Da brand a lovemark: quale comunicazione per un nuovo tipo di consumatore?

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C’era una volta la pubblicità. Era quando l’azienda poteva limitarsi a glorificare la superiorità del proprio prodotto/servizio davanti a un proto-consumatore simile a un blob altamente recettivo; quando il target era da colpire, neanche i marketer fossero gruppi armati paramilitari; era quando – rovesciando quel pensiero del guru P&G Jim Stengel che tanta eco ha avuto anche in Italia – la vita non continuava anche dopo i 30 secondi dello spot tv. Era, e lo è stato finchè ciò ha cominciato a mostrarsi inadeguato di fronte a mercati sempre più stressati, e a un consumatore profondamente mutato.
 
Al centro un dato di fatto: le trasformazioni e le criticità dell’attuale quadro socio-economico, insieme agli orizzonti delle nuove tecnologie, contribuiscono ad affermare stili di vita e di consumo sempre più lontani dagli stereotipi consolidati. A livello di macro-tendenza, l’attuale consumatore diviene così attore critico e consapevole, che davanti a un bombardamento di input indifferenziati e impersonali resta pressoché impermeabile all’advertising classico, e fedele alla marca in modo del tutto relativo. Nel processo entra invece un soggetto che crea autonomamente i propri contenuti in relazione alla personale brand experience, e che supportato in modo nuovo e massivo dalla tecnologia ha il potere di confrontarli e diffonderli. Questo evoluto end-user è parte vitale di un sistema di consumi e relazioni profondamente interconnesso, un network sociale critico e orizzontale che sviluppa al suo interno una sempre maggiore refrattarietà all’ordinario e “bombastico” messaggio pubblicitario, in favore invece di concetti primari quali personalizzazione interattiva dei contenuti, condivisione e logica virale. Quale allora la chiave per la sua sfuggente shopping list? Due le parole magiche: relazione ed engagement. Relazione come partecipazione attiva del consumatore al dialogo con “il suo brand”; engagement – ben delineato da Bob Greenberg, CEO di R/GA Interpublic Group già nel 2006 al 40° International Adv Association World Congress – come “frutto di una percezione dinamica del settore della comunicazione, che unisce mercato, tecnologia e società”. Insomma, comprendere e vivere il consumatore attraverso la relazione; sedurlo grazie a flessibili e personalizzate modalità di coinvolgimento.
 
Pur senza celebrare la morte del commercial tv – in Italia ad oggi ancora il maggiore catalizzatore in valore assoluto dell’investimento pubblicitario – va però evidenziato il venir meno della sua efficacia e, a livello globale, lo scollamento dalla realtà di quelle strategie che vedono ancora nel 30 secondi tv il fulcro di tutta la comunicazione. In prospettiva olistica, il mercato richiede invece connessione emotiva tra persona ed esperienza d’acquisto, tra emozione e valore, con la marca che diventa lovemark e l’advertising che diviene storytelling. Ridimensionata l’efficacia dei mezzi classici, elementi quali new e rich media, web e blogosfera, tamtam e buzzing (evoluzione in stile 2.0 del caro vecchio passaparola) segnalano come la chiave oggi non sia colpire il target il maggior numero di volte, ma coinvolgerlo attivamente sui fronti e nei momenti per lui più naturali. Concretizzando un approccio davvero consumer-centrico, la strategia più efficace non imporrà spazi e tempi di contatto, ma saprà coinvolgere emozionalmente il consumatore, entrando in relazione con questo attraverso i contenuti, le modalità e i tempi per lui più congeniali. Una riflessione che in ultimo offre evidenti riflessi pratici, legati oggi alla necessità di una più raffinata allocazione di budget limitati: soprattutto per alcune tipologie di prodotti, è forte infatti il rischio che massicci investimenti, pianificati secondo classiche e rassicuranti consuetudini operative, si rivelino sempre meno efficaci rispetto a una comunicazione per certi versi quasi low cost, ben integrata e coerente con le dinamiche qui osservate.

Patriarca Stefano

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