Diffamazione omissiva e rapporto con le nuove tecnologie

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Il reato di diffamazione è disciplinato dall’art. 595 c.p., il quale punisce chiunque che, comunicando con più persone, offende la reputazione altrui, differenziandosi, così, dal reato di ingiuria ex art. 594 c.p., per l’assenza, da intendere come l’impossibilità di percepire l’ingiuria, della persona offesa.

Direttore della testata giornalistica, obblighi di controllo sul contenuto degli articoli

Benché la formulazione ex art. 595 c.p. suggerisca che si tratti di una condotta attiva, questo reato può anche realizzarsi tramite una condotta omissiva. In questo caso il dato normativo di riferimento è rappresentato dall’art. 57 c.p., rubricato “Reati commessi col mezzo della stampa periodica” e ai sensi del quale il direttore o il vice di una testata giornalistica è responsabile per l’omesso controllo sul contenuto di un articolo diffamatorio.

La norma fu modificata dalla legge 4 marzo 1953, n. 127 e attualmente consiste in un’ipotesi di responsabilità colposa, mentre in passato la dottrina lo annoverava tradizionalmente tra le forme di responsabilità oggettiva. L’intervento risultò necessario in seguito alla pronuncia n. 3/1956 della Corte Costituzionale, che rilevò incompatibilità costituzionale tra l’art. 57 c.p. e il principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost.

Questa digressione rileva ai fini della delimitazione del contenuto dell’obbligo in capo al direttore della testata o al suo vice. Questi soggetti saranno considerati responsabili ex art. 57 c.p. laddove non abbiano posto in essere quei comportamenti conformi alla diligenza, il più delle volte controlli, che avrebbero potuto impedire il verificarsi dell’evento dannoso.

L’articolo in questione prevede una clausola di sussidiarietà per la quale il direttore o il suo vice non debbano essere consci dell’illecito posto in essere dall’autore della pubblicazione diffamatoria e “fuori dai casi di concorso” ex art. 110 c.p., che, dunque, è in questo caso configurabile.

E in caso di siti web o giornali online?

La nuova tecnologia e i moderni mezzi di comunicazione hanno posto nuove problematiche anche in riferimento a questo reato. In particolare, ci si è chiesto se i siti web e i giornali online fosse qualificabili come mezzi di stampa. La Corte di Cassazione abbraccia la tesi per la quale la norma non può essere applicata anche nel caso di periodici o riviste online perché i due mezzi non sono assimilabili e si contravverrebbe al divieto di analogia della norma incriminatrice ex art. 14 delle Preleggi al Codice civile. Tra le pronunce che sostengono questa impostazione può essere ricordata la sentenza della Cassazione n. 44126/2011.

Va, tuttavia, menzionata la tesi minoritaria per la quale l’art. 57 c.p. sarebbe applicabile in forza dell’interpretazione estensiva del concetto di stampa e in particolare dell’art. 1 della l. 47/1948, nella parte in cui fa riferimento allo scopo informativo, proprio anche delle pubblicazioni online.

La responsabilità del gestore del sito è stata recentemente rinvenuta dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 54946/2016. Si tratterebbe però dell’ipotesi di responsabilità a livello concorsuale che insorge in capo al gestore laddove egli, ben consapevole dell’esistenza del contenuto diffamatorio del messaggio sul sito Internet da lui gestito, non si presti a rimuoverlo immediatamente ma continui a consentirne la permanenza.

Dott.ssa Maggese Giuditta

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