10/2018 e la possibilità di una difesa domiciliare sempre legittima

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Il DDL sulla legittima difesa, così come licenziato dal Senato italiano nella seduta del 24 ottobre 2018: le riflessioni che suscita.

Il DDL sulla legittima difesa, così come licenziato dal Senato italiano nella seduta del 24 ottobre 2018: le riflessioni che suscita.
Il 24 ottobre scorso è stato approvato dal Senato della Repubblica il disegno di legge(1) AS n. 5 (T.U.), intitolato “Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa” e risultante dall’unificazione dell’originario disegno di legge di iniziativa popolare, AS n. 5, con i DDL di cui ai nn. 199, 234, 253, 392, 412, 563 e 652, di iniziativa parlamentare.
Come prevede chiaramente l’intitolazione che gli è stata data in seguito alla predetta unificazione, il disegno in commento, ad oggi inviato alla Camera per il relativo esame (2) (dunque, non accora approvato in via definitiva), si prefigge lo scopo di introdurre modifiche specifiche all’interno del vigente Codice penale, quasi tutte aventi ad oggetto l’istituto della scriminante prevista dall’art. 52 del medesimo codice, ossia la causa di giustificazione della c.d. legittima difesa.
Salve infatti le modifiche che la predetta proposta legislativa apporta in materia di Patrocinio a spese dello Stato (D.P.R. n. 115/2002), con riferimento ai procedimenti in cui viene chiamato in gioco proprio l’istituto della legittima difesa, nonché le modifiche che dovrebbero riguardare l’inasprimento sanzionatorio per i reati di furto in abitazione (3) , rapina e violazione di domicilio, il cuore della novella ben può essere individuato nelle disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 del disegno in parola, i quali – per l’appunto – prevedono la modifica delle disposizioni codicistiche di cui agli artt. 52 e 55 c.p.; ossia, da una parte, modifica della scriminante della legittima difesa, mentre – dall’altra – l’intervento sulla disciplina del c.d. eccesso colposo, con riferimento ai casi in cui lo straripamento dai limiti della causa di giustificazione riguardi appositamente la scriminante della legittima difesa.

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Orbene, il DDL appena licenziato dal Senato della Repubblica prevedrebbe, con riferimento all’art. 52 c.p., che il nuovo testo della disposizione in parola divenga il seguente(4) :
«Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa» (comma 1);
«Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, [del Codice penale] sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione» (comma 2);
«La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale» (comma 3);
«Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone» (nuovo comma 4 dell’art. 52 c.p., che il disegno di legge sulla legittima difesa vorrebbe introdurre).
Come ben si può notare leggendo le parti in grassetto del testo riportato sopra, il disegno di legge in questione, da una parte, interverrebbe cercando di rafforzare quella presunzione di proporzione che, con riferimento alla c.d. difesa domiciliare, era già stata introdotta con la legge n. 59/2006(5); dall’altra, invece, detta proposta legislativa vorrebbe introdurre un’ulteriore presunzione all’interno dell’articolo 52 c.p., inedita rispetto all’attuale formulazione dell’istituto, in base alla quale sarebbe sempre da considerarsi in stato di legittima difesa colui che, legittimamente presente all’interno del proprio o dell’altrui domicilio (da intendersi in senso ampio, come previsto dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’articolo in parola), agisca al fine di respingere l’intrusione posta in essere dal malintenzionato di turno con violenza o minaccia.

Se si analizzano separatamente le due succitata innovazioni che il DDL sulla legittima difesa prevede di inserire all’interno dell’art 52 del Codice penale, si può notare, anzitutto, come, con riferimento al voluto “rafforzamento” della presunzione di proporzione tra azione offensiva e difensiva (nei casi di legittima difesa domiciliare), l’introduzione dell’avverbio di tempo sempre non possegga forza e valore sufficienti a mutare, nel modo probabilmente auspicato dai promotori e firmatari del disegno in questione, la portata applicativa dell’istituto.

La legittima difesa, infatti, come chiaramente si evince dalla formulazione del primo comma dell’art. 52 c.p. (che racchiude in sé la “regola generale” – così potremmo definirla – che governa l’applicazione dell’istituto in parola), ruota essenzialmente attorno a tre elementi: a) necessità di porre in essere la reazione difensiva, rispetto ad una condotta aggressiva che punta a ledere una posizione giuridica soggettiva specifica (ossia, un diritto) propria od altrui; b) l’esistenza di un pericolo attuale che grava su quel diritto soggettivo, e che rischia verosimilmente di concretarsi in un’offesa ingiusta rispetto al bene giuridico che si vuole tutelare attraverso la propria reazione difensiva; c) il rapporto di proporzione tra offesa (minacciata) e difesa (azionata).

Possiamo rilevare che, in linea generale, sussiste proporzione tra azione offensiva e reazione difensiva quando la difesa si pone in rapporto di non manifesto disequilibrio con l’offesa minacciata, sia per quanto riguarda la relazione tra mezzi a disposizione di colui che pone in essere la condotta reattiva e mezzi effettivamente utilizzati, sia – soprattutto – con riferimento ai beni giuridici che si trovano contrapposti nel caso specifico (non potendo infatti essere, il bene giuridico altrui che viene sacrificato per la difesa del proprio diritto, di levatura superiore rispetto a quest’ultimo).

La novella del 2006 è intervenuta su questo specifico requisito, introducendo una presunzione iuris et de iure di proporzionalità tra offesa minacciata e reazione attuata attraverso l’uso di un’arma (legittimamente detenuta) o di un altro mezzo di coazione fisica, quando la necessità di autodifesa sorga all’interno di uno dei luoghi individuati dall’art. 614 c.p. (6), ovvero in uno dei luoghi dove viene esercitata un’attività commerciale, imprenditoriale o professionale(7) , e si debba difendere l’incolumità personale oppure i beni patrimoniali propri od altrui, laddove – con specifico riferimento a quest’ultima ipotesi – la condotta aggressiva rappresenti comunque un rischio per l’incolumità fisica delle persone legittimamente presenti sul posto(8).

Ma, così come abbiamo avuto modo di rilevare sopra, il requisito della proporzione tra offesa e difesa non esaurisce il novero dei presupposti necessari per potersi valere dell’istituto in parola.

Il fulcro del sistema, invero, si ritiene possa dirsi innestato sulla diade attualità del pericolo (di un’offesa ingiusta)- necessità della difesa, la quale rappresenta la vera “cartina di tornasole” della legittima difesa.
Prima ancora che in termini di equilibrio tra mezzi utilizzati e mezzi a disposizione, ovvero della comparazione tra bene giuridico attinto dalla reazione difensiva e bene giuridico minacciato dalla condotta aggressiva, l’individuazione dei casi di legittima difesa passa infatti per la corretta ricostruzione del caso concreto, finalizzata a comprendere due cose:
a) se effettivamente la minaccia al bene giuridico di colui che invoca l’esimente in parola sussistesse nel momento preciso in cui quest’ultimo ha attuato la propria condotta difensiva, nonché se detto stato di pericolo sia altresì perdurato per tutto il periodo di tempo in cui detta condotta difensiva ha trovato materiale estrinsecazione (attualità del pericolo)(9) ;
b) se colui che invoca la legittima difesa fosse stato o meno nelle condizioni di scegliere una modalità di tutela del proprio (o dell’altrui) diritto che non avrebbe comportato la lesione del bene giuridico del soggetto che ha attuato la condotta aggressiva iniziale (necessità di difendersi).
Se anche uno solo di questi due requisiti non si rinviene integrato nel caso concreto, allora, senza la necessità che si compia la comparazione delle due condotte (attiva e reattiva) per valutarne il rapporto di proporzione, si potrà ragionevolmente concludere per l’impossibilità di ricondurre il fatto all’ipotesi scriminante de qua.

Anche la novella del 2006, non modificando i due presupposti dell’attualità del pericolo e della necessità della difesa, ma introducendo soltanto una presunzione di proporzionalità tra azione e reazione, non aveva alterato questa progressione valutativa funzionale ad indirizzare il fatto nell’alveo applicativo della legittima difesa. Detta legge aveva agito soltanto con riferimento al meccanismo che si poneva – potremmo dire – a valle del ragionamento da ultimo espresso, e che semmai appare funzionale a discernere tra eccesso colposo ed eccesso doloso nell’ambito dell’istituto in parola.

Perciò, anche per quelle condotte che trovano estrinsecazione all’interno del domicilio, il lecito uso dell’arma legittimamente detenuta (o del diverso mezzo di coazione fisica) non può – e non potrà neanche un domani, salvo che non si intervenga sulla disposizione del comma primo dell’art. 52 c.p., mutando la formulazione essenziale dell’istituto – prescindere dall’accertamento della sussistenza dei due presupposti summenzionati; e ciò, indipendentemente da dove i fatti trovano materiale estrinsecazione (che sia al di dentro ovvero al di fuori di quei luoghi che la legge considera privato domicilio).
Orbene, ragionando in questi termini, la prevista introduzione dell’avverbio di tempo “sempre” nell’ambito del comma 2 dell’art. 52 c.p. non pare poter sortire alcun effetto sostanziale sul piano applicativo. Già con l’attuale formulazione, infatti, l’uso di un’arma all’interno del proprio domicilio, per proteggere la propria o l’altrui incolumità personale (sia come esclusivo bene da proteggere, che come obiettivo di tutela collaterale rispetto ai beni patrimoniali verso cui la condotta aggressiva è precipuamente diretta)(10) , resterebbe sempre sottratto al giudizio di proporzionalità tra offesa e difesa, e – di conseguenza – detto tipo di condotta, laddove mantenuta all’interno dei binari della necessità difensiva legata ad un pericolo attuale per i propri diritti soggettivi, non configurerebbe mai un’ipotesi di eccesso di legittima difesa punibile.

L’innovazione legislativa appena analizzata, dunque, pare avere più una funzione politica, di affermazione di un concetto (il cittadino deve potersi sentire sicuro di agire nel lecito quando, all’interno della propria abitazione, protegge sé stesso od i propri cari), che valenza giuridica.
Anche laddove venisse approvata pedissequamente questa modifica, infatti, per il nostro ordinamento la difesa non potrebbe mai considerarsi “sempre legittima”(11) , neanche all’interno del domicilio; essa sarà invece effettivamente legittima solo laddove rappresenti l’unico modo per scongiurare un rischio, oggettivo ed attuale, di un’offesa ingiusta rispetto al bene primario dell’incolumità personale.

Questo per quanto riguarda l’innesto previsto all’interno del comma secondo dell’art. 52 c.p. dall’art. 1 del DDL in commento.

L’analisi merita un momento di riflessione maggiore in relazione alla previsione di inserimento, sempre nell’ambito dell’art. 52 c.p., di un nuovo, inedito comma quarto: «Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone».
Questo ulteriore capoverso dell’art. 52 c.p. non si limiterebbe, infatti, a stabilire una presunzione di (mera) proporzione tra una condotta attiva ed una reattiva, così come era stato fatto con la novella del 2006, ma parrebbe prefiggersi – almeno, ad un primo sguardo – l’obiettivo di sollevare il giudice da ogni valutazione in punto di necessità della difesa e di attualità del pericolo, con riferimento a quei casi in cui la legittima difesa domiciliare verrebbe azionata in relazione a condotte di intrusione violenta ovvero posta in essere con minaccia avente ad oggetto l’uso di armi od altro tipo di coazione fisica.

L’espressione «agisce sempre in stato di legittima difesa» non sembra, infatti, lasciare molti margini valutativi all’interprete.
L’asserzione precedente, tuttavia, risulta fondata solo in apparenza. Ciò, lo si può rilevare qualora si ponga il fuoco dell’attenzione sulla scelta, fatta propria dal Senato della Repubblica in sede di approvazione del testo unificato del DDL AS n. 5, di utilizzare espressamente, per costruire la presunzione di sussistenza dello stato di legittima difesa, il verbo respingere in luogo di altri.

Respingere, infatti, significa, letteralmente, ricacciare indietro qualcuno o qualcosa. Orbene, potrà sembrar banale, ma per poter essere ricacciato indietro da parte di colui che invoca la scriminante de qua, quel qualcuno o quel qualcosa deve trovarsi, nel momento in cui viene posta in essere la condotta difensiva, ancora in fase di compimento della propria azione aggressiva; deve quindi sussistere, nel momento esatto in cui si attua la legittima difesa ai sensi del previsto nuovo quarto comma dell’art. 52 c.p., uno stato di pericolo attuale che interessa il bene giuridico che con la reazione difensiva si vuole preservare.

Ma vi è di più. La condotta di respingere, non solo presuppone che sussista un pericolo attuale di aggressione del proprio diritto, ma postula inoltre che la reazione sia esclusivamente funzionale alla immediata rimozione del pericolo. L’atto del respingere richiede dunque che la reazione di colui che invoca la legittima difesa sia anche necessaria a contenere, nell’immediatezza, l’aggressione che viene portata al proprio diritto soggettivo, e che non si spinga oltre. Al di là del necessario, infatti, sta la ritorsione, non la difesa.

Quindi, anche con riferimento a questo secondo aspetto, il DDL sulla legittima difesa approvato dal Senato lo scorso 24 ottobre non sembra apportare grandi innovazioni; quantomeno, non nel senso di dispensare colui che invoca la legittima difesa domiciliare dal dover dimostrare di aver agito nell’assoluta necessità di scongiurare un pericolo attuale di un’offesa ingiusta rivolta (direttamente, ovvero anche solo incidentalmente) alla propria persona od a quella di un altro soggetto legittimamente presente all’interno del domicilio.

Meno significative appaiono le questioni che potrebbero esser fatte sul concetto di “violenza” utilizzato nella formulazione della ipotesi contemplata da detto nuovo, ipotetico comma quarto dell’art. 52 c.p.
Posto che la seconda modalità di estrinsecazione che deve connotare la condotta di intrusione nel domicilio, al fine di attivare la “presunzione” di legittima difesa qui considerata, ossia la minaccia, deve esprimere obiettivamente una potenzialità offensiva dei beni primari dell’integrità fisica e della vita di colui che pone in essere la legittima reazione difensiva (minaccia di uso di armi od altro mezzo di coazione fisica), il dettato letterale della nuova disposizione che il DDL in parola vorrebbe introdurre lascerebbe aperta la possibilità che la condotta di intrusione violenta possa essere intesa come azione violenta rivolta anche solo contro le cose (ad esempio, il mero scassinamento della porta blindata che ostacola l’ingresso nell’abitazione).

La questione cade se si segue il ragionamento sopra espresso, poiché l’aggressione deve comunque esprimere un pericolo attuale di offesa all’incolumità fisica della persona che pone in essere la reazione difensiva, ma – poiché il testo di legge è ancora in fase di formazione – rilevare anche questa possibile fonte di futuri dubbi ed incertezze applicative potrebbe comunque ritenersi in qualche maniera utile.
Tralasciando quelle che sono le modifiche che si intenderebbe introdurre con riferimento alle regole di priorità che governano la trattazione dei processi, nonché quelle relative alle conseguenze civilistiche legate all’eccesso colposo correlato al “nuovo” tipo di legittima difesa domiciliare, ci premeva concludere la presente riflessione andando ad analizzare il disposto dell’art. 2 del DDL AS n. 5 T.U.- AC n. 1309.

La disposizione dell’art. 2 del DDL in questione recita: «Dopo il primo comma dell’articolo 55 del codice penale è aggiunto il seguente: “Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, primo comma, numero 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”».
La norma di riferimento, al cui interno si prevede di effettuare l’inserimento di un inedito comma 2, è l’art. 55 c.p., che disciplina i casi di c.d. eccesso colposo relativo alle scriminanti.
Attualmente detto articolo prevede: «Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo».

Il nuovo comma 2, che l’attuale DDL sulla legittima difesa vorrebbe introdurre, avrebbe dunque lo scopo di creare una specifica causa di non punibilità (strictu sensu), operante in tutti i casi di eccesso di legittima difesa domiciliare.
Ora, che si tratti di causa di non punibilità, e non di scriminante, ce lo fa intendere chiaramente lo stesso DDL in commento. E ciò, per due ragioni:
1) per una ragione sistematica – in quanto la disposizione in questione viene inserita nell’ambito dell’art. 55 c.p. e non all’interno della sopraddetta disposizione dell’art. 52 del medesimo codice, facendo così intendere che, attraverso essa, si voglia esclusivamente inibire quel meccanismo (sanzionatorio) di automatica riconduzione del fatto alla disciplina dei delitti colposi;
2) per una ragione di coerenza interna alla stessa proposta di legge – in quanto, con la modifica normativa prevista all’art. 7 del DDL in commento, detto disegno si preoccupa di attribuire natura di indennità al ristoro previsto nei confronti di colui che risulta essere danneggiato dalla condotta difensiva eccedente i limiti scriminanti (si attribuisce espressamente natura indennitaria a detto tipo di emolumento, a fronte di una disciplina – come quella attuale dell’art. 2044 c.c – che esclude tout court un risarcimento nelle ipotesi di piena legittima difesa, per evitare che detto comportamento, che comunque nasce con carattere difensivo, esiti in un’obbligazione di risarcimento del danno da reato, correlata al delitto colposo materialmente posto in essere).

Con la disposizione dell’art. 2 del DDL AS n. 5 T.U., il legislatore avrebbe quindi intenzione di mandare esente colui che ha agito in eccesso colposo di legittima difesa esclusivamente dalla sanzione criminale prevista per la fattispecie colposa venutasi ad integrare per effetto del meccanismo di equiparazione contemplato dall’art. 55 c.p. (limitandone, al contempo, l’esposizione a ripercussioni negative sul piano civilistico, per effetto del nuovo comma 3 dell’art. 2044 c.c.).
Su questa nuova causa di non punibilità v’è, tuttavia, da chiarire un punto.
Sin dalla novella del 2006, infatti, con riferimento alle ipotesi di legittima difesa domiciliare, il legislatore ha agito in modo tale da far sì che, laddove fossero sussistenti i due presupposti preliminari della attualità del pericolo e della necessità di difendersi, operasse una presunzione legale di proporzionalità tra azione offensiva e reazione difensiva.

Oggi, peraltro, si vorrebbe attribuire ancor più pregnanza (da un punto di vista politico, probabilmente) a detta presunzione; la disposizione dell’art. 52 comma 2 c.p., per come il presente disegno di legge vorrebbe che fosse riscritta, avrebbe infatti cura di specificare che, nel caso della difesa domiciliare, «sussiste sempre il rapporto di proporzione [tra difesa ed offesa]».
Ora, il caso del c.d. eccesso colposo di legittima difesa postula che, in una situazione che integra astrattamente tutti gli elementi essenziali della predetta causa scriminante, il soggetto che pone in essere la condotta difensiva ne travalichi colposamente i limiti fissati dalla legge.

Bene. Anche se – astrattamente – il concetto di «limiti stabiliti dalla legge» potrebbe integrare uno qualunque dei caratteri essenziali delle scriminanti per cui opera la disposizione dell’art. 55 c.p., non si può non tenere in considerazione che i due requisiti della necessità di difendersi e dell’attualità del pericolo – che costituiscono il discrimen primario tra fatti che rientrano nell’alveo applicativo della legittima difesa e fatti che ne restano, indubitabilmente, al di fuori – presuppongono un ragionamento esclusivamente di tipo binario, declinato in termini di loro sussistenza ovvero insussistenza nel caso concreto. Detti requisiti, infatti, non contemplano alcuna soglia che possa essere colposamente valicata da parte di chi agisce difendendo un proprio diritto soggettivo; o detti elementi esistono concretamente, ed allora il soggetto agisce – salvo il rapporto di proporzionalità, che però è presunto ex lege con riferimento ai casi di legittima difesa domiciliare – sotto l’egida dell’art. 52 c.p., oppure non sussistono (ed allora si farà, semmai, questione di possibile sussistenza della c.d. scriminante putativa, contemplata dal quarto comma dell’art. 59 c.p., non certo di eccesso colposo di legittima difesa).

Se tanto è vero, allora le uniche ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa potranno aversi nei soli casi in cui, agendo in presenza di un pericolo attuale di un’offesa ingiusta ad un proprio diritto soggettivo (attualità del pericolo), nella contestuale impossibilità di intraprendere un comportamento diverso dalla reazione difensiva (necessità di difendersi), si agisca una condotta reattiva sproporzionata (nei mezzi o nelle modalità esplicative) rispetto alla condotta aggressiva che si aveva intenzione di respingere(12).

Ma l’ipotesi della sproporzione è stata tuttavia esclusa, con riferimento ai casi di legittima difesa domiciliare, dallo stesso legislatore del 2006, il quale – come sopra rilevato – ha introdotto, attraverso il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 52 c.p., una presunzione assoluta di proporzione tra reazione difensiva ed azione offensiva.
Chi si difende all’interno del proprio domicilio, quindi, non opera mai in condizione di eccesso colposo ex art. 55 c.p. (ferma restando, naturalmente, l’effettiva sussistenza degli ulteriori requisiti essenziali della legittima difesa: pericolo attuale e necessità difensiva); questi, o compie una condotta che è scriminata direttamente dall’art. 52 c.p. (anche in combinato disposto con l’art. 59 co. 4 c.p.), oppure rimane – a causa di un proprio errore inescusabile compiuto in sede di valutazione dell’esistenza dei due presupposti essenziali predetti, ovvero a causa del proprio eccesso doloso commesso in fase esecutiva – al di fuori dell’area applicativa della scriminante in parola (e quindi anche al di fuori della disciplina sull’eccesso colposo).

Se quanto sopra è corretto, allora della nuovissima causa di non punibilità che il DDL in commento vorrebbe introdurre al comma secondo dell’art. 55 c.p., formulata in modo tale da operare negli esclusivi casi di (ipotetica) legittima difesa domiciliare, non se ne riesce a vedere né utilità né il concreto ambito applicativo. Si tratta, probabilmente, di una norma destinata a rimanere solo sulla carta; ciò, a patto che – è persino scontato ammetterlo – venga mantenuta la medesima formulazione (e la medesima collocazione sistematica che gli si vorrebbe dare oggi) anche dopo il passaggio dall’aula di Palazzo Montecitorio.

Concludendo

Per come risulta ad oggi scritto, questo DDL sulla legittima difesa non sembra capace di introdurre stravolgimenti nella disciplina dell’istituto in parola. Anzi, tutt’altro. A dispetto degli slogan (sicuramente d’effetto) che stanno accompagnando l’iter parlamentare della proposta legislativa in commento, quale quello secondo cui la difesa deve essere sempre legittima, la causa di giustificazione prevista dall’art. 52 c.p. parrebbe poter conservare – qualora il testo di legge finale rimanesse lo stesso del DDL che è stato licenziato dal Senato lo scorso 24 ottobre – tutti quegli “anticorpi” ermeneutici funzionali a scongiurare eventuali derive applicative dell’istituto.
I requisiti essenziali della attualità del pericolo e della necessità difensiva, vero discrimen funzionale a stabilire dove comincia e dove finisce l’ambito operativo della legittima difesa, non risultano difatti attinti dalle variazioni che il progetto di modifica legislativa si propone – ad oggi – di apportare. Né la previsione d’inserimento di un inedito comma quarto nella disposizione dell’art. 52 c.p., in base al quale la condotta di respingimento di un’intrusione domiciliare armata o violenta sarebbe sempre da ricondurre all’interno della causa di giustificazione della legittima difesa, pare poter ribaltare efficacemente questo assunto.
L’uso da parte del legislatore del termine respingere, infatti, che letteralmente significa ricacciare indietro qualcuno o qualcosa, non si ritiene possa avallare un’applicazione della norma che prescinda dal rinvenimento, nel caso concreto, dei due requisiti minimi che sono richiesti dal comma primo della disposizione dell’art. 52 c.p. Ossia, appunto, attualità del pericolo e necessità della condotta difensiva.
Chi respinge qualcuno o qualcosa, infatti, agisce nei confronti di una situazione che – necessariamente – si trova ancora in corso di svolgimento (quindi, attualità del pericolo). Ed ancora: l’agire per respingere qualcuno o qualcosa implica che ci si muova laddove ciò sia indispensabile a far fronte a detta situazione di rischio concreto (dunque, anche necessità della difesa).
Fuori da questo ambito di stretta necessità, difatti, non si agisce più per respingere l’azione aggressiva, ma – casomai – per prevenire un eventuale pericolo di offesa ingiusta o per vendicarsi di una condotta che si ritiene esser stata lesiva di un nostro diritto.
Questo, almeno, è quanto ci sembra possa esser tratto in seguito a questa prima analisi del disegno di riforma sulla legittima difesa. Non vi saranno delle vere certezze per l’uomo della strada che – in questo periodo storico – invoca maggiore sicurezza, almeno in casa propria; non vi si ravvisa quello stato di apocalittico Far West che potrebbe rievocare alla mente un progetto di riforma che si prefigge lo scopo di allargare il margine dell’autodifesa privata all’interno del nostro ordinamento giuridico.
Ci si vede soltanto una materia molto complessa da ritoccare, che – sicuramente – merita un ampio dibattito parlamentare volto a valorizzare al meglio la delicatezza di un bilanciamento di interessi che involge beni giuridici assolutamente primari, quali l’incolumità personale e la vita stessa dei soggetti che si inseriscono nella dinamica azione-reazione che sta alla base della previsione dell’art. 52 c.p.

Note

[1]       D’ora in avanti indicato anche semplicemente attraverso l’acronimo DDL.

[2]       Per chi fosse interessato a seguire l’iter del disegno in parola presso l’altro ramo del Parlamento italiano, si v. AC n. 1309 – XVIII Legislatura, disponibile sul sito istituzionale della Camera dei Deputati: www.camera.it.

[3]       Con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 624 bis c.p., invero, non verrebbe previsto solo il generalizzato innalzamento, nel minimo e nel massimo, della pena edittale prevista per detta ipotesi di reato, ma verrebbe anche introdotto un vincolo esplicito all’esercizio della facoltà riservata al giudice di concedere, con la condanna, la sospensione condizionale della pena (artt. 163 ss. c.p.). L’art. 3 del DDL AS n. 5 T.U. (AC n. 1309), andando a modificare l’art. 165 del codice penale, vorrebbe infatti che, in caso di condanna per l’ipotesi di reato di cui all’art. 624 bis c.p., la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena sia sempre «subordinata al pagamento integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa». Detta proposta di modifica, a dir il vero, non ci sembra convincente, in quanto vorrebbe inserire – sulla scorta di quanto già fatto nel 2015, per i reati contro la Pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali – un automatismo preclusivo che, tuttavia, non appare fondato su elementi razionali e funzionali a rendere le figure criminose del furto in  abitazione e del furto con strappo meritevoli di un trattamento differenziato (deteriore) rispetto ad altre fattispecie che ledono con eguale intensità il medesimo bene giuridico (ossia, il patrimonio della vittima; si pensi alle ipotesi di furto “semplice” od aggravato, che però non vengano poste all’interno di un privato domicilio oppure che non integrano uno scippo), o – addirittura – che si presentano lesive di un bene giuridico gerarchicamente sovraordinato, quale l’incolumità personale (si pensi al reato di lesioni personali volontarie, ex art. 582 c.p., per il quale ben potrebbe essere concessa dal giudice la sospensione condizionale della pena, a prescindere dall’avvenuto integrale risarcimento del danno verso il danneggiato da reato; ovvero, si pensi al delitto – plurioffensivo – di rapina, il quale, se sufficientemente attenuato e beneficiando degli eventuali benefici premiali legati all’opzione per una tipologia di rito alternativa, potrebbe teoricamente comportare, anche successivamente all’inasprimento previsto dalla disposizione dell’art. 6 del DDL AC n. 1309 in parola, l’irrogazione di una pena detentiva inferire ai due anni di reclusione previsti dall’art. 163 c.p. quale soglia entro cui il reo potrebbe beneficiare dell’istituto in parola, senza che – in tal caso – operi il predetto automatismo limitativo della discrezionalità del giudice). Non si riesce, dunque, a comprendere – almeno, ad oggi – la ratio di una previsione siffatta.

[4]       Le parti che il DDL AS n. 5 T.U.- AC n. 1309 si prefigge di aggiungere nel corpo della disposizione in parola saranno indicate in grassetto.

[5]       L’entrata in vigore di questa legge, avvenuta in data 17 marzo 2006, ha infatti comportato l’inserimento degli attuali commi secondo e terzo nel corpo dell’art. 52 c.p., dove appunto si specifica che: «Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, [del Codice penale] sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione»;/ «La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale».

[6]       I luoghi espressamente individuati dall’art. 614 c.p. sono l’abitazione, ogni altro luogo di privata dimora, nonché le appartenenze relative a detti luoghi.

[7]       Il riferimento è all’equiparazione spaziale operata dal comma 3 dell’art. 52 c.p., così come introdotto dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59, cit.

[8]       In questo senso si ritiene si debba interpretare il duplice riferimento che la norma fa al fatto che la difesa della res possa rientrare nel rapporto di proporzionalità presunto ex lege dal comma secondo dell’art. 52 c.p. soltanto laddove non vi sia desistenza e sussista il pericolo d’aggressione (inteso come pericolo di aggressione diretta alla persona e non verso beni patrimoniali; si v., al riguardo, Cass., Sez. V, 24 settembre 2013, n. 44843, reperibile sul portale denominato Sentenze Web della Suprema Corte di Cassazione: www.italgiure.giustizia.it/sncass; Cass., 8 marzo 2007, n. 16677). Per quel che concerne la questione attualità o non attualità del pericolo di aggressione all’incolumità fisica, nei casi di cui all’art. 52 comma 2 lett. b) c.p., v’è qui da rilevare come la disposizione in parola, laddove si dia peso al fatto che il legislatore del 2006 abbia omesso di richiamare espressamente il carattere dell’attualità con riferimento a questo ulteriore pericolo (ulteriore, in quanto la condotta dell’aggressore sarebbe primariamente rivolta a ledere il bene giuridico rappresentato dal patrimonio della vittima, e solo in via secondaria essa si mostrerebbe pericolosa per l’incolumità fisica delle persone presenti in detti luoghi), ben potrebbe essere interpretata nel senso che, ai fini della sussistenza della causa scriminante in parola, il pericolo per l’incolumità personale, in caso di aggressione primaria diretta verso i beni di colui che invoca l’esimente in parola, possa – fermo, in ogni caso, l’imprescindibile requisito della necessità di difendersi, che fungerà da vero discrimine nelle ipotesi applicative – concretizzarsi anche in un pericolo di natura potenziale, purché comunque esso si presenti come obiettivamente concretizzabile in ragione dell’ulteriore ragionevole sviluppo dell’azione aggressiva. Detta interpretazione potrebbe, peraltro, dirsi fondata anche sul seguente ragionamento: non avrebbe avuto alcun senso introdurre la lettera b) nell’ambito del comma 2 dell’art. 52 c.p., se l’azione offensiva avesse comunque dovuto dirigersi – in maniera tale da renderne attuale il pericolo per l’incolumità – verso la persona di colui che invoca la scriminante; in tal caso, infatti, la difesa potrebbe dirsi finalizzata direttamente a preservare l’incolumità personale del soggetto che invoca la scriminante, rientrando l’ipotesi nell’area applicativa della lettera a) della disposizione in parola e rendendo – di fatto – mai applicabile la previsione di cui alla lettera b). Il disposto di cui alla lettera b) dell’art. 52 co. 2 c.p. non perderebbe di significato se, attribuendo valore all’omesso richiamo effettuato dal legislatore della novella, si considerasse il pericolo d’aggressione personale come collaterale (quindi, da esprimersi necessariamente in termini di potenzialità di un’ulteriore e più grave lesione) rispetto all’aggressione diretta verso i beni di colui che invoca la scriminante. Fermo restando, sia ben inteso, che detto pericolo “collaterale” dovrebbe comunque manifestarsi in termini di obiettiva possibilità di verificazione in concreto, per giustificare la necessità di una reazione difensiva siffatta. L’opinione maggioritaria, così come testimoniano i due precedenti giurisprudenziali succitati, è comunque nel senso di ritenere che anche detto (ulteriore) pericolo debba possedere il carattere della c.d. attualità.

[9]       Detto pericolo deve infatti manifestarsi hic et nunc, con riferimento al momento in cui viene posta in essere la condotta difensiva, altrimenti non ci si trova più all’interno dell’ambito della causa di giustificazione in parola, ma al cospetto di una autonoma aggressione diretta verso il bene giuridico dell’originario soggetto agente.

[10]     Per comprendere il senso di questa affermazione si v. quanto riportato supra, in nota (nota 8).

[11]     Con l’espressione riportata tra parentesi si è inteso richiamare lo slogan che sta accompagnando, nel proprio iter parlamentare, il presente disegno di legge, ossia: “La difesa è sempre legittima!”.

[12]     Detto eccesso, ovviamente, per poter rientrare nell’alveo applicativo dell’art. 55 c.p., deve avere natura colposa; il soggetto che agisce ai fini difensivi non deve assolutamente volere il superamento dei limiti della scriminante prevista dall’art. 52 c.p. In caso di travalicamento doloso del rapporto di proporzione, infatti, la condotta in questione, lungi dal poter essere considerata un “eccesso di difesa”, sarà piuttosto da considerare alla stregua di un’autonoma azione aggressiva, seppur direzionata verso colui che, per primo, ha tentato di portare a compimento la propria condotta criminosa.

Avv. Paoletti Alessandro

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